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Autore: FCq    02/09/2015    6 recensioni
“Tu sei...”, urlai contro Edward, seduto sul bordo del letto, lo sguardo chino a terra e le mani dietro la nuca.
Mi fissò.
“Tu sei... un idiota. Tu sei incomprensibile e lunatico...
______________
“Perché non capisci”, sussurrò.
“Cosa? Cosa dovrei capire?”.
“Che ho sbagliato. Ho sbagliato tutto”.
“Cosa vuoi da me Edward?”, gli chiesi, .
“Io non voglio niente da te...”, mi rispose. L'intensità nella sua voce solleticò ogni nervo del mio corpo. Con lo stesso vigore mi strinse il viso fra le mani.
“Io non voglio niente da te”, ripeté, “io voglio te”.
Allora si avventò sulle mie labbra.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Buonasera!!! Ho un po' di cose da dire prima di lasciarvi al capitolo. Questo è il capitolo, quello della verità o comunque una buona fetta della verità, molto verrà chiarito e spero non vi perdiate nei meandri di questa "verità o storia", mi perdonerete per i nomi impronunciabili, forse : ) Mi scuso enormemente per il ritardo, solito... tuttavia, questo capitolo di è scritto da solo, sono stati gli impegni a tenermi lontana dalla storia, non la mancanza di ispirazione. Ma son agitata... scrivere il cap mi è piaciuto, spero piaccia anche a voi leggerlo. Altra cosa, tra poco ricomincia la scuola quidni gi aggiornamenti ptrebbero rallentare ulteriormente... il mio obiettivo era finire in estate ma non è stato possibile, quindi chiedo scusa anticipatamente. Come sempre ringrazio tutti voi che avete lasciato una rencione e chi ha soltanto letto. Vorrei che mi lasciaste i vostri pareri, perché sono davvero agitata... Ci vediamo sotto...

 

14) The dark city

 

Cause you are the piece of me I wish I didn't need

If our love is tragedy, why are you my remedy?
If our love's insanity, why are you my clarity?

Why are you my clarity?

Clarity, Zedd

 

“Isa”, ribadii.

“Bella”, replicai.

“Isa”.

“Bella”.

“Bella”.

“Isa... Ahh”, ringhiai, perché ero caduta in pieno nel suo tranello, “smettila. E stammi lontano”.

Ian si scostò da me di qualche passo e tra noi calò il silenzio.

Un silenzio carico d'imbarazzo, per quanto mi riguardava.

Dovettero trascorrere diversi secondi prima che comprendessi il senso della sua frase. Quella frase.

Sei il pezzo mancante di me, aveva detto.

Pazzo.

Cosa significava, esattamente? Come aveva potuto baciarmi intenzionalmente. Mi sentivo sporca, vile. Una traditrice. Benché il bacio l'avessi soltanto ricevuto e non ricambiato, ripugnavo quella parte di me stessa che avrebbe voluto farlo.

Edward.

Edward era il mio pensiero fisso da qualche minuto oramai. Soltanto poche ore prima avevamo passeggiato in quello stesso bosco parlando di noi e del nostro futuro. Ora lo attraversavo in compagnia di uno strano ragazzo dagli occhi colorati. La sensazione di conforto provata al suo contatto era scomparsa nell'istante in cui anche quello era venuto meno, lasciandomi un profondo vuoto all'altezza del petto e dello stomaco.

Edward.

“A cosa pensi?”, gli chiesi, dato che il silenzio si protraeva da troppo tempo.

Ian mi rivolse uno sguardo indecifrabile, ogni traccia di ironia era scomparsa dal suo volto pulito.

“A noi”.

La dolcezza con la quale pronunciò quelle parole mi lasciò senza fiato.

“Noi? Non esiste un noi, Kristopher”, ma sembrò non badarmi, mentre scansava un ramo d'albero all'altezza dei suoi occhi.

“A quello che siamo. A quanto tutto questo sia... assurdo e improbabile. A mio fratello. A come io abbia miseramente tradito la sua fiducia e questo prima ancora di sapere chi fossi per me... Guidato dal mio... istinto animale. L'ultima cosa che voglio è ferire Edward. Tuttavia, se penso di andarmene, il ché potrebbe accadere perché non ho intenzione di scontrarmi con mio fratello e dubito che una volta letti i miei pensieri mi vorrà ancora nella sua famiglia, ciò che mi ferisce realmente è l'idea di non rivederti”.

A quel punto mi rivolse nuovamente il suo sguardo colorato.

“Smetti di dire queste cose”, lo ammonì, abbassando gli occhi lucidi di imbarazzo e dispiacere.

“Non puoi mentire a te stessa né tanto meno a me, Isa. Dal momento che proviamo gli stessi identici sentimenti, con la differenza che io ho accettato i miei”.

“Come pretendi di sapere cosa provo?”, gli chiesi, irritata dalla sua sicurezza ma ancora più dal fatto che, in parte, ci avesse azzeccato.

