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Autore: Wendy96    04/09/2015    1 recensioni
C'è chi paragona l'amore all'amicizia considerandoli quasi dei pari, come fossero un'unica entità.
Perché no? Certo, si possono confondere, ma credetemi se vi dico che questi si trovano su due universi paralleli, due strisce di terra tenute insieme soltanto da un ponte che solo gli amici più intrepidi, quegli amanti sventurati legati ad una persona accanto a loro da sempre, tentano di attraversare fianco a fianco.
E Darcy aspetta su quel ponte da tutta la vita; avanza silenziosa lungo la via in cui amore e amicizia si fondono certa di essersi lasciata tutto alle spalle, di essere finalmente riuscita a dimenticare LUI.
Ma sarà proprio vero che il tempo cura le ferite e lenisce ogni pena di un cuore innamorato? E se quel fulmine a ciel sereno che ha squarciato le sue giornate felici fosse la scintilla capace di riunire due anime rimaste distanti troppo a lungo?
Nulla accade per caso, e Darcy lo capirà prima ancora che possa realizzarlo.
Questa è la storia di un'amicizia e una novità che cambierà per sempre due vite parallele.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era tarda mattinata e Misfit, da gatto abitudinario, iniziò a spazientirsi per via della sua ciotola ancora vuota. Lo sentii salire sul letto per acciambellarmisi sul petto e miagolò per svegliarmi. Il mio ignorarlo dovette indispettirlo, perché al terzo miagolio sfoderò le aguzze unghie piantandomele nella pelle.
Venni svegliata così.
«Buongiorno anche a te, stupido felino» sbottai lanciandolo a terra e voltandomi su di un fianco tirandomi le coperte sopra la testa.
Era già passata una settimana da quando la mia vita aveva ripreso il suo corso nel mio paesino nel Cheshire tra la gente con la quale ero cresciuta. Avevo rivisto tutti, o quasi…
Mi misi seduta sul materasso e mi sorpresi nel notare che mi ero infilata nel letto indossando ancora i pantaloni stretch neri e la maglia monospalla verde smeraldo dalla festa della sera prima.
“Però, dovevo essere davvero fusa stanotte…”
Non ricordavo molto della serata, solo che c'era stata una festa e Will aveva insistito perché ci andassi con lui. Era venuto a prendermi con l'auto, poi mi aveva portata a casa di un vecchio amico, Peter Roof, che aveva approfittato dell’assenza dei suoi per invitare un po’ di amici a sbronzarsi in compagnia.
C'erano tutti, ma proprio tutti, compresa Abigail, una mia cara amica dai tempi delle elementari, però avevo comunque preferito passare la serata con Will e gli altri ragazzi dei White Eskimo. Avevo bevuto un paio di bicchieri di vino, è vero, ma non mi è mai sembrato di esagerare… Ed invece eccomi lì, nel mio letto, e non avevo idea di come ci fossi entrata.
Presi il telefono e ci trovai un messaggio: -Darcy, ti ho riaccompagnata io a casa dopo che ti sei addormentata. Fammi sapere come stai-
«Oh, Will, ti sei sempre preso così cura di me» dissi tra me e me mentre un sorrisetto mi si apriva in viso.
-Mi sono appena svegliata. Come farei senza di te, Sweeney? x-
Il cellulare vibrò segnalandomi l'arrivo di un messaggio. -Non saresti arrivata sana e salva fino ad ora. Ci vediamo-
Dovevo alzarmi, il lavoro mi aspettava.
Dopo essermi scottata una mano con il manico rovente della moka e di conseguenza essermi rovesciata il caffè addosso, mi buttai sotto la doccia, poi misi dei semplici jeans chiari e un maglione bianco.
Non bastò il graffio del gatto, l’aver dormito con i vestiti della sera prima, la mano scottata e il caffè rovesciato addosso a rendermi difficile quella mattina, no, si aggiunse al tutto anche un piede finito a mollo in un’enorme pozzanghera.
«Okay, Darcy Gray, questa non è giornata…» sussurrai a denti stretti avanzando a pugni serrati e passo spedito per giungere a destinazione il più veloce possibile.
«Darcy!» mi salutò Barbara non appena misi piede nella panetteria, «Oggi sei arrivata prima del solito. Qualcosa non va?»
«Giornata no» dissi indicando la mia Converse sinistra un tempo bianca.
«Succede a tutti di vivere una giornata del genere, ma vedrai che si aggiusterà tutto.» Sorrise.
«Speriamo. Mi metto all’opera.»
Andai nella cucina dove mi lavai accuratamente le mani per almeno cinque minuti buoni, indossai il grembiule granata e occupai il mio solito posto dietro al bancone dove servii tutto il giorno con il solito sorriso di circostanza.
«Day, ti dispiacerebbe chiudere tu il negozio stasera? Ho un impegno…» domandò avvicinandosi alla porta a vetri del locale.
«Tranquilla, Barbs, finisco qui e poi vado anch’io.»
Sentii la porta chiudersi e spostai lo sguardo sull’orologio da parete: l’orario di chiusura era passato da circa due ore e io avevo ancora le mani affondate nell’impasto per il pane del giorno dopo; l’ultima stupida pagnotta e finalmente sarei potuta tornare a casa e lasciarmi quell’orribile giornata alle spalle.
Ma quel giorno non era destinato a concludersi così.
La porta scampanellò e udii i passi di qualcuno avanzare verso il bancone.
«Spiacente, siamo chiusi e abbiamo finito tutto. Può passare domattina» dissi senza voltarmi e sbattendo l’impasto sul bancone per passarmi della farina presa dal mobiletto sopra di me con l’intento di staccarmi alcuni pezzetti di pasta dalle mani e riprendendo il mio lavoro.
