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Autore: Porsche    07/09/2015    2 recensioni
"Ok, ti dirò quello che ho capito di te dopo la discussione con tua madre. Ma se ci azzecco, allora devi essere sincera e dirmelo, d'accordo?".
Feci cenno di si con la testa, curiosa di sapere che cosa avrebbe detto riguardo la sottoscritta.
"Ho capito che sei una persona introversa, che difende il suo mondo interiore attraverso una corazza. Che preferisce restare nell'ombra, invisibile agli occhi degli altri, come se fossi soltanto anima e non corpo. Che non ha dei sogni nel cassetto per cui impiegare tutte le proprie forze, ma che si lascia trasportare dalla vita, come se non le appartenesse... E credo... di aver intravisto una ferita di molti anni fa che la corazza non è riuscita a rimarginare, ma che è ancora lì, ad attendere di essere guarita".
Non mi girai a guardarlo nemmeno una volta.
Ero stata sconfitta e ciò era umiliante.
Ma quello che volevo nascondere erano le lacrime che continuavano a scendere senza che niente e nessuno potesse fermarle.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dietro ad un sorriso

Capitolo 5 – Between mother and  daughter

 

 

 

Fu tra i timidi raggi del sole invernale, filtrati dolcemente dalla finestra chiusa, che mi risvegliai il giorno di Natale.
Stiracchiandomi per sciogliere la tensione dei muscoli e rilassata grazie a un sonno ristoratore, mi sentii quasi in pace con me stessa.
Ero pronta a scendere di sotto e preparare il pranzo - perché si sa, quello di Natale si inizia rigorosamente di mattina - ma le mattine d’inverno sono fatte apposta per godere di quel torpore riscaldante, ed io faticavo a lasciarlo andare.
Mi trovavo nella mia vecchia stanza a casa di mia madre, sdraiata sul mio minuscolo letto da una piazza a guardare il color pesca del soffitto. Erano ormai parecchi anni che non vivevo in quella casa, la vita al college l’avevo trascorsa in un dormitorio universitario e, successivamente, avevo preso in affitto la mia attuale residenza.
Tuttavia, tutto ciò che arredava la mia vecchia cameretta era lì intorno a me, completamente intatto, e nostalgico come un tuffo al cuore. Avevo sempre considerato strano e piuttosto contraddittorio il fatto che, nonostante fossi rimasta così attaccata al passato, avessi infine deciso di andare a vivere da sola.
In fondo, non era nel mio carattere.
Avevo la mania di conservare tutto quello che per me aveva avuto un rilevante significato nella mia vita, che facesse parte di un bello o di un cattivo ricordo. Di sicuro non sfioravo nemmeno il livello patologico ma avevo sempre avvertito una certa angoscia nel buttare le cose. Era il gesto a sconcertarmi, aveva la stessa potente brutalità dell’abbandono.
Quindi, quando mi trasferii nella mia nuova casa, mi ci volle del tempo per capire che il passato avrebbe vissuto per sempre nei ricordi della mia memoria, prima ancora che attraverso una foto cartacea o un oggetto materiale. A quel punto fu come ritrovare me stessa, dopo avermi creduta persa, e cominciai a costruire nuovi ricordi nella mia nuova vita.
Ma la vigilia di Natale tornavo sempre a dormire da mia madre, trascorrendo insieme quella serata speciale davanti al camino scoppiettante della sala, sedute sul divano a guardare un bel film con in mano un bicchiere di vino rosso e la nostra reciproca compagnia.
Erano momenti che, ripetuti nel tempo, assumevano la stessa esplosiva emozione che si prova nell’attesa impaziente di un evento segnato sul calendario; sai che arriverà ma conti i giorni e poi le ore, e ti sembrerà sempre troppo lontano.
Allo stesso modo aspettai l’arrivo dolce alle mie narici del profumo di pancakes alla vaniglia e l’odore amaro, ma così rassicurante, del caffè. Per me era l’odore di casa.
Sorrisi quando ne avvertii i primi sentori.