“Perché è necessariamente così, Isa. E' come la legge di Archimede o la gravità... non esiste alcun dubbio su quanto ti sto dicendo”.

“Hai detto... hai detto che io...”.

“Sei il pezzo mancante di me”, continuò.

“Esatto”, annuì.

“E' vero. Non si tratta soltanto di una frase romantica detta a caso. Tu sei letteralmente il pezzo mancante di me, così come io lo sono per te”.

“Non provi neanche l'ombra di un senso di colpa?”, gli chiesi furiosa.

Io sì.

Avrei voluto aggiungere.

“Non mi sento in colpa per il bacio, Isa. A un bacio si può rimediare. Un bacio si può perdonare. Un bacio lo avrebbe ferito, ma alla fine tutto si sarebbe risolto. Io sarei sparito e voi avreste continuato con le vostre vite e i vostri progetti. Non mi sento in colpa per quel bacio”, ripeté, “mi sento in colpa per ciò che ci lega. Perché è questo. E' questo, Isa, che lo ferirà. Lui ci ama entrambi e noi lo distruggeremo. Per te sarà una condanna, un vincolo inscindibile il nostro. Come una calamita verrai attirata verso di me, nel bisogno di combaciare con la tua metà mancante. Io sto ancora tentando di capire se per me sia una maledizione, l'averti conosciuta, o la cosa più bella che mi sia mai accaduta. E giuro su Dio che ho paura di scoprirlo”.

Avevo di fronte almeno dieci alternative tra cui scegliere, optai per la strada più semplice: il rifiuto.

“Stai dicendo un mare di sciocchezze. Forse è meglio che tu te ne vada... quando Edward lo saprà potrebbe non reagire bene”.

“Non posso, Isa”.

“Smetti di chiamarmi Isa”, urlai, “il mio nome è Bella. E non c'è nulla che tu possa dire che mi faccia credere di essere in grado di ferire Edward. Tu mi hai baciato e io non ho risposto al tuo bacio. Quindi taci”.

Mi ignorò.

“So che tutti ti chiamano Bella, nelle poche ore in cui sei stata priva di sensi il tuo nome è stato ripetuto centinaia di volte. Purtroppo a me non piace, perciò ho deciso che ti chiamerò Isa”.

“Fa come ti pare”, gli risposi acida.

 

“Tu sai che non ho intenzione di nascondergli quello che è accaduto”, gli dissi, dopo qualche minuto di silenzio.

“Lo so. Vorrei soltanto poterti... raccontare la storia. Tutta la storia”.

“Tu sai davvero cosa sono? Cosa mi sta succedendo?”.

Kristopher annuì.

Avrei avuto le risposte che cercavo da settimane. Ma ero davvero pronta ad ascoltarle?

“Non tutto quello che sentirai ti piacerà, ma dalla verità non posso e non voglio proteggerti”, mi disse.

 

Quando giungemmo finalmente nei pressi di casa, la vergogna e la paura mi ossessionavano. L'immagine che mi accolse non l'avrei mai più dimenticata. Edward sedeva sui gradini del portico, le braccia distese lungo le cosce, lo sguardo scuro rivolto nella nostra direzione. Alice e Jasper posavano alle colonne ai suoi lati, come angeli custodi. L'occhiata cauta di Jazz e quella indecifrabile di Alice mi schiacciarono come fossero enormi macigni.

In teoria, non avrei dovuto sentirmi colpevole. Perché io lo avevo respinto. Lo avevo fatto. Ma quei maledetti pensieri, quelle inenarrabili sensazioni... potevano considerarsi un tradimento?

Probabile.

Ma, man man che mi avvicinavo a lui, ad Edward, mi chiedevo come avessi potuto pensare e provare determinate emozioni. Perché io e io soltanto sapevo quanto immensamente lo amassi. Quella forza d'attrazione di cui Krsitopher aveva parlato e che io avevo percepito per la prima volta nell'istante in cui mi aveva baciata, scomparve.

Sapevo che non erano necessarie parole per spiegare ciò che era accaduto, Alice doveva aver visto ogni cosa.

Quando mi fermai davanti a lui, attesi che sollevasse lo sguardo sul mio viso e nei suoi occhi tristi lessi una richiesta di rassicurazioni e certezze. E io gli risposi con la verità. Mi lasciai scivolare nello spazio fra le sue gambe, gli afferrai il volto tra le mani e gli regalai un bacio in fronte.

“Ti amo incondizionatamente”.

Separarmi dall'amore per Edward sarebbe stato come strapparmi un arto.

Edward si alzò con eleganza e agilità, mi strinse le mani tra le sue e vi depose un bacio.

“Lo so”, mi rassicurò.

Poi spostò lo sguardo alle mie spalle e anche i suoi occhi, come quelli della sorella, divennero illeggibili e ancora più scuri. Era ormai sera e se non fossi stata così vicina a lui, non li avrei distinti dal cielo notturno.

Anche io rivolsi a Ian un'occhiata ansiosa, tra i due stava avendo luogo una conversazione silenziosa.

