Capitolo 5 – Between mother and
daughter
Fu
tra i timidi raggi del sole invernale, filtrati dolcemente dalla
finestra chiusa, che mi risvegliai il giorno di Natale.
Stiracchiandomi per sciogliere la tensione dei muscoli e rilassata
grazie a un sonno ristoratore, mi sentii quasi in pace con me stessa.
Ero pronta a scendere di sotto e preparare il pranzo -
perché si sa, quello di Natale si inizia rigorosamente di
mattina - ma le mattine d’inverno sono fatte apposta per
godere di quel torpore riscaldante, ed io faticavo a lasciarlo andare.
Mi trovavo nella mia vecchia stanza a casa di mia madre, sdraiata sul
mio minuscolo letto da una piazza a guardare il color pesca del
soffitto. Erano ormai parecchi anni che non vivevo in quella casa, la
vita al college l’avevo trascorsa in un dormitorio
universitario e, successivamente, avevo preso in affitto la mia attuale
residenza.
Tuttavia, tutto ciò che arredava la mia vecchia cameretta
era lì intorno a me, completamente intatto, e nostalgico
come un tuffo al cuore. Avevo sempre considerato strano e piuttosto
contraddittorio il fatto che, nonostante fossi rimasta così
attaccata al passato, avessi infine deciso di andare a vivere da sola.
In fondo, non era nel mio carattere.
Avevo la mania di conservare tutto quello che per me aveva avuto un
rilevante significato nella mia vita, che facesse parte di un bello o
di un cattivo ricordo. Di sicuro non sfioravo nemmeno il livello
patologico ma avevo sempre avvertito una certa angoscia nel buttare le
cose. Era il gesto a sconcertarmi, aveva la stessa potente
brutalità dell’abbandono.
Quindi, quando mi trasferii nella mia nuova casa, mi ci volle del tempo
per capire che il passato avrebbe vissuto per sempre nei ricordi della
mia memoria, prima ancora che attraverso una foto cartacea o un oggetto
materiale. A quel punto fu come ritrovare me stessa, dopo avermi
creduta persa, e cominciai a costruire nuovi ricordi nella mia nuova
vita.
Ma la vigilia di Natale tornavo sempre a dormire da mia madre,
trascorrendo insieme quella serata speciale davanti al camino
scoppiettante della sala, sedute sul divano a guardare un bel film con
in mano un bicchiere di vino rosso e la nostra reciproca compagnia.
Erano momenti che, ripetuti nel tempo, assumevano la stessa esplosiva
emozione che si prova nell’attesa impaziente di un evento
segnato sul calendario; sai che arriverà ma conti i giorni e
poi le ore, e ti sembrerà sempre troppo lontano.
Allo stesso modo aspettai l’arrivo dolce alle mie narici del
profumo di pancakes alla vaniglia e l’odore amaro, ma
così rassicurante, del caffè. Per me era
l’odore di casa.
Sorrisi quando ne avvertii i primi sentori.
Mi
alzai svogliatamente, cercando invano di reprimere i numerosi brividi
che avevano invaso la pelle.
Trovai tutto apparecchiato per fare colazione, come succedeva quando
ancora abitavo con lei.
<<
Pronta a cucinare, Isa? >>.
<<
Lo sai che non mi tiro mai indietro davanti ai fornelli
>>, risposi, prendendo un pezzo di pancake e
assaporandone il gusto.
<<
Oh lo so bene, è così più o meno da
quando eri piccolissima. Solo che allora quello che cucinavi andava a
finire nel secchio dell’immondizia, mentre adesso sei una
cuoca formidabile >>.
<<
Per caso stai cercando di comprarmi per far cucinare tutto a me?
>>, domandai, assottigliando gli occhi.
<<
Certo che no, stavo solamente constatando l’evidenza. Ti
manca soltanto trovare marito >>, rise, spudoratamente.
Roteai gli occhi, certe allusioni me le propinava da una vita oramai.
