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Autore: AriaAuditore    05/09/2015    0 recensioni
"Torneremo insieme Louis. Non so quando né come, ma so di non avere alcun dubbio. Non potrebbe essere altrimenti. Ho bisogno che anche tu ci creda. Perché credo in te." E Louis crede in Harry, gli crede come non ha mai creduto in nessun altro prima d'ora. Perché Louis non è mai stato innamorato come lo è di lui. Perché il primo amore, quello che ti strappa il cuore e ti lascia senza fiato, è sempre vero. E non importa essere un vampiro, non importa se tutto e tutti sono contrari a questo sentimento. Louis e Harry non vogliono scegliere da che parte stare. Louis e Harry, a sedici anni, tra i corridoi di Evernight, un esclusivo e misterioso collegio, hanno incontrato l'amore. E nessuno potrà portarglielo via.
***
Voglio precisare che la storia in questione non l'ho scritta io ma è un adattamento dal libro 'Evernight' di Claudia Gray.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Era il primo giorno di scuola, cioè la mia ultima occasione di fuga.

Non avevo un equipaggiamento da sopravvivenza a riempirmi lo zaino né un portafogli gonfio di banconote con cui comprare un biglietto aereo a caso, né un amico che mi aspettava dietro l'angolo al volante di un'auto rubata, pronto a scappare. In due parole, non avevo quello che la gente sana di mente chiamerebbe "un piano".

Ma non mi importava. Per nulla al mondo sarei rimasto all'Accademia di Evernight.

La luce smunta del primo mattino screziava appena il cielo, mentre indossavo i jeans e afferravo un maglione nero pesante: a quell'ora sulle colline persino a settembre si gelava. Sistemai i capelli in un ciuffo improvvisato e infilai gli scarponcini da trekking. Mi sembrava importante muovermi in silenzio, sebbene non dovessi preoccuparmi granché di svegliare i miei genitori. Dire che non fossero mattinieri è riduttivo. Avrebbero dormito come ghiri fino  al segnale della radiosveglia, al quale mancava un altro paio d'ore.

Quanto bastava ad assicurarmi un buon vantaggio.

Fuori dalla finestra della mia camera, il gargoyle di pietra mi guardava fisso, la bocca aperta in un ghigno incorniciato dalle zanne. 

Afferrai il giubbotto di jeans e gli feci una linguaccia.

—  Forse a te piace bazzicare la Fortezza dei Dannati  —mormorai. — È tutta tua.

Prima di uscire rifeci il letto. Di solito occorrevano un sacco di rimproveri per convincermi, ma stavolta lo feci volentieri.

Quel giorno i miei sarebbero usciti di testa, e riordinare le coperte mi sembrava potesse rendere più accettabile ciò che stavo per fare. 

Di certo loro l'avrebbero pensata diversamente ma questo non bastò a dissuadermi. Mentre sprimacciavo i cuscini, ebbi la strana visione di qualcosa che avevo sognato la notte prima, vivido e presente come se fossi ancora immerso nel sonno. 

Un fiore color del sangue.

Il vento ululava fra gli alberi che mi circondavano, frustava i rami scompigliandoli. Il cielo sopra di me ribolliva di nuvolette inquiete. Mi scostai dal viso le ciocche di capelli mosse dal vento. Desideravo soltanto guardare quel fiore.

Ogni petalo imperlato di pioggia era scarlatto, slanciato, simile a una  lama,  come  certe  orchidee  tropicali.  Eppure  il  fiore  era  anche rigoglioso e pieno, avviticchiato al ramo come una rosa. Era la cosa più esotica e seducente che avessi mai visto. Doveva essere mio.

Perché quel ricordo mi faceva rabbrividire? Era soltanto un sogno. 

Respirai a fondo cercando di metterlo a fuoco. Ma era ora di andare.

Lo zainetto era pronto, lo avevo riempito la sera prima.

Soltanto poche cose: un libro, occhiali da sole e qualche soldo nel caso dovessi scendere  fino a Riverton, la cosa più simile a un insediamento umano in tutta la zona. Così avrei avuto da fare per la giornata.