Mi alzai svogliatamente, cercando invano di reprimere i numerosi brividi che avevano invaso la pelle.
L’immagine di mia madre seduta a sorseggiare il suo caffè con in mano il quotidiano locale, mi riempì all’istante il cuore di familiarità, e quando incrociammo gli occhi ci salutammo, complici, silenziosamente.
Trovai tutto apparecchiato per fare colazione, come succedeva quando ancora abitavo con lei.
   << Pronta a cucinare, Isa? >>.
   << Lo sai che non mi tiro mai indietro davanti ai fornelli >>, risposi, prendendo un pezzo di pancake e assaporandone il gusto.
   << Oh lo so bene, è così più o meno da quando eri piccolissima. Solo che allora quello che cucinavi andava a finire nel secchio dell’immondizia, mentre adesso sei una cuoca formidabile >>.
   << Per caso stai cercando di comprarmi per far cucinare tutto a me? >>, domandai, assottigliando gli occhi.
   << Certo che no, stavo solamente constatando l’evidenza. Ti manca soltanto trovare marito >>, rise, spudoratamente.
Roteai gli occhi, certe allusioni me le propinava da una vita oramai. Per lei doveva apparire tutto facile, evidentemente. Da come parlava di certi argomenti sembrava che non ci fossero ostacoli di alcuna sorta per la realizzazione di quello che diceva. Ero solita risponderle che la felicità non si conquista così facilmente con lo schiocco delle dita, ma da tempo ormai mi limitavo a lasciarla parlare liberamente, aspettando con pazienza il momento in cui avrebbe capito che anche quella volta non gliela avrei data vinta.
Finii di bere il mio caffè con una punta di soddisfazione nel sentire il caldo della bevanda contrastare il freddo della mattina.
Ero pronta a mettermi a lavoro, e stavo per farlo, se non che gli occhi di mia madre fissi su di me mi immobilizzarono sulla sedia.
   << Che c’è? >>.
   << Pensavo che mi avresti rimproverata, che mi avresti urlato contro per averti costretta ad incontrare qualcuno di cui non hai mai voluto nemmeno nominare il nome. E invece niente, da quando ci siamo viste non ne hai mai fatto parola >>.
   << Non avevo molto da dire >>.
Spostò per poco gli occhi al soffitto, liberando una piccola risata sarcastica.
   << Oh andiamo Isabella, sono tua madre. La cosa potrà darti fastidio, in fondo sei sempre stata una ribelle, ma la verità è che ti conosco abbastanza da capire che qualcosa è cambiato, seppur in minima parte. Scommetto che non era quello che ti aspettavi, non era poi quel mostro che avevi sempre immaginato fosse >>.
Cominciava ad andarmi scomoda quella conversazione, soprattutto perché fino ad allora non aveva sbagliato di una virgola. Ma ammetterlo proprio a colei alla quale avevo sempre dichiarato il contrario mi suonava quasi come una sconfitta; l’orgoglio era pronto a difendersi a qualsiasi costo e con qualsiasi scusa.
   << È vero, ma ci sono persone che sanno fingere molto bene la loro parte e - >>.
   << Come te in questo momento >>, mi interruppe all’istante ed io rinunciai a finire la frase.
Mi limitai a guardarla, mettendo leggermente il broncio.
Era inutile combattere contro chi di te conosceva ogni singolo aspetto. Sarebbe stata una battaglia persa in partenza.
   << Mi arrendo – abbassai il tono di voce, non avevo più nulla da dimostrare – Michael è stato molto gentile quella sera. Ammetto che ci sono state cose sul suo conto che mi hanno stupito ed incuriosito, come il discorso sull’infanzia e sul fatto che lui non ne abbia mai posseduta una. Non ho nemmeno trovato tratti della Star schiva e pazzoide che i giornali hanno sempre dipinto sui loro articoli. Ma sono dell’opinione che poche ore non bastino per conoscere a fondo una persona. Nonostante l’idea che ho avuto su di lui durante la festa di Natale, strida con l’immagine del pedofilo con la quale l’ho sempre rappresentato, è pur vero che molte cose possono essere state forzate ed inventate >>.
Le ultime parole gracchiavano persino alle mie orecchie, ma non erano poi tanto sbagliate. Si trovavano maschere ed apparenza costantemente in giro, nelle persone comuni, quindi perché mai una persona dello spettacolo non avrebbe dovuto fingere un ruolo che non gli apparteneva?
