Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: Sara Saliman    04/09/2015    5 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cosa posso dire dei giorni che seguirono?
Ero felice: felice come non lo ero mai stata.
Adesso che smettevo di paragonarlo al cielo azzurro della Superficie, il cielo opalino del Sottosuolo mi sembrava suggestivo: Emera giungeva anche lì, stendendo sull’Averno i suoi veli iridati.
Dei primi giorni del mio matrimonio ricordo le lunghe passeggiate nei Campi Elisi, le mani aperte a sfiorare l’erba verdeazzurra che mi arrivava ai fianchi, e Ade vestito di nero, che mi seguiva senza fretta tenendosi a pochi passi di distanza.
Il mio sposo era un mistero che lentamente si rivelava e, mentre si rivelava, diventava ancor più inafferrabile.
-Parlami di com’era prima.- gli dicevo. -Prima della Tripartizione, prima dell’Ordine. Come siamo arrivati a essere ciò che siamo?-
Lui rispondeva senza scomporsi.
-Prima dell’Ordine, esisteva Caos, lo Spazio aperto e immenso, entità eterna ma che non esiste dall'eternità. Caos generò Erebo e Notte, e poi Gea, la Terra. Gea generò Urano, il Cielo, e ne fece il proprio sposo. Dalla loro unione nacquero Rea, che ci partorì tutti, e il Tempo, che tutti ci divorò, finché Zeus non gli squarciò il ventre, liberandoci. Ci fu una grande battaglia tra noi e gli altri discendenti di Caos: prevalemmo noi, imponendo il nuovo Ordine.-
-Ma tu spalancasti le porte dell’Averno ai discendenti di Caos, creando per loro un posto nel Cosmo.-
-Un Ordine contrapposto al Caos sarebbe stato incapace di rinnovarsi e avrebbe finito per divorare se stesso. Per rimanere vivo, l’Ordine deve presupporre del Caos al proprio interno. Ecate deve avertelo spiegato.-
-Lo ha fatto, ma volevo sentirlo da te. Così si ebbe la divisione del Mondo: Sottosuolo, Superficie, Mare.-
-Così dicono in Superficie.- disse Ade in tono accuratamente neutro.
Mi voltai verso di lui, camminando all’indietro. La brezza dei Campi Elisi mi gonfiava la veste e mi scompigliava i capelli biondi, facendoli fluttuare intorno al mio viso come alghe sottomarine.
-E cosa dici, invece, tu?-
Ade ebbe un sorriso tagliente.
-Io dico che Sottosuolo, Superficie e Mare si specchiano l’uno nell’altro. Come sopra, così sotto. Come in alto, così in basso. Come dentro, così fuori. Il Mondo non è diviso, ma Uno: non esiste un Aspetto senza l’altro.-
-Eppure, tu sei il regno più potente e più vasto: la simmetria non è perfetta.-
Un lampo di ironia passò negli occhi scuri di Ade.
-Il più vasto? Possibile. Il più potente? Non è del tutto esatto. Sono piuttosto l’unico che abbia piena coscienza del proprio potere.-
-…e questa consapevolezza,- scandii lentamente - comporta un contrappeso preciso: ti rende inadatto alla Superficie. La tua consapevolezza è troppo ingombrante, i tuoi occhi troppo acuti per la luce di Helios. La simmetria è rispettata, dopotutto.-
Ade mi scoccò uno sguardo divertito.
-La mia sposa è una compagna preziosa: comprende la mia natura e la porta alla luce. Quale dio o mortale può dirsi altrettanto fortunato?-
Mentre parlava, la brezza gli scompigliava i capelli neri, mollemente ondulati. Il suo mantello si gonfiava come le ali di un corvo, lambendo la sua figura asciutta ed elegante, il suo passo misurato e mai esitante. Mi fermai, lasciando che Ade mi raggiungesse.
Il Tempo era un Aspetto della Superficie: nel Sottosuolo non esisteva; c’era solo il fatuo succedersi in cielo di Emera ed Erebo. Nel Prato degli Asfodeli c’erano solo anime trapassate: nessuno cresceva, invecchiava, né tantomeno nasceva.
Così, se penso a una misura del tempo nel Sottosuolo, penso al passo di Ade: al suono regolare del suo respiro, alla sua figura dritta e fiera che camminava verso di me, mentre il cuore mi accelerava in petto per il desiderio di andargli incontro.
