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Autore: SabrinaSala    10/09/2015    8 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
Capitoli:
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Capitolo 9 – Penitenza
 
 


Johannes si prostrò.
Le ginocchia a contatto con l’impiantito gelido.
Gli occhi fissi a terra. Raccolto nell’abbraccio profumato di incenso della piccola cappella, come nel ventre materno.
La luce tremula delle candele occhieggiava, a tratti, infrangendo la penombra silenziosa. Dalle pareti, immagini di Santi gli rivolgevano occhiate fugaci. A lato dell’altare, la Vergine Maria e il suo carezzevole sorriso.
Colpevole, il soldato chinò maggiormente il capo. Riconoscendo tutta la solennità di quel refugium peccatorum. Le spalle curve, rivolte all’ingresso oltre il quale continuava, immutabile, la vita del monastero, col suo lento e melodioso salmodiare. Ignaro, o forse semplicemente indifferente al suo tormento.
L’aria fredda della cappella gli penetrava le ossa, attraverso i vestiti umidi.
Chiese perdono.  Mormorò una preghiera. Una supplica a fior di labbra. Ma nemmeno in quel momento, nell’attimo stesso della penitenza, riusciva a togliersi dalla mente gli occhi nocciola di Maddalena Aicardo… le sue labbra morbide.
Un conato e una stretta allo stomaco lo costrinsero a cacciare indietro quei pensieri peccaminosi. Strinse le palpebre. E la sua immagine si materializzò prepotente. Intensa e seducente. Come in quel vicolo. Sciocca ragazza dallo sguardo acceso di desiderio. Impertinente incantatrice.
Serrò la mascella e una ruga profonda si fissò tra le sopracciglia.
Ricordò la sua espressione. Il volto contratto in una smorfia incredula quando, afferrandola per un braccio, le aveva imposto il silenzio ringhiandole contro tutto il proprio disprezzo.
Disprezzo… pensò.
Non era piuttosto attrazione? Un’attrazione incontrollabile? Qualcosa che non aveva mai provato prima. Per nessuna. Facile confondersi…
Appoggiò il palmo aperto delle mani al pavimento, prostrandosi fin quasi a toccare la pietra con la fronte.
Che fosse l’uno o l’altro sentimento, non aveva importanza.
Non era tenuto a provarlo.
L’uno o l’altro significavano solo una cosa. Tradimento.
Tradimento nei confronti del vescovo, suo benefattore. Tradimento nei confronti del proprio incarico. Tradimento di ogni suo ideale.
Sospirò.
«Johannes…»
La voce pacata ma sorpresa di Justus lo investì come un alito di vento caldo. Poi il suo cuore si contrasse e il capitano avvertì di nuovo la morsa sgradevole del gelo.
Tradimento…
Decise di sfuggire gli occhi turchesi dell’amico.
Non si volse e Justus lo affiancò per poi inginocchiarsi al suo fianco.
«Non sapevo fossi qui», mormorò il chierico tra le mani congiunte «Perché non mi hai  mandato a chiamare? » domandò con voce sommessa e un sorriso atto a dissimulare la preoccupazione. Domandandosi il motivo che aveva portato Johannes a chiudersi in quella che era stata il loro rifugio fin da bambini. Lontano dagli occhi del mondo, lontano dalla Chiesa principale del monastero.
«Non ce n’era bisogno »,  rispose l’armigero, secco. «Hai altre cose da fare… Comunque, l’hai saputo lo stesso».
Justus si accigliò. Il tono del capitano lasciava intendere una scarsa volontà di renderlo partecipe. Si alzò, esortando l’amico a fare altrettanto.
«Non credo tu abbia così tanti peccati da scontare…» sorrise cercando i suoi occhi.
Johannes non rispose, rimanendo immobile.
Justus gli posò una mano sulle spalle. Fraterno e cameratesco.
Il suo fremito lo fece impallidire. Ritrasse la mano e la lasciò scivolare lungo il fianco magro.
Il capitano serrò la mascella, accorgendosi della sua reazione.  
Si volse finalmente a guardarlo e per un attimo i loro occhi si incrociarono. Quelli turchesi e indignati del chierico e quelli arrossati di chi non aveva dormito. O lo aveva fatto poco e male.
«Perché..? »
La voce di Justus, pallido come non lo aveva mai visto, riempì il silenzio della cappella di un tono grave e provocatorio, mentre lo sguardo,  adombrato da un sentimento molto simile all’ira, si spostava da lui alla statua della Vergine Maria.
Per tutta risposta,  anche l’armigero distolse lo sguardo. Tornando a fissare il pavimento. Sul volto, una maschera mista di imbarazzo e insolenza.
 
