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Autore: haev    03/09/2015    5 recensioni
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l’avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
[...]
Il castano si sorprese ad ammirarla e sentir nascere dentro di sé un senso di calma che non aveva mai provato. Aspirò il fumo e scosse la testa: non doveva affezionarsi a lei. Il suo compito era quello di renderla più loquace, di scavare dentro di lei e capire il motivo per cui amasse così tanto la solitudine.
[...]
Greta non si definiva una ragazza depressa, semplicemente aveva smesso di vivere e non sapeva nemmeno se a vent’anni si potesse dire di aver iniziato a vivere per davvero, aveva ancora davanti una vita piena di cose da fare, scoprire e lei aveva già rinunciato a tutto.
Peccato che il suo tutto fosse su un letto con una bandana in testa per la chemioterapia.
Completa.
Genere: Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And then I found out how hard it is to really change.
Even hell can get comfy once you’ve settled in.

I just wanted the numb inside me to leave.
No matter how fucked you get, there’s always hell when you come back down.
The funny thing is all I ever wanted I already had.
There’s glimpses of heaven in everything.
In the friends that I have, the music I make, the love that I feel.

I just had to start again.
-Hospital For Souls; Bring Me The Horizon

 
ATTENZIONE: il testo contiene un brano musicale che vi invito a far partire quando Louis arriva a casa (capirete leggendo) e sarà importante per il resto della storia.
Il link è nell'angolo autore, ma ve lo riporto anche qui: 
https://www.youtube.com/watch?v=9luggu1KysQ
 
