Serie TV > Da Vinci's Demons
Segui la storia  |       
Autore: _armida    09/09/2015    1 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo X: Il Cuore d'Argento

La biblioteca d'Alessandria. Fantasmi, tanti fantasmi che, come in una grande processione, si dirigevano verso il fondo. Un gruppo di donne con gli occhi azzurri e i capelli biondi, proprio come lei. Portavano al collo un ciondolo come il suo. Altri uomini con la chiave di Leonardo. Altri ancora un'altra chiave, simile a quella; la gemella da unire per aprire la Volta Celeste. 
"Le vostre antenate", disse il Turco alle sue spalle quando una di quelle donne le sorrise. Che diamine di sogno era quello? Elettra non ci stava capendo niente.
Uno spiazzo, in mezzo  a tutti quegli scaffali. Ecco dove erano finite tutte quelle ombre! Raccolte intorno ad un mosaico rappresentante Mitra. Identico ad una delle facce della moneta d'oro. Zenodoto al centro, recitva strane formule di rito. "Che rito?" "Per scacciare le corna dell'increato", le dava sui nervi sentire Al-Rahim parlare per metafore. Un gruppo di uomini fece il suo ingresso tirando un toro per le corna. I ciondoli a forma di cuore si misero a brillare, alcuni di una luce violetta, altri blu. Anche quello di Elettra si illuminò. Un cavaliera fece il suo ingresso nel mosaico, teneva una lunga spada in mano. Recise di netto la gola del toro. Il sangue ancora caldo imbrattava il pavimento colorato. "Per capirne il significato dovete solo leggere"
Buio.

 
***
Il giorno seguente...

Elettra stava sbraitando ordini a destra e a manca. Quella sera si sarebbe tenuto un banchetto in maschera. Il tema era 'Il Giardino dell'Eden' e, tenendo fede ad esso, la sala dei ricevimenti si sarebbe trasformata in una lussureggiante foresta. Aveva ordinato ogni genere di pianta e fiore conosciuto e, a Lorenzo, sarebbe venuto un colpo quando avrebbe scoperto quanto aveva speso.
Le alte colonne era state ricoperte da lunghi rami d'edera, che si arrampicavano su di esse in ampi vortici; vi erano ovunque colorati festoni floreali e vasi contenenti splendide ochidee. Anche le scalinate, erano diventate come dei piccoli cespugli verdi.
Nonostante quello non fosse decisamente il momento, non riusciva a non pensare allo strano sogno di quella notte.

A Giuliano venne da ridere. Non aveva ancora messo piede nella sala dei ricevimenti, eppure sentiva già Elettra urlare.
Quando arrivò, la ritrovò pericolosamente in bilico sul corrimano della scalinata pricipale, intenta a combinarne una delle sue. Indossava una gonna, il chè la rendeva ancora meno agile. Se fosse caduta di sotto, si sarebbe di certo rotta l'osso del collo.
"Stai cercando di ucciderti?", le disse preoccupato appena l'ebbe raggiunta.
"Fabrizio non voleva farlo. Mi ha chiaramente detto di arrangiarmi", gli rispose mentre si sporgeva ancora di più. Stava tentando di attaccare un festone.
"Fabrizio è più furbo di te", ribattè ironico il giovane de Medici tenendole la gonna. Se avesse perso l'equilibrio, magari avrebbe fatto in tempo a prenderla al volo.
"Fatto". Giuliano si sentì molto sollevato e, senza pensarci due volte, la tirò verso di sè prendendola poi in braccio. 
Elettra rise.
"Non dovresti già essere a casa a prepararti?", le chiese mentre la metteva a terra.
"Adesso vado, dovevo solo sbrigare le ultime cose". Gli diede un veloce bacio sulla guancia e cominciò a scendere i gradini. Arrivata circa a metà, si arrestò, per poi tornare indietro.
"Ci stavamo dimenticando della nostra scommessa", gli disse. Elettra e Giuliano, in occasione di qualche festa a palazzo che richiedesse un travestimento, adoravano scommettere sui costumi di alcuni invitati. Chi perdeva pagava da bere al vincitore.
"Tu, da Eva", disse lui. Elettra sorrise. Non avrebbe mai indovinato la sua maschera.
"Francesco Pazzi, da cervo o da ratto".
Il giovane de Medici si mise a ridere. "Fa già il cornuto tutto l'anno. Grazie a sua moglie Allegra passa a stento dal portone del Duomo!", disse tra una risata e l'altra, "Non penso proprio che si vestirà così. Ho già la vittoria in pugno!"
"Lucrrezia Donati e suo marito, coppia cervo-cerbiatta", continuò Elettra imperterrita, " E Riario senza costume, con la sua solita divisa. Andata?". Gli tese la mano, per suggellare la loro scommessa.
"Andata", disse Giuliano stringendole la mano. Poi la tirò a sè, baciandole la guancia.