D'improvviso, Edward mi sospinse dolcemente verso la porta d'ingresso. Soltanto quando presi posto accanto ad Esme, Ian entrò in casa; né lui né Edward sedettero. Esme mi carezzò una spalla, come Carisle sembrava ignara di ciò che era accaduto, ma la tensione fra i due fratelli era palpabile. I miei occhi saettavano dall'uno all'altro, ancora intenti ad ingaggiare una muta conversazione.

“Parla”, proruppe Edward conciso, la sua voce una lastra di ghiaccio.

Kristopher mi rivolse la sua completa attenzione, ma nei suoi occhi lessi una profonda tristezza.

“Il mondo non è esattamente come appare, Isa”, Edward ringhiò, “probabilmente avrai già sentito questa frase”, sorrise senza buonumore indicando i Cullen, “tuttavia posso assicurarti che esistono molti più strati di quel che immagini, che tutti voi immaginate. Tolto uno”, mimò con le mani, “ecco comparirne un altro, come la pasta sfoglia”.

“E gli esseri umani, nella loro inconsapevole e costante ricerca di risposte, si trovano letteralmente nel mezzo. Da dove provengo io non esiste la luce né quella del sole né quella della luna, né tanto meno la luce artificiale. Non esistono la corrente elettrica e l'acqua potabile, la tecnologia e il gas, gli animali e l'erba. Non esistono le stagioni, la terra è arida e fredda. Se non fosse per l'assenza di neve o pioggia direi che ogni giorno è inverno. Io, la mia famiglia e ogni altro individuo della mia specie proveniamo da un luogo inospitale per qualsiasi forma di vita a parte la nostra, un luogo chiamato la città nera e situata... nel sottosuolo. Poco al di sotto della crosta ma abbastanza lontana dal “nucleo” terrestre, al confine con quello che i vostri esperti chiamano manto. Mi riferisco a noi, gli Abitanti(I Moru), come la mia specie perché come avrete potuto notare sono diverso da qualsiasi altro vampiro abbiate mai conosciuto. Ma lo sono... un vampiro intendo. Tutti i Moru lo sono. Tuttavia a contraddistinguerci non è soltanto il colore degli occhi, bensì altre... particolarità. Esiste una ragione che, alla luce di quanto vi dirò in seguito potrebbe forse non apparire la più vincolante, per cui noi Moru viviamo nel sottosuolo... non tolleriamo la luce del sole. Diverse migliaia di anni fa ai nostri antenati questa soluzione deve essere apparsa la più ragionevole, in quanto non esisteva un modo per sfuggire al sole, dovunque ci si nascondesse. D'altronde, noi non abbiamo bisogno di cibo o acqua e vediamo chiaramente anche al buio. In secondo luogo, siamo in grado di procreare, creare una vita che abbia il nostro sangue e i nostri geni. Cresciamo fino all'età di ventitré anni, lasso di tempo che costituisce il nostro periodo fertile, per così dire e trascorso il quale smettiamo di invecchiare e cambiare, le nostre necessità mutano: il respiro cessa di essere indispensabile e la sete di sangue si fa insopportabile. Almeno per il primo anno, il ventiquattresimo anno, un po' come accade ai vostri neonati. L'unico sangue che ci è concesso di bere è quello umano; non digeriamo il sangue animale. Non che lo abbiano sperimentato per carità o un qualche genere di senso di colpa, semplicemente per comodità. La nostra condizione... l'impossibilità di uscire alla luce del sole e la nostra ubicazione rendono piuttosto complessa la caccia. Soltanto alcuni dei nostri sono addestrati a recuperare esseri umani settimanalmente per i... pasti, oppure si ricorre a umani come Tulio Delgado”, fece un cenno nella mia direzione.

“Il tutto avviene nella più assoluta segretezza perché nessuno... e sottolineo nessuno, umano o vampiro di sopra che sia, deve sapere della nostra esistenza. Per una questione di sicurezza e quieto vivere. Soltanto loro sono a conoscenza della città e dei suoi abitanti... noi li chiamiamo Mokin-rui, ma suppongo che voi li conosciate come i Volturi”.

Ian attese che le sue parole attecchissero, poi riprese.

“Queste nostre... peculiarità, l'impossibilità di uscire alla luce del sole in particolare, ci hanno resi dipendenti... dai Volturi. Se loro avessero voluto rivelare la nostra esistenza... distruggerci, oggi noi non esisteremmo. Tra i regnanti di sotto e i Mokin-rui esiste un accordo: la libertà in cambio di un certo numero di ventitreenni all'anno. Come vi ho già spiegato è l'anno in cui siamo più... selvaggi e assetati, macchine da guerra. Ancora più forti dei vostri neonati”.

“E' cosa fanno di questi Moru?”, fu Jasper a porre la fatidica domanda.

