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Autore: Starishadow    05/09/2015    3 recensioni
Se siete curiosi di vedere come sarebbero i figli (e le figlie) dei nostri sette idols, e vi fa piacere seguirli lungo la loro strada, leggete pure questa storia!
Come se la caveranno gli Starish in versione papà, alle prese con un gruppo di adolescenti curiosi di esplorare il mondo a modo loro?
(Raccolta di OS, molte sono song-fic, spero che vi piaccia!)
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nota dell’autrice:
Circa un anno fa aggiornavo “From the Bottom of the heart”, così ho pensato che sarebbe stato carino se… ok no, la verità è che c’è il temporale fuori e io mi ispiro con i temporali, e che iniziavo a sentirmi terribilmente in colpa per come vi avevo mollati.

Non tenterò di addurre esami di maturità, owari no seraph, Les Miserables e tumblr come scuse, la verità è che sono pigra come non mai e Harumi non mi ispirava nemmeno un po’ .-.
Ma bando alle ciance e cia.. no ok, comunque passiamo a ciò che aspettavate!
IL CAPITOLO!
Breve riassunto del precedente: Harumi entra nel musical della scuola e viene scelta per Giulietta, il ragazzo che farà Romeo si invaghisce di lei e lei di lui, Satsuki non è favorevole a tale unione e Nei gli apre gli occhi.
Sappiate che la telefonata di Satsuki nell’ultimo capitolo non è arrivata ad Harumi, che aveva il cellulare spento.

Rimetto lo specchietto, data la mia assenza scandalosa? ^^” 
Buona lettura, alors!
 
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce) - Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
 
Un mese dopo gli avvenimenti dell’ultimo capitolo
Con uno sbuffo, Harumi alzò gli occhi dal computer e si tolse le cuffie dalle orecchie, lasciandole poggiate attorno al collo.
Era in ritardo con i brani per gli Starkids, e ora non aveva idea di cosa fare. Aveva ascoltato per ore le canzoni di sua madre, che di solito la ispiravano, e quelle degli Starish e degli Starkids, aveva provato a mixare dei suoni insieme, a creare qualcosa, ma era bloccata.
E non poteva chiedere aiuto a nessuno: gli Starkids erano arrabbiati con lei. O meglio, non esplicitamente, ma da quando avevano iniziato a chiederle sempre più spesso quei nuovi brani, aveva notato che erano sempre più irritati con lei.
E non poteva biasimarli: le prove del musical le avevano portato via parecchio tempo, e Ienobu aveva reclamato il restante.
Era passato un mese dal giorno in cui si erano messi insieme, eppure qualcosa non andava, lo sentiva: lui faceva di tutto per renderla felice, ma allo stesso tempo aveva come l’impressione che tentasse di tenerla lontana dai suoi amici.
A pranzo si sedeva in un tavolo solo con lei, e nonostante i suoi tentativi di convincerlo a sedersi con Reiko e gli altri, lui le aveva risposto che preferiva passare ogni minuto possibile con lei e solo con lei, si sarebbero separati alla fine del pranzo e almeno quel periodo lo voleva condividere con lei.
Provavano insieme a casa sua, perché Harumi non aveva nemmeno detto a Cecil del musical o di lui, e ogni tanto lui la accompagnava alle prove degli Starkids, sedendosi nei sedili del pubblico per tutta la durata per poterla poi riaccompagnare a casa.
All’inizio la novità aveva emozionato Harumi e le altre ragazze - Rui esclusa, ma Rui era un mondo a parte - ora però iniziavano a sentirsi a disagio a provare sotto lo sguardo scuro del ragazzo.
Hikaru, poi, quando Ienobu era presente diventava insofferente quanto Hayato, si irritava appena qualcuno lo correggeva e usciva a grandi falcate dal palco per sparire per diversi minuti e ricomparire poi di umore leggermente migliore ma con qualche difficoltà a suonare.
Harumi aveva provato a dire al suo ragazzo che non poteva assistere alle prove, ma lui era stato irremovibile.
Il suo telefono vibrò per l’ennesima volta, e lei lesse il messaggio preoccupata, non voleva che fosse un’altra strigliata da parte di Hayato…
 
MAIYUMI- Hari! Allora tesoro, hai la mia canzone? :D
 
Appena lesse il messaggio, Harumi sospirò, felice che almeno la ragazza le avesse scritto in privato e non nel gruppo degli Starkids. Non voleva risponderle, ma alla fine lo fece:
 