La verità era che non stavo scappando. Non sul serio, come quando la fai finita, assumi una nuova identità e, non so, ti unisci al primo circo che passa o qualcosa del genere. No, la mia era piuttosto una presa di posizione. Da quando i miei genitori avevano prospettato il trasferimento all'Accademia di Evernight  -  loro come professori, io da studente  -  mi ero opposto. Avevo sempre vissuto nella stessa cittadina, frequentavo la stessa scuola e la stessa gente da quando avevo cinque anni. E mi andava benissimo. A molti piace mescolarsi agli sconosciuti, attaccare bottone e fare amicizia in fretta, ma io non sono mai stato così. Tutt'altro.

La cosa divertente è che quando la gente ti definisce  "timido" di solito sorride. Come se fosse una cosa carina, un'abitudine buffa che perderai crescendo, come i buchi nel sorriso quando ti cadono i denti da latte. Se sapessero come ci si sente  -  a essere  timidi, non soltanto  insicuri  -  non sorriderebbero. No, se sapessero cosa vuol dire avere un nodo allo stomaco o le mani sudate, oppure perdere la capacità di dire qualcosa di sensato. Non è affatto carino.  

I miei genitori non sorridevano mai, quando lo dicevano. Non erano così sciocchi e pensavo mi capissero, almeno finché non decisero che sedici anni fosse l'età giusta per andare oltre, in un modo o nell'altro. E per iniziare, cosa c'era di meglio di un bel collegio, a maggior ragione se c'erano anche loro ad accompagnarmi?

Pensavo di aver intuito quale fosse il loro scopo. Ma era soltanto teoria. Nell'esatto istante in cui eravamo sbucati sul viale dell'Accademia di Evernight e avevo visto quella mostruosità gotica di pietra, enorme e ingombrante, avevo capito che non sarei mai riuscito ad ambientarmi in una scuola del genere. Mamma e papà non avevano voluto ascoltarmi. Ecco perché mi ritrovavo costretto a obbligarli a farlo.

In punta di piedi mi feci strada nel piccolo appartamento, di quelli riservati al corpo insegnante, che la mia famiglia occupava da un mese. Dietro la porta chiusa della stanza dei miei sentivo il leggero russare di mamma.

Misi lo zainetto in spalla, girai lentamente la chiave nel la porta e scesi le scale. Vivevamo proprio in cima a una delle torri di Evernight, e detta così la cosa può avere un certo fascino. In realtà per me significava solo essere costretto a scendere gradini scavati nella pietra più di due secoli prima, che il tempo aveva reso logori e irregolari. La lunga scala a chiocciola aveva poche finestre e le luci spente rendevano il tragitto buio e difficile.

Mentre mi allungavo a cogliere il fiore, la siepe ebbe un fremito. 

Il vento, pensai, ma mi sbagliavo. No, la siepe si espandeva così velocemente da vederla crescere ad occhio nudo. Tralci e rovi spuntavano tra le foglie in un groviglio confuso Prima che potessi scappare, la siepe mi aveva quasi circondato, murato fra i rami, foglie e spine.

L'ultima cosa che desideravo era rievocare i miei incubi. Respirai a fondo e continuai a scendere finché non raggiunsi l'aula magna, al piano terra. Era uno spazio maestoso, progettato per ispirare o perlomeno  stupire:  pavimenti  di  marmo,  soffitto  a  volta  e  finestre istoriate che si innalzavano fino alle travi, ognuna con il suo disegno caleidoscopico - esclusa una, proprio al centro, di vetro trasparente. I preparativi per gli eventi della giornata dovevano essere terminati la sera prima, perché il podio dal quale la preside avrebbe salutato gli studenti era già pronto. Nessun altro sembrava essersi svegliato, perciò nessuno poteva fermarmi. Con una spallata decisa aprii il portone pesante e intarsiato, ed eccomi libero.