“Li utilizzano per le loro guerriglie, suppongo, molti vengono uccisi alla fine... altri vengono addestrati e rimangono nella guardia, ma si tratta di un numero molto esiguo. D'altronde, la segretezza conviene anche ai Volturi, se altri venissero a conoscenza di noi e di questi giovani Moru li vorrebbero per sé e sarebbe la fine. I Volturi perderebbero il loro vantaggio, il loro asso nella manica e la loro credibilità per aver mantenuto così a lungo un simile segreto”.

“E' orribile”, sussurrò Esme.

“Sì, lo è. Per questa ragione da diversi anni ormai, centinaia di anni, i nostri regnanti cercano un modo per spodestare i Volturi e impossessarsi del mondo di sopra”. Anticipando la domanda di Carlisle, Kristopher disse: “Con le moderne tecnologie, riuscire a vivere in superficie non è più impossibile”.

“Tuttavia, non è soltanto la luce a rendere estremamente difficile questo compito. Nonostante in forza e il velocità noi Moru siamo migliori, voi possedete doti straordinarie, capaci di vanificare ogni nostro sforzo. Abbiamo perso molti amici, padri, madri, fratelli e sorelle nel tentativo di capirlo, rischiando anche il nostro accordo con i Mokin-rui. A nulla è valso, eravamo e siamo ancora segregati nel ventre della Terra. Ed è qui che entriamo in gioco noi, Isa. All'incirca cinque-sei secoli fa, i nostri regnanti hanno scoperto l'esistenza di esseri particolari, che noi chiamiamo Elfennol, nella lingua corrente potremmo tradurlo con il termine “elementali”.

Migliaia di anni fa esisteva un uomo, chiamato Gwyliwr, che in breve significa guardiano, l'uomo più potente mai esistito. Alcuni hanno persino sostenuto che si trattasse di Gesù Cristo. So soltanto che Gwyliwr aveva il dono di controllare i quattro elementi, dei quali era costituito: il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra.

La storia narra che si fosse innamorato di un altro uomo. Un uomo all'apparenza mediocre, non possedeva la sua stessa forza, il suo stesso fascino, la sua stessa saggezza. Ma era buono. L'uomo più buono che avesse mai conosciuto nei secoli e secoli in cui aveva sorvegliato. Si chiamava Daioni ed aveva sposato una donna incredibilmente bella, Gwenwyn. Daioni capì presto di ricambiare i suoi sentimenti, d'altronde era impossibile che non lo facesse. Gwyliwr era straordinario; la sua avvenenza, il suo buon cuore, la sua onestà, la sua forza e il suo coraggio, la sua enorme pazienza e fiducia erano straordinarie. E come tale, accettare l'amore di Daioni non gli era concesso. Non avrebbe mai potuto far questo a Gwen, nonostante lo desiderasse con tutto l'ardore del fuoco che gli scorreva nelle vene. Così, pensando che Gwyliwr non lo ricambiasse, Daioni impazzì, perse letteralmente il lume della ragione, e si uccise. Gwenwyn, che era follemente innamorata del marito, fino all'ultimo istante aveva creduto che sarebbe ritornato da lei. Ma la gelosia, la rabbia per via del tradimento e dei costanti maltrattamenti ai quali era sottoposta a causa degli altri membri del villaggio che si facevano beffe di lei - lei che era stata lasciata sola, lei, a cui il marito aveva preferito un altro uomo - e l'invidia, perché Gwyliwr avrebbe dovuto innamorarsi di lei... lei che era bellissima, furono la causa di tutto ciò che accadde in seguito”.

“Gwen era una apothecari, per utilizzare un termine shakespeariano potremmo definirla una speziale. Produceva medicine che ricavava dalle erbe e veleni... conosceva ogni pianta, ogni fiore e i loro relativi effetti. Impiegò giorni, settimane, per produrre la boccetta di veleno che avrebbe ucciso l'essere più puro mai esistito...

Gli diede un nome lungo e complesso... rhwymedigaeth... poi tradotto nel latino vinculum”.

Sussultai. Ian mi rivolse un'occhiata comprensiva.

“Gwenwyn si presentò alla sua porta, sostenendo di voler sotterrare l'ascia di guerra. Gwyliwr, distrutto dalla morte dell'uomo che amava, non riuscì a leggerle dentro l'odio che la divorava. Gli disse che aveva una medicina per lui, per guarire il suo cuore che sanguinava. Ancora una volta gli credette. Lui era incapace di pensare alla cattiveria, non avrebbe mai compreso la mente subdola della donna.

Bevette e perse ogni capacità. Perse il fuoco, l'acqua, l'aria, la terra. Perse se stesso. Allora Gwenwyn lo pugnalò alla schiena, due volte, con una precisione tale da procurarli ferite parallele”.

Ian, dopo un istante di silenzio, si voltò e sollevò la t-shirt mostrandomi la schiena e lì le vidi, le cicatrici di Gwyliwr: due ferite lunghe all'incirca quattro centimetri ciascuna, l'una accanto all'altra, perfettamente parallele.

“Come... come puoi avere... quelle ferite. Quelle stesse ferite?”.