HARUMI- mi dispiace, Maimi-chan… non ci riesco, non mi viene in mente nulla!
MAIYUMI- tranquilla, non è poi così urgente, ma ci servono i nuovi brani per Rui e Kaito, lo sai. Non hai composto nulla ultimamente, va tutto bene?
HARUMI- Si, tutto bene. Ho solo un blocco antipatico, ma ce la posso fare, fidati! Torno a comporre qualcosa ;)
 
E con quello spense il cellulare e tornò al computer, per poi spostarsi alla tastiera portatile.
Peccato che, poco dopo, una notifica su Skype la distolse dal suo intento e lei si ritrovò a dedicare a Ienobu tutte le attenzioni che il ragazzo reclamava.
Non sapeva che la tempesta sarebbe scoppiata l’indomani, appena si fosse riunita con gli Starkids a casa di Hayato e Rui.
 
«Chi manca?» chiese Hikaru, in quello che ormai era il solito rituale.
«Harumi», fu la svogliata risposta all’unisono dei gemelli, uno sdraiato a pancia in giù sul pavimento, gli occhi fissi sul cellulare, e l’altro spalmato senza troppe cerimonie sul divano, con i piedi appoggiati sulle gambe di Hayato.
«Se spunta col suo ragazzo è la volta buona che lo accoltello», commentò Rui innocentemente, allungando una mano verso l’alto per osservare un anello che Maiyumi le aveva portato per vedere se le piaceva. «Mi sa che mi tengo quello nero, questo sta meglio a te», concluse, restituendo l’oggetto all’amica.
«Quanto ci mette?» chiese Satsuki, tamburellando nervosamente le dita sul tavolinetto che divideva il divano su cui erano seduti lui e Kaito da quello dove si trovavano Aoi e Hayato.
Satsuki era quello più contrario alla novità: non solo quello Ienobu non l’aveva mai convinto, non solo aveva paura che Harumi li scaricasse… lui voleva Harumi per sé. E voleva quel verme lontano da lei.
E solo ora se ne rendeva conto.
Suonarono il campanello, e Hayato scattò in piedi per andare ad aprire prima che lo facesse Rui - sapevano tutti che se Ienobu fosse stato presente, la ragazza avrebbe finito davvero con il perdere la calma, ed era l’ultima cosa che volevano.
«Oh ciao, Harumi!» esclamò, quasi sarcastico, enfatizzando il suo nome per lasciare intendere agli altri che finalmente la ragazza era sola. «Benvenuta».
«Scusa, scusa, scusa! Lo so che sono in ritardo, ma… Ienobu-kun non voleva andar via. Ma ero qui in orario, quasi! Ho perso tempo a dirgli che poteva and…» Harumi fu brutalmente zittita quando Hayato le diede le spalle e si diresse a grandi falcate verso il resto del gruppo.
“Iniziamo bene”, si disse la ragazza salutando timidamente gli altri, felice quando Reiko la invitò a sedersi per terra davanti a lei e la abbracciò.
Almeno qualcuno era felice di vederla.
«Perché questa riunione?» chiese innocentemente: non era abituata a quell’ostilità, di solito non era mai lei quella che causava problemi, anzi era una di quelli a riportare la calma… Quella situazione era inquietante.
«Hai le canzoni?» chiese Rui senza troppe cerimonie. «O eri troppo impegnata a fare il cagnolino di Ienobu-kun?» aggiunse sprezzante, prima di venir ripresa da Reiko e da un’occhiata di Hayato. «O hai avuto da fare?» si corresse, controvoglia.
Harumi abbassò lo sguardo e arrossì.
«Non mi sono venute idee. Ci ho provato, ma sono bloccata», sussurrò, torturandosi le mani.
«Ah benissimo! È questo che diremo ai produttori! “La compositrice si è bloccata, scusateci. Non abbiamo le canzoni che ci chiedete da un mese!”».
Tutti sussultarono sorpresi quando si accorsero che a parlare era stato Nei, l’unico che per tutto quel tempo aveva sempre difeso Harumi, l’unico che non sembrava avere problemi con quella faccenda.
«Nei…», Kaito si decise a intervenire, ma un’occhiataccia del biondo lo lasciò interdetto.
«Zitto tu!» sbottò il ragazzo, alzandosi in piedi e avvicinandosi ad Harumi. «Lo sai che se tu non componi, tutto il mio lavoro va a farsi benedire? Hai idea delle notti insonni per buttare giù quei maledettissimi testi che tutti questi bastardi potrebbero pure provare a scriversi da soli, Harumi? Non ne posso più! Ho rinunciato a notti e notti di sonno per scrivere e avere tutto pronto in tempo! Ho fallito due test e non so nemmeno quando li potrò recuperare! E tu? Tu cosa fai? Pensi al musical e a quel cretino del tuo ragazzo che ti controlla peggio di uno stalker!»