La nebbia del primo mattino avvolgeva il mondo in una luce grigio-azzurra mentre attraversavo i cortili della scuola. Quando l'Accademia di Evernight fu costruita, nel Diciottesimo secolo, il territorio circostante era selvaggio. Sebbene adesso qualche piccola cittadina punteggiasse la campagna in lontananza, nessuna era troppo vicina a Evernight; e nonostante il panorama sulle colline e le foreste fitte, nessuno aveva mai costruito una casa da quelle parti. Tutto sommato, come dar torto a chi non voleva saperne di avvicinarsi? Lanciai un'occhiata alle mie spalle, verso le due alte torri della scuola coronate dalle sagome deformi dei gargoyle, e rabbrividii. Pochi passi, e iniziarono a svanire nella nebbia. 

Evernight incombeva dietro di me con le pareti di pietra dei torrioni, unica barriera che i rovi non potessero abbattere. Avrei dovuto rifugiarmi dentro la scuola, ma non lo feci. 

Evernight era più pericolosa dei rovi e oltretutto non volevo abbandonare il fiore.

L'incubo iniziava a sembrarmi più reale della realtà.

Incerto, mi allontanai dalla scuola e iniziai a correre per fuggire dal cortile e confondermi nella foresta. 

Presto sarà tutto finito, mi dissi mentre mi affannavo nel sottobosco e i rami  caduti dei pini si spezzavano sotto i miei passi. Ero a poche centinaia di metri dall'ingresso ma la distanza mi sembrava enorme, come se la nebbia fitta mi avesse già isolato nel cuore del bosco. Mamma e papà si sveglieranno e si accorgeranno che non ci sono.

Finalmente capiranno che non posso farcela, che non possono obbligarmi. Verranno a cercarmi e okay, si arrabbieranno per lo spavento, ma saranno comprensivi. Lo sono sempre, no! E poi ce ne andremo. Andremo via dall'Accademia di Evernight e non tornemo mai più, mai più. 

Il mio cuore batteva con ritmo accelerato. Passo dopo passo, allontanarmi  da  Evernight  aumentava  la  paura  anziché  smorzarla. Poco prima, quando avevo architettato il piano, mi era sembrata un'idea perfetta. A prova di errore. Ora che  stavo davvero correndo da solo nella foresta, attraverso un territorio selvaggio e sconosciuto, non ne ero più così sicuro. Forse ogni fuga era inutile. Forse mi avrebbero trascinato indietro comunque. 

Il tuono brontolò. I battiti del cuore accelerarono. Per l'ultima volta distolsi lo sguardo da Evernight e tornai a osservare il fiore che tremava sul ramo. Il vento ne soffiò via un petalo. Infilai le mani nei rovi, sentii i graffi sulla pelle ma non mi fermai, deciso.

Quando la punta del mio dito carezzò il fiore, quello si adombrò all'improvviso, appassì e si seccò mentre tutti i petali annerivano.

Mi diressi verso est, cercando di  allontanarmi il più possibile da Evernight. L'incubo mi perseguitava: era quel posto, mi aveva stregato, impaurito e svuotato. Se mi fossi allontanata abbastanza sarei stata meglio. Con il fiato corto, mi guardai alle spalle per controllare la distanza percorsa...

E lo vidi. Un uomo nel bosco, nascosto dalla nebbia,  a una cinquantina di metri da me, con un cappotto lungo e scuro. Nell'istante in cui posai lo sguardo su di lui, iniziò a rincorrermi. Solo in quel momento capii davvero cos'era la paura. La sorpresa mi attraversò come una scossa, fredda come acqua ghiacciata, e scoprii quanto veloce sapessi correre. Non urlai perché sarebbe stato inutile. Mi ero infilato nel cuore del bosco, il posto più isolato che conoscessi, proprio per nascondermi. Era la cosa più stupida che avessi  mai  fatto  e,  a quanto pareva, anche l'ultima. Non avevo neanche portato il cellulare, tanto lassù non c'era segnale. Nessuno mi avrebbe soccorso. Dovevo correre, correre fino all'ultimo filo di fiato.

Sentivo i suoi passi strappare i rami e sbriciolare le foglie. Si avvicinava. Oh, era veloce. Com'era possibile che qualcuno corresse tanto veloce?

Ti hanno insegnato a difenderti, pensai. Dovresti sapere cosa fare in una situazione come questa! Non ricordavo. Non riuscivo a pensare. I rami laceravano le maniche del giubbotto e tiravano i laccetti sporgenti dello zaino. Inciampai in un sasso, affondai i denti nella lingua, ma continuai a correre. Lui era ancora più vicino, troppo vicino. Dovevo accelerare. Ma più di così non potevo.