***
 
Le dita sottili di Justus si muovevano delicate e sapienti sulle larghe spalle martoriate di Johannes. La flagellazione alla quale il capitano si era sottoposto aveva lasciato un arabesco di tracce fresche dai bordi arrossati e a tratti sanguinanti.  
Seduto sullo sgabello di legno, stritolato dal silenzio che permeava quella piccola cella angusta e dall’indignazione di Justus, l’armigero lasciava che l’amico si prendesse cura di lui. Il sollievo dell’unguento applicato pazientemente sulle ferite gli strappò un sospiro silenzioso. Erano soli. Chiusi nell’alloggio spoglio e spartano del giovane monaco.
«Non mi piace quando non parli… » mormorò, sperando di infrangere la sua cortina di silenzio.
Justus sembrò rimanere indifferente al suo appello.  Non rispose subito, continuando a spalmare con dovizia il balsamo sulle ferite aperte.  Gli occhi chiari fissi sulle spalle muscolose e devastate dell’amico.
«Sei tu che hai qualcosa da dirmi… » ribatté infine, laconico. Senza accennare a smettere la medicazione.
Esasperato, Johannes gli afferrò un polso. Impedendogli ogni movimento.
Justus si decise a sostenere il suo sguardo. Le belle labbra sottili serrate per la disapprovazione.
Johannes intensificò la stretta.
«Provo cose… che non dovrei provare» confessò inaspettatamente l’armigero.
Per niente impressionato, Justus usò la mano libera per allentare la sua morsa.
Si pulì le mani con uno straccio di stoffa grezza e ripose il vasetto di balsamo su una mensola accanto al letto.
«Non mi sembra così grave…» rispose spazientito, dandogli le spalle.
«Sì, se quello che provo è per Maddalena Aicardo»
La voce profonda di Johannes aveva riempito la stanza. Soffocandola.
Justus si raddrizzò nelle spalle. Chinò leggermente il capo in avanti,  socchiudendo gli occhi. Schiuse le labbra, senza parlare. Dando forma a un pensiero recondito, nascosto in qualche punto lontano della sua coscienza. Tutto stava cominciando a chiarirsi…
«Anelo ogni suo sguardo… il suo respiro… La sua immagine mi tormenta» ancora la voce di Johannes. Roca e perentoria. Leggermente incrinata, eppure dura.
«Glielo hai detto? » domandò il chierico, senza voltarsi.
«No»
«Credi che lei ricambi? »
«No» mentì il soldato, istintivamente. Tacendo l’atteggiamento provocatorio della ragazza e il suo gesto sconsiderato, forse un gioco… Stupidamente teso a proteggerla. Evitando, se possibile, di comprometterla.  
«Desiderare una donna non è peccato…» osservò Justus, voltandosi finalmente a guardarlo. Carezzando con sguardo benevolo e sofferente la figura immobile sullo sgabello, le spalle nude, piegate in avanti, le braccia abbandonate sulle cosce, lo sguardo cupo. Ritrovando in quel giovane uomo scolpito l’immagine del compagno di infanzia.
Johannes si schermì con un sorriso cinico sulle belle labbra tese.
«Sì, se quella donna è la protetta del mio Vescovo e promessa a un altro uomo»
Justus inspirò profondamente. Il disagio del soldato era profondo e reale.
«Cosa pensi di fare? » si informò, temporeggiando. Cercando il modo di potergli offrire conforto.
«Aspettare… » affermò l’altro, alzandosi dallo sgabello e afferrando bruscamente i propri indumenti abbandonati sul letto.  «Tra non molto quella donna lascerà  Rosenburg per raggiungere il suo Marchese… e io sarò libero» sorrise ancora e in quel sorriso,  Justus ravvisò il tentativo di dissimulare l’amarezza.
«E’ così che pensi di occupare il tempo aspettando che se ne vada? » lo incalzò accennando alle spalle segnate dal flagello di cuoio.
Johannes terminò di vestirsi, reprimendo una smorfia di dolore.
«Temo di perdere il controllo…» tagliò corto.
Il chierico lo trafisse con uno sguardo carico di tensione e rimprovero.
«Non lo perderai » sostenne. Ma inaspettatamente Johannes lo afferrò per le spalle, fissandolo negli occhi con tutta l’esasperazione che gli covava dentro.
Il lieve ma inarrestabile vibrare delle sue narici, gli disse più di quanto avrebbe voluto sapere.  
«Non capisci, Justus! » ringhiò il capitano «Non penso a lei come a una Santa o a una sorella… » esitò, evitando di scendere nei dettagli «I suoi occhi mi danno il tormento. E’ come una febbre... Guardo quella donna e la desidero come non ho mai desiderato nessun’ altra…  La desidero in modo indegno. E’ un Inferno, Justus… E io sto bruciando tra le fiamme di quell’Inferno» Johannes mollò la presa e rise. Rise di gusto. Di se stesso e dell’amico che, chiaramente, non poteva capire. Poteva essere più sincero? Più schietto e preciso? Doveva spingersi oltre e parlargli del suo profumo? Delle sue labbra morbide e di quei capelli nei quali avrebbe tanto desiderato affondare le mani per stringerla e attirarla a sé? No, non poteva… per rispetto dell’amico e del suo abito talare.
Justus ne rimase turbato. La sua accorata confessione, lo colpiva.
«Capisco benissimo, invece…» mormorò a fior di labbra, insinuandosi tra le pieghe amare della sua risata. «Capisco meglio di quanto tu creda… » continuò, pensando a madonna Lena e alle sue parole. «Posso solo consigliarti di non darti tormento inutilmente…»
Cercò il suo sguardo, impossibilitato a confidare quel che sapeva e che ormai era certo di aver compreso. Deciso ad alleviare in qualche modo la sua sofferenza. Ma questo gli sfuggì, cinico e divertito.
Johannes si portò sulla soglia della cella. Fermandosi un istante prima di andarsene.
«Hai ragione…» mormorò piegando le labbra in un sorriso amaro. «Inutilmente»  ripeté l’ultima parola poi uscì a passo svelto. Senza che Justus avesse il tempo di replicare. Di Johannes rimaneva solo l’odore dell’unguento a saturare la stanza.
 