-Ti sto distogliendo dai tuoi doveri.- gli dissi quando mi raggiunse.
Ade si chinò su di me e io chiusi gli occhi, mentre posava un bacio sulla mia fronte.
-In questo momento, tu sei i miei doveri.-
In un certo senso era vero: entrambi sapevamo che quelle passeggiate non erano un passatempo. Ade mi mostrava i territori su cui regnava -su cui si aspettava che regnassimo insieme- e mi aiutava a comprenderli. Lui stesso, credo, aveva bisogno di familiarizzare con me, alla stessa maniera in cui un mortale ha bisogno di familiarizzare col proprio destino.
Col tempo, vedendoci camminare insieme, le ninfe cominciarono ad avvicinarmi, come piccoli animali incuriositi. Per lo più erano mute; mi tendevano le mani, allungavano le lunghe dita pallide offrendomi in dono piccoli ciottoli colorati. Le più audaci mi sfioravano i capelli, attirate dal colore dorato. Lottavo per non trasalire al loro tocco gelido, ma non sempre riuscivo a trattenere un brivido: tanto bastava perché le ninfe assumessero la forma di fuochi fatui e sparissero alla vista.
Un giorno, Ade mi condusse all’estremo confine dei Campi Elisi, sulla riva di Lete. Da lì contemplai le Isole Beate accolte nel placido grembo del fiume, e scorsi il verde pallidissimo della sponda opposta.
-Che cosa c’è lì?-
-Quello è il Prato degli Asfodeli.-
-Asfodeli.- sussurrai. Mi parve che la parola avesse un bel suono, mi fece pensare alla bianca corolla di un soffione. -Cosa significa?-
-Significa “ciò che non è stato ridotto in cenere”. Si tratta delle anime dei mortali, insomma.-
Contemplai rapita la riva lontana e l’erba sbiadita che vi cresceva, così diversa da quella verdeazzurra dei Campi Elisi.
-Le anime mietute da Thanatos giungono tutte lì?-
-Tutte, senza eccezione. Vi arrivano dopo essere state giudicate da me e Minosse, e vi rimangono per sempre, sotto forma di Ombre, che hanno le sembianze dei loro corpi.-
-Vorrei andarci.-
Ade mi ci portò il giorno stesso.
Camminammo in mezzo alle anime nude e argentee: per la maggior parte stavano in piedi, le braccia lungo i fianchi e il capo rovesciato all’indietro, immobili in quell’erba di un verde slavato. Si riempivano gli occhi del cielo sbiadito del Sottosuolo, ma non sembravano vederlo davvero. Parevano del tutto inconsapevoli della nostra presenza.
Mi strinsi istintivamente al fianco di Ade.
-Cosa fanno qui, tutta l’eternità?- Di fronte ai loro sguardi vitrei, mi venne spontaneo bisbigliare.
-Sono libere di fare ciò che desiderano,- disse Ade scrollando le spalle. –Ma perlopiù smettono di desiderare. Dimenticano di essere mai state vive e col tempo dimenticano anche di essere Ombre. A meno che qualcuno dalla Superficie non le convochi, offrendo loro del sangue e…-
Si fermò, zittendosi senza completare la frase e guardandomi intensamente.
-Cosa c’è?- domandai.
-Stai piangendo.-
-No… -protestai.- Non credo. Non…- mi portai le mani agli occhi, ritirandole bagnate di lacrime.
Una linea sottile comparve fra le sopracciglia di Ade.
-Che cosa ti rattrista, esattamente?-
Mi asciugai in fretta le guance con il palmo delle mani, arrossendo sotto i suoi occhi indagatori.
-Provo dolore per le Ombre. Mi rattrista questo tedio infinito e la perdita dell’identità a cui sono condannate.- Sentii un nodo serrarmi la gola e deglutii.- Sono state strappate al loro mondo, senza la prospettiva di potervi tornare, e una volta che arrivano qui non hanno più nulla da sperare né da disperare. E tutto questo le attende… per sempre. I mortali arrivano proprio tutti qui? Anche quelli che in vita sono stati molto pii verso i loro simili e verso noi dei?-
-Ci sono pene speciali per coloro che furono particolarmente empi.- disse Ade con lentezza. -Ma nessun particolare premio per coloro che furono virtuosi. E comunque, sì: gli uni e gli altri rimangono in questo luogo per l’eternità.-
-Non è giusto.- dissi in un soffio.