Per lei doveva apparire tutto facile, evidentemente. Da come parlava di
certi argomenti sembrava che non ci fossero ostacoli di alcuna sorta
per la realizzazione di quello che diceva. Ero solita risponderle che
la felicità non si conquista così facilmente con
lo schiocco delle dita, ma da tempo ormai mi limitavo a lasciarla
parlare liberamente, aspettando con pazienza il momento in cui avrebbe
capito che anche quella volta non gliela avrei data vinta.
Finii di bere il mio caffè con una punta di soddisfazione
nel sentire il caldo della bevanda contrastare il freddo della mattina.
Ero pronta a mettermi a lavoro, e stavo per farlo, se non che gli occhi
di mia madre fissi su di me mi immobilizzarono sulla sedia.
<<
Che c’è? >>.
<<
Pensavo che mi avresti rimproverata, che mi avresti urlato contro per
averti costretta ad incontrare qualcuno di cui non hai mai voluto
nemmeno nominare il nome. E invece niente, da quando ci siamo viste non
ne hai mai fatto parola >>.
<<
Non avevo molto da dire >>.
Spostò per poco gli occhi al soffitto, liberando una piccola
risata sarcastica.
<<
Oh andiamo Isabella, sono tua madre. La cosa potrà darti
fastidio, in fondo sei sempre stata una ribelle, ma la
verità è che ti conosco abbastanza da capire che
qualcosa è cambiato, seppur in minima parte. Scommetto che
non era quello che ti aspettavi, non era poi quel mostro che avevi
sempre immaginato fosse >>.
Cominciava ad andarmi scomoda quella conversazione, soprattutto
perché fino ad allora non aveva sbagliato di una virgola. Ma
ammetterlo proprio a colei alla quale avevo sempre dichiarato il
contrario mi suonava quasi come una sconfitta; l’orgoglio era
pronto a difendersi a qualsiasi costo e con qualsiasi scusa.
<<
È vero, ma ci sono persone che sanno fingere molto bene la
loro parte e - >>.
<<
Come te in questo momento >>, mi interruppe
all’istante ed io rinunciai a finire la frase.
Mi limitai a guardarla, mettendo leggermente il broncio.
Era inutile combattere contro chi di te conosceva ogni singolo aspetto.
Sarebbe stata una battaglia persa in partenza.
<<
Mi arrendo – abbassai il tono di voce, non avevo
più nulla da dimostrare – Michael è
stato molto gentile quella sera. Ammetto che ci sono state cose sul suo
conto che mi hanno stupito ed incuriosito, come il discorso
sull’infanzia e sul fatto che lui non ne abbia mai posseduta
una. Non ho nemmeno trovato tratti della Star schiva e pazzoide che i
giornali hanno sempre dipinto sui loro articoli. Ma sono
dell’opinione che poche ore non bastino per conoscere a fondo
una persona. Nonostante l’idea che ho avuto su di lui durante
la festa di Natale, strida con l’immagine del pedofilo con la
quale l’ho sempre rappresentato, è pur vero che
molte cose possono essere state forzate ed inventate >>.
Le ultime parole gracchiavano persino alle mie orecchie, ma non erano
poi tanto sbagliate. Si trovavano maschere ed apparenza costantemente
in giro, nelle persone comuni, quindi perché mai una persona
dello spettacolo non avrebbe dovuto fingere un ruolo che non gli
apparteneva?
<<
Di tutta quella serata, è questa la tua conclusione?
>>, domandò e dal tono che usò mi
costrinse a riporle tutta la mia attenzione.
<<
Si, perché? >>. Alzai un sopracciglio in fare
interrogativo e confuso.
<<
Niente … è una conclusione fredda, mi lascia
spiazzata >>.
Sperai di aver sentito male.
<<
Ma davvero? E cosa pensavi, che da un momento all’altro avrei
cambiato completamente opinione su di lui? Non sono così
sciocc - >>, non mi lasciò finire.
<<
L’hai visto negli occhi? Hai fatto ciò che ti
dissi, hai provato a guardare oltre? >>, il tono alto di
voce era più implorante che adirato.
Mi zittii e lasciai che le sue parole facessero emergere il ricordo di
un viso divenuto familiare.