Nella stanza calò il gelo, nessuno fiatava. Sentire Nei arrabbiato era raro, sentirlo lamentarsi di qualcosa lo era anche di più.
Era un periodo stressante per tutti: i maggiori erano pressati dalla scuola e alle attività dei loro club, i minori si sentivano in dovere di fare del loro meglio per non pesare su di loro, la concorrenza con gli altri gruppi si era fatta spietata, i produttori premevano per avere nuove canzoni e un nuovo album…
Esplosero. Tutti insieme, contemporaneamente, la sala si riempì di grida.
La prima fu Harumi, che scoppiò a piangere disperata, poi uno a uno gli altri scattarono in piedi e iniziarono a urlare prima contro Nei, poi l’uno contro l’altro.
«Io i testi me li scrivo da solo, imbecille!» sbraitò Kaito, scuotendo Nei dal colletto.
«Non permetterti di chiamarci bastardi!»
«Sei tu che vuoi far vedere che sei meglio di noi perché scrivi due stronzate in rima!» concordò Hayato.
«Non parlare così a mio fratello! Tu non ti sei mai scritto mezzo testo!»
«Aoi, non ti immischiare!»
«Un testo mi hai scritto, niente di più! Io nemmeno canto!»
Le ragazze, dapprima sconcertate, si erano alzate a loro volta: Rui sembrava sul punto di fare a pugni con Aoi, Maiyumi inveiva contro Nei, Reiko dava man forte a Hikaru nel fronteggiare Satsuki…
E Harumi era rannicchiata a terra, disperata, urlava contro i palmi delle sue mani e soffocava nelle lacrime.
Era tutta colpa sua, aveva causato lei tutto quello.
Persino Nei e Kaito erano arrabbiati adesso. Aoi e Hayato si stavano urlando contro, Reiko stava litigando con il suo stesso fratello…
Tutto per colpa sua.
Si alzò lentamente in piedi e tentò di farsi sentire per farli smettere, senza successo. Alzò la voce, ancora niente, la alzò di nuovo.
«Piantatela!» urlò con tutto il fiato che aveva, ottenendo finalmente la loro attenzione. «Vi prego, smettete di litigare! Prometto che comporrò le migliori canzoni di sempre in meno di una settimana, vi supplico, basta litigi!» singhiozzò, fissandoli uno a uno, spaventata come non mai.
«Scusate», mormorò Kaito, abbassando lo sguardo.
«Che cosa ci è preso?» mormorò Aoi, mordendosi le labbra e fissando Hayato.
«Ci siamo incasinati», rispose semplicemente Hikaru, facendo spallucce.
Erano più calmi, ma l’espressione burrascosa lui volti di Nei, Satsuki e Rui non promettevano nulla di buono.
«Sediamoci e cerchiamo di ricominciare a ragionare», sussurrò Maiyumi, sistemandosi la spallina della salopette che le era scivolata lungo il braccio; il suo suggerimento fu accolto volentieri e poco dopo tutti erano di nuovo seduti a terra, affannati e arruffati, ma ora leggermente più tranquilli.
«Mi dispiace, ragazzi, è stata tutta colpa mia. Dovevo avere pronti quei brani già un mese fa, ma le cose mi sono sfuggite di mano e… Mi dispiace, Nei, davvero!» la ragazza fissò il maggiore con gli occhi lucidi, sentendosi tremendamente in colpa perché quello che aveva detto era vero: Nei si era dedicato veramente e interamente agli Starkids, non era azzardato dire che era quello che credeva di più in ciò che stavano facendo, quello che ci si era dedicato di più, che aveva fatto più sacrifici per loro.
E soprattutto, loro due erano una squadra, la squadra che alimentava il resto del gruppo.
E lei come lo ringraziava?
«È vero, Harumi. È colpa tua».
«Sacchan! Non essere cattivo!» intervenne subito Reiko, preoccupata. «Ci siamo dimenticati quello che ci eravamo promessi? Gli Starkids contano perché siamo tutti noi, insieme, e perché facciamo qualcosa che ci piace, non per altro. Va bene se abbiamo successo, va bene se falliamo, va bene se le cose filano lisce, va bene se ci sono problemi. Non ve lo ricordate più?».
Tutti si fermarono a pensare a quelle parole. Era vero, era quello che si erano promessi, e che avevano promesso ai loro genitori quando gli avevano detto le loro intenzioni.
«Il fatto che tutto ci va bene non vuol dire che non dobbiamo metterci un minimo d’impegno, Reiko», sospirò Hayato, allungando le gambe davanti a sé e appoggiandosi allo schienale del divano.