MissionXIII

Erano passati tre mesi e mezzo da quando Louis era giunto in quel piccolo quartiere di New York ed esattamente tredici giorni da quando aveva pitturato il muro verde della scuola insieme a Rion. Si stava abituando e ora era in grado di alternare il tempo con Maxie e con Rion, non che con la ragazza passasse molto tempo con lui, anzi. Dopo l’impresa “imbianchini” Rion era sempre la stessa, anche se concedeva delle piccole libertà al castano. Libertà che Louis non approfondiva, ci voleva tempo e lo sapeva.
In quel periodo si era avvicinato molto a Maxie, aveva capito che lo aveva trascurato tanto e ora che sapeva, più o meno, come prendere Rion passava più tempo con l’amico biondo.
Stava con lui un pomeriggio a settimana, la scusa che rivolgeva in casa era il classico “«Mamma, vado a studiare da Maxie.»” anche se i libri difficilmente venivano aperti, dato che il pomeriggio veniva speso tra accordi di chitarra, musica e qualche sigaretta.
Le serate erano diventate più piacevoli, Louis era entrato nella compagnia di Maxie a tutti gli effetti e aveva stretto un buon rapporto con tutti, soprattutto con Niko e Rylee.
Rylee era molto felice per sua sorella e per Louis, la ragazza li vedeva già sposati, ma Louis placava la sua voglia di vedersela come genera.
Louis chiacchierava con Rion, o meglio, lui parlava e la giovane lo ascoltava, quasi tutte le mattine. Il castano di rado faceva domande alla mora riguardo le occhiaie, la pelle bianca e il comportamento sempre assente della giovane, in quanto vedeva nei suoi occhi verdi una paura innata.
Ogni volta che il castano mormorava qualcosa riguardo la droga, Rion si irrigidiva e iniziava a tormentarsi le mani dove giorni prima si era procurata il taglietto.
Louis era cauto, ma era consapevole che tra di loro non ci fosse nulla, anche se lui, segretamente, bramava Rion.
Quel giorno il sole splendeva nelle vie del piccolo quartiere newyorkese.
Louis, fumando sul balcone della sua camera, vedeva gli alberi iniziare a germogliare, il cielo più azzurro e un vento fresco che faceva scompigliare i capelli al castano.
Stava arrivando la primavera, nonostante questo i cittadini indossavano ancora giubbotti, sui divani c’erano ancora le varie coperte e nessuno rifiutava una bella tazza di cioccolata.
«Lou…?» sua sorella irruppe nella stanza con una lentezza e un silenzio tale che Louis si spaventò, ormai Evelyn era abituata a vedere il fratello fumare, quindi il ragazzo non si degnò di spegnere la sigaretta.
«Ev, è successo qualcosa?» domandò, vedendo la faccia preoccupata della piccola.
«No… Cioè… – Si strofinò le mani con un gesto nervoso – Ecco…»
Il fratello iniziò a preoccuparsi e a pensare tutte le catastrofi che potessero succedere a una bambina di sei anni. Partì da quelle peggiori: suo padre gli aveva fatto qualcosa? La piccola iniziava a capire il rapporto inesistente tra i genitori? Era successo qualcosa a scuola? La emarginavano perché era arrivata dopo? Louis corrugò la fronte, la piccola, da quello che diceva in casa si trovava bene con i nuovi compagni di classe e le maestre erano brave. Si intimorì pensando che forse Evelyn non avesse detto nulla sino a quel momento perché magari non voleva far preoccupare nessuno. Una volta aveva visto un film che parlava di bullismo e la protagonista, che non aveva detto nulla ai genitori, aveva finito per tentare il suicidio.
Fissava la sorella con sguardo preoccupato e incuriosito: «Evelyn, che caz…  –  Tossicchiò, non doveva dire parolacce – Cosa sta succedendo?»
«Beh, Lou, vedi…»
Aveva un groppo in gola, ma poi vide un sorriso malizioso comparire sul volto paffuto della bambina.
Si rilassò e iniziò a pensare ai dilemmi di una bimba di sei anni: era finita la stagione di Peppa Pig? Louis si accigliò, sua sorella non guardava più quel cartone, fortunatamente, adesso era fissata con un qualcosa in cui i personaggi cantavano e Louis non voleva saperne. Era finita quella soap opera? Oppure voleva un gioco? Aveva rotto qualcosa?
«E’ arrivato il tuo piano!» e corse ad abbracciare il fratello.
Louis si accasciò contro il muro, un po’ per l’uragano di gioia che era nato in Evelyn e un po’ per la serenità che gli era pervasa nel corpo. Aveva davvero temuto che le fosse capitato qualcosa.
Sollevò tra le braccia la sorellina e la fece girare: «Dici sul serio?»
Era stranito, infondo era pur sempre sabato e non si aspettava che il camion dei trasporti con il suo amato pianoforte sarebbe arrivato quel giorno, che tra l’altro era qualche patrono ricorrente della città, quindi tutti erano in vacanza.
«Sì! Adesso impari a suonare le canzoni di “Violetta” e poi le cantiamo assieme!» esclamò entusiasta la bambina.
Louis fece una smorfia, ricordandosi la soap opera che vedeva Evelyn e si impietosì ancora di più rimembrando la sorella ballare e cantare a squarciagola davanti al televisore.
«Sì, tesoro, certo. – Disse senza entusiasmo, ma facendo un sorriso finto che nemmeno Rion sarebbe stata in grado di fare, Louis si stupì di quel pensiero – E ora, andiamo a vedere, piccola.»
Evelyn corse giù dalle scale, urlando: «Mamma! Mamma! Lou arriva!»
Louis prima di scendere, afferrò una cicca dalla giacca e iniziò a masticare per smascherare l’odore di fumo, sua madre sapeva che fumava anche in casa, ma non accettava ancora l’idea che suo figlio si rovinasse i polmoni, così, per suo rispetto, il castano cercava di farsi vedere il meno possibile.
Scese gli scalini e raggiunse la sala insonorizzata.
Padre e figlio non avevano mai avuto un buon rapporto, ma se c’era una cosa su cui andassero d’accordo, quella era proprio il piano. Era stato il padre di Louis, infatti, a incitarlo a suonare quando aveva solo sei anni e il giovane era riconoscente al genitore solo per quell’atto: da quello, difatti, partiva tutto il suo amore per la musica.
Fece passi pacati e vide il piano nel bel mezzo della sala, come un pezzo d’arredamento. Era un pianoforte a coda, nero, già pronto all’uso. Louis si ricordò che i primi anni aveva un piano a muro, poi Evelyn l’aveva rotto buttandoci addosso qualche suo stupido giocattolo e ora possedeva quella bellezza.
Lo sgabello, nero anch’esso, rivestito con un cuscino in pelle, lo attendeva, fremente.
Il ragazzo si sedette, sentendosi subito bene ed eccitato, erano mesi che non suonava.
Tolse il panno azzurro che ricopriva la tastiera e fu folgorato dalla vista di quegli ottantotto tasti, sorrise e poi deglutì, mentre nella sua mente si andavano a formare le più svariate sinfonie.
Stiracchiò le dita e poi, mentre abbassava il capo e le mani si posavano sui tasti, iniziando da una sinfonia di Chopin, per andare a sfumare in Bach e infine in Debussy.
Louis amava mischiare i vari testi degli autori. Era partito tutto per gioco, Louis mischiava gli autori a caso, perché quando suonava si faceva trascinare talmente tanto dalla musica che non si rendeva conto di cambiare compositore.
Un giorno suo padre lo sorprese e gli disse di ricreare delle nuove melodie, da quel momento Louis si mise a studiare ogni singolo brano con estrema precisione, trovando le note che andavano d’accordo con altre, unendole, mischiandole e dando vita a una melodia pressoché perfetta.
Faceva questo soprattutto con i grandi virtuosi del mondo musicale, non trascurando mai la melodia originale.
Per i testi di canzoni invece, li rivisitava e basta.
Amava suonare.
Quando lo faceva, non si sentiva più Louis, bensì un automa che riportava gli input della sua mente ai tasti e faceva uscire la musica. Non sentiva nulla, era completamente svuotato.
Tutti i suoi demoni se ne uscivano dal cervello, per lasciare un vuoto che Louis adorava più di qualsiasi altra cosa.
Non si sentiva nemmeno felice.
Era talmente rilassato che se avesse potuto, avrebbe suonato per il resto della sua vita.
Le dita scorrevano liete sui tasti, gli occhi chiusi, la bocca che si muoveva muta, sillabando note, bemolle e diesis, anche se non ce n’era bisogno. Il ragazzo sapeva il testo a memoria.
Liberò tutto quello che aveva tenuto in corpo per mesi, tutto quello che non era riuscito a liberare stringendo sua sorella o guardando negli occhi Rion oppure fumando con Maxie.
Sorrise tranquillo, mentre una piccola lacrima gli colava sulla guancia.
Libertà.
Fu mentre cambiava bruscamente il brano in un classico di Mozart, il “Don Giovanni”, che si ritrovò a pensare a Rion.
Voleva farle sentire mentre suonava. Voleva che lei lo sentisse, voleva farla stare bene e farle capire che lui la poteva comprendere, e per questo, aveva pronta una canzone giusta per lei.
 
