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Autore: gingersnapped    04/09/2015    2 recensioni
Hiccup Horrendous Haddock III era tutto fuorché orrendo, come invece suggeriva il suo nome
Merida Dunbroch era una ragazza non convenzionale.
Jackson Overland Frost era il tipico adolescente che si nascondeva dietro una maschera
Rapunzel Corona era di una bellezza che rasentava la perfezione.
Questa però, non è una raccolta d’amore. Questa è una raccolta di come questi quattro amici si innamorarono –e alcuni scoprirono più tardi di esserlo già in precedenza. Questa è una raccolta di giorni normali resi speciali da momenti e da parole, oppure da un semplice gesto.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Mericcup
 




Merida respirò a fondo quell’aria così pura. Si sentiva sempre un po’ su di giri quando si sedeva lì e l’aria le scombinava i lunghi capelli rossi. Si sentiva padrona di se stessa: se si fosse sporta un po’ di più si sarebbe sicuramente spappolata sul cofano di qualche vecchia macchina impolverata, ma lei era ben attenta a non farlo. Sentì aprirsi una porta e dei passi, calmi, dirigersi verso di lei. Si girò, per vedere chi altri poteva salire sul tetto di un vecchio appartamento e vide Hiccup prendere il posto accanto a lei. Si sorrisero. Come potevano conoscersi così bene e non odiarsi?
“Mi vedo costretto a chiederti l’affitto”, disse lui sarcasticamente, facendola ridere. Dopotutto, non si aspettava di certo che lei si rifugiasse sempre nel tetto del suo appartamento quando le andava di allontanarsi dalla sua famiglia.
“Credo di avere qualche spicciolo in tasca”, blaterò lei, continuando quel filone comico. Hiccup si appoggiò allo stesso muretto sul quale lei si era seduta e rimase a guardare il panorama. Il cielo stellato era sopra di loro, nonostante di stelle se ne contassero a malapena tre, e avevano di fronte a loro la città illuminata da qualsiasi fonte di luce immaginabile, brulicante di vita. Merida chiuse gli occhi, respirando a fondo, per poi sbirciare il moro per vedere cosa facesse. Sembrava così assorto nei suoi pensieri.
“Ehi”, lo chiamò lei, “ehi!”, accompagnando il tutto con qualche pizzicotto scherzoso.
“Che c’è?”, chiese, non affatto seccato. D’altronde, era il solito comportamento di Merida.
“Giochiamo?”, propose la ragazza, gli occhi acquamarina improvvisamente brillanti come se le fosse venuta qualche idea geniale.
“Cosa?”, fece lui, ridendo. Tutto ciò era semplicemente assurdo.
“Obbligo o verità?”
“Oh, andiamo! È così..”
“Obbligo o verità?”, ripeté lei, sorridendo serenamente, consapevole che avrebbe partecipato a quel gioco. Hiccup la guardò intensamente con quei suoi occhi verdi, provocandole un brivido lungo la schiena. Nonostante lei fosse seduta su quel muro e lui fosse appoggiato, in quel momento avevano la stessa altezza e la distanza tra di loro non era neanche così tanta.
“Verità”, rispose alla fine il moro. Merida ricambiò lo sguardo, pensando ad una domanda giusta, che potesse mettere a nudo la sua anima. Una in particolare, fra le altre, affiorò nella sua mente ma avrebbe dovuto mettere a nudo anche la sua, di anima. Optò per qualcos’altro di diverso.
“Hai mai ucciso qualcuno?”, soffiò, cercando di rimanere seria ma vedendo la faccia di Hiccup diventare sempre più buffa non riuscì a trattenersi neanche lei dal ridere. “Sii sincero. Contano anche gli incidenti.”
“Sei ridicola”, commentò lui, tra una risata e l’altra.
“Dì la verità adesso”, lo intimò lei, sventolando un dito minaccioso sotto il suo naso lentigginoso. “L’accento di tuo padre è davvero marcato”, aggiunse.
“Che hai da dire sull’accento di mio padre?”, domandò lui, sempre ridendo. “E comunque, no, non ho ucciso nessuno finora. E tu lo sai. Obbligo o verità?”
“Obbligo”, rispose lei, girandosi di più verso il ragazzo. Sembrò soppesare qualcosa nella sua mente, poi decise di rivelarle che cosa avesse pensato.
“Sputa in testa a quell’uomo”, disse semplicemente, indicando un punto imprecisato sotto di loro. La ragazza si sporse con molta attenzione, osservando l’uomo indicato dal moro.
“È tuo padre”, constatò sorridendo beffarda, sputando lo stesso sulla testa rossa dell’uomo. Questo alzò la testa ma, non vedendo nessuno –d’altronde, come poteva? Non solo c’era almeno una dozzina di piano a separarli dal resto del mondo ma erano avvolti pure nella notte- riprese il suo cammino.
“Obbligo o verità?”
“Verità”, scelse nuovamente Hiccup, sorridendo.  
“Sei noioso”, commentò Merida, sbuffando.
“La verità è sempre interessante”, si limitò a replicare il moro. I suoi occhi verdi sembravano più magnetici del solito.
“Allora cosa pensi di me?”, chiese la rossa, assolutamente spontanea, scostandosi i capelli dal viso e sorridendo.
“Sei terribile”, disse semplicemente lui, sorridendo.
“La domanda è seria”, cercò di chiarire Merida, credendo che l’amico avesse frainteso.
“Anche la risposta lo è.”
“Allora forse volevi dire terribilmente buona!”, esclamò lei, fingendo di essere offesa. “Voglio una risposta giusta, Hic. La verità è sempre interessante”, gli fece il verso. Gli occhi del ragazzo si persero tra le vari luci dei palazzi, che iniziavano a spegnersi.
“Penso che sei il gioco che non vincerò mai”, ammise lui. “Da sempre penso che stare accanto a te sia come tuffarsi in un fiume in piena non aggrappandosi a niente. Sei spontanea. Naturale. Terrificante. Vitale. Voglio dire, sei come una qualsiasi persona dovrebbe provare ad essere.”
“Sei un tale poeta!”, fu l’unica cosa che disse lei, prima di mettersi a ridere.
“Non essere così bugiarda”, replicò lui, facendo una smorfia. “È così facile fingere un talento poetico quando le cose che si dicono non hanno senso.”
Merida si strinse nelle spalle, non dicendo nulla al riguardo. “E tu cosa pensi di me?”, le chiese Hiccup, ma lei scosse la testa.
“È tardi”, disse semplicemente lei, scendendo da quel muretto.
“Cosa?”
“È tardi”, ripeté la rossa, accennando ad un sorriso prima di aprire la porta per andarsene.
“Obbligo o verità?”, chiese Hiccup, non muovendosi da quel muro.
“Obbligo”, rispose lei.
“No. Obbligo o verità?”
“Obbligo.”
“No.”
Merida sorrise nuovamente. “Penso che tu sia il mistero che non capirò mai”, sussurrò, sicura che lui riuscisse a sentirla lo stesso. E poi se ne andò.