«Nei, sbaglio o hai detto di aver fallito due test?».
«Io… Oh, dai, Kaito! Non vorrai parlare di questo adesso», balbettò Nei, allontanandosi impercettibilmente dall’amico, che ora lo osservava con una luce inquietante negli occhi.
Era un altro patto: se uno di loro falliva in qualche materia, Kaito gli avrebbe dato ripetizioni.
E nessuno voleva avere ripetizioni da Kaito.
La situazione divenne meno tesa, e lentamente l’atmosfera tornò quella di sempre.
«Aoi, per caso hai qualche nuovo costume di scena da proporci?» si informò Maiyumi, gattonando vicino al biondo, lui le sorrise:
«Ni. Stavo pensando più che altro a un paio di outfit per la prossima intervista, ma ancora non è niente di deciso, ho delle bozze però. Vuoi vedere?»
In tutto questo, Harumi era rimasta lontana, a osservare i suoi amici; sentendo il cellulare vibrare in tasca lo prese e sorrise leggermente nel vedere un messaggio di Ienobu, sorriso che si spense quando a quello ne seguì un altro:
Passo a prenderti fra venti minuti, piccola.
Sospirò, nemmeno suo padre era così appiccicoso!
Se una parte di lei tentava di dirle che qualcosa non andava, un’altra la metteva a tacere con tutti i ricordi di lui che le sorrideva, la trattava gentilmente, la faceva sentire speciale…
Aveva solo quattordici anni, e per quanto potesse essere più matura delle altre ragazze della sua età, era ancora ingenua, non del tutto conscia dei pericoli che la circondavano.
Cosa di cui invece era ben informato Satsuki, che iniziava a preoccuparsi seriamente.
«R-ragazzi, fra venti minuti devo andare» sussurrò la ragazza, ottenendo di nuovo l’attenzione generale. Brutto segno.
«Haru-chan, dobbiamo parlare», iniziò Maiyumi, con un tono più dolce di prima, e uno sguardo preoccupato.
«Già, ti sei accorta di che livello ossessivo ha raggiunto quello Inabo?» intervenne Nei, stringendo le labbra.
«Ienobu», lo corresse con voce sottile Harumi.
«Quello che ho detto».
Niente, se qualcuno riusciva a farsi disprezzare da Nei, non c’erano speranze di recuperare la sua stima, e Ienobu aveva fatto il possibile per ricevere tale trattamento.
«Vuole solo stare un po’ di tempo con me…» provò, ma era un argomento debole.
«No. Vuole stare solo con te, e non gliene frega se le prove sono off limits, se prima o poi io gli spacco la faccia o tutto quello che vuoi. Ti sta sempre appiccicato, ti controlla! E ho visto che ti manda messaggi in continuazione», specificò Hayato, mentre Hikaru sbuffava.
«Non…»
«E ti distrae, Haru! Parli sempre e solo con lui, zio Cecil ha detto che stai sempre al cellulare, o al computer...» concluse Satsuki, un po’ più bruscamente del solito.
Il che fece scattare i nervi della compositrice:
«Ah, ecco qual è il vostro problema. Che lui mi distrae. Mi distrae dal comporre per voi, huh? Ecco perché tanta preoccupazione! Alla fine è solo quello che vi interessa, non io».
«Ma che cosa…?».
«Hari-chan non è per questo!» esclamò Maiyumi, uno sguardo ferito negli occhi.
«Stiamo solo dicendo che…».
Non li fece finire. Era stanca di sentirli parlare in quel modo del suo ragazzo. Dell’unico ragazzo che le aveva rivolto una qualche attenzione.
Si alzò di scatto e recuperò la sua borsa e il suo cardigan, fece un piccolo inchino e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Dentro di sé sapeva perché aveva reagito così, perché aveva provato tanto fastidio a quelle loro affermazioni.
Era perché aveva il terrore che fossero vere.
Era perché aveva paura che, ascoltandoli ancora, avrebbe dato loro ragione.
Mandò un messaggio a Ienobu, dicendogli che era già uscita e organizzandosi per incontrarlo, sperando che la sua presenza cacciasse via le parole degli altri dalle sue orecchie.
Ma non funzionò, continuarono a riecheggiare per il resto della giornata, continuò a sentirle mentre lui le teneva la mano, mentre si baciavano, mentre si salutavano davanti alla porta di casa sua.
E all’interno la aspettava ancora qualcosa, nel caso tutto quello successo quella giornata non fosse sufficiente.