Ade inclinò leggermente il capo di lato.
-La Superficie non è giusta, Persefone, e nemmeno il Mare. Ti aspettavi che il Sottosuolo lo fosse?-
-Io… io credo di averlo sperato.-
Ade non disse più nulla finché non tornammo alla reggia.
Quella notte, rannicchiata contro il suo petto, lo sentii improvvisamente sussurrare.
-Alcune cose possono cambiare, se tu lo desideri.-
Sentii il mio cuore accelerare i battiti.
-In che modo?-
-Possiamo giudicare le Ombre in modo più accurato. Traghettare fin dentro i Campi Elisi le anime più nobili, e destinare al Tartaro quelle più oscure. Lasciare il Prato degli Asfodeli a coloro che in vita non sono stati né abbastanza pii né abbastanza empi da meritare una destinazione diversa. O a coloro che, come i suicidi, sono troppo legati al loro dolore per lasciarlo andare.-
-E dopo…? Quando avranno dimenticato chi sono stati e persino di essere Ombre?-
-E dopo… potrebbe esserci un ritorno. Potrebbero… reincarnarsi, se lo desiderano.-
Mi sollevai a sedere, cercando nel buio il suo volto bianco e l’ombra infinitamente scura dei suoi occhi.
-Rinunceresti a parte dei tuoi sudditi?-
Ade mi accarezzò i capelli, inanellando una lunga ciocca dorata attorno alle dita.
-Non ci sarebbe alcuna rinuncia: prima o poi tornerebbero qui. Non ne sentirò la mancanza, se è questo che temi.-
-Funzionerebbe?-
-Possiamo tentare. Ma capisci che non sarà semplice. Capisci che giudicare una per una tutte quelle anime e smistarle verso diverse destinazioni sarà un lavoro enorme, che non possiamo gestire solo io e Minosse. Nominerò altri giudici: Eaco… addirittura Radamanto, affinchè ogni umano venga giudicato da un suo pari, invece che da un dio. Io potrei occuparmi solo dei casi più complessi. Ma anche così...-
Gli tappai la bocca con un bacio.
-Posso aiutarti anche io.- sussurrai contro le sue labbra. -Se tu mi insegni, sono certa di poter imparare!-
Fu così che iniziammo.
Per me fu molto complicato assumermi quella responsabilità: non c’è da stupirsene, visto che non ne  avevo mai veramente avute.
Ero cresciuta libera di correre per i campi e danzare in mezzo alle ninfe; ero abituata ad ampi spazi aperti, ad arrampicarmi sugli alberi, ad evitare gli sguardi egli altri dei, ad eludere la sorveglianza della mia unica ancella e amica. Adesso imparavo a rimanere per ore seduta su un trono, in una sala ampia ma chiusa, sotto lo sguardo adorante di Ombre e divinità che pendevano dalle labbra mie e del mio sposo.
Ade e io giudicavamo solo i casi più controversi, eppure spesso le storie di quelle anime turbavano il mio sonno anche dopo che avevamo pronunciato un verdetto.
Giorno dopo giorno vedevo la mia pelle sbiadire, il mio atteggiamento farsi più serio e composto. Imparai a sedere eretta sul trono di marmo, i gomiti aderenti a fianchi, e ad abbassare la voce quando volevo essere ascoltata. Dentro di me, però, ribollivo: mi emozionavo per quelle anime, mi indignavo per i torti che avevano subito o commesso, e a fine giornata mi chiedevo se il verdetto che avevo emesso fosse giusto oppure no.
Ade era molto più distaccato: ascoltava attentamente, interrompendo talvolta con poche, mirate domande, poi proferiva i propri giudizi, imparziali ai limiti dell’insensibilità. Non tornava mai sulle decisioni già prese, ma sentivo il suo sguardo posarsi su di me, quando io mi prendevo il capo fra le mani e dubitavo delle mie.
Fu così che rimandai tra i vivi Sisifo per tre giorni affinchè il suo corpo venisse sepolto, nonostante egli avesse osato incatenare Thanatos in persona e strapparlo ai suoi doveri.
Ade non battè ciglio di fronte alla mia sentenza, ma scaduto il termine inviò nuovamente Thanatos a recuperare l’Ombra di Sisifo. Morte trascinò il re al nostro cospetto incatenato e gemente; lo colpì dietro le ginocchia per farlo crollare a terra e gli affondò una mano squamata nei capelli, per costringerlo a sollevare il capo e a guardarci in viso.