—  Uh!  —  gemetti quando lui mi piombò addosso in un balzo e cadde insieme a me. Sentii il colpo secco del terreno contro la schiena, il peso di lui a tenermi giù, le sue gambe intrecciate alle mie. 

Con una mano mi chiuse la bocca e riuscii a liberare un solo braccio. 

Alla mia vecchia scuola, durante i seminari di autodifesa, ci dicevano sempre di puntare agli occhi, di strappare letteralmente gli occhi all'aggressore. Avevo sempre pensato che ci sarei riuscito, se avessi dovuto salvare me stesso o qualcun altro. Ma adesso ero così spaventato che dubitavo di potercela fare. Curvai le dita, cercando di farmi coraggio.

In quel momento, l'uomo sussurrò:  —  Hai visto chi ti stava inseguendo?

Rimasi a guardarlo per qualche secondo. Sollevò la mano dalla mia bocca per lasciarmi parlare. Il suo corpo mi pesava addosso ed ebbi qualcosa di simile a un capogiro. Alla fine riuscii a rispondere:

— Cioè, escluso te?

—  Io?  —  Non sapeva di cosa stessi parlando. Lanciò uno sguardo furtivo dietro di noi, sulla difensiva.  —  Stavi scappando da qualcuno o no?

—  Stavo correndo. Non c'era nessuno a inseguirmi, eccetto te.—Cioè, pensavi.. — il ragazzo si scostò in quell'istante, liberandomi dal suo  peso.  —  Oh, diamine. Scusa. Non volevo.. Devo averti spaventato a morte.

—  Avevi intenzione di aiutarmi?  —  Lo dissi ancora prima di poterci credere.

Annuì svelto. Il suo viso era ancora vicino al mio, troppo vicino, copriva il resto del mondo. Niente sembrava esistere eccetto noi e la nebbia che ci avvolgeva.

— Devo averti terrorizzato, mi dispiace. Pensavo davvero… 

Parole  inutili:  aumentavano  le vertigini  anziché calmarle.  Avevo bisogno d'aria, di silenzio, cosa impensabile finché lui mi restava così vicino. Gli puntai un dito contro e dissi qualcosa che non avevo mai detto a nessuno in vita mia, tantomeno a uno sconosciuto. E di sicuro non allo sconosciuto incontrato nel modo più spavento so che potessi immaginare. — Chiudi il becco.

E lui lo chiuse.

Sospirai e lasciai cadere la testa all'indietro. Mi stropicciai gli occhi così forte da vedere rosso. Sentivo il sapore denso del sangue in bocca e il cuore mi batteva ancora così forte da farmi quasi tremare le costole. Rischiavo di farmi anche la pipì addosso, il che avrebbe reso, se possibile, la scena ancora più umiliante. Invece continuai a fare respiri profondi, uno dopo l'altro, fino a sentirmi in forze quanto bastava per sedermi.

Il tizio mi era accanto. Riuscii a chiedere:  —  Perché mi hai placcato?

—  Pensavo dovessimo ripararci. Nasconderci da chi ti stava inseguendo, cioè, in pratica — sembrava imbarazzato — da nessuno.

Chinò il capo e finalmente riuscii a guardarlo bene. Non c'era stato il tempo di  notare i particolari; quando la prima opinione che ti fai di qualcuno è "maniaco assassino" non ti soffermi  certo sui dettagli. In quel momento, però, realizzai che non era un adulto come avevo presunto. Era alto, più di me, con le spalle larghe, ma giovane, forse mio coetaneo. Aveva capelli ricci, castano scuro che, gli coprivano la fronte, arruffati dall'inseguimento. I lineamenti del viso erano decisi e spigolosi, il corpo muscoloso e.. aveva straordinari occhi verdi.

Ma il particolare più interessante era l'abbigliamento, sotto il cappotto lungo e scuro: scarponi neri rovinati, pantaloni di lana neri e un maglione con lo scollo a v, rosso scuro, decorato con uno stemma: due corvi ricamati su entrambe facce di una spada d'argento. Lo stemma di Evernight.