«Harumi, stai bene?», la voce di suo padre era bassa e triste mentre la guardava preoccupato. Era raro vederlo in piedi o da qualche parte che non fosse il divano, a dire il vero, dopo la morte della moglie era caduto in una depressione tale da non riuscire nemmeno a trovare la voglia di reagire, ed era raro che rivolgesse la parola alla figlia, tanto meno che riuscisse a guardarla negli occhi che erano identici a quelli di sua madre. Eppure ora lo stava facendo, e Harumi si sentiva tremendamente in colpa per averlo costretto a tanto.
«Certo che sì! Perché chiedi?», rispose, sforzandosi di sorridere.
Cecil le fece cenno di sedersi, e lei obbedì esitante, non sapeva come comportarsi, ma mentre lui la raggiungeva, la ragazza non riuscì ad impedirsi di notare tristemente quanto suo padre sembrasse tremendamente invecchiato: mentre tutti gli altri Starish non sembravano poi così cambiati, alcuni avevano semplicemente dei lineamenti più maturi, o erano cresciuti leggermente in altezza (o nel caso di Tokiya e Ren erano diventati anche più affascinanti di prima), Cecil sembrava avere quasi il doppio della loro età, proprio lui che era il più giovane.
«Mi ha telefonato Hayato-kun», Harumi si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffare a quelle parole, i suoi “amici” avevano forse deciso di renderle la vita un inferno? «Ha detto che sono preoccupati per te».
«Sono preoccupati per le loro stupide canzoni», replicò lei imbronciata, sfilandosi le ballerine e tirandosi le gambe al petto per poggiarvi sopra il mento. «Perché ho iniziato ad avere una vita al di fuori di loro e adesso sono solo gelosi ed egoisti!».
Cecil alzò le sopracciglia a quel commento tanto inusuale per la figlia quanto improbabile: sebbene non frequentasse più di tanto i suoi vecchi compagni, era piuttosto sicuro che i loro figli non fossero quel genere di persone.
Gli occhi di Harumi intanto si erano riempiti di lacrime per ciò che aveva detto, si sentiva in colpa, ma era arrabbiata con loro, e in quel momento non era disposta a lasciarsi convincere che avevano ragione.
«A me sembrava veramente preoccupato quando mi ha chiesto se fossi già arrivata a casa», azzardò Cecil, sfiorandole i capelli. Quando aveva smesso di sapere come trattare la sua bambina?
«Certo, perché se mi succede qualcosa non trova un’altra compositrice!», a quelle parole la ragazzina si bloccò e fissò il padre, in tempo per vedere un lampo di dolore passare nei suoi occhi verdi. «S-scusa, non intendevo… non volevo…» ecco fatto, ora aveva fatto star male pure suo padre. Fantastico.
«Hari-chan…», Cecil esitò, chiedendosi se era davvero pronto per affrontare quel discorso dopo tutti quegli anni trascorsi a evitarlo accuratamente. «Tu sei molto più della loro semplice compositrice».
La ragazza gli rivolse uno sguardo intimidito, non era da lui parlare di quello, sapeva che gli faceva male, di conseguenza ora che lui aveva scelto di affrontare la discussione, era disposta ad ascoltarlo.
«Sei la loro amica, o per usare le parole di Maiyumi-chan, sei la loro cuginetta. Sono seriamente preoccupati per te, non so perché, non so più nulla di te a dire il vero», a quello l’uomo abbassò lo sguardo.
«Non c’è molto da sapere», lo rassicurò Harumi con un sospiro, prima di ripensare a un paio di cosette che non gli aveva detto. «E non volevo farli preoccupare, ma sono loro che esagerano».
«Che cos’è che li fa preoccupare? Non pensi che parlarne con tuo padre potrebbe essere meglio che tenergli nascosto qualcosa?»
Quello poteva essere un valido argomento, in effetti. Alla fine Harumi sospirò:
«Mi… vedo con un ragazzo. Che agli Starkids non piace».
Ci fu un momento di silenzio in cui la piccola compositrice non ebbe il coraggio di incontrare lo sguardo di suo padre, poi si sentì tirare più vicina a lui e, per la prima volta dopo anni, si accoccolò a lui, abbracciandolo e iniziando a piangere mentre raccontava tutto quello che le stava succedendo nell’ultimo mese.
Per Cecil fu l’equivalente di un pugno nello stomaco.
E i pericoli che Harumi continuava a non vedere, a non voler vedere, furono chiari anche a lui.
 