***
 
Heinrich prese posto accanto all’uomo che, seduto al banco della taverna, fissava immobile il boccale di birra scura che gli stava di fronte.
«Capitano» mormorò con un sorriso, passandosi una mano tra i capelli arruffati.
Johannes gli rivolse un’occhiata stanca. Afferrò il boccale e bevve  una sorsata abbondante del profumato liquido scuro.
«Sei tu, il capitano…» osservò poi con voce roca. «Non l’hai ancora capito? »
L’altro accentuò sorriso e ordinò rumorosamente da bere.
«Meglio non montarsi la testa, amico. Mantengo le buone abitudini aspettando che rientri nei ranghi» ridacchiò. Poi sollevò un sopracciglio, insolente. «Non adempi al tuo dovere di guardia del corpo, oggi? »
Johannes affondò nuovamente le labbra nella birra ormai calda e mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Heinrich si strinse nelle spalle.
«Devo forse aspettarmi di vederlo entrare di nuovo come una furia da quella porta, il tuo bel corpo? » sghignazzò, con un chiaro riferimento alle forme sinuose di madonna Lena.
Johannes si accigliò.
«Smettila» lo ammonì. Poi, con tono più pacato continuò:
«E’ stata convocata dal vescovo… Questioni personali»
L’altro non si lasciò scoraggiare.
«Dimmi la verità… » riprese con aria da cospiratore, dopo aver bevuto un paio di sorsi. «Cosa le hai fatto? »
Johannes si spazientì.
«Niente» asserì senza comprendere la domanda.
Heinrich sollevò di nuovo un sopracciglio e gli diede una pacca sulla spalla facendogli ingoiare un’esclamazione di dolore.
«Non avevo dubbi che tu non ci avessi fatto niente… » lo schernì.  «Parlo del suo umore. Del suo stato d’animo. Sembra diversa negli ultimi giorni. E’ spenta… non so se mi spiego»
Johannes si liberò del suo braccio, ancora appoggiato sulle spalle.
«E’ una donna» si limitò a rispondere, sperando che Heinrich capisse che non era in vena di scherzare e cambiasse argomento.
L’altro continuò imperterrito.
«Sicuramente è una gran femmina» ammiccò, intenzionato a strappargli un sorriso o, alla peggio, provocarlo e guadagnarci un duello. Non aveva importanza se a fil di spada o a mani nude.  Johannes gli mancava. Innegabilmente.
Ma la sua reazione fu tutt’altra… si alzò dallo sgabello. Pagò la consumazione lasciata a metà e si diresse alla porta.
«Aspetta! » tentò inutilmente di fermarlo. «Cosa ti succede, capitano! Hai perso il senso dell’umorismo? » gli urlò dietro.
L’altro non si fermò. Non si volse e non rispose. E ad Heinrich non rimase che tornare a sedersi e cercare uno svago altrove. Magari tra le moine delle cameriere o della bionda  Angela, la bella e sfrontata figlia del locandiere. L’unica capace di dargli sempre del filo da torcere…
 
