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Autore: TheGayShark    10/09/2015    2 recensioni
Crossover Glee/Harry Potter.
Storia ambientata a vent'anni dalla caduta del Signore Oscuro. Un nuovo ordine si è formato nel mondo magico, dove il male non ha mai cessato di esistere. Riuscirà l'amore a farsi spazio nel nuovo regno del terrore?
#Brittana - Il riassunto fa schifo, la storia è un po' meglio.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana, Puck/Quinn
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5


Da qualche settimana, circolavano strane voci a Lilburrow. Voci provenienti da fonti sicure. Da quando persino i media divennero meno affidabili– per non dire completamente–, le informazioni avevano fatto ritorno al vecchio modo di viaggiare. Niente che avesse a che vedere con gufi, no.

L'antica gerarchia era stata ristabilita. Nessuno dava qualcosa per certo se non proveniva direttamente dalla bocca di un anziano del paese. Questi poi, a loro volta, facevano affidamento agli ancor più datati "saggi", le tre pietre miliari della città, che, di tanto in tanto, ancora si riunivano nella piccola taverna di Mrs. Edel per fumare la pipa e parlare dei cari bei tempi che furono. Questo, s'intende, solo nelle ore sicure, quelle in cui era permesso gironzolare per le vie deserte del paese, le ore non toccate dal coprifuoco che, per sicurezza o per pura formalità, il sindaco della cittadina aveva deciso di imporre.

La maggior parte degli abitanti, tuttavia, riteneva di poco uso quella sua premura perché da qualche tempo, i Mangiamorte avevano preso a fare agguati anche sotto alla luce del sole timido d'Inghilterra. I giorni in cui le forze del male potevano essere ricondotte e relegate esclusivamente alle tenebre erano purtroppo giunti al termine. 

Tra tutto il fumo proveniente dalle pipe che sembravano ormai essere protuberanze legnose naturali e facenti parte dei visi dei tre saggi, Lehanne Fetch, Jehoida Goosebump e Leofric Hows, capitava poi, che si nascondessero parole rivelatrici. Non era raro, infatti, scorgere in quei loro discorsi fitti ed animati, previsioni del cupo futuro che, a loro dire, attendeva molte generazioni di maghi. Nessuno osava contraddirli, d'altro canto  doveva pur esserci un motivo dietro all'incredibile resistenza di quei tre personaggi raggrinziti che erano sopravvissuti a tutte le guerre magiche avvenute dalla fine dell'ottocento ad allora.

"Ho ricevuto il gufo di Amos, questa mattina. O per meglio dire, il gufo che fu di Amos, perché dopo avermi consegnato il suo messaggio quella bestiaccia ha deciso di stramazzare sulla mia poltrona." Brontolò un pomeriggio il più anziano dei tre.

"Sarà la stessa fine che farai tu, 'Hoid, uno di questi giorni. Sia maledetto il tuo vizio di poltrire in soggiorno." Lo canzonò immediatamente la sua compagna, Medora, riscuotendo qualche risatina di assenso. Nessuno aveva mai compreso se quei due si fossero mai realmente sposati, nessuna fede compariva alle loro dita e nessun cittadino aveva preso parte a niente che assomigliasse ad una cerimonia dei due. Di certo, però, sembravano a tutti gli effetti una coppia di coniugi ben consolidata.Non c'era alcun dubbio invece, sul fatto che i due condividessero lo stesso tetto da tantissimi inverni.

"E sarà la stessa fine che farai tu, ti dico, se non mi fai finire di parlare!" Borbottò Jehoida, già rosso in faccia. Si sistemò il lungo cappello a punta sul capo e dopo essersi passato una mano tra la barba, come per assicurarsi che non fosse caduta ma che bensì fosse ancora attaccata alla sua pelle raggrinzita, continuò. "Dicevo?"

"Il gufo di Amos."  Suggerì pazientemente la donna più anziana del villaggio.

"Oh, il gufo, giusto. Grazie, Lea. Il gufo. Beh, sì, il gufo è morto sulla mia poltrona."

"Che ti prenda un bolide, Goosebump!" Intervenì prontamente la terza figura. "Il messaggio del gufo, per Merlino! Cosa diceva il messaggio di Amos?" La voce del più giovane dei tre saggi, quello che agli occhi degli altri due era rimasto il giovane impulsivo e testardo che era stato in adolescenza, tuonò roca e spazientita. Alle volte Leofric Hows si domandava perché si ostinasse a frequentare ancora quei due vecchi rimbambiti. 

"Dagli tempo, Leofric, ci stava arrivando." Lehanne, con il solito tono pacato che sembrava essere costantemente imperturbabile, provò a calmare gli animi dei due quasi-coetanei. Nel mentre, una folla di curiosi tendeva le orecchie alla conversazione dei tre saggi, ansiosi di scoprire cosa il futuro avesse in serbo per loro.