«Rei-chan?» mormorò la compositrice appena l’altra persona rispose al cellulare.
«Hami-chan! Finalmente! Eravamo preoccupati! Cos’è successo? Dove sei? Non dovevi andartene in quel modo!», il fiume di parole della sua migliore amica travolse Harumi che si ritrovò suo malgrado a ridacchiare, solo quando quella tacque riuscì finalmente a riferirle quanto era successo con Cecil, dalla telefonata di Hayato alla richiesta dell’uomo di presentarle Ienobu.
«Wow, zio Ceci vuole davvero conoscerlo?» chiese Reiko sgranando gli occhi. «A me papà non ha chiesto di fargli incontrare Hikaru».
A quello, Harumi fece facepalm e scoppiò a ridere:
«Ah ma davvero? Chissà mai perché!»
«Forse non vuole nemmeno lui che Satsu-nii lo sappia», il difficile con Reiko, talvolta, era capire se fosse seria o stesse scherzando, il che metà delle volte era anche più divertente.
«Mah forse perché lo conosce da quando ancora aveva il pannolino?», ridacchiò Harumi scuotendo la testa per poi tornare seria. «Ma Reiko, io non voglio farli conoscere, a papà non piacerà di sicuro».
«Non sarebbe una novità. Ienobu non piace a nessuno».
Giusto, la famosa schiettezza disarmante di Reiko, avrebbe dovuto aspettarselo.
«Ma non capisco perché!», protestò, sdraiandosi sul letto con uno sbuffo. Reiko sospirò:
«Non volevo essere io a dirtelo, Hami-chan, ma qualcuno deve aprirti gli occhi. Quel tipo è uno stalker! Non ti lascia in pace, non ti fa respirare! Ti controlla!»
«Non è vero», fu la flebile risposta, anche se nemmeno Harumi ci credeva più di tanto.
A fine telefonata il suo umore era più nero di prima, ma quando si avvicinò alla tastiera che teneva in camera per poter comporre quando voleva senza dover disturbare suo padre e si infilò le cuffie, le sue mani corsero veloci sui tasti e - finalmente - riuscì a comporre qualcosa.
 