“Perché io sono un suo diretto discendente. E anche tu lo sei. Insieme siamo due delle quattro parti dell'anima di Gwyliwr”.

Trattenni il respiro.

“Tu, Isa, sei il suo fuoco... io la sua acqua. E siamo complementari”.

“Quando Gwenwyn lo pugnalò alle spalle, Gwyliwr morì... perché il suo corpo era divenuto mortale. Ma la sua anima non lo era... si frantumò in quattro parti, ognuna delle quali si reincarnò in un uomo o una donna appena nati. E' così che nacquero gli Elfennol, gli elementali. Ogni qual volta i loro corpi venivano distrutti dalla morte, quel quarto di anima che apparteneva a Gwyliwr si reincarnava ancora, fino ad arrivare a noi. E oltre... Il nostro compito è lo stesso di quello di Gwyliwr, noi Elfennol dobbiamo sorvegliare”.

“Cosa sorvegliava Gwyliwr?”, chiesi.

“Il mondo... la natura, accertandosi che l'equilibrio in essa esistente non venisse frantumato. Se noi non esistessimo cadrebbe tutto in rovina: trombe d'aria, maremoti, terremoti e incendi... a livello “geofisico”; a livello umano l'odio, la superficialità, la rabbia, il menefreghismo dilagherebbero. Se uno di noi quattro morisse senza che l'anima di Gwyliwr si reincarnasse sarebbe la fine per gli uomini”.

Kristopher estrasse dalla tasca dei jeans un foglietto ripiegato in più parti, consunto. Sembrava avesse trascorso ore e ore a rileggerne il contenuto.

“Questo mi è stato dato da... un amico. Con questo mi ha spiegato ogni cosa, tutto ciò che avrei dovuto sapere sulla mia natura. Se non fosse stato per le sue parole non avrei mai avuto il coraggio di espormi alla luce del sole”.

“Hai infatti detto che voi Moru non tollerate la luce del sole”, ribatté Carlisle.

“Mai io non sono soltanto un Moru, solo un elementale e di conseguenza niente che abbia a che fare con la natura può nuocermi”.

Questo spiegava perché, nonostante avesse toccato le mie mani infuocate, non si fosse ferito.

“Poter fuggire dalla città mi salvò la vita, ma non è l'unico debito che ho nei suoi confronti. Se su questo foglio”, lo sventolò tra le mani con orgoglio, “non mi avesse parlato dell'Hentai, sarei morto ugualmente. Ed è quello che accadrà a te se non evolverai”.

“Cosa significa?”, gli chiesi.

“Hentai significa metamorfosi e ogni elementale deve subirne una”.

“Cosa intendi per metamorfosi?”, fu Alice a porre la domanda.

“Intendo... quell'avvenimento che avviene all'interno del nostro corpo e che ci rende veri e propri elementali, impedendo al quarto di anima che non è la nostra di sopraffarci. Se la mutazione non dovesse avvenire... noi, scompariremmo nel nostro elemento. Tu, Isa, diverresti fuoco o luce e di te non rimarrebbe nulla di ciò che sei stata fin'ora. Il mio amico nella sua lettera accenna alla mutazione, ma purtroppo non ha potuto descrivermela nel dettaglio. I vecchi testi ne parlano ma sono conservati nella città, alla quale io non ho avuto più accesso una volta fuggito. Quindi ho dovuto... improvvisare”.

“Cosa dice?”, gli chiesi.

“Della mutazione? Soltanto tre parole... mortale, immergi, immobile ”.

“Quindi tu saresti mortale?”, gli domandò Carlisle.

“No, sono un elementle ma pur sempre un vampiro. L'essere un elfennol non intacca la natura originaria dell'individuo, sia esso un umano, un vampiro di sopra, un Moru o altro. Per questo motivo non capivo il senso delle sue parole. Ho provato persino a restare immobile per due settimane consecutive”, rise, “senza ottenere alcun risultato. Poi... ho ripensato al tempo trascorso insieme. Mi sono chiesto perché avesse perso tempo a raccontarmi la storia di Gwyliwr piuttosto che parlarmi nel dettaglio della mutazione. Allora ho immaginato che la storia dovesse essere la chiave. Ho pensato a quella parola... mortale e a come Gwyliwr fosse divenuto mortale”.

“Le ferite...”, sussurrai.

“Esatto, mi sono pugnalato nel punto esatto in cui Gwenwin lo ha fatto al nostro antenato e ho perso ogni capacità, sono diventato mortale e vulnerabile. Ma sapevo che non sarebbe bastato”.

“Immergi”, pensai.