Uscì di casa, componendo il numero di Rylee, inondato da un’adrenalina che probabilmente non gli sarebbe mai più venuta.
«Rylee, ciao!» disse quando la ragazza ebbe risposto.
«Louis, ehi, tutto a posto?»
Louis sorrise nel sentire un tono preoccupato da parte della bionda, in fondo, non l’aveva mai chiamata.
«Sì, certo, senti – mormorò con fare pratico – Rion è in casa?»
La gemella ci mise un attimo a rispondere e capire cosa volesse il castano, «Sì, c’è, ma Lou…»
«Bene, mi diresti dov’è che abiti, mh?»
Rylee sospirò reprimendo una risata e iniziò a spiegare al castano la strada.
 
Louis si sistemò la giacca e i calzoni, poi si passò una mano nei capelli, reprimendo l’agitazione che stava nascendo nel suo corpo.
Saltellò sui piedi e sbuffò, scaricando l’ansia. Suonò il campanello come se dovesse attivare una bomba, in seguito si staccò subito, mettendosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans e continuando a saltellare sulle Vans nere.
Si guardava intorno, fissando la casa gialla, posta su due piani con un piccolo giardino verde disseminato da boccioli in fiore.
La porta si aprì, Louis guardò dritto davanti a sé aspettandosi di vedere Rylee oppure sua madre, invece, fu costretto ad abbassare lo sguardo e alzare le sopraciglia.
Un esserino di circa un anno lo guardava sorridente, stava in piedi a stento, tanto che quando lasciò le manine dalla porta, la piccola iniziò a vacillare.
Louis si chinò d’istinto, così come faceva con Evelyn e sollevò la bambina, tenendola in braccio. Quest’ultima si aggrappò ai capelli del castano e Louis non poté fare a meno di pensare a quando Rion glieli aveva stretti due settimane prima.
«Ma ciao! Tu chi sei?» disse guardando la piccola in viso, aveva i capelli biondi e leggermente mossi, che richiamavano Rylee, ma gli occhi erano identici a quelli di Rion, verdi come l’erba.
Louis si chiese se la ragazza da piccola fosse stata identica alla sorellina, Rylee, una sera gli aveva confessato che sua sorella si tingeva i capelli di nero, ma in realtà era bionda.
«‘Enae
«Piacere mio, Renae. – Sorrise il castano, dandole un buffetto – Io sono Louis, mi potresti andar…»
«Renae, ti ho sempre detto di non aprire agli sconosciuti, ma di aspettarmi per il citofono.» una voce calma e sicura irruppe sulla porta, Louis si trovò davanti Rylee, solamente invecchiata di qualche anno.
La madre di Rylee e la figlia erano una la fotocopia dell’altra: capelli biondi, occhi azzurri e fisico asciutto. Louis rimase a bocca aperta e si chiese se tutti in quella casa si somigliassero.
Jessica squadrò Louis da testa a piedi, poi vedendo che teneva tra le braccia Renae e non aveva nessuna intenzione di rapirla, si rasserenò: «Oh, scusami. – Sorrise – Devi essere un amico di Rylee, aspetta te la vado a chiamare.»
Louis alzò le sopraciglia e rimase stupito quando la madre diede subito per scontato che lui fosse lì per Rylee e non per Rion. La solitudine della ragazza doveva essere conosciuta anche in casa.
Louis entrò nell’abitacolo per bloccare la madre, «Ehm, signora, in realtà io sono qui per Ri… Professoressa Finch?» esclamò il castano, vedendo seduta al tavolo la sua prof. di matematica, intenta a bere una tazza di tè in tutta tranquillità.
Era anche lei di famiglia?
«Ciao, Louis.» sorrise e rivolse un’occhiata a Jessica, la quale sembrò afferrare al volo.
«Scusa, mi stavi dicendo qualcosa?»
Louis era spaesato, scosse la testa e per guadagnare tempo depose la piccola Renae sul pavimento, che iniziò a gattonare in giro per la cucina.
«Sì, ecco, vede, io non sto cercando Rylee, ma Rion.» e sorrise nervoso, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
«Rion?» domandò Jessica stupita con la fronte corrugata e gli occhi più aperti del normale, il ragazzo vide con la coda dell’occhio la sua insegnante soffocare una risata nella tazza.
Jessica iniziò a massaggiarsi le tempie e camminare per la cucina, Louis pensò subito di aver fatto qualcosa di male e lo stava per chiedere, quando Jessica sorrise radiosa, «Rion! Ma certo, sì come no, te la chiamo subito. Anzi, no. Vai tu, è la prima porta a sinistra, una volta salite le scale.»
Louis rimase interdetto e bloccato per un paio di secondi, ma la voce della sua prof. lo ridestò: «Ciao, Louis.»
«Arrivederci, signorina Finch. – Guardò la madre delle gemelle – Signora…»
«Jessica, chiamami Jessica.» continuava a sorridere, Louis giurò quasi di vedere delle lacrime negli occhi azzurri.
Annuì e salì le scale, una volta giunto davanti alla porta della camera di Rion, tamburellò sui piedi, in ansia, sospirò e bussò.
Non provenne nessun suono, alzò le sopraciglia e pensò che magari si trovasse in bagno. Ribussò di nuovo, ma anche questa volta nessuno rispose al suo richiamo.
Si sentiva un coglione, così decise di fare un giro nel corridoio, magari avrebbe trovato qualcuno a cui chiedere della ragazza. D’un tratto si immaginò un uomo muscoloso con in mano una mazza da baseball che lo minacciava di andarsene e di lasciare in pace sua figlia.
Scosse la testa e spiò in una camera socchiusa, fu quasi certo di vedere una flebo e un ragazzo con una bandana, quando da una porta lì vicino comparve Rylee: «Louis!» esclamò nervosa e si avvicinò, chiudendo la porta della camera misteriosa.