«Allora, pronti a prov… non ci credo».
L’espressione di Kaito si fece scura quando dalla porta sul retro del teatro fecero il loro ingresso Harumi e Ienobu. Meno male che Reiko le aveva parlato.
Come sempre, l’atmosfera diventò gelida e ostile, ma stavolta non tutti avevano intenzione di starsene in silenzio a sopportare.
Hikaru, come sempre stranamente innervosito dalla presenza del ragazzo, si tolse la chitarra di dosso e la lasciò malamente su un tavolo lì vicino, uscendo di gran carriera, e Ienobu lo osservò con un sorrisino sardonico.
«Vedo che qualcuno non sa ancora accettare la sconfitta, eh, Ittoki?».
Ma aveva fatto la scelta sbagliata: nessuno poteva usare quel tono con Hikaru in presenza di Reiko e Hayato. La prima non aveva ancora fatto in tempo ad alzarsi dalla sua postazione alla batteria che il maggiore aveva afferrato il ragazzo dal colletto e l’aveva premuto contro la parete più vicina, ignorando le esclamazioni di sorpresa degli altri.
«Stammi bene a sentire, brutto bastardo. Primo, l’accesso alle prove è vietato ai non addetti e - indovina un po’ - tu sei  un non addetto, secondo, finora abbiamo sopportato perché vogliamo bene ad Harumi, ma ora non abbiamo più intenzione di farlo. Terzo, non osare parlare così ad Hikaru», e un pugno avrebbe chiarito il concetto se non fosse intervenuto Aoi a trattenere la mano del ragazzo.
«Oh cielo, e le tue fan lo sanno che hai un simile caratteraccio, Ichinose-sama?» ghignò quello, che finalmente stava ottenendo ciò che aveva voluto fin dall’inizio.
«Hayato, non colpirlo, non ne vale la pena», mormorò Aoi tirandolo via.
«Ma quindi state insieme o vi limitate a farvi lavoretti a vicenda? No, perché le fan vorrebbero saperlo. Sono anni che se lo chiedono!»
«Ienobu ma che cosa stai facendo?» chiese Harumi, scioccata, nel vederlo sorridere in quel modo sardonico, quasi godesse per qualsiasi reazione che avevano gli altri.
«Zitta bambola».
«Tu ad Harumi non ti rivolgi così».
Un pugno gli arrivò dritto sul viso, facendolo finire a terra, ai piedi di un Satsuki furente dalle nocche arrossate per il colpo, ma questo non lo fermò, continuò a lanciare battutine e commenti crudeli su tutti i ragazzi lì presenti. Uno a uno persero tutti la calma, iniziando a rispondere ai suoi insulti con grida e offese altrettanto pesanti, l’unica a restare distaccata era Rui, che li osservava appoggiata alla tastiera con aria illeggibile.
Attese qualche secondo, ma vedendo che non sembravano avere intenzione di smettere si incamminò tranquillamente verso il gruppetto, spostò Kaito da una parte, tirò via Maiyumi, si intrufolò fra Nei e Satsuki e, finalmente, arrivò di fronte a Ienobu.
«Ah ecco, mi sembrava mancasse la sociopatica del gruppo!» rise quello, e Aoi dovette usare tutte le sue forze per bloccare Hayato, imbestialito. Rui non fece una piega, si limitò ad allungare una mano verso la tasca del ragazzo e tirare fuori il suo cellulare, spegnendo la telecamera che era attiva e aveva registrato tutto quello che era successo fino a quel momento.
«Che cosa…?» mormorò Reiko, confusa, mentre Harumi chiamava il nome del ragazzo chiedendogli spiegazioni.
«Sei veramente uno schifoso bastardo, lo sai?» chiese Kaito, iniziando a ridere sorprendendo tutti. «Volevi registrare le nostre reazioni e poi postarle online con un titolo del tipo “la vera faccia degli Starkids”?», la sua risata continuò, e a quel punto gli altri riuscirono a capire che era il suo modo per trattenersi dal farsi montare la rabbia, e anche per irritare l’altro. «Pensavamo fossi uno psicopatico che voleva fare del male ad Harumi… invece sei solo un poveraccio in cerca di attenzioni».
Rui, dopo aver cancellato il video, si voltò di nuovo verso il ragazzo e gli rivolse il più dolce dei suoi sorrisi, zittendo tutti quanti.
«La sociopatica del gruppo ha qualcosa per te» disse con la sua solita voce calma e sottile, mentre prendeva un bicchiere di succo dal tavolo su cui si trovavano varie bevande a loro disposizione, e gli occhi del ragazzo si spalancarono. Continuando a sorridere, Rui immerse il cellulare nel liquido.
«Brutta tr…» Ienobu scattò in avanti, ma fu prontamente bloccato da Satsuki, intanto la minore dei fratelli Ichinose si era avvicinata di nuovo a lui. Tolse il cellulare, ormai inutilizzabile, lo buttò a terra e lo calpestò, infine rovesciò tutto il bicchiere sulla testa del ragazzo. «Ora vattene, prima che faccia anche qualcos’altro» sibilò, restituendogli i resti del telefono con un calcio.
Ienobu, che prima era sembrato tanto spavaldo e determinato a farli infuriare, corse via con la coda fra le gambe, fra le risate di Kaito, Nei e Hikaru.
«Rui», fece Hayato, troppo serio per i suoi standard.