Jehoida si accorse del suo nuovo pubblico e non perse l'occasione per dare sfoggio alle sue maestose capacità d'interpretazione e recitazione. Increspò la fronte, sulla quale si formarono tante piccole rughe talmente profonde da sembrare quasi piaghe, e quando fu certo di avere la più totale attenzione, rese noto quanto aveva appreso quella stessa mattina. 

"I bastardi hanno preso anche Tutshill. Rasa al suolo, completamente." Il vecchio si assicurò che tutti avessero sentito le sue parole e, per chiarire ogni dubbio, fece segno di piazza pulita con le mani. Poi continuò. "Non c'è neanche più un edificio in piedi, non hanno fatto rimanere traccia neanche dei mattoni. Il povero Amos si è smaterializzato non appena ha sentito l'esplosione."

I tre scossero il capo desolati e presero atto dell'accaduto mentre una serie di "per la miseria" e simili, accompagnati da diversi "ohh", riempivano il locale di Mrs. Edel. 

"Poveri noi, dopo una vita di fatiche si arriva al tramonto degli anni senza casa e senza un gufo. Nei boschi." Commentò amareggiata l'unica donna, Lehanne. Sembrava essere turbata maggiormente dalla perdita dell'animale piuttosto che dal fatto che un'intera cittadina fosse stata rasa al suolo dai Mangiamorte.

Si creò un gran vociare, i pensieri confusi dei presenti furono lasciati liberi all'interno della taverna. Poi, qualcuno, parlò, e nel farlo sovrastò le parole dei compaesani. Una nota di puro terrore era contenuta nella voce stridula che si fece spazio. "Ma Tutshill non è che a sei giorni di cammino da qua!" 

Tutti i presenti sembrarono rendersene conto solo allora. In quattro e quattr'otto, si seminò il panico nella taverna, tanto che per riportare un po' di pace la proprietaria dovette portare la bacchetta alla gola ed urlare "SILENZIO!", un ordine che non ammetteva repliche.

"Ti confondi con Rubpill, Wenckle."Docile e pacata, con la sua solita gentilezza tanto calda da sciogliere il cuore, Lehanne parlò dopo secondi di silenzio che parvero infiniti.

"Tutshill non è poi così lontana, però." Ragionò Jehoida, troppo pessimista d'animo per ignorare quella possibilità e farsi scappare un'occasione simile per intimorire gli animi dei compaesani. Qualcuno doveva pur mettere un po' di buon senso in quelle zucche o non sarebbero mai cresciuti, poco importava che le persone a cui si riferisse avevano un'età media di ottant'anni. Per lui, erano ragazzini.

"Arriveranno anche da noi, prima o poi. È solo una questione di tempo!"

"Ma cosa potrebbero volere da un paesino come il nostro? Non abbiamo grandi segreti, noi!" 

"Una città vale l'altra, radere al suolo case è un ottimo modo di creare scompiglio, Oprha!"

"Ci uccideranno tutti!"

"Non tutti, no, i purosangue sono al sicuro!"

"I purosangue hanno smesso di essere al sicuro da quando quelle maschere hanno preso il Governo."

"È una questione di tempo, vi dico, arriveranno anche da noi."

Ciò che venne detto quel pomeriggio, fu subito riportato alle pettegole del paese ed in meno di ventiquattr'ore, la notizia era ben nota in ogni casa. 

Così, molti smisero di circolare liberamente per il paese. La maggior parte dei maghi mettva la barba fuori dal passetto della porta solo per fare le commissioni indispensabili al sostentamento. Non si sapeva quando, ma si aveva la certezza matematica che sarebbero arrivati, proprio come avevano fatto con il resto della nazione.

Era stato un processo lungo e molti maghi valorosi avevano perso la vita per evitare che il sogno malato di un centinaio di persone si imponesse sul quieto vivere di uno Stato creatosi a fatica dopo la sconfitta del Signore Oscuro. I valorosi combattenti, però, non ebbero successo.

La battaglia durò anni ed in un primo momento sembrò possibile sventare la minaccia incombente. Sfortunatamente, in quegli stessi anni, crebbe il consenso del nuovo ordine di Mangiamorte tra giovani maghi dagli ideali sbagliati che non vedevano l'ora di far valere quanto appreso dai genitori o sui banchi di scuola, sfoggiando le loro capacità fattucchiere. Molte famiglie che fino a quel momento si credevano morte, tornarono alla luce. Con numerosi ed inferociti nuovi e vecchi sostenitori, l'esercito di maschere e mantelli neri crebbe a dismisura. Come da accordi, le creature magiche si unirono – non per loro iniziativa– alla causa delle forze oscure ed il passo per la vittoria, allora, fu breve.