I pensieri di Louis riguardo su quello che ci fosse in quella stanza vacillarono, ma poi decise di lasciare perdere.
«Sto cercando Rion, ma non risponde.»
Rylee sorrise, «Starà ascoltando la musica, entra e urla.» poi come era comparsa, scomparve in una camera lì vicino.
Louis rimase scioccato: si doveva mettere ad urlare?
Mentre ritornava davanti alla porta, cercò nella sua mente un modo per captare l’attenzione della mora.
Aprì la porta ed entrò tenendo lo sguardo basso.
La camera era piccola: le pareti erano bianche con attaccati diversi poster, vi erano molte mensole, su ognuna delle quali erano disposti diversi libri in ordine di grandezza. Vari vestiti erano sparpagliati sul pavimento in parchè, il ragazzo notò in un angolo lo zaino che Rion teneva a scuola e vicino a questo, uno zaino nero che non le aveva mai visto, ma che gli risultò famigliare.
Un tappeto era disposto ai piedi del letto, sul quale era sdraiata Rion con le cuffiette e gli occhi chiusi.
Louis strabuzzò gli occhi e la gola gli si seccò subito, mentre un brivido gli percorreva la schiena.
Rion era in mutande e indossava una maglietta bianca. Louis notò che era senza reggiseno e il petto di lei era abbastanza visibile, attraverso il tessuto vide i seni aprirsi in un valle. Il ragazzo represse l’istinto di avvicinarsi, toglierle la maglia e baciare quella sua parte. Deglutì e osservò le gambe sollevate in aria come a fare dei piegamenti, i muscoli tesi. Louis fece scivolare lo sguardo sul fondoschiena della ragazza ammiccando, quando, strabuzzò di più gli occhi: quella era una brasiliana in pizzo nero?
Deglutì e portandosi una mano agli occhi, lasciando libera una fessura tra le dita affusolate, iniziò a urlare: «Rion Lee, ti prego, copriti!»
La ragazza si alzò di scatto togliendosi le cuffiette e appena focalizzò che non era nessuno dei suoi famigliari, divenne rossa in viso e cercò di coprirsi con il piumino, che puntualmente rimase dov’era, facendo sì che la giovane cadesse a peso morto sul pavimento, gridando a sua volta: «Che cazzo ci fai qui?»
Louis osservò la scena a rallentatore, godendosi le curve della ragazza e diventando rosso come un pomodoro a sua volta.
Ecchecazzo.
Rion si alzò, trasformò il suo viso scioccato nella classica faccia imperturbabile e si avvicinò a Louis, che arrancò andando a sbattere contro la porta.
Stava andando in iperventilazione.
Sentiva la bocca secca e la lingua gli si era praticamente arrotolata in mille nodi.
Aveva un caldo infernale, tanto che sentì la schiena e la fronte imperlarsi di mille goccioline di sudore.
Non poteva vedere Rion con quei vestiti, aveva pur sempre diciannove anni, cazzo.
Cercò di mantenere un contatto visivo con la giovane, ma questo venne impedito poiché questa incrociò le braccia, facendo sì che la maglia si alzasse rivelando una pancia bianca, e i seni si appoggiassero, nascondendo la valle.
Cristo santo.
Chiuse gli occhi e sentì aumentare le goccioline di sudore sulla fronte, poi qualcosa nel suo basso ventre si mosse.
No, non ora. Sei qui per uno scopo e io non ti permetterò di avere la meglio. Placati, stupido pene.
«Che. Cazzo. Ci. Fai. Qui.» ripeté Rion.
«Devi venire a casa mia.» fu tutto quello che riuscì a dire il ragazzo.
Rion chiuse gli occhi a fessura e guardò il ragazzo: «Cosa?»
«Sì, hai capito, dài. – La fissò – Copriti il culo.» strabuzzò gli occhi, non credendo davvero di aver pronunciato tali parole.
Ma che cazzo ti dice il cervello?
«Ma tu sei fuori di testa. Chi cazzo ti ha detto di entrare in camera mia e dirmi di venire da te? Vattene, Louis.» e la ragazza si voltò, Louis si tranquillizzò, poi l’occhio gli cadde sul suo fondoschiena e andò maggiormente in iperventilazione.
Devi rimanere calmo. Il maestro Jedi, il più grande di tutti, Louis, Yoda che sembra un nome così morbido, come il culo di Rion… No, Yoda di “Star Wars” diceva sempre “Che la Forza sia con te”.
Strinse le mani a pugno, ma queste erano talmente sudate che riuscì a malapena a stringerle. 
Bene, Forza del cazzo, dove sei?
Corrugò la fronte dandosi del coglione, perché era andato lì?
Solamente quando la ragazza si mise sotto le coperte, in evidente imbarazzo, Louis riuscì a calmarsi e scervellarsi per trovare delle scuse e le parole giuste da dire a Rion.
«Sei ancora qui?» domandò acida.
«Sì, scusa se sono entrato in camera tua, ma ho bussato e non hai risposto. Tua madre mi ha detto di farlo, poi Rylee mi ha detto di urlare se non mi avessi sentito. – E una è andata, respirò – Sono qui perché oggi mi è arrivato, dopo mesi, il pianoforte e ho una dannata voglia di farti ascoltare qualcosa e dato che il piano è a casa mia, sai no, – Rion lo guardava inespressiva – dovresti venire da me, ecco.» riprese a respirare.
«Esci subito di qui. – Mormorò alzandosi, Louis trattenne il respiro e fissò il soffitto incredibilmente interessato – E aspettami giù.»
Uscì senza aver capito una singola parola, ma per lo meno, il concetto gli era arrivato e sorrise smagliante passandosi una mano sulla fronte e si accorse che era lavata, se la pulì nella maglia emettendo un suono discustato.
 