   << Di tutta quella serata, è questa la tua conclusione? >>, domandò e dal tono che usò mi costrinse a riporle tutta la mia attenzione.
   << Si, perché? >>. Alzai un sopracciglio in fare interrogativo e confuso.
   << Niente … è una conclusione fredda, mi lascia spiazzata >>.
Sperai di aver sentito male.
   << Ma davvero? E cosa pensavi, che da un momento all’altro avrei cambiato completamente opinione su di lui? Non sono così sciocc - >>, non mi lasciò finire.
   << L’hai visto negli occhi? Hai fatto ciò che ti dissi, hai provato a guardare oltre? >>, il tono alto di voce era più implorante che adirato.
Mi zittii e lasciai che le sue parole facessero emergere il ricordo di un viso divenuto familiare.
Esplose senza preavviso nella mia mente e ne subii inerme gli effetti.
Sapevo cosa esprimevano quegli occhi, era talmente evidente che neppure io ero riuscita a negarne il tormento che affliggeva la loro vista. Non ero cieca e nemmeno così cinica da denigrare una tale condizione di solitudine e di esasperazione. No, non avrei mai potuto affermare il contrario dopo che quella tristezza un po’ mi era stata raccontata.
Mia madre aveva ancora lo sguardo fisso su di me, e non capivo se fosse di rimprovero o per delusione. Mi infastidiva in entrambi i casi.
   << Credi che non l’abbia fatto? Mi ci sono imbattuta in quegli occhi più del dovuto – stavo quasi per annegarci dentro – e ho visto che ci sono sofferenze più profonde di quelle che avrei immaginato, radicate nel passato e non più removibili. Non credere che io non abbia forza e volontà necessari che guardare oltre, molte volte certi pensieri me li tengo solo per me e risulto fredda, ma la realtà è ben diversa >>. Il tono calmo e neutro con cui le risposi, stupì anche me.
   << Oh tesoro >>, spostò la mano in direzione della mia, stringendola dolcemente, un gesto così caloroso che mi rasserenò all’istante. << Lo so bene questo. Vorrei solamente che ti sforzassi di parlare di più, il nostro rapporto è molto cambiato negli ultimi anni. So che tante cose non torneranno come prima ma certe volte mi manca quella ragazza solare e avventurosa che mi faceva preoccupare, e mi mancano le lunghe chiacchierate tra noi due sole. Certe volte mi manca mia figlia >>.
Strinsi le labbra per contenere le emozioni.
Adesso capii che lo sguardo di prima era di delusione.
Voleva sua figlia indietro ed io glielo negavo in continuazione.
Anche io ero delusa da me stessa.
   << Scusami, io ci sto provando, davvero. Ci proverò ancora di più a lasciarmi andare, ok? >>, risposi con forza alla sua stretta di mano, volevo infonderle un po’ di speranza, ma le mie dita sembrava stessero per tremare, e forse non riuscii a sembrare così fiduciosa come volevo essere.
Tuttavia mia madre sorrise sincera e soddisfatta di quelle poche parole. Aveva completa fiducia in me, l’aveva sempre avuta, ed anche se così non fosse stato avrebbe cercato di infonderla in me, perché mai mi avrebbe abbandonata.
Questa era una delle poche certezze della mia vita.
   << Tu sei innamorata di quell’uomo, non è vero? >>, le chiesi per spezzare la tensione ed anche desiderosa di togliermi una curiosità da tempo avuta.
La sentii ridere di gusto, per nulla imbarazzata, solo realmente divertita.
   << Ebbene si, lo ammetto! Ma non nel senso che intendi tu. Io sono innamorata degli uomini che hanno quella speciale sensibilità d’animo. Sono talmente rari! Per me sono gli Uomini con la U maiuscola. Hanno un modo diverso di vedere il mondo, più umile e più rispettoso. So che la società di oggi misura la forza di un uomo dal suo livello economico e di potere ma i soldi ti proteggono solo dalla fame e non dalla solitudine. Un uomo vero non avrà molto da offrirti ma ti saprà rispettare perché è abituato a rispettare il mondo in cui abita. Capisci cosa intendo? >>, finì con voce sicura.
Annuii ancora prima di parlare, intenta ad ammirare il viso emozionato di mia madre e la fermezza della sue parole.
   << Ho capito, mamma >>, le sorrisi, lasciandole andare la mano per accomodarmi meglio sulla sedia.
Rimanemmo per poco tempo in silenzio, continuando a consumare la nostra colazione.