Ciò che segnò nella pratica l'avvento del nuovo Governo, fu quanto avvenne la notte del 12 Febbraio 2018. Due giorni prima, i mantelli neri annunciarono di aver catturato Harry Potter. Inizialmente, nessuno volle credere a quella notizia. Non era possibile che il mago più famoso e più potente dei tempi moderni, il quale era sopravvissuto più e più volte agli attacchi del Signore Oscuro, fosse stato sconfitto dai nuovi mangiamorte. Per tacere ogni dubbio una volta per tutte, i mantelli neri decisero di giustiziare pubblicamente Harry Potter e due dei suoi figli, quelli che al momento della cattura del mago si trovavano con il padre. Per permettere un tale evento, le forze a difesa di piazza Morgana, l'immensa piazza della capitale, furono triplicate. Sebbene si pensasse che non esistesse più un vero e proprio Ordine della Fenice, i Mangiamorte erano certi che, anche se decimati, gli amici del maghetto difficilmente avrebbero lasciato che una cosa simile accadesse al loro leader senza provare di salvargli la vita per un'ultima volta.

La notte del dodici febbraio, i tre uomini condannati sfilarono un'ultima volta davanti agli occhi dei maghi oscuri che avrebbero preso senza pietà le loro vite. Il volto del mago più grande era irriconoscibile, sformato com'era dalle ore di torture che dovevano aver preceduto l'ora della sua esecuzione. L'esaltazione del momento, tuttavia, mise a tacere i pensieri di chiunque potesse ancora avere il dubbio di non avere Potter per le mani. Furono condannati al rogo, perché dei loro corpi non restassero nemmeno le ceneri.

Sebbene nessun Mangiamorte ebbe mai la certezza matematica di aver ucciso Harry Potter, i fatti e la logica erano dalla loro parte. 

Dopo quella notte, la speranza di poter mantenere la pace e la felicità nel Paese sparì. 

Seguì un periodo di calma apparente, i maghi sopravvissuti erano troppo atterriti per riprendere in mano le bacchette e alzarsi nuovamente in una lotta a qualcosa di infinitamente più grande di loro. I Mangiamorte approfittarono della situazione per creare il loro regno di follia. Dapprima, piantarono le radici nel Governo, dove crebbero folte e forti grazie alla mancanza di una vera opposizione. Dopo essersi assicurati di avere un fulcro stabile e resistente, cercarono di intrufolarsi anonimamente in ogni aspetto della vita quotidiana dei maghi d'Inghilterra, in modo analogo a quanto avrebbe fatto un parassita, che inizialmente non dà segni di vita ma che di punto in bianco, scatena l'inferno nel corpo ospite.  

Non passò molto prima che mettessero le loro grinfie sui media: venne data a ciascuna testata giornalistica la possibilità di scegliere tra una conversione– e quindi un conseguente costante elogio dell'operato del nuovo Governo sulle copie del giornale del giorno – e la distruzione della casa editoriale. Come immaginabile, molti giornali vennero censurati ed i loro proprietari e collaboratori vennero uccisi. In contemporanea fu creata al Governo una commissione che si occupasse solamente della propaganda, nella sua forma più sublime. Slogan ad effetto, messaggi ricorrenti alla radio e manifesti animati semplici da memorizzare e tenere a mente. Principalmente, i manifesti ritraevano il volto del nuovo regno, Luis Lopez, alle volte raffigurato assieme alla donna più spregevole che il Mondo avesse mai visto, nonché sua figlia.

Per plasmare le giovani menti dei maghi ancora troppo piccoli per poter distinguere il bene dal male, fu poi creata un Ministero, detto "Della Cultura Popolare Magica". Era fondamentale avere un organo che potesse gestire e modificare oltre al passato storico del mondo magico, anche il futuro. Successivamente, l'organo cominciò anche a programmare eventi per gestire il tempo libero dei maghi purosangue. Gufi neri come la pece distribuivano inviti ad ogni famiglia purosangue che aveva l'obbligo di partecipare di volta in volta.

Ancor prima, però, per dare ai maghi d'Inghilterra l'illusione di avere ancora un briciolo di potere e di influenza sulla vita politica del paese, vennero indette immediatamente delle elezioni per eleggere la Corte che avrebbe creato il nuovo programma del Governo e la nuova Costituzione Magica. Venne tuttavia negato il diritto di voto ai mezzosangue e ai nati-babbani. Anche tra i purosangue, però, ci furono delle restrizioni: solo coloro che possedevano più di cinquecentomila Galeoni, tra proprietà e fondi bancari, potevano avere accesso ai seggi. 