«Prenditi cura di lei, Louis. Ne ha davvero bisogno, soprattutto in questo momento.» sussurrò la signorina Finch mentre il ragazzo aspettava Rion, Louis annuì.
 
Solamente quando si sedette sullo sgabello del pianoforte, si rese conto di quello che stava per fare.
Implicitamente stava dedicando una canzone a Rion.
Era agitato, aveva paura di deluderla e non voleva, desiderava, invece, farla stare bene. Cercare in qualche modo di farle provare quello che lui sentiva mentre suonava.
Libertà.
Aveva preso lo spartito, tirando fuori un raccoglitore che esplodeva per i tanti fogli che c’erano dentro.
Decise di riportare la versione originale, non voleva darsi arie, voleva solo che Rion stesse bene e che lei capisse che lui era presente.
«Ma la canti?» domandò la ragazza, vedendo lo spartito.
Per la gioia di Louis, o meglio, per il cervello del ragazzo, la giovane aveva indossato il classico paio di Jeans neri e una maglietta grigia, con il reggiseno.
Louis deglutì, «Beh, non lo so, come vuoi, decidi tu.» non aveva mai cantato in pubblico, se non davanti a sua madre, suo padre ed Evelyn.
«Se non hai una voce di merda, per me puoi anche cantarla. – Disse e si andò a sedere dietro di Louis, sul pavimento; il castano la guardò curioso – Si vede lontano un miglio che sei agitato, quindi, fai finta che io non ci sia e il meglio, per metterti a tuo agio, è non farmi vedere.»
Louis si voltò, fissò lo spartito e le note andarono tutte insieme. Chiuse gli occhi, deglutì, scrocchiò le dita e le posò sul piano, iniziando l’intermezzo musicale.
Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare, mimando le note.
Staccò le mani e le ripose, iniziando a cantare.
 