Girolamo Riario era stufo di stare nei suoi alloggi e così, dopo pranzo, aveva deciso di fare una passeggiata, per esplorare le meraviglie che quel palazzo offriva. Era sfarzoso, forse troppo per i suoi gusti, ma comunque bello. Dopo l'ennisima svolta, si ritrovò in cima ad un'ampia scalinata. Sotto di essa si apriva un'enorme sala e, a giudicare da tutta la servitù presente e indaffarata, doveva trattarsi del salone dei ricevimenti.
Il suo sgurdo fu presto catturato da due figure che si trovavano poco più sotto, su di un grande pianerottolo.
La donna era in piedi sul corrimano e sembrava in un equilibrio molto precario mentre l'uomo, la teneva goffamente per la gonna. Riconobbe subito Giuliano de Medici e la sua giovane amante. 
Dopo poco il de Medici la strattonò più forte, facendola cadere tra le sue braccia. La ragazza rise e la sua risata cristallina rieccheggiò nell'ampio spazio del salone. La vide baciarlo, davanti agli occhi di tutti. Il Conte non riusciva a capire come, all'interno di una corte, potessero essere permesse certe cose. A Roma, le amanti sbucavano nei letti dei potenti solo con il favore delle tenebre; non si facevano mai vedere in pubblico a quel modo. Firenze era una nota città di libertini ma mai si sarebbe aspettato una simile condotta, dai suoi signori.
Era geloso del giovane de Medici, ma non voleva ammetterlo.
Un servitore gli passò affianco. "Ci sarà anche lei alla festa?", gli chiese indicandogliela.
"Elettra? Non mancherebbe mai per nulla al mondo", rispose l'altro ridendo.
Elettra. Almeno ora sapeva il suo nome.
 
***

Mancavano ancora diverse ore alla festa e, finchè Leonardo non si fosse deciso ad arrivare per aiutarla, avrebbe potuto fare ben poco. Così, una volta a casa, Elettra pensò bene di fare un salto in quello che, in teoria, sarebbe dovuto essere il suo studio; in realtà quella grande stanza al primo piano era molto di più di uno studio: fungeva anche da biblioteca e da salotto. Ogni singola parete libera era stata ricoperta da eleganti scaffali in legno intarsiato traboccanti di libri. 
Appena entrati ci si trovava davanti un piccolo salotto, con due poltrone, un divano a due posti in broccato e un tavolino letteralmente sommerso di carte e pesanti volumi. Circa a metà della sala, altre due librerie facevano da separè tra la zona relax, ovvero il salotto, e la zona studio. In quest'ultima, faceva la sua bella figura una grande scrivania formata da una lucentissima lastra d'ambra racchiusa da una ricca cornice in legno scuro; qua e là il legno era stato ricoperto da lamine d'oro, per farne risaltare alcuni particolari. Intorno ad essa, vi erano altre tre poltrone, due più piccole, per gli ospiti, e una più grande, per la padrona di casa. L'intera sala era molto luminosa, grazie a due enormi finestroni.   
Elettra andò verso la zona studio. Aveva fatto mettere lì, i libri recuperati dalla biblioteca della madre. Essendo che le librerie erano ormai piene da tempo, tutti quei preziosi manoscrtitti erano stati appoggiati in ogni possibile spazio libero: i rotoli di pergamena e le tavolette d'argilla erano state sistemate sulle poltrone e alcuni tomi molto spesso erano finiti sulla scrivania, impilati in modo molto precario e minacciando di cadere da un momento all'altro. Ai diarietti di sua madre era andata decisamente peggio: di fianco ad una gamba del tavolo, messi uno sopra all'altro, avevano creato una torre non dissimile da quella pendente di Pisa. Elettra prese quello sulla cima, facendo ondeggiare pericolosamente il tutto; con il naso immerso tra i pensieri della madre andò verso i divano, dove si sdraiò. Imprecò, quando si accorse di essersi messa sopra ad una preziosa copia del Milione di Marco Polo; con tutta la delicatezza di cui era capace, lo mise a terra.
Si stancò presto di quel diario. Sperava che tra quelle pagine si facesse menzione ai Figli di Mitra, invece non ce n'era nenache l'ombra. Era delusa. Lo chiuse di scatto e lo lanciò sulla poltrona. Tornò alla scrivania e la sua attenzione fu catturata da uno spesso volume con la copertina in pelle nera. Era scritto in arabo. Si mise a sfogliarne alcune pagine a caso. Ad un certo punto, si ritrovò su du una pagina in cui era raffigurato un ciondolo. Il suo ciondolo.