“Ed è quello che ho fatto, mi sono immerso nell'acqua gelida, nel ghiaccio e sono rimato immobile per giorni. Il freddo pungente mi trapassava la pelle come fosse fatto di migliaia di spilli, pian piano perdevo il controllo di me stesso, dei miei arti. Sono trascorsi quattro giorni prima che... morissi. Un normale essere umano avrebbe impiegato soltanto poche ore, ma io, per quanto fossi vulnerabile e mortale non ero un vero e proprio essere umano ma un elementale. Quindi ho resistito. Quando mi risvegliai, sul fondo, ero di nuovo immortale e nel pieno possesso delle mie facoltà. E' questa la mutazione... diventare ciò di cui si è costituiti, sopportare il peso di se stessi, del proprio elemento fino a nuova vita. In realtà, non c'è un modo di sapere se una volta morti, l'individuo riaprirà gli occhi come elfennol o rimarrà semplicemente morto, dipende dalla persona. Ma se uno qualsiasi di noi dovesse fallire e morire... ti ho già spiegato le conseguenze... Solitamente, l'anima di Gwyliwr sceglie bene il proprio corpo con la sua corrispondente natura...”.

“Dopotutto, una volta avvenuta la mutazione non è più possibile modificare ulteriormente la propria natura. Io sono tornato ad essere ciò che ero, un Moru... tu tornerai ad essere umana. Io sono immortale, tu sei mortale... ma entrambi siamo elfennol”.

“Cosa... cosa succederebbe se cambiassi la mia natura... prima della mutazione?”, gli chiesi, la voce rotta dal pianto. I miei occhi si fissarono sulla figura immobile di Edward che mi restituì uno sguardo indecifrabile. Ma aveva capito. Se non avessi potuto cambiare me stessa, un giorno sarei morta.

Ian deglutì a vuoto, poi rispose: “La mutazione sarebbe incredibilmente complessa. Come ti ho detto, l'anima sceglie bene il proprio corpo e la sua natura, a seconda dell'elemento che la costituisce. E lo so perché il mio amico... lui ha specificato che se fossi stato totalmente umano, anziché un Moru, non avrei mai avuto la forza fisica di portare a termine la mia mutazione, di resistere quei quattro giorni”.

“Potrei non superare la mutazione e morire...”.

“E insieme a me distruggerei l'equilibrio esistente in natura, di conseguenza gli uomini”.

Kristopher annuì e calò il silenzio.

Mi era chiaro perché, dato il mio dono, fosse indispensabile la natura umana. Se fossi stata una vampira o una Moru, e avessi dovuto restare per giorni avvolta nel fuoco, non avrei portato a termine la mutazione, sarei morta prima. Il fuoco, d'altronde, era l'unica “arma” in grado di distruggere un vampiro o un Moru, che a dirittura non sopportavano la luce del giorno.

Mi sentì condannata. Condannata dalla mia natura.

“Ti sbagli... tu... non può essere vero. Non posso essere un elementale. Non ho le ferite di Gwyliwr sulla schiena”, lo accusai.

“Perché sei umana. La tua mutazione non richiede che tu divenga mortale, lo sei già. Quelle ferite sono soltanto... la chiave per la mortalità. Una porta che tu hai già aperto. Inoltre, ho letto... quando pensavo che gli Elfennol fossero soltanto leggende e nei vecchi testi che sono riuscito a trovare in superficie, che siamo complementari anche in questo. Mortale e immortale. Non c'è niente in te, che non combaci con qualcosa dentro di me”, mormorò dolcemente.

Detto ciò, Kristopher serrò le palpebre, con fare rassegnato, e la mascella e allora si scatenò l'inferno. Non appena ebbe pronunciato l'ultima sillaba, Edward gli fu addosso, lo afferrò per il collo della t-shirt e lo trascinò con sé all'esterno dell'abitazione. Dopo un'iniziale smarrimento e compreso ciò che stava accadendo, mi precipitai al loro seguito.

Edward scaraventò Kristopher, il quale non oppose alcuna resistenza, a diversi metri di distanza dall'ingresso.

“Alzati”, ordinò Edward, appariva così calmo e posato e letale che persino io lo temetti... e allo stesso tempo lo desiderai, come sempre accadeva.

Ian non gli obbedì.

Rimase a terra, a capo chino.

“Alzati”, ribadii – urlò - Edward, ogni traccia di buonsenso sembrava averlo abbandonato.

“Pensi che ti avrei mai ferito intenzionalmente”, gli chiese Kristopher, sollevando lo sguardo sul suo bellissimo viso deformato dalla rabbia.

Edward non gli diede ascolto, si fiondò su di lui, lo sollevò da terra e gli sferrò un poderoso calcio nell'addome.

“Se osi toccarla...”, gli ringhiò sul volto, poi il suo sguardo si ammorbidì e così i suoi tratti, lasciando trapelare tutto il dolore del suo - il nostro - tradimento... . “Come hai potuto farmi questo... eppure tu c'eri, hai visto cosa ho...”.

Perse le parole e forse, per un istante, perse anche se stesso.

“Non avrei mai potuto immaginare che... non è stato intenzionale. Va oltre ogni logica e razionalità. Non può essere controllato, Ed, è inevitabile”.

Edward, nuovamente in preda a una rabbia cieca, gli sferrò una gomitata in volto.