— Sei uno studente — esclamai. — Frequenti l'Accademia.

—  Be', quasi.  —  Parlava piano, come se temesse di spaventarmi ancora. — E tu? 

Annuii,  mentre mi passavo una mano nei capelli spettinati cercado di sistemarli in qualche modo.  —  Sono al primo anno. I miei genitori sono venuti a insegnare qui, perciò... mi tocca.

Forse la trovava una stranezza, perché si rabbuiò e il suo sguardo si fece curioso e incerto. Gli bastò un istante, però, per riprendersi e porgermi la mano. — Harry Styles.

—  Oh, già.  —  Mi sembrava assurdo presentarmi a qualcuno che fino a pochi minuti prima avevo creduto un assassino. La sua mano grande e fresca strinse la mia con forza.

— Mi chiamo Louis Tomlinson.

—  Il  tuo  cuore  galoppa  —  mormorò Harry. Studiò la mia espressione, assorto, e mi riassalì l'agitazione, sebbene in forma molto più piacevole.  —  Se non stavi sfuggendo a un aggressore, perché correvi così? Non sembrava per niente una passeggiata mattutina.

Avrei mentito, se avessi trovato una qualsiasi scusa plausibile, ma non ci riuscii. — Mi sono alzato presto per… ecco, volevo scappare.

— I tuoi genitori ti trattano male? Ti picchiano?

—  No! Nemmeno per idea.  —  Mi sentivo offeso, ma considerai che tutto sommato la deduzione di Harry era plausibile. Perché mai una persona sana di mente dovrebbe correre per i boschi all'alba come se fosse in pericolo di vita? Ci eravamo appena conosciuti, perciò forse avevo ancora una chance per non essere etichettato come pazzo furioso. Decisi di non raccontargli dei flashback dell'incubo, per evitare che la bilancia cominciasse a pendere dalla parte della follia.  —  È che non voglio frequentare questa scuola. Mi piaceva dove stavamo prima, e poi l'Accademia di Evernight è così.. così...

— Terrificante.

— Ecco.

—  E dove avevi intenzione di andare? Hai un lavoro che ti aspetta, qualcosa del genere?

Avevo le guance in fiamme, non soltanto per la corsa. 

—  Ehm, no. Non stavo davvero scappando. Era solo una presa di posizione, più o meno. Così i miei genitori avrebbero finalmente capito quanto io detesti questo posto e magari ce ne saremmo andati.

Harry spalancò gli occhi per un istante, poi scoppiò a ridere.

Il suo sorriso influenzò la strana energia che trattenevo dentro e la trasformò da paura in curiosità, persino in entusiasmo.

— Come me con la mia fionda.

— Che?

—  Quando avevo cinque anni, convinto che mia madre mi trattasse male, decisi di scappare. Portai con me la fionda, perché ero un uomo grande e forte, in grado di badare a se stesso. Se non ricordo male, presi anche una torcia elettrica e un pacchetto di biscotti.

Malgrado l'imbarazzo, non riuscii a trattenere un sorriso.

— Meglio della mia scorta, direi.

—  Sgattaiolai fuori dalla casa in cui vivevamo e mi allontanai fino.. all'altro capo del giardino, sul retro. A prendere la mia posizione. Restai là tutto il giorno, finché non iniziò a piovere. Non avevo pensato di portare anche un ombrello.

— Non si può prevedere tutto — sospirai.

—  Lo so. Che tragedia. Tornai in casa, tutto bagnato e con il mal di stomaco per aver mangiato una ventina di biscotti. Mia madre, che è una signora saggia anche se mi fa ammattire, be', fece come se niente fosse  —  Harry scrollò le spalle.  —  E così faranno anche i tuoi genitori. Lo sai, vero?

—  Adesso sì. —  L'irritazione mi chiuse la gola. La verità la sapevo da sempre. Il fatto era che dovevo fare qualcosa, più per sfogare la frustrazione che per scuotere i miei.

Poi Harry fece una domanda che mi stupì:

— Vuoi davvero andartene?