"Elettra, sei qui?", chiese Leonardo entrando con circospezione in quello che gli era stato detto fosse uno studio, ma che aveva tutta l'aria di essere una versione da ricchi della sua bottega. "L'ultima volta che ho messo piede qui, lì c'era un tavolino", disse ironicamente indicando un cumulo di libri. Forse c'era ancora, nascosto là sotto. Non ricevette ancora risposta. "Tutto bene?", si stava preoccupando.
"Leonardo vieni qui!", urlò lei da oltre il separè.
Quando Da Vinci la raggiunse, notò che aveva la sua stessa espressione di quando gli veniva un'idea. Elettra lo guardava negli occhi, eppure era come persa in qualcosa di superiore e poi quel sorriso. Leonardo adesso capiva perchè quando era lui, a fare così, la gente si spaventava. In quel momento provava la stessa sensazione.
"Elettra, respira e siediti un attimo. Per favore"
"Non c'è tempo. Guarda!". Girò il manoscritto in modo che anche Da Vinci potesse vedere.
"Ma questo è..."
"Esattamente"
"E cosa dice di preciso?"
"Racconta la sua storia"
"Elettra è fantastico!", le disse stringendola forte a sè. Se prima era solo lei ad avere quell'espressione da pazza, ora erano in due. 

Secondo quello strano volume il ciondolo d'argento a forma di cuore che Elettra portava sempre al collo poteva essere aperto; lei invece non era d'accordo: erano anni che lo aveva con sè e se fosse stato possibile, se ne sarebbe di sucuro accorta prima.
"Prova ad aprirlo", le disse Leonardo per la milionesima volta. Cominciava a perdere la pazienza.
Elettra sbuffò sfilandoselo dal collo. Lo appoggiò malamente sul tavolo, facendo vibrare la bottiglia di liquore e i due bicchieri quasi vuoti poggiati su di esso. "Fai tu", gli disse facendolo scivolare sulla liscia superfice d'ambra.
Mentre Leonardo se lo rigirava tra le mani, studiandolo, Elettra continuava la sua lettura in arabo.
"Leonardo", disse ad un certo punto.
"Si?", rispose l'altro distratto.
"Passamelo". La voce di Elettra era estremamente seria. Aveva senz'altro scoperto qualcosa. Da Vinci scattò in piedi e fece il giro del tavolo, per ritrovarsi di fianco a lei; le porse il ciondolo, tradendo una certa impazienza. La fissò attentamente. Non voleva perdersi neanche un suo singolo movimento.
Elettra guardò ciò che aveva in mano con un certo timore. "Sono figlia della terra e del cielo stellato", sussurrò portandosi il ciondolo vicino alle labbra. Sul subito si sentì sollevata, notando che non succedeva assolutamente niente; quel libro diceva il falso. Non poteva essere altrimenti.
Sbiancò, quando dal piccolo oggetto che teneva in mano provenì un click, come di un meccanismo che si sblocchi. Il ciondolo si aprì in due metà: in ognuna delle due parti, era presente una cavità, coperta da una sottile lamina di vetro, contenente una piccola gemma; quella di sinistra era blu, quella di destra viola.
"Non è possibile", balbettò Elettra. Lo sguardo di Leonardo si spostava contuamente dalla faccia dell'amica, più pallida del solito, a ciò che essa teneva tra le sue mani tremolanti. Glielo passò alla svelta, come se fosse incandescente.
"E' incredibile... è come se riconoscesse le parole...". Leonardo, solitamente loquace, di parole non ne aveva. Quello che aveva appena visto gliele aveva fatte dimenticare tutte. "Questo è senza alcun dubbio un diamante", disse indicando la pietra blu, "Sono rarissimi di questo colore. E questa è un'ametista".
"Perchè sono così importanti per i Figli di Mitra? Leo tu cosa ne pensi?". Elettra era confusa e anche un po' spaventata. 
Leonardo non riuscì a finire a risponderle: Maria entrò nella stanza con aria seccata, interromperdo così i loro studi. "Arriverete in ritardo, se non vi decitede ad uscire da questa polverosa biblioteca!"


Nda 
Piccolo fuori programma che non avevo previsto, tanto per rendere la storia un po' più lunga di quanto già non sarà.
Mi farebbe molto piacere sentire i vostri pareri; questa è la prima  ff che pubblico e vorrei capire cosa va e cosa no, per poter migliorarmi in futuro
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Da Vinci's Demons / Vai alla pagina dell'autore: _armida