“E' scritto, Edward. E' scritto, come qualsiasi altra cosa ci riguardi...”, le sue parole furono interrotte da un'altra ginocchiata e poi un'altra ancora.

“Esiste... una profezia”, pugno, “nella città”, calcio.

“Fuoco per acqua, aria per terra, nulla esiste senza il suo opposto. Noi siamo destinati”, pugno, “era scritto che io la trovassi. Ogni parte opposta dell'anima di Gwyliwr viene destinata ad anime gemelle”, calcio, “così che possano trovare l'amore cui il loro possessore ha dovuto rinunciare”, urlò infine, riverso a terra.

Edward lo sovrastava, oscuro e feroce.

Incapace di gestire la situazione, di discernere la verità dalla menzogna, l'amore vero dall'amore predestinato, mi limitai ad assistere in silenzio alla loro reciproca distruzione. Perché, sebbene Ian non stesse muovendo un muscolo, le sue parole ferivano Edward in egual misura.

“Io sono ciò che non sapeva le mancasse, ma che pure cercava. Io sono il suo... io sono il suo... io sono suo”.

D'un tratto, Edward smise di ringhiare e la grande villa divenne silenziosa. Sbarrò lo sguardo e allentò la presa, dopodiché si sollevò dal corpo ferito di Kristopher.

“Ti sbagli”.

“Sono io... tutto questo sono io. Qualche mese fa mi sarei fatto da parte, l'avrei lasciata alle tue mani, ma... ora non permetto a nessuno di mettere in dubbio noi. A nessuno. Le insegnerai a controllarsi e la aiutare a mutare... poi sparirai”.

“Fratello”.

“Non hai più il... diritto”, urlò Edward, “di chiamarmi in questo modo. L'hai perso... quando hai scelto di baciarla”.

“Io non ho scelto” ringhiò Ian, sollevandosi.

Vidi il ghiaccio nei suoi occhi, vidi il pericolo. Sapevo che se avesse deciso di annientare Edward non avrebbe avuto difficoltà a farlo.

Percepivo un potere sconfinato scorrergli nelle vene.

Lo stesso che scorreva nella mie.

“Non mi sarà possibile starle lontano... e presto capirai che il sentimento è reciproco”.

“Non mi importa cosa tu abbia letto, cosa credi di sapere...”, ringhiò Edward in un sussurro a pochi centimetri dal suo viso.

Ian mosse un passo in avanti, l'assurda e improbabile tonalità dei suoi occhi mi allarmò.

La pelle irta delle sue mani e delle braccia si ricoprì di un velo trasparente e spesso... ghiaccio. E qualcosa nei meandri del mio subconscio mi suggeriva che non si trattasse di un ghiaccio qualsiasi... aveva l'aria d'essere indistruttibile e duro più dell'acciaio stesso.

“Basta”, urlai e mi frapposi tra loro.

Voltai le spalle ad Edward, decisa a fronteggiare Kristopher.

Sostenni il suo sguardo bianco e furioso, lasciai che il fuoco dentro di me si tramutasse in fiamme sulla mia pelle accaldata.

“Allontanati”, ringhiai fra i denti.

Kristopher non mi diede ascolto, lasciò che il ghiaccio gli avvolgesse le spalle, il collo e una parte del viso, rendendolo ancor più letale di quanto non apparisse già: sembrava assente.

Tuttavia, forte di ciò che ero e di colui che proteggevo, non gli permisi di intimorirmi.

Lo imitai.

“Allontanati”, ribadii.

Al suono della mia voce, la sua espressione si ammorbidì, i suoi occhi chiari si scurirono e mi videro... Ian si osservò le braccia e le mani, si sfiorò la guancia e arretrò, nel tentativo di fuggire da se stesso e da ciò che avrebbe potuto fare.

Tentativo vano. Perché non si può sfuggire alla propria natura, la si può combattere.

E combatterla era ciò che avrei fatto, impedendole di ostacolarmi.

Qualsiasi fosse stata la condizione che la vita mi imponeva, io l'avrei aggirata, combattuta, vinta.

Fin quando le forze me l'avessero permesso.

“Non so se quel che dici è vero, al momento so poco o niente, a dire la verità. E' così da sempre. Fin da bambina mi sono sentita costretta in un un corpo e una vita non mia, senza conoscerne la ragione. Adesso so il perché. Ma quello che sono non può cambiare quello che voglio. E io voglio Edward”.

“E io non lo metto in dubbio. Non ho mai detto che tu non sia innamorata di mio frat... di Edward”.

“Sostieni che mi innamorerò di te”.

Ian sorrise.

“No. Io sostengo che tu non riuscirai a vivere, neanche a respirare, senza di me. Sostengo che i tuoi occhi mi cercheranno ovunque quando non ci sarò e che una piccola parte della tua mente sarà sempre e costantemente riservata a me. Sostengo che dimenticherai ogni altro sentimento tu abbia mai provato prima per chiunque. Sostengo tutto questo perché sei il pezzo mancante di me, il pezzo di cui non avrei voluto avere bisogno e perché è quello che io provo, il ché è una conferma più che sufficiente di ciò che ho letto, non credi?”.