— Nel senso di... scappare? Scappare davvero? 

Harry annuì, sembrava serio.

Non lo era, però. Non poteva esserlo. L'aveva chiesto per riportarmi con i piedi per terra, di sicuro. Confessai: — No.Tornerò. Mi preparerò per la scuola, da bravo ragazzo.

Riecco quel sorriso.  —  Nessuno parlava di comportarsi da bravo ragazzo.

Il modo in cui lo disse mi fece sciogliere. — È solo che…l'Accademia di Evernight.. non credo che mi sentirò mai a casa.

—  Fossi in te non me ne preoccuperei. Potrebbe essere positivo non sentirsi a casa, qui.  —  Mi guardò serio e concentrato, come se vedesse chiaramente che il mio posto era altrove. O piacevo davvero a quel ragazzo, o me lo stavo immaginando perché volevo piacergli. Ero troppo inesperto per indovinare la risposta giusta.

Mi rialzai di scatto. Mentre anche Harry si rimetteva in piedi, domandai: — E tu, che combinavi da queste parti?

—  Come ho detto,  pensavo fossi nei guai. Gira brutta gente qui intorno. Non tutti sono capaci di autocontrollo  —  si spazzò via dal maglione qualche ago di pino.  —  Non avrei dovuto trarre conclusioni affrettate. L'istinto ha avuto la meglio. Scusami.

—  È tutto okay, davvero. Hai cercato di aiutarmi. Ma io intendevo, prima del salvataggio. Manca ancora qualche ora all'inizio dell'assemblea. È davvero presto. Hanno detto agli studenti di arrivare per le dieci, stamattina.

— Non sono mai stato bravo a seguire le regole.

Interessante. —  Quindi.. sei un tipo mattiniero, ti piace anticipare i tempi?

—  Per niente. Non sono ancora andato a dormire.  —  Aveva un sorriso fantastico ed era evidente che sapesse come usarlo.

Non mi importava.  —  E comunque, mamma non poteva accompagnarmi. È via per affari, diciamo così. Ho preso il treno notturno e pensavo di arrivare per primo, a piedi. Tanto per dare un'occhiata in giro. O salvare un ragazzo in difficoltà. 

Ripensai alla velocità con cui mi aveva rincorso. Ora sapevo che l'aveva fatto nel  tentativo di salvarmi la vita e il ricordo di ciò che era avvenuto cambiò. La paura era sparita, adesso mi faceva sorridere.

—  Perché proprio Evernight? Io sono stato costretto dai miei genitori, ma tu probabilmente avresti potuto scegliere un altro posto migliore. Cioè, qualunque altro posto al mondo.

Harry sembrava sinceramente incapace di rispondere.

Allontanava i rami mentre camminavamo nella foresta, per impedire che mi graffiassero il viso. Nessuno mi aveva mai aperto un sentiero prima. — È una lunga storia.

—  Non ho fretta di tornare. E poi, abbiamo parecchio tempo da ammazzare prima dell'orientamento.

Chinò la testa, senza staccare lo sguardo da me. C'era qualcosa di sexy in quel gesto, ma non ero sicura che fosse intenzionale. I suoi occhi erano quasi dello stesso colore dell'edera che cresceva sulle torri di Evernight. — È anche una specie di segreto.

—  So mantenere un segreto. Cioè, tu manterrai il segreto su quello che è appena successo, vero? La corsa e il panico..

—  Non lo dirò a nessuno.  —  Dopo un paio di secondi di riflessione, Harry finalmente confessò:  —  Un mio antenato cercò di frequentare questa scuola,  quasi centocinquanta  anni fa. Ma venne espulso, diciamo così —  Harry rise e a me parve di vedere la luce del sole sbucare fra gli alberi.  —  Perciò tocca a me riabilitare l'onore della famiglia.

—  Non è giusto. Non dovresti decidere in base a ciò che qualcun altro ha o non ha fatto.

—  Non è sempre così. E comunque mi lasciano scegliere le calze. —  Sorrisi mentre alzava l'orlo del pantalone  per mostrare un lembo di calzino a rombi che spuntava dall'anfibio nero.

— E come mai il tuo proproqualcosa fu espulso?