La brutale efficienza di quei gesti e l’impassibilità di Thanatos mentre li compiva mi fecero tremare, e istintivamente mi protesi dal mio trono, mentre una protesta mi affiorava alle labbra.
Morte piantò gli occhi d’ambra in quelli di mio marito e mi anticipò.
-Divino Ade, come tu stesso hai richiesto, trascino al tuo cospetto questo animale.- In contrasto con il suo volto impassibile e il suo tono sommesso, negli occhi dorati del genio ardeva un furore silenzioso.
La sala era piombata in un silenzio glaciale: tutti gli astanti trattenevano il fiato. Thanatos guardava Ade, ignorandomi completamente, mentre Sisifo gemeva sommessamente nella sua stretta.
Sentivo la pelle d’oca ricoprirmi le braccia e un moto di sdegno serrarmi lo stomaco.
Ade ricambiò lo sguardo di Thanatos pur un lungo, terribile istante. Negli occhi furibondi del genio bruciava una richiesta silenziosa, che mio marito colse chiaramente.
-Sarai tu a scegliere la punizione di quest’anima.- sentenziò, con una naturalezza che mi ricordò da quanto tempo lui e la Morte lavorassero insieme, al punto da essere spesso scambiati l’uno con l’altro.
Le Erinni digrignarono i denti, soddisfatte.
Thanatos si inchinò brevemente e si voltò, trascinando con sé l’Ombra scalciante di Sisifo.
E io dovetti tacere, perché l’alternativa -contraddire mio marito di fronte all’intera corte- semplicemente non esisteva.
Quella sera, mentre Erebo allungava le dita livide sull’Averno, lasciammo l’Anticamera per tornare alla reggia.
Quando calavano le tenebre avevo ancora l’abitudine di tendere l’orecchio per sentire il frinire dei grilli, e di rovesciare il capo verso il cielo, per cercare le stelle. Lo feci anche il quel momento, con il cuore gonfio di dolceamara speranza. Mi sarebbe bastata anche una stella, una soltanto, per…
-Persefone, non puoi essere sempre gentile e compassionevole.-
Ade era un’ombra scura e slanciata al mio fianco, che reggeva per le redini la pallida Nonio. Sapevo a cosa si riferisse, ma non avevo voglia di affrontare il discorso.
-Ehi,-tentai di scherzare- credevo che tra noi esistesse un patto: io cerco di non mostrare quanto il tuo regno mi sgomenti, e tu fingi educatamente di non notare  il mio sgomento.-
Naturalmente, Ade non si lasciò fuorviare dal mio tentativo di fare dell’ironia.
-Alcune situazioni, semplicemente, non meritano gentilezza e compassione.-
-Voglio essere gentile con le Ombre.- spiegai.
-Sei già la loro regina: mi sembra più che sufficiente.-
-Voglio che mi amino quanto amano te!- gli dissi ridendo, cercando di distrarlo con le lusinghe.
Non avevo tenuto presente che Ade era refrattario all’adulazione e bravissimo a scorgere il lato meno nobile delle persone.
-Quindi è questo? Sei gentile perché hai il timore che, altrimenti, non verresti amata?-
Ero la sua sposa, ma non si poteva certo dire che mi risparmiasse le rasoiate di quella sua lingua tagliente.
-La gentilezza di cui parli fa parte del mio carattere- dissi, finalmente seria. -Ma… sì, hai ragione: in fondo ho davvero paura che, se non fossi così accondiscendente, nessuno avrebbe reale motivo di amarmi.-
Ecco, l’avevo detto. Fu persino liberatorio ammetterlo, sotto quel cielo privo di stelle.
Sollevai lo sguardo verso Ade, amara.
-Deve sembrarti davvero patetico, non è vero?-
Mi prese il viso fra le mani e mi chiuse la bocca con un bacio. A suo modo, era una risposta.
Il legame che ci univa non stava cambiando solo me, comunque, ma anche lui.
Divenne innegabile quando mettemmo piede nella Pianura degli Asfodeli e trovammo ad accoglierci dei fiori: sottili, esangui, bianchissimi. Ma pur sempre fiori: i primi che l’Averno avesse mai avuto.
Crollai in ginocchio nell’erba pallida, cercando lo sguardo di mio marito.
Ade mi guardò sorridendo appena, scrollando le spalle.