«Sto bene, davvero! Volevo solo assicurarmi che quel video non finisse mai online», sorrise la ragazza.
Ma il cellulare non era l’unica cosa in frantumi in quella stanza ora.
«M-mi ha usata tutto questo tempo?», sussurrò Harumi, stringendosi le mani al petto e tenendo lo sguardo basso. «Mi ha fatta litigare con voi…», la voce già flebile le si spezzò, mentre un paio di lacrime le uscivano dagli occhi. «Ho fatto tutto quello che voleva lui, non ho composto in tempo le nostre canzoni, e lui… lui voleva solo questo?».
Tutti i ragazzi rimasero immobili a guardarla per qualche momento, poi Reiko e Hikaru corsero ad abbracciarla e rassicurarla, seguiti a ruota da Maiyumi e Aoi. Nei e Kaito si avvicinarono esitanti, sussurrandole parole incoraggianti oltre che insulti per quel verme.
Rui rimase in disparte, a disagio, non sapendo cosa dire o cosa fare per aiutarla, ma sperando che riuscisse a interpretare la sua vicinanza fisica come una anche morale. Hayato ribolliva di rabbia accanto a Satsuki, che dentro di sé stava urlando frasi come “con me non sarebbe mai successo” e “non permetterò a nessuno di farle una cosa simile di nuovo”.
Non provarono, quel giorno, rimasero tutti vicini ad Harumi tentando di consolarla, risollevarle il morale, usando ogni loro mezzo, ma poi fu proprio lei a prendere in mano la questione.
«Ho… ho una cosa per voi» sussurrò, infilando le mani nella sua borsa e tirando fuori dei fogli con qualche piega. Tutti i ragazzi sorrisero nel vedere degli spartiti musicali, e ben presto la ragazza si trovò stritolata in un abbraccio di gruppo che le scaldò il cuore, fece diminuire il dolore che provava e portò una piccola risata alle sue labbra.
«Mi… mi siete mancati», ammise, chiudendo gli occhi.
«Anche io ho qualcosa per te, Hami-chan», disse Nei dopo averle arruffato i capelli, e lei si illuminò riconoscendo quella frase. Era quello che le diceva sempre quando aveva un nuovo testo da farle vedere.
E difatti, ben presto si trovò un foglio davanti. Solo che, stavolta, non c’era solo la scrittura di Nei, ce n’erano nove. Nove grafie diverse…
Osservò i suoi compagni di band che ora erano tutti arrossiti, chi più e chi meno, e quasi rischiò di rimettersi a piangere.
«Ci serve un titolo», ammise Hikaru, strofinandosi una mano sul collo, imbarazzato.
«G-già, ehm… è l’unica cosa che non siamo riusciti a fare», aggiunse Aoi con una risatina nervosa.
«E poi sei tu quella brava con i titoli», concluse Reiko, dandole un pugno leggero su una spalla.
Harumi lesse tutto il brano, sentendo le voci dei suoi compagni alternarsi ad ogni strofa, e poi - ripescata una matita dalla borsa - scarabocchiò il titolo sopra quel testo.
Hard to say I’m sorry.
Quella sera, quando fu a casa, riferì a Cecil tutto quello che era successo, sfogandosi con lui e lasciandosi abbracciare.
Era bello ritrovare quel rapporto con lui, e per Cecil fu come ritrovare non solo la sua piccola Harumi, con la quale per troppo tempo aveva scambiato solo dialoghi silenziosi, ma anche Haruka, che continuava a mancargli nonostante fossero passati anni. Aveva pensato che guardare Harumi negli occhi sarebbe stato troppo doloroso per lui, che ricordare sarebbe stato troppo doloroso.
Ma si era sbagliato, era stato scappare quello che gli aveva fatto più male di tutto, e fu felice di essersene accorto, perché forse era ancora in tempo con Harumi.
Non che avesse fretta di tornare in quel mondo che alla figlia piaceva così tanto, e che era piaciuto anche a lui ovviamente, ma almeno poteva riavvicinarsi. Un passo alla volta, senza fretta, ma non avrebbe perso Harumi, non avrebbe lasciato che lei lo chiudesse fuori, non gliene avrebbe dato motivo.
«Hey papà», disse lei poco prima di ritirarsi in camera, attirando la sua attenzione. «Mi… mi fa piacere vedere che stai meglio» balbettò, arrossendo e poi correndo in camera sua.
Cecil sorrise osservandola mentre si allontanava. Non se ne era accorto, ma sì, dopo aver parlato con lei si era sentito meglio, più in pace.
“Sono stato un idiota tutto questo tempo”, si disse.
 
Seduta sul suo letto, Harumi rilesse il testo sorridendo, sfiorando le parole come se potesse toccare i visi dei ragazzi che l’avevano scritta.
Una strofa in particolare aveva attirato la sua attenzione, era quella scritta da Satsuki, ormai riconosceva la sua scrittura al primo colpo.
 
And after all that’s been said and done
you're just a part of me I can't let go
Couldn't stand to be kept away
Just for the day
From your body
Wouldn't want to be swept away
Far away from the one that I love
 
Perchè quelle parole le lasciavano una strana sensazione alla bocca dello stomaco?
   
 
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