«am a man who walks alone,
And when I'm walking a dark road,
At night or strolling through the park.
»
 
Chiuse le bocca, sorridendo e respirando piano, poi proseguì, facendo uscire le note sia della bocca sia dalle mani.

 
«When the light begins to change,
I sometimes feel a little strange,
A little anxious when it's dark.
»
 
Chiuse nuovamente le labbra, desiderando con tutto il cuore vedere la ragazza dietro di lui, la sua espressione. Perché quella canzone era lei. Una ragazza che aveva paura, era ansiosa, perché tutti, tutti nascondono dei segreti e Rion ne aveva fin troppi.
Louis sperò che la ragazza non interpretasse quella canzone come un’accusa, era solamente un modo per farle capire che lui accettava la sua paura e la comprendeva se si nascondeva nel buio, perché nonostante quello che facesse, aveva uno scopo nobile.
Deglutì e passò al ritornello.
 
«Fear of the dark, fear of the dark,
I have constant fear that something's always near,
Fear of the dark, fear of the dark,
I have a phobia that someone's always there.
»
 
Chiuse gli occhi e represse un singhiozzo, la libertà lo stava avvolgendo, ma a parere suo quella canzone rispecchiava ogni singola persona. Tutti avevano paura di qualcosa e tutti temevano che quella cosa potesse spuntare da un momento all’altro.
Inoltre Louis si sentiva coinvolto a pieno perché quella canzone rispecchiava Rion: la ragazza si nascondeva nell’ombra, ma al tempo stesso anche da se stessa.
Louis prese un respiro profondo: nella versione vera e propria, Bruce Dickinson*, partiva con la classica voce caratterizzante del genere Heavy Metal britannico, ovvero una voce acuta, raschiante, che ti entrava nelle vene e faceva scorrere il sangue a mille, aggiungendo acuti di riguardo. Louis non poteva permettersi una perfomance del genere, prima di tutto non ne era in grado e secondo, la sua era una cover a piano, quindi proseguì con il suo tono acuto e melodioso.
 
«Have you run your fingers down the wall,
And have you felt your neck skin crawl,
When you're searching for the light? 
Sometimes when you're scared to take a look,
At the corner of the room,
You've sensed that something's watching you.
»
 
Come da copione, svolse l’“instrument solo”, muovendo velocemente le dita sul piano, gasandosi e cercando di darsi un contegno, ma l’automa stava avendo la meglio e lui si lasciò andare.
«Have you ever been alone at night,
Thought you heard footsteps behind,
And turned around and
no one's there? 
And as you quicken up your pace, 
You find it hard to look again,
Because you're sure there's someone there.
» 
 
Marcò a pieno con la voce e con le dita sul piano, quell “No one’s there” perché lui voleva esserci. Lui, se la ragazza glielo avesse concesso, sarebbe stato il suo “nessuno”. Lui voleva che Rion lo sentisse, per la prima volta si sentiva incredibilmente rilassato, i muscoli delle spalle erano tesi non per agitazione, ma per la velocità che richiedeva la melodia del brano. Le gambe erano totalmente disposte in avanti, distese, Louis aveva abbandonato la classica posa che lo faceva somigliare a una persona che volesse scappare da un momento all’altro.
Sarebbe rimasto lì per sempre, con Rion che lo ascoltava e gli guardava la schiena.
Saltò una strofa che a parere suo non aveva niente a che fare con la situazione, ripeté il ritornello e poi, concluse.

 
«When I'm walking a dark road,
I am a man who walks alone.»
 