 
Jackunzel



 

Rapunzel starnutì. Ancora una volta. La sua mano cercò automaticamente la scatola dei fazzolettini, posta sul comodino proprio accanto al suo letto, certa di essersi raffreddata per bene. Sospirò profondamente, portandosi alle labbra la cioccolata calda che sicuramente –anche se non riusciva a sentirne appieno né l’odore né il sapore- era squisita. La bionda sprofondò tra i cuscini e nella calda coperta –ovviamente, dopo essere tornata malata dalle sue vacanze in montagna, non poteva mancare un po’ di pioggia ad accompagnarla- che sua madre le aveva portato, certa di morire dalla noia. Aveva provato un paio di volte a contattare Merida, ma l’amica sembrava essere introvabile. Aveva perfino cercato di contattare le sue cugine, Anna ed Elsa, ma queste erano fuori città. Un’idea le balenò nella mente, come una lampadina che si accendeva: forse Jack era ritornato dalle vacanze raffreddato come lei e non aveva niente da fare. Scrisse un messaggio veloce all’albino, sperando in una sua risposta.
“Ah, sono davvero una pessima persona”, bofonchiò appena inviò il messaggio, tirandosi la coperta fin sopra il volto. “Ho sperato davvero che Jack fosse malato. E adesso parlo pure da sola”, piagnucolò, cercando di seppellirsi sotto le coperte. Qualche decina di minuti dopo o forse di più –la bionda aveva perfino perso la cognizione del tempo- sua madre bussò.
“Fiorellino, hai visite”, cinguettò, con il suo tono più amorevole. Rapunzel non ebbe bisogno nemmeno di guardarsi allo specchio per rendersi conto di non essere minimamente presentabile per chiunque la stesse andando a visitare. I lunghi capelli biondi, arruffati, erano legati in una coda alta dalla quale erano sfuggiti numerosi ciuffi di capelli, gli occhi verdi erano lucidi e umidi come se minacciasse di piangere, il naso era totalmente rosso e le labbra erano pure spaccate.
“Mamma, io..”, cercò di replicare lei, con una voce fortemente nasale, ma la porta si aprì ugualmente.
“Ehi”, la salutò Jack, chiudendo la porta dietro di sé. Rapunzel, che nel frattempo aveva cercato di nascondersi attuando una sorta di mimetizzazione fra i cuscini –tentativo miseramente fallito-, osservò per bene l’albino. Era in perfetta forma. Non un singolo starnuto percuoteva il suo corpo che –l’amico sembrava proprio farsi beffa di lei, debole com’era in quel momento- indossava una maglietta a maniche corte e non la sua solita felpa. Notò, inoltre, che aveva un contenitore tra le mani.
“Tieni”, le disse, porgendoglielo. “È zuppa di pollo. Toothiana ha insistito affinché te lo portassi”, le spiegò, facendola sorridere. “È meglio che la mangi subito, sai? È ancora calda.”
“Grazie, Jack”, lo ringraziò lei, prendendo quel contenitore che era bollente. “Non c’era bisogno che tu venissi, sai?”
“E perdermi questa scena? Mai”, scherzò lui, abbozzando il suo tipico sorriso malandrino.
“Quale scena, scusa?”
“Te con i capelli scombinati! Anzi, aspetta che faccio qualche foto da inviare a Hiccup e Merida”, disse lui, prendendo il telefono.
“Fa’ pure, e se trovi Merida dimmelo”, commentò amaramente lei, spostando i suoi occhi verdi sulla coperta. Jack scattò fulmineo la fotografia, incapace di resistere, e prese la mano dell’amica. Rapunzel si sorprese dal constatare che fossero gelide come sempre e che con quel raffreddore –e febbre annessa- quel contatto era decisamente piacevole.