Esplose senza preavviso nella mia mente e ne subii inerme gli effetti.
Sapevo cosa esprimevano quegli occhi, era talmente evidente che neppure
io ero riuscita a negarne il tormento che affliggeva la loro vista. Non
ero cieca e nemmeno così cinica da denigrare una tale
condizione di solitudine e di esasperazione. No, non avrei mai potuto
affermare il contrario dopo che quella tristezza un po’ mi
era stata raccontata.
Mia madre aveva ancora lo sguardo fisso su di me, e non capivo se fosse
di rimprovero o per delusione. Mi infastidiva in entrambi i casi.
<<
Credi che non l’abbia fatto? Mi ci sono imbattuta in quegli
occhi più del dovuto – stavo
quasi per annegarci dentro –
e ho visto che ci
sono sofferenze più profonde di quelle che avrei immaginato,
radicate nel passato e non più removibili. Non credere che
io non abbia forza e volontà necessari che guardare oltre,
molte volte certi pensieri me li tengo solo per me e risulto fredda, ma
la realtà è ben diversa >>. Il tono
calmo e neutro con cui le risposi, stupì anche me.
<<
Oh tesoro >>, spostò la mano in direzione
della mia, stringendola dolcemente, un gesto così caloroso
che mi rasserenò all’istante. << Lo
so bene questo. Vorrei solamente che ti sforzassi di parlare di
più, il nostro rapporto è molto cambiato negli
ultimi anni. So che tante cose non torneranno come prima ma certe volte
mi manca quella ragazza solare e avventurosa che mi faceva preoccupare,
e mi mancano le lunghe chiacchierate tra noi due sole. Certe volte mi
manca mia figlia >>.
Strinsi le labbra per contenere le emozioni.
Adesso capii che lo sguardo di prima era di delusione.
Voleva sua figlia indietro ed io glielo negavo in continuazione.
Anche io ero delusa da me stessa.
<<
Scusami, io ci sto provando, davvero. Ci proverò ancora di
più a lasciarmi andare, ok? >>, risposi con
forza alla sua stretta di mano, volevo infonderle un po’ di
speranza, ma le mie dita sembrava stessero per tremare, e forse non
riuscii a sembrare così fiduciosa come volevo essere.
Tuttavia mia madre sorrise sincera e soddisfatta di quelle poche
parole. Aveva completa fiducia in me, l’aveva sempre avuta,
ed anche se così non fosse stato avrebbe cercato di
infonderla in me, perché mai mi avrebbe abbandonata.
Questa era una delle poche certezze della mia vita.
<<
Tu sei innamorata di quell’uomo, non è vero?
>>, le chiesi per spezzare la tensione ed anche
desiderosa di togliermi una curiosità da tempo avuta.
La sentii ridere di gusto, per nulla imbarazzata, solo realmente
divertita.
<<
Ebbene si, lo ammetto! Ma non nel senso che intendi tu. Io sono
innamorata degli uomini che hanno quella speciale
sensibilità d’animo. Sono talmente rari! Per me
sono gli Uomini con la U maiuscola. Hanno un modo diverso di vedere il
mondo, più umile e più rispettoso. So che la
società di oggi misura la forza di un uomo dal suo livello
economico e di potere ma i soldi ti proteggono solo dalla fame e non
dalla solitudine. Un uomo vero non avrà molto da offrirti ma
ti saprà rispettare perché è abituato
a rispettare il mondo in cui abita. Capisci cosa intendo?
>>, finì con voce sicura.
Annuii ancora prima di parlare, intenta ad ammirare il viso emozionato
di mia madre e la fermezza della sue parole.
<<
Ho capito, mamma >>, le sorrisi, lasciandole andare la
mano per accomodarmi meglio sulla sedia.
Rimanemmo per poco tempo in silenzio, continuando a consumare la nostra
colazione.
<<
Comunque non ho nulla di cui rimproverarti, a parte il fatto che tu
abbia parlato di me a Michael. Non voglio nemmeno immaginare che cosa
gli hai detto, non avresti dovuto farlo, non ce n’era motivo
>>.