Staccò le mani dal piano e guardò fisso davanti a sé, rilassato.
Rion gli comparve subito davanti, un sorriso gli illuminava il volto, Louis se lo impresse subito nella mente. Non era il classico sorriso muto che esibiva la giovane, quello era un vero sorriso. Gli occhi erano socchiusi, formando delle tenere rughe da contorno, le guance rosse. Quando la bocca si distese, il ragazzo notò che le sue iridi erano di un verde molto più chiaro e lucido. Sembrava che stesse sul punto di piangere, ma ormai Louis sapeva che Rion non sarebbe giunta a tanto.
«“Fear Of The Dark” degli Iron Maiden. – Mormorò la ragazza, fissando i tasti – Uno dei loro capolavori più spettacolari, ricordo che la copertina dell’album mi inquieta tantissimo, ancora adesso. Per non parlare di Eddie** che sembra un cazzo di albero.» sogghignò.
Louis rimase quasi confuso dalle sue parole, la continuava a guardare. Aveva un viso così sereno che non riusciva a capire nulla, era riuscito nel suo intento. Per sette minuti, aveva fatto stare bene Rion.
Si sentiva inebriato.
«Adoro questa canzone. Parla di un uomo che racconta i pericoli che si possono celare nella notte, le sue ombre, ma è tutto un controsenso perché l’uomo ha paura del buio.»
«E il buio è la paura di noi stessi.» mormorò Louis.
Rion annuì, «Suoni davvero bene, sai. – Fece una smorfia – Per quanto riguarda il cantare, beh.»
Louis ridacchiò: «Non commentare, l’ho fatto perché di questa canzone, la cosa più importante è il testo. – Sospirò – Rion, volevo dirti che io non voglio che tu abbi paura di te stessa, c’è gente che ti può accettare così come sei e non risolvi niente a stare nella solitudine, o se vuoi essere in tema, nel buio.»
«Oh, Louis. – Sussurrò la giovane – Io voglio stare nel buio.»
«Ma perché?» e posizionò un dito su un la, premendolo e facendone uscire un suono acuto.
Rion si appoggiò con il fianco al piano, «E’ diventata una sorta di abitudine, lo faccio sin da quando sono piccola. Non ho nessun tipo di interesse nei contatti sociali, non c’è un motivo ben preciso, effettivamente. Non sono una di quelle ragazze che odiano il mondo per un motivo, quale può essere il ragazzo che le ha mollate oppure perché troppo attaccate alle serie TV o per qualche discordanza con i genitori. Semplicemente io un motivo non ce l’ho.»
Louis sapeva che un motivo c’era eccome, ma non disse niente, evidentemente Rion intendeva tutta la sua vita e dato che il castano sapeva che la giovane non spacciava da sempre, interpretò le sue parole come un resoconto complessivo della sua esistenza.
A Rion piaceva la solitudine, ecco svelato il segreto. Era un tipo eremita, per indole evidentemente.
«E tu, perché sei sempre incazzato?»
Quella domanda spiazzò Louis, un po’ perché non se lo aspettava dalla ragazza e un po’ perché era una delle domande a cui non aveva trovato ancora risposta. Per questo voleva diventare psicologo, per fare un bellissimo interrogatorio ai suoi demoni e scoprire il motivo di tanta rabbia.
«Non lo so. Me lo sono sempre chiesto e non ho mai trovato una risposta. Mi calmo alcune volte: quando sto con Evelyn, quando fumo, sono totalmente rilassato quando suono e – sorrise e abbassò il capo, stava per dire “quando tu mi stai accanto”, ma oltre a trovarla una cosa troppo mielosa, non voleva dirgliela, la trovava fuori luogo – e così sì, mi sento calmo.»
«Secondo me ce l’hai con te stesso e te la pigli col mondo intero perché non riesci a trovare una risposta, quando in realtà basta che ti guardi dentro per capire. D’altronde ti calmi quando fai cose che ti piacciono, magari è proprio facendo queste cose che troverai una risposta. – Rion fece una faccia allibita, sorpresa lei stessa di quello che aveva detto – Okay, basta. Sai suonare le “Onde” di Einaudi?»
Louis rimase sorpreso dal cambiamento repentino di discorso, ma si riprese subito e sorridendo posò le dita sul piano.
Rion chiuse gli occhi.
 