   << Comunque non ho nulla di cui rimproverarti, a parte il fatto che tu abbia parlato di me a Michael. Non voglio nemmeno immaginare che cosa gli hai detto, non avresti dovuto farlo, non ce n’era motivo >>.
Si sporse un poco in avanti ed io appresso a lei.
   << Tesoro non gli ho detto nulla di così personale, se è questo quello che ti preoccupa. E comunque è stato lui a chiedermi di te >>.
   << Cosa?! >>, esclamai esterrefatta. Mi suonava talmente assurdo ed incomprensibile, mi aveva lasciata spiazzata ed immobile sul posto.
Annuì vigorosamente con la testa, poggiando i gomiti sul tavolo.
   << Si, mi ha chiesto di te dopo che ti eri rifiutata di avvicinarti a noi sotto nostro invito. Devi averlo stupito. Se ci pensi è stato circondato tutta la serata da persone che gli facevano domande improponibili, sguardi che lo seguivano ovunque. La gente faceva a gara per avvicinarsi il più possibile e parlare con lui; tu invece ti sei addirittura allontanata di tua spontanea volontà, rifiutando il suo invito. Devi essere stata l’unica a non avergli chiesto l’autografo a fine serata. Non è una cosa da poco >>.
Ascoltandola mi resi conto che le sue parole avevano un certo senso. Era chiaro che dovevo aver scatenato qualche sospetto e una buona dose di curiosità. Alla fine il mio piano di passare del tutto inosservata, lontana dall’origine della mia irritazione, mi si era addirittura rivoltato contro e la cosa non mi stupiva nemmeno. Sembrava che me le cercassi, ogni volta. Stavo cominciando ad abituarmi.
   << Sorpresa? >>, sentii chiederle.
Feci di no con la testa, assorbita dai miei pensieri.
   << Cosa ti ha chiesto di preciso? >>.
   << All’inizio si è premurato di sapere se avesse detto o fatto qualcosa che avesse potuto darti fastidio. Ma dopo averlo rasserenato asserendo che lui non c’entrava nulla, mi ha chiesto la causa di quell’aria triste in un giorno di festa. Tranquilla, non gli ho rivelato nulla di sconveniente, ma non deve essere rimasto molto convinto visto che, a quanto pare, si è interessato molto a te >>.
Finì con un ultimo sorso la sua tazza di caffè e si alzò dal tavolo.
   << Ma perché proprio a me? Ero la persona meno indicata con cui parlare quella sera. Volevo soltanto starmene da sola e di certo non l’ho nascosto, quindi perché avrebbe dovuto disturbare proprio me? >>.
   << Non credo che disturbare sia il verbo adatto. Ad ogni modo, di solito si “disturba” chi sentiamo più affini al nostro essere. Chi ci ricorda parti preponderanti o nascoste del nostro vero io. Deve aver visto un po’ di se stesso in quei tuoi occhi verdi >>.
Spostai lo sguardo accigliato sulla sedia rimasta vuota, davanti a me.
Il pensiero di avere lati in comune, aspetti non del tutto felici che tormentavano sia me che lui, mi era già piombato addosso quella sera all’orfanotrofio. L’avevo visto fragile come una foglia appena staccata dal ramo, ancora in volo, ignara di come sarà l’atterraggio. Ma la prospettiva che fosse invece lui a vedere la mia fragilità era stato solo un pensiero fugace, a cui non avevo dato molto peso. Io osservavo molto, ma quella sera non avevo osservato abbastanza. Forse aveva fatto di me il suo oggetto di studio come io l’avevo studiato per tutto il tempo che era trascorso. Ed era riuscito a scoprire qualcosa, furbescamente. Doveva essere un maestro in questo, molto più di me che mi vantavo di sapere come chiudere al di fuori qualsiasi emozione e qualsiasi cedimento.
   << Isabella? >>.
A fatica tornai a riporre l’attenzione su mia madre.
   << Che c’è? >>.
   << Vorrei che adesso mi aiutassi a preparare il pranzo, prima che arrivino gli ospiti. E vorrei che non ti preoccupassi molto di ciò che è successo alla festa – si girò a guardarmi, seria come non l’avevo mai vista - In fondo Isa, è Michael Jackson, non lo rivedremo mai più >>.
L’avevo già detto anch’io una volta, dopo averlo incontrato. La prima volta fu una consapevolezza che riuscì a rasserenarmi; questa volta si tramutò in qualcosa di pesante, perché quando mi alzai per aiutare mia madre, mi sentii schiacciata dal solo pensiero.