Si sporse un poco in avanti ed io appresso a lei.
<<
Tesoro non gli ho detto nulla di così personale, se
è questo quello che ti preoccupa. E comunque è
stato lui a chiedermi di te >>.
<<
Cosa?! >>, esclamai esterrefatta. Mi suonava talmente
assurdo ed incomprensibile, mi aveva lasciata spiazzata ed immobile sul
posto.
Annuì vigorosamente con la testa, poggiando i gomiti sul
tavolo.
<<
Si, mi ha chiesto di te dopo che ti eri rifiutata di avvicinarti a noi
sotto nostro invito. Devi averlo stupito. Se ci pensi è
stato circondato tutta la serata da persone che gli facevano domande
improponibili, sguardi che lo seguivano ovunque. La gente faceva a gara
per avvicinarsi il più possibile e parlare con lui; tu
invece ti sei addirittura allontanata di tua spontanea
volontà, rifiutando il suo invito. Devi essere stata
l’unica a non avergli chiesto l’autografo a fine
serata. Non è una cosa da poco >>.
Ascoltandola mi resi conto che le sue parole avevano un certo senso.
Era chiaro che dovevo aver scatenato qualche sospetto e una buona dose
di curiosità. Alla fine il mio piano di passare del tutto
inosservata, lontana dall’origine della mia irritazione, mi
si era addirittura rivoltato contro e la cosa non mi stupiva nemmeno.
Sembrava che me le cercassi, ogni volta. Stavo cominciando ad abituarmi.
<<
Sorpresa? >>, sentii chiederle.
Feci di no con la testa, assorbita dai miei pensieri.
<<
Cosa ti ha chiesto di preciso? >>.
<<
All’inizio si è premurato di sapere se avesse
detto o fatto qualcosa che avesse potuto darti fastidio. Ma dopo averlo
rasserenato asserendo che lui non c’entrava nulla, mi ha
chiesto la causa di quell’aria triste in un giorno di festa.
Tranquilla, non gli ho rivelato nulla di sconveniente, ma non deve
essere rimasto molto convinto visto che, a quanto pare, si è
interessato molto a te >>.
Finì con un ultimo sorso la sua tazza di caffè e
si alzò dal tavolo.
<<
Ma perché proprio a me? Ero la persona meno indicata con cui
parlare quella sera. Volevo soltanto starmene da sola e di certo non
l’ho nascosto, quindi perché avrebbe dovuto
disturbare proprio me? >>.
<<
Non credo che disturbare sia il verbo adatto. Ad ogni modo, di solito
si “disturba” chi sentiamo più affini al
nostro essere. Chi ci ricorda parti preponderanti o nascoste del nostro
vero io. Deve aver visto un po’ di se stesso in quei tuoi
occhi verdi >>.
Spostai lo sguardo accigliato sulla sedia rimasta vuota, davanti a me.
Il pensiero di avere lati in comune, aspetti non del tutto felici che
tormentavano sia me che lui, mi era già piombato addosso
quella sera all’orfanotrofio. L’avevo visto fragile
come una foglia appena staccata dal ramo, ancora in volo, ignara di
come sarà l’atterraggio. Ma la prospettiva che
fosse invece lui a vedere la mia fragilità era stato solo un
pensiero fugace, a cui non avevo dato molto peso. Io osservavo molto,
ma quella sera non avevo osservato abbastanza. Forse aveva fatto di me
il suo oggetto di studio come io l’avevo studiato per tutto
il tempo che era trascorso. Ed era riuscito a scoprire qualcosa,
furbescamente. Doveva essere un maestro in questo, molto più
di me che mi vantavo di sapere come chiudere al di fuori qualsiasi
emozione e qualsiasi cedimento.
<<
Isabella? >>.
A fatica tornai a riporre l’attenzione su mia madre.
<<
Che c’è? >>.
<<
Vorrei che adesso mi aiutassi a preparare il pranzo, prima che arrivino
gli ospiti. E vorrei che non ti preoccupassi molto di ciò
che è successo alla festa – si girò a
guardarmi, seria come non l’avevo mai vista - In fondo Isa,
è Michael Jackson, non lo rivedremo mai più
>>.