«Pronto?»
«Maxie, non puoi capire.» esclamò Louis, buttandosi sul letto. Erano circa le dieci di sera e aveva chiamato l’amico.
«Hai scopato? Oddio, Louis. Ti devono regalare un premio nobel, no assurdo.» disse.
Louis se lo immaginò attento, con gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite e i capelli biondi davanti al viso.
«No, coglione. Però, so che Rion indossa le brasiliane in pizzo.»
Silenzio.
Louis alzò le sopraciglia, pensando che fosse caduta la linea decise di guardare il telefono e menomale che lo fece, perché Maxie inizio a urlare: «Cristo! Oddio, porca puttana, no ma scherzi? Cristo – si sentirono diversi suoni – Scusa, mamma, ma davvero non puoi capire, no non puoi capire. – Sospirò – Cristo, Lou. Ma, mi spieghi come cazzo fai a saperlo? No perché, oddio il suo culo.»
Louis ridacchiò, per nulla geloso, Maxie sbavava dietro al culo di Rion da anni e sicuramente, anche se il castano sarebbe riuscito a fare qualcosa con lei, l’amico non avrebbe smesso, quindi tanto valeva non arrabbiarsi.
Louis gli spiegò il pomeriggio.
«Aveva indosso una brasiliana ed era senza reggiseno, mi spieghi come cazzo hai fatto a non saltarle addosso? Cristo.»
Il ragazzo ridacchiò pensando che dopo avergli raccontato tutto il pomeriggio, Maxie aveva afferrato solo il “Poi, Maxie, davvero non puoi capire, era sdraiata lì sul letto con una maglia bianca senza reggiseno e delle brasiliane, non puoi capire”.
«Io non sono così vulnerabile.» mormorò Louis stringendosi il labbro tra i denti, evitando di ridere e ricordando l’effetto che gli aveva lasciato Rion.
Maxie scattò in una risata isterica, che fece partire le risa anche a Louis, «Sì, come no. Vaffanculo, va’. Dopo quanto sei venuto, mh?»
«Dopo mai, caro mio.»
Maxie sbuffò: «Almeno le hai fatto una foto?»
Louis rise: «Ehi, mi stava quasi per uccidere, e poi perché avrei dovuto farle una foto, scusa?»
«Cristo, quanto sei rincoglionito, dio. Ma per segarti, no? – Blaterò qualcosa che Louis non comprese – E devo pure spiegarti queste cose fondamentali per un uomo. – Sbuffò nuovamente – Comunque, scelta molto azzeccata “Fear Of The Dark”, anche se io avrei scelto qualcosa tipo Pink Floyd, sai no, per esempio “Us And Them” spiega sempre il concetto che volevi comunicarle, anche se in maniera diversa, sì. Oppure…»
«Maxie, non voglio la critica.» mormorò Louis ridacchiando.
«Bene, allora adesso mi descrivi per filo e per segno il suo culo.»
 
_______
*Bruce Dickinson: cantante degli Iron Maiden (magari non l’avevate capito, ew)
** Eddie: è la mascotte degli Iron Maiden, il suo nome completo al momento non me lo ricordo, perché praticamente viene chiamata da tutti Eddie, ew. Compare sotto varie forme, in quasi tutte le copertine, degli album. In “Fear Of The Dark”, come dice Rion alias me, è una specie di albero mischiato a uno zombie. Per farvi intendere, vi lascio il link della copertina: http://www.nuclearblast.de/static/articles/122/122327.jpg/1000x1000.jpg
 
Vi lascio anche:         “Fear Of The Dark” con la cover al piano, ascoltatela è davvero magica: https://www.youtube.com/watch?v=9luggu1KysQ
                                   “Fear Of The Dark” la vera: 
https://www.youtube.com/watch?v=qEja72NSg5Q
                                   “Onde” di Einaudi: https://www.youtube.com/watch?v=3u-IMopPBa8

Spazio autrice

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!

Oddio avete visto che Google ha cambiato il suo logo?! Io sono sconvolta cioè no, non è possibile. 

Va beh: SCUSATE IL RITARDO. Avrei dovuto pubblicare ieri sera, ma la notte di martedì-mercoledì ho praticamente dormito tre ore, quindi ieri ero sconvolta e in più sono uscita e non ne avevo le forze. 
Allora, questo è un altro capitolo che miracolosamente mi piace. 
Non lo so perché. 

Alloraaa, la scelta della canzone mi è partita così a cavolo e credo che la maggior parte di voi non la conosca, per questo vi invito a sentirla e concentrarvi sul testo, perché è davvero bello. Poi ragazze, andiamo, sono gli Iron Maiden cioè suuuuuu, non è mica nulla da poco! Okay che non è il genere dei ragazzi, ma vbb ASCOLTATELAAAA. 

E' DAVVERO BIELA. 
E ovviamente l'interpretazione è mia personale, a proposito: voi come l'avete intesaa? 
Sarà importante questa canzone, quindi sacrificate sette minuti della vostra vita, per me pls.

Allora questo capitolo è tutto pov's Louis e cosa ve ne pare? 
Vi è piaciuta la parte in cui il ragazzo arriva a casa di Rion? Mi sono divertita un sacco a scriverla ew, vi ho fatto sorridere? Ditemi di sì perché questa storia ha davvero bisogno di un po' di allegria. 
Poi, della canzone e ti quello che i due si dicono? 
Ditemi todos. 

Voglio ringraziare le lettrici silenziose e in particolare quella lettrice che mi ha lasciato una recensione, pur essendo silenziosa. 
Ovviamente ringrazio tutte e grazie grazie grazie, vi voglio un sacco di bene. 

AVVISO: DOMENICA PARTO PER UNA PICCOLA VACANZINA, QUINDI MERCOLEDI' NON POTRO' AGGIORNARE. 
IN PIU', DATO CHE DOPO INCOMINCIA LA SCUOLA ------> MORTE DI TUTTI, HO DECISO CHE AGGIORNERO' O SABATO O DOMENICA, PERCHE' IN SETTIMANA SO GIA' CHE NON RIUSCIRO'.

QUENDE, A SABATO. 

Grazie ancora, davvero.

A presto,
Giada.
  
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