Sentii la persona avanzare ancora e poi lo sentii tamburellare con le dita sul vetro del bancone. Era sera, ero nervosa e odiavo quel ticchettio continuo e fastidioso.
«Siamo chiusi, davvero. Non ha visto il cartello all'ingresso?» “Più che altro, non hai niente di meglio da fare che rompere le palle a me a quest’ora?!”
«E chi l’ha detto che sono qui per il pane?» rispose ridacchiando.
Mi bloccai all’improvviso, le mani affondate dentro quella soffice pasta lievitata.
“Quella voce… Oddio, quella voce…” Così roca, calda e suadente poteva appartenere solo a una persona.
«Come ha detto, scusi?» La domanda mi uscì con tono insicuro, perché quello era il mio stato d’animo. Ero certa che fosse lui, ma dovevo averne la conferma.
«Ora mi dai pure del lei? Oh, Darcy Gray, come siamo diventate formali» continuò ridendo.
«H-Harry?» balbettai sentendomi stupida per averlo fatto.
«Però, certo che sei cambiata molto in questi anni, o meglio, la tua parte posteriore l’ha fatto.»
A quell’affermazione, mi alzai di scatto sbattendo la testa contro lo spigolo dell’anta lasciata aperta poco prima. Mi partì un’imprecazione sommessa e mi voltai tenendomi una mano sulla nuca e con il viso rosso per l’enorme figura di merda che mi ero appena fatta.
«No, mi rimangio tutto, non sei cambiata per niente!» disse tra una risata e l’altra.
Harry era lì, davanti ai miei occhi con una camicia di jeans effetto slavato aperta dalla quale spuntava la maglietta bianca sottostante, un sorriso in viso e i ribelli ricci tirati indietro. Era cresciuto dall’ultima volta che me l’ero trovato davanti anni addietro, ora era un uomo.
Rimasi impala ad osservarlo senza parlare e lui fece lo stesso.
«C-come mi hai trovata?» dissi spezzando l’imbarazzante silenzio.
«Arrivi a Holmes Chapel dove ci conoscono tutti, passi le giornate con i miei amici, ti presenti a casa mia e ti chiedi ancora come abbia fatto a trovarti? Abiti in un buco, non è stato difficile come credi.» Alzò gli occhi al soffitto scuotendo il capo. «Beh? Non mi saluti?»
Avanzai lentamente uscendo da dietro al bancone e mi fermai a pochi passi di distanza da lui con sguardo indagatore squadrando ogni centimetro di quel corpo molto diverso da come lo ricordavo. Tutto era cambiato, fatta eccezione per due cose: i suoi occhi e il sorriso.
«Ce la facciamo entro oggi oppure devo accamparmi qua dentro?» continuò facendosi sfuggire un risolino. Tutta quella mia incertezza doveva davvero divertirlo.
«Non so che dire, come comportarmi, io…»
Ci pensò lui a frenare il mio imbarazzo venendomi incontro e stringendomi in un abbraccio, e ricambiai stringendolo più forte che potessi. Affondai con il viso contro il suo petto respirando il suo profumo intenso.
Negli ultimi anni non mi ero mai sentita tanto bene come in quel momento.
«Mi sei mancato, tu non t’immagini quanto mi siate mancati tu e le tue stronzate!» gli sussurrai senza allentare la presa sul suo corpo.
«Sono sempre stato qui» disse allontanandomi e asciugandomi la lacrima che mi scese dall’occhio destro. «Promettimi che non sparirai più all’improvviso.»
«No, basta.»
«Hai finito qui? Avrei fame.»
«Aspetta…» dissi prima di ritirarmi nel retrobottega e tornare con una fetta di pizza. «Mangia questa, l’ho fatta io.»
Sfoderò uno dei suoi sorrisi e addentò la fetta mentre io mi apprestavo a terminate il lavoro. Lasciai quella pagnotta a metà, non vedevo l’ora di uscire di lì e stare con lui.
Chiuso il negozio ci avviammo a piedi fino a casa mia.
«Che hai fatto tutto questo tempo?» chiese ingollando un boccone mentre ci avviavamo verso casa.
«Studiato, lavorato, … Beh, il solito direi. È inutile che chieda lo stesso a te.»
«Sicura?» disse dandomi una lieve gomitata.
«Come se non lo sapesse già tutto il mondo…» Sospirai chiudendo gli occhi, ma lo assecondai, «Che cosa hai fatto in questi anni?»
«Oh, Darcy, è tutto così fantastico! Sai, dopo che io e i ragazzi, siamo entrati ad X Factor…» Cominciò a raccontami vita, morte e miracoli della band con quella particolare luce negli occhi che lo accompagnava fin dai tempi dell’infanzia e prendendo a gesticolare come suo solito, e tutto ciò mi riportò indietro a quando due ragazzini camminavano fianco a fianco su quelle stesse strade nei pomeriggi dopo scuola.
«Che c’è? Perché ridi?» disse interrompendo il racconto.
«Diciamo che per il mondo tu sei Harry Styles, il ragazzo sexy dai ricci ribelli, leader di una delle più grandi boy band di sempre, ma per me sei e sarai sempre il bambino del parco giochi» dissi cingendogli il constato con entrambe le braccia e appoggiandogli la testa sulla spalla senza rallentare il passo. «Per favore, continui a raccontare?»
Sospirò e riprese il racconto di quegli ultimi anni.
Mi era mancato il suo modo di parlare, le sue espressioni, il suo strano modo di gesticolare, la sua camminata dalle falcate ampie, …
Mi era mancato Harry Styles.
  
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