L’amore che provavo per lui mi azzannò il cuore, con tanta ferocia da farmi un male quasi fisico.
Questo, pensai commossa, è proprio da te.
Capii che questo dio oscuro non mi avrebbe mai vezzeggiato, e capii anche che non mi importava. Le lusinghe erano della Superficie: erano le giustificazioni che mio padre rivolgeva a Era dopo l’ennesimo tradimento; erano le scuse che Poseidone aveva rivolto a Zeus, mentre il corpo violato di mia madre ancora sanguinava. Per amore, Ade non sprecava né parole né vuota gentilezza: per amore, Ade si lasciava incidere, sovvertire, trasformare.
Per amore, il Sottosuolo fioriva.
Questo è il suo modo di amare. E, realizzai meravigliata, è anche il mio.
 
§§§§
 
Furono giorni di grande dolcezza, ma furono anche giorni duri.
A ripensarci adesso, mi rendo conto che un’inquietudine di fondo, qualcosa di rimosso, gravava su di me senza abbandonarmi mai. Ne imputavo la colpa al cambiamento, alle nuove responsabilità di regina e alle storie talvolta terribili che raccontavano le anime.
Le suppliche delle Ombre mi scavavano nel profondo: spesso le loro richieste erano inesaudibili, ma io mi sentivo comunque in colpa per il fatto di non poterle accontentare. E quando invece le soddisfavo almeno in parte, e ricevevo indietro biasimo e ingratitudine, era forse anche peggio.
Non possedevo il distacco di Ade, ma nemmeno lui, in fondo, lo pretendeva. Rispettava ogni mia decisione, anche quelle che non condivideva: al più interveniva dopo la mia sentenza, per correggere il tiro.
Credo che, da un certo punto di vista, Ade capisse il mio stato d’animo meglio di me, che ero in balia di emozioni troppo grandi per poterle sviscerare.
-Stai camminando con Ecate.- mi disse Alifto una volta, regalandomi così un inaspettato conforto.
La compagnia della dea in persona, però, mi fu quasi del tutto negata.
Ecate veniva spesso alla reggia, perlopiù senza farsi annunciare. Stanava Ade fin dentro il suo studio (era un mistero come facesse a sapere sempre quando trovarlo) e vi si chiudeva dentro. Le loro conversazioni erano brevi e turbolente: dal corridoio si udivano le proteste di Ecate, perché è impossibile far alzare la voce ad Ade.
Una volta la sentii dire chiaramente:
-Non è possibile continuare così. Devi dirglielo!-
Vi fu una risposta da parte di mio marito, troppo sommessa perché si potessero distinguere le parole.
-Il Mondo,- tuonò Ecate -non può rimanere sordo a una ricerca così accorata!-
Ade ribattè qualcosa: mi parve di cogliere le parole “carestia” e “non importa”, ma poi sentii due mani poggiarsi sulle mie spalle e mi voltai, incontrando lo sguardo gentile di Ipno.
-Ma tu sai perché litigano così?- domandai desolata.
Il genio mi cinse le spalle con un braccio, guidandomi verso la finestra in fondo al corridoio, che dava sui giardini. Le ali nere ai lati del suo capo sussultarono appena.
-L’Averno è un luogo pericoloso,- disse in tono solenne. -Talvolta volano piatti, e allora l’unica cosa importante è mantenersi lontani dalla linea di tiro!-
Le sue parole mi strapparono un sorriso.
-Sei un dio di infinita saggezza…-
-Modestia a parte!-
-Oh, Ipno! Devi venirci a trovare più spesso!- gli dissi, gettandogli le braccia al collo e stringendolo forte.
Il genio sollevò le scure sopracciglia.
-Se Ade ci vede abbracciati, mi appende nel Tartaro a testa in giù: lo sai, vero?-
-Mio marito è un tipo geloso,- ironizzai. -Ma non è detto che debba venire a conoscenza proprio di tutto.-
Qualcosa passò nello sguardo di Ipno, ma lui fu rapidissimo ad abbassare il capo.
Proprio in quell’istante, sotto la finestra passava Minta. Cingendomi la vita con un braccio, Ipno si accostò una mano alla bocca.
-Hai sentito, Minta? Tu cosa dici: saresti felice di vedermi in giro un po’ più spesso?- La ninfa gli scoccò un’occhiata sprezzante, senza minimamente rallentare. -Cerca di contenere tutta la tua gioia: chissà cosa potrebbe pensare la gente!-
Io ormai ridevo senza pudore.