***
 
Completamente piegato in avanti, chino fino a sfiorare il collo muscoloso e teso del frisone lanciato al galoppo, quasi a fondersi con esso, Johannes inspirava l’aria tagliente e carica di pioggia.  Il volto sferzato dal vento, gli occhi socchiusi. Lontano dalla città, dagli sguardi indiscreti, dalle chiacchiere, dai suoi occhi… Non le aveva dato il tempo di spiegarsi. Non le aveva chiesto cosa significasse quel bacio né le parole che ne erano seguite. Uno stupido gioco? La voglia di infrangere le regole? L’ebbrezza della festa?
E questo perché le sue spiegazioni non erano importanti. Non quanto la consapevolezza di quello che aveva scoperto nel momento stesso in cui la folla gliela aveva sottratta. Nell’attimo stesso in cui era sparita davanti ai suoi occhi….
Ritrovarla, stringere quel corpo morbido e seducente, desideroso di vivere, di abbandonarsi e forse perdersi tra le braccia di un uomo, lo aveva sconvolto.
Perché lui l’avrebbe soddisfatta…
L’avrebbe presa, amata e compromessa… Lì, in quello stesso momento. In quello stesso posto. Incurante della folla che li circondava, caotica e sbadata, indifferente. L’avrebbe fatto. Sì.  L’avrebbe fatta sua… Dolcemente, prepotentemente…
Eccome se l’avrebbe fatto.
E non avrebbe aspettato di essere soli, nascosti in un vicolo buio e maleodorante…  
Strinse le briglie fino a far apparire livide le nocche.
Spronò Shatten, ancora e ancora. Nel folle tentativo di lasciare tutto alle spalle. Di riprendere il controllo. Inutilmente.
Le sue labbra morbide erano ancora lì… Sulle sue. Marchio indelebile della colpa dalla quale era intenzionato a fuggire. Si rassegnò.
Avvertì il respiro affannoso del frisone. Lo rallentò, portandolo lentamente al trotto. Inspirò profondamente e si concesse un sorriso stanco. Diede un paio di colpetti affettuosi al collo possente di Shatten finalmente rilassato.
La corsa li aveva spossati ma rigenerati entrambi, pensò, prendendo la strada del ritorno. Un ritorno lento e piacevole. Ecco come desiderava che fosse. Al resto avrebbe pensato poi…
Il cigolio inconfondibile di una carrozza attirò la sua attenzione. Frenò l’animale e attese, al ciglio della strada sterrata, che il mezzo e la sua scorta emergessero dalla macchia.
E quando i primi cavalieri lo raggiunsero, sulla difensiva, si presentò rassicurandoli.
Uno degli uomini retrocesse fino alla carrozza e un giovane emerse dal panneggio che ne arricchiva la struttura interna.
«Coincidenza fortunata! » sorrise candidamente quest’ultimo. «Spero vogliate scortarci fino alle mura cittadine…» disse rivolto a Johannes, alzando la voce perché lo sentisse.   
Visto il suo silenzio, l’uomo dallo sguardo vacuo si imporporò, imbarazzato, e proseguì:
«Vogliate innanzitutto perdonare la mia stoltezza…» si scusò. «Marchese Edelbert di Thuringia» comunicò con garbo. 





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IL CONFESSIONALE (ossia, l'angolo dell'autrice)

Eccoci finalmente! Dopo una pausa che mi ha esasperata, costretta da situazioni contingenti a rimandare la chiusura di questo capitolo, con il mio capitano sulle "spine" (passatemi la "battuta") siamo qui e riprendiamo da dove eravamo rimasti... o quasi, eheheeh! Delusi? Abbiate fede... A qualcuno non c'è bisogno che lo ripeta, vero?  
E adesso due parole sulle new entry!  Una è SHATTEN (traduzione di OMBRA) il frisone morello (quindi nero, completamente nero) di Johannes e l'altro... mah, aspetto le vostre "congetture" in merito!

A presto con il prossimo aggiornamento che torna a ritmi regolari, e il solito grazie a voi che leggete, recensite e soprattutto gradite! Dimenticavo!!! Ringrazio EMERALD che ha voluto condividere con me la follia di dare un volto "umano" ai protagonisti di questa storia... Ognuna ha il suo modo di vedere cose e personaggi. Qualche volta le idee e le percezioni collimano, altre sembrano andare in direzioni opposte... chi vuole unirsi a questo gioco è il BENVENUTO! Il casting è aperto!!!

Sabrina 



 
   
 
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