L’avevo già detto anch’io una volta,
dopo averlo incontrato. La prima volta fu una consapevolezza che
riuscì a rasserenarmi; questa volta si tramutò in
qualcosa di pesante, perché quando mi alzai per aiutare mia
madre, mi sentii schiacciata dal solo pensiero.
***
Quel
Natale passò più velocemente del previsto, tra
chiacchiere e strani pensieri che sbucavano fuori nei momenti meno
opportuni.
Era stata una settimana piuttosto bizzarra, piena di eventi, come non
mi capitava da una vita; ero stata costretta ad assumerne il ritmo
frenetico e alla fine, mentre parcheggiavo nel vialetto di casa mia,
tutto lo stress accumulato sembrò ricadermi sulle spalle,
inavvertitamente.
Chiusi la macchina e mi incamminai piano, non avevo fretta di lasciarmi
il freddo dietro, anzi era piacevole avvertirlo sotto il pesante
giubbotto, mi aiutava a tenere lucida la mente.
Fu solo per semplice abitudine che controllai la cassetta della posta.
Non ricevevo molte lettere di entità affettiva, per lo
più si trattava delle immancabili bollette da pagare, di
quelle che si trovavano a bizzeffe ormai.
Anche stavolta me ne ritrovai una in mano, ma fu l’unica,
perché le altre due non avevano nulla a che vedere con la
prima.
Una di esse mi era stata inviata dall’ UCLA,
l’università di Los Angeles.
Strano,
pensai. Non avevo più rapporti con loro da circa un anno,
quando finii un corso di specializzazione nel campo in cui avevo
studiato ed ora lavoravo: medicina veterinaria.
Tuttavia, non mi soffermai a prestarle la giusta considerazione, un
pacco confezionato con un fiocco rosso di seta e la carta lucida color
oro, aveva attirato il mio interesse.
Aveva l’aspetto di un regalo e certamente doveva essere
così, considerando il periodo natalizio. Non avevo mai
ricevuto un regalo via posta, stavo morendo dalla voglia di scoprire
cosa ci fosse dentro e chi lo avesse spedito.
Dimenticai il freddo alle spalle e raggiunsi in fretta
l’interno dell’abitazione.
Buttai incurante le altre lettere sul tavolino dinanzi al divano ed
osservai il regalo.
Non c’era nessun biglietto, nessun nome scritto sulla carta
elegante che avvolgeva l’oggetto misterioso.
Dentro di me scalpitavo per sapere di cosa si trattasse, eppure lo
scartai piano e con cura, attenta a non rovinare qualsiasi cosa ci
fosse all’interno.
L’oggetto si rivelò essere un libro dal titolo
tanto semplice quanto accattivante.
Recitava: “La meccanica del cuore” di Mathias
Malzieu.
Non ne avevo mai sentito parlare.
Mi presi pochi attimi per ammirare la copertina deliziosamente
disegnata e poi lo aprii.
Quando vidi delle frasi scritte a penna capii che la risposta si
trovava in quelle poche righe.
Lessi:
Mi
sono immerso in questo libro
E ne ho letto la magia.
Della meccanica del cuore
Sono solo un novello anch’io
Ma la storia che leggerai
Ti stringerà forte proprio nel petto
E spero che tra le frasi di queste pagine
Troverai un po’ di te stessa
E di ciò che vorresti essere.
Ti voglio bene.
Lessi
ancora, e ancora, e ancora. E dopo l’ennesima volta mi
convinsi di ciò che avevo tra le mani, di essere sveglia nel
salotto di casa, di non stare a sognare.
Di lì fino al momento in cui mi addormentai, non pensai ad
altro.
*Spazio
autrice:
Se non avete mai letto questo libro … LEGGETELO!
È stupendo, segue uno stile di scrittura fantasioso, sembra
di immergersi nelle atmosfere tenebrose di un film di Tim Burton. Lo
consiglio vivamente.
Detto questo non ho altro da aggiungere, se non grazie, come sempre,
della lettura.
Un abbraccio,
Martina.