Harry scosse la testa, afflitto:  —  Lo sfidarono a duello, la prima settimana di lezioni. 

—  Un duello? Qualcuno aveva offeso il suo onore?  —  Cercai di ricordare quello che sapevo dei duelli grazie ai romanzi e ai film. 

L'unica certezza era che la storia di Harry fosse senza dubbio molto più interessante della mia.

— Oppure c'entrava una ragazza?

—  Avrebbe dovuto darsi da fare, per conoscere  già una ragazza i primi giorni  —  Harry fece una pausa, come se avesse realizzato che era il  primo giorno di scuola e aveva  già conosciuto me, anche se non ero una ragazza. Sentii una spinta, come se una forza invisibile mi guidasse verso di lui.. ma Harry si voltò a osservare le torri  di Evernight, appena visibili oltre i rami di pino. Sembrava che l'edificio stesso lo offendesse.  — Potrebbe essere stata qualsiasi cosa. All'epoca bastava un niente per scatenare un duello. Secondo le leggende di famiglia, fu il suo avversario a provocarlo. L'importante è che sopravvisse, ma non senza aver prima sfondato una delle finestre istoriate dell'aula magna.

— Ma certo! Ce n'è una trasparente e non ne capivo il motivo.

—  Ora lo sai. Da quel giorno la mia famiglia è stata bandita da Evernight.

— Fino a oggi.

—  Fino a oggi  —  confermò.  —  Ma la cosa non mi interessa. 

Penso di poter imparare molto, qui, ma ciò non significa che di questo posto debba piacermi tutto.

—  Io penso che non mi piaccia proprio niente  —  confessai. A parte  te, aggiunse la voce nella mia testa, che all'improvviso si era fatta audace.

E fu come se Harry riuscisse a sentirla. C'era un che di scaltro nell'occhiata che mi lanciò. Con quei lineamenti ben cesellati e la divisa della scuola, avrebbe dovuto somigliare al perfetto ragazzo americano, ma non era così.

Durante la fuga, e nei momenti in cui aveva temuto che la nostra vita fosse in pericolo, avevo intuito qualcosa di selvaggio che scalpitava sotto la superficie. Replicò:
 —  Mi piacciono i gargoyle, le montagne e l'aria fresca. Per ora è tutto. 

— Ti piacciono i gargoyle?

— Mi piace quando i mostri sono più piccoli di me.

— Non ci avevo mai pensato.

Eravamo giunti al confine del cortile della scuola. Il sole brillava, sentivo che l'istituto si stava svegliando e preparando a ricevere gli studenti, a ingoiarli nella volta di pietra dell'ingresso.

— Mi fa paura — sospirai.

—  Non è troppo tardi per scappare, Louis  —  rispose lui spensierato.

— Non voglio scappare. Ma non sopporto di essere circondato da estranei. Fra gente che non conosco non riesco mai a parlare o a comportarmi da persona normale, a essere me stesso... perché ridi?

— A quanto pare, con me ci riesci benissimo.

Sbattei le palpebre, stupito di me stesso. Aveva ragione. Com'era possibile? Balbettai:  —  Con te...  ecco...  forse  mi hai spaventato così tanto da spazzare via in un colpo ogni paura.

— Ehi, se funziona...

— Sì. — Avevo già la sensazione che ci fosse dell'altro.

Gli estranei mi terrorizzavano ancora, ma lui non era un estraneo. 

Non lo era più da quando avevo capito che voleva salvarmi la vita. 

Mi sembrava di conoscere Harry da sempre, come se in un certo senso aspettassi il suo arrivo da anni.  —  È meglio che io rientri, prima che i miei genitori scoprano la mia assenza.

— Non lasciarti tormentare da loro.

— Non lo faranno.

Harry non ne sembrava così sicuro ma annuì allontanandosi, per rientrare nell'ombra, mentre io andavo verso la luce.  —  Ci vediamo in giro, allora.

Lo salutai con un cenno della mano, ma era già scomparso. 

Sparito nella foresta in un istante.

*****

Spazio autrice 
Ciao a tutti, ecco a voi il primo capitolo della storia, buona lettura :) 
-A.
  
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