Non risposi, né permisi ai suoi occhi di indagarmi oltre, strinsi con forza la mano di Edward e gli voltai le spalle.

 

….............................

 

Il vento fra i capelli, il profumo di sole e miele a solleticarmi le narici, le sue mani a sostenermi le gambe, mi lasciavo cullare dal lento dondolio delle sue spalle dovuto alla corsa frenetica. Sapeva dove volessi andare prima ancora che glielo accennassi.

L'unico luogo in cui avremmo potuto rifugiarci da noi stessi, da ciò che il futuro ci riservava. L'unico in cui il pericolo fosse stato sconfitto e noi avessimo vinto. Lo stesso luogo in cui, per mesi, lo avevo sognato al mio fianco e l'unico che mi avrebbe ricordato perché le previsioni di Ian fossero insensate.

Perché non avrei mai potuto innamorarmi di lui.

Il mio vecchio appartamento. Il mio minuscolo appartamento fatiscente. Semidistrutto. Nel quale avevo sofferto il dolore più atroce, la solitudine, la fame persino, quelle sere in cui il badget era già stato speso e il frigo era vuoto. Sere passate a studiare per non pensare, accanto alla finestra dalla quale eravamo appena entrati. La mia tenda gialla, fatta a brandelli, in bilico tra il cadere a pezzi definitivamente e non, reggeva. Come me. Ne sfiorai i lembi. Poi accarezzai con fare assente il materasso, l'unica parte del letto ancora intatta. Edward mi osservava, in silenzio. Allora, in quel luogo, l'unico, capì cosa avrei dovuto fare. Mi fu tutto così chiaro, come avessi finalmente compreso un difficile concetto di anatomia o biochimica. Sollevai lo sguardo su Edward e mi avvicinai a lui lentamente, come volessi assicurarmi che la sua presenza era reale e non l'ennesimo sogno. Senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi feriti, sfilai dall'asola il primo bottone della camicia.

“Fai l'amore con me”, glielo chiesi, glielo ordinai.

Sta di fatto che Edward non se lo fece ripetere una seconda volta. Mi spinse dolcemente sul materasso a una piazza e mezzo, mi tolse gli abiti e mi accarezzò, mi adorò, mi amò per tutta la notte, come sempre. Perché una volta non bastava... mai.

Quando infine, stanca, ansimante, mai realmente paga per via del tempo che scorreva implacabile, chinai il capo sulla sua spalle, a cavalcioni sulle sue gambe, il suo corpo fresco e perfetto contro il mio, nel mio... glielo chiesi, glielo ordinai.

“Mordimi”, sussurrai contro la pelle fremente del suo collo.

Il suo silenzio mi spinse a sollevare lo sguardo e puntarlo sul suo viso stupefatto, combattuto.

Edward mi strinse il viso nelle mani grandi, accarezzandomi le guance con movimenti frenetici e tormentati delle sue lunghe dita.

“Capisci quello che mi chiedi? Capisci a cosa andrai incontro? E non mi riferisco soltanto al dolore della trasformazione. Non conosciamo le conseguenze che la trasformazione avrà su di te, data la tua natura e il tuo dono. E la mutazione sarà...”.

“Molto più dolorosa e difficile. Lo so, amore mio. Ma se anche io sopravvivessi alla mutazione, morirò ugualmente. E io non posso, non voglio morire. Perché tutto questo non può avere una fine, non può avere una scadenza. Io riuscirò ad ingannare il tempo e riuscirò a sconfiggere la mia natura. E lo farò...”.

“Se vuoi farlo perché credi che ciò che sostiene Ian possa verificarsi...”.

“No. Voglio farlo perché ti amo. Voglio farlo per te. Se anche Ian dovesse avere ragione e il nostro legame dovesse essere in qualche modo scritto nelle stelle, io sono pronta a sfidarle, le stelle, il destino o chi per lui. Iniziando da qui”, conclusi, indicando un punto esatto del mio collo, tra la carotide e la succlavia.

Edward mi fissò a lungo, prima di decidere se agire o meno.

L'ultima cosa che ricordo di quella notte unica, in quell'unico luogo, sono le sue mani sulla mia schiena che dolcemente mi accostano al suo torace ampio, il mio seno caldo che sfiora la sua pelle, le sue labbra tentatrici sul mio collo, i suoi denti perfetti che, come coltelli dalla lama affilata, affondano nella mia carne con amore. Poi, ci fu soltanto il dolore.

 

Io non sono nessuno, però ci tenevo a lanciare un messaggio... sono fermamente convinta che non bisogna farsi fermare dalle condizioni, dalle circostante in cui ci si imbatte, nella vita. A volte, tendiamo persino a rifugiarci dietro questo "circostanze". In concetto è stato già espresso nel brano, volevo soltanto ribadirlo. Grazie per l'attenzione e per la lettura : ) A presto

 

 

  
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