 

***

 

Quel Natale passò più velocemente del previsto, tra chiacchiere e strani pensieri che sbucavano fuori nei momenti meno opportuni.
Era stata una settimana piuttosto bizzarra, piena di eventi, come non mi capitava da una vita; ero stata costretta ad assumerne il ritmo frenetico e alla fine, mentre parcheggiavo nel vialetto di casa mia, tutto lo stress accumulato sembrò ricadermi sulle spalle, inavvertitamente.
Chiusi la macchina e mi incamminai piano, non avevo fretta di lasciarmi il freddo dietro, anzi era piacevole avvertirlo sotto il pesante giubbotto, mi aiutava a tenere lucida la mente.
Fu solo per semplice abitudine che controllai la cassetta della posta. Non ricevevo molte lettere di entità affettiva, per lo più si trattava delle immancabili bollette da pagare, di quelle che si trovavano a bizzeffe ormai.
Anche stavolta me ne ritrovai una in mano, ma fu l’unica, perché le altre due non avevano nulla a che vedere con la prima.
Una di esse mi era stata inviata dall’ UCLA, l’università di Los Angeles.

Strano, pensai. Non avevo più rapporti con loro da circa un anno, quando finii un corso di specializzazione nel campo in cui avevo studiato ed ora lavoravo: medicina veterinaria.
Tuttavia, non mi soffermai a prestarle la giusta considerazione, un pacco confezionato con un fiocco rosso di seta e la carta lucida color oro, aveva attirato il mio interesse.
Aveva l’aspetto di un regalo e certamente doveva essere così, considerando il periodo natalizio. Non avevo mai ricevuto un regalo via posta, stavo morendo dalla voglia di scoprire cosa ci fosse dentro e chi lo avesse spedito.
Dimenticai il freddo alle spalle e raggiunsi in fretta l’interno dell’abitazione.
Buttai incurante le altre lettere sul tavolino dinanzi al divano ed osservai il regalo.
Non c’era nessun biglietto, nessun nome scritto sulla carta elegante che avvolgeva l’oggetto misterioso.
Dentro di me scalpitavo per sapere di cosa si trattasse, eppure lo scartai piano e con cura, attenta a non rovinare qualsiasi cosa ci fosse all’interno.
L’oggetto si rivelò essere un libro dal titolo tanto semplice quanto accattivante.
Recitava: “La meccanica del cuore” di Mathias Malzieu.
Non ne avevo mai sentito parlare.
Mi presi pochi attimi per ammirare la copertina deliziosamente disegnata e poi lo aprii.
Quando vidi delle frasi scritte a penna capii che la risposta si trovava in quelle poche righe.
Lessi:

 
Mi sono immerso in questo libro
E ne ho letto la magia.
Della meccanica del cuore
Sono solo un novello anch’io
Ma la storia che leggerai
Ti stringerà forte proprio nel petto
E spero che tra le frasi di queste pagine
Troverai un po’ di te stessa
E di ciò che vorresti essere.

 Buon Natale Isabella,
Ti voglio bene.

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Lessi ancora, e ancora, e ancora. E dopo l’ennesima volta mi convinsi di ciò che avevo tra le mani, di essere sveglia nel salotto di casa, di non stare a sognare.
Di lì fino al momento in cui mi addormentai, non pensai ad altro.


 

*Spazio autrice:

Ho un appunto importantissimo da fare.
Se non avete mai letto questo libro … LEGGETELO!
È stupendo, segue uno stile di scrittura fantasioso, sembra di immergersi nelle atmosfere tenebrose di un film di Tim Burton. Lo consiglio vivamente.
Detto questo non ho altro da aggiungere, se non grazie, come sempre, della lettura.
Un abbraccio,
Martina.

  
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