“Non so dove sia Merida adesso, però immagino che voglia stare da sola. So che ieri ha litigato con i suoi genitori ed è andata da Hiccup e.. A proposito”, si interruppe Jack stesso, nella narrazione dei fatti, ridendo, “pure Hiccup ha litigato con suo padre e..”
“Jack, è una cosa orribile da dire!”, esclamò Rapunzel, spalancando la bocca.
“Giuro, non era questa la cosa divertente. Hiccup ha fatto sputare Merida sulla testa del padre”, spiegò l’albino, ridendo a crepapelle. Questo suo atteggiamento fece addolcire la bionda, che sorrise più per il ragazzo che per il gesto commesso dai due amici.
“Mi dispiace per Merida”, sospirò infine. “Sai, a volte invidio Hiccup”, confessò tristemente. “Può avere Merida tutte le volte che vuole mentre a me.. neanche risponde al cellulare!”
“Fregatene di Merida”, commentò Jack. “Hai me! E io sono molto meglio della rossa!”
Dato che la ragazza abbassò lo sguardo nuovamente sulla sua coperta, Jack si sentì in dovere di aggiungere un “vero?”, non nascondendo una nota di panico.
“Certo Jack”, iniziò a confortarlo Rapunzel con quella sua strana voce nasale, “e ti ringrazio molto di essere qui. Solo che non vedo Merida da tanto, troppo tempo.”
L’albino lasciò la presa con le mani infuocate della ragazza, alzandosi dal letto e iniziando a passeggiare per la stanza. Si scompigliò i capelli bianchi con le mani, evitando che stessero troppo in ordine, e puntò i suoi occhi blu su quelli verdi della ragazza.
“Sappi che il mio cuore adesso è come la carta igienica ad un solo strato bagnata”, disse solamente.
“Oh no, Jack! Mi dispiace veramente tanto! Rimani qui, ti prego”, lo esortò lei, indicando con la mano la sedia sulla quale Jack era stato seduto tutto quel tempo.
“Rimango solo perché sei malata”, disse Jack, parlandole come se fosse ancora arrabbiato. Rapunzel lo guardò tristemente con i suoi grandi occhi verdi che luccicavano chissà se per il raffreddore o per il dispiacere in quel momento.
“Mi racconti una storia?” propose, timida, poggiando la testa sul cuscino.
“Certo. Allora”, qui Jack fece una pausa ancor prima di iniziare, schiarendosi la voce. “C’era una volta una bellissima principessa e uno spirito del divertimento..”
“Sarà una storia d’amore?”, gli chiese immediatamente la bionda. L’albino soppesò attentamente la domanda.
“Non penso che avrebbe potuto funzionare, tra di loro. Sai, lui è sempre uno spirito, più simile ad un fantasma, mentre lei è una principessa e vuol dire che ha obblighi, responsabilità e..”
“Sembri Merida”, lo rimbeccò lei, gli occhi chiusi e le labbra sorridenti. “Le principesse fanno quello che vogliono. Raccontami una storia d’amore, Jack Frost”, disse lei, a voce sempre più bassa e sbadigliando. Non si era accorta di essere così stanca finché Jack non aveva iniziato a raccontare quella sua strana fiaba. Jack riprese la narrazione proprio dall’inizio, arrestandosi quando si accorse che i respiri della ragazzi si erano fatti molto più profondi. L’albino sorrise alla vista della ragazza che era crollata nel sonno così velocemente.
“Magari la prossima volta che sei sveglia”, sussurrò, baciandole delicatamente la fronte.
   
 
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