-Credo… credo che se non ricomincio a respirare… morirò!- singhiozzai.
-Se Thanatos venisse a reclamarti, dubito che Ade ti cederebbe. E poi, dove vorresti finire? Sei già nell’Averno! No no no, niente casini, mia signora: respira profondamente! Anche tu, Minta! RE-SPI-RA-RE! Avanti, su!-
Guardammo la ninfa allontanarsi fino a svoltare l’angolo e sparire dalla nostra vista.
-Le ho chiesto di essermi amica,- confessai. -Ma credo sinceramente che mi odi.-
Ipno emise un lungo fischio tra i denti.
-Hai chiesto a Minta se potevi diventare sua amica? E lei non ti ha… sì, insomma, come dire… smembrato?-
-In che senso?-
Ipno agitò una mano.
-Lascia perdere. Fai conto che io non abbia detto nulla!-
In quell’istante, Ecate uscì dallo studio di Ade. I capelli corvini le fluttuavano attorno al viso come una nube temporalesca, gli occhi mandavano scintille azzurre.
Ipno ritrasse di scatto la mano con cui mi cingeva la vita e fece un passo indietro, scostandosi da me. Ecate non lo notò nemmeno: si fermò davanti a me e mi prese per le spalle.
-Bambina, mi dispiace terribilmente, ma c’è una cosa che devi sapere, e qualcuno deve pur dirtela!-
-C-Cioè?-
-Ti sei sposata un cretino! Il più sveglio della nidiata, dopo Estia, ma comunque un cretino!-
E senza attendere la mia reazione, svanì in un lungo, lugubre latrare di cani.
Ade emerse sulla soglia poco dopo, torvo come non lo avevo mai visto. Gli corsi immediatamente incontro.
-Ade? Tutto a posto?-
Il suo sguardo di ossidiana si posò su di me, trapassandomi da parte a parte.
-Stavi origliando?- sibilò.
Fu come se mi avesse rovesciato addosso un secchio d’acqua gelida. Rimasi impietrita lì dov’ero, in piedi in mezzo al corridoio.
Non so da dove presi la prontezza di rispondere:
-Cosa dovrei origliare, marito mio, che tu non mi diresti spontaneamente?-
Ipno mi raggiunse silenzioso e si interpose tra di noi, inchinandosi morbidamente e interrompendo quel confronto.
-Divino Ade, perdona l’intrusione. È richiesto il tuo intervento per dirimere una questione spinosa.-
Per un istante credetti che Ade non l’avesse nemmeno udito. Poi, con una lentezza esasperante, mio marito distolse lo sguardo da me e lo posò sul capo alato di Ipno.
-Di che cosa si tratta?-
-Qualcuno giunto dalla Superficie chiede udienza ai sovrani dell’Oltretomba.-
-Dalla Superficie chiedono continuamente udienza. E noi non la concediamo. Mi sembra molto semplice.-
Ipno annuì.
-Ma di quest’uomo, forse, hai già sentito parlare. Il suo nome è Orfeo.-
 
§§§§
 
Ops, prevedevo di star lontana molto più a lungo, ma la Musa mi ha presa in ostaggio O_o
Poche note sparse:
_Dai miei studi classici avevo in testa un minestrone non da poco su quella che doveva più o meno essere la struttura dell’Ade. Ricordavo vagamente un noiosissimo prato degli asfodeli (che pensavo fossero solo fiori, invece no: originariamente era il nome che designava le anime!), però ero sicura anche dell’esistenza almeno di una selva dei suicidi (Didone, se ci sei batti un colpo!), per non parlare dei vari gironi di Dante (storicamente molto più tardi, ma ormai parte integrante del nostro immaginario collettivo). Per cui documentandomi un po’ qui, ho realizzato che, sostanzialmente, Ade non è sempre rimasto uguale, ma nelle varie culture (e spesso in autori diversi all’interno della stessa cultura) è cambiato molto e molte volte. E insomma, questa cosa mi ha emozionato così tanto che ho dovuto inserirla per forza, vi pare?
_Il mito di Sisifo sono certa lo conosciate tutti, per non parlare di quello di Orfeo (mi tremano i polsi al pensiero di dover affrontare un mito così amato).
_Il titolo del capitolo è tratto da un bellissimo brano di Fossati <3
Un saluto,
Saliman
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: Sara Saliman