Con una tale restrizione della massa votante, i Mangiamorte ebbero la certezza di poter ottenere la maggioranza per vie legali. Vi era una piccola minoranza di maghi purosangue nell'Assemblea Costituente, che lottò con le unghie per difendere i diritti di tutte le creature magiche - soprattutto quelli dei mezzosangue, dei nati babbani e dei maghinò- , diritti che i Mangiamorte volevano invece eliminare.

Sebbene la minoranza fosse composta da meno di una decina di membri, i mantelli neri decisero di sopprimere le richieste dei maghi nel modo più tranquillo e silenzioso possibile. Per far sembrare al popolo che il loro cambio di idea fosse "naturale", questi furono prima stregati e convinti a schierarsi dalla parte dei Mangiamorte, lasciando perciò perdere i diritti delle categorie inferiori di maghi. Anche così, però si alzarono proteste che vennero spente nel sangue. Una volta placate le proteste, i maghi dell'opposizione vennero imprigionati nelle segrete del Ministero dove furono tenuti sotto la costante minaccia di un trasferimento ad Azkaban. Non furono così fortunati da spendere la fine dei loro giorni nel carcere di massima sicurezza, però. Furono tutti giustiziati prima del loro spostamento, segretamente, e sostituiti alla Corte Costituente da altri membri facenti parte dell'ordine delle forze oscure.

Se da una parte il malcontento non fece che crescere, dall'altra i Mangiamorte non fecero che aumentare il loro potere. Fu rafforzato ulteriormente l'esercito, che si sarebbe occupato di sedare di volta in volta i moti rivoluzionari, mentre venne creato un ordine particolare di sicurezza che si sarebbe invece impegnato per far rispettare le nuove leggi: il D.A.M.M. . 

Le milizie del DAMM, in realtà, divennero attive solo recentemente, in seguito all'approvazione, alla pubblicazione ed alla messa in vigore delle leggi. Esse rastrellarono dapprima la capitale del nuovo impero magico ed in seguito passarono di città in città espandendo a macchia d'olio la follia del Governo creatosi. 

Fu subito chiaro a tutti quale fosse il vero compito del DAMM: una caccia disperata ai nati-babbani ed ai mezzosangue. Raramente venivano fatti prigionieri, più spesso venivano giustiziati sul momento. 

Ultimamente, tuttavia, si diceva che il Governo fosse a corto di giovani braccia lavoratrici da sfruttare e che proprio per quel motivo i Mangiamorte avessero cominciato a mantenere in vita i mezzosangue, più sopportabili e meritevoli – a loro dire– dei nati babbani, per i quali l'unica cosa certa era la morte.  

 

Lilburrow era sempre stata una cittadina tranquilla. Se non fosse stato per i gufi neri del Governo che di tanto in tanto sorvolavano i cieli del villaggio, gli abitanti del paese si sarebbero potuti lasciar cullare dalla piacevole illusione che la terza guerra magica non fosse mai avvenuta. Sì, perché la cittadina non dava segni apparenti di devastazione. Certo, qualche abitante aveva preso parte alla battaglia e non aveva fatto ritorno al piccolo nido natio, ma erano piccoli numeri. 

Lilburrow assomigliava ad un paese incantato, perché anche il tempo sembrava non voler passare in quel posto nascosto dalle fronde degli alberi e le numerose colline che gli facevano da corona. 

Lilburrow era la città perfetta per mettere su famiglia e questo i Pierce lo avevano compreso da generazioni. 

La famiglia Pierce era, assieme ai tre saggi, una delle componenti che contraddistinguevano quell'insieme di case da qualsiasi altro borgo magico, tanto da essersi meritati anche una via in loro nome. Il primo Pierce a fare di quel paese la propria casa fu Broderick, il quale arrivò in veste di turista accompagnato sua moglie Demeiza a metà del diciassettesimo secolo e che, dopo aver fatto ritorno a casa solo per fare le valige, si trasferì nel giro di un mese in quel luogo meravigliosamente silenzioso e pacifico. Tra Lilburrow ed i Pierce fu amore a prima vista. 

Broderick e Demeiza misero al mondo tre bellissime femminucce e due maschietti. A Lilburrow, i bambini erano rare creature. Non mancavano, certo, ma solo i pargoli della famiglia Pierce, all'epoca, contavano come il quaranta percento dei bambini presenti nel borgo. Dovettero subito fare i conti con i servizi dedicati ai giovani maghi che, per forza di cose, scarseggiavano. Non c'erano parchi, non c'erano asili ed  all'epoca Hogwarts prevedeva  ancora il pagamento di una tassa d'iscrizione troppo alta per i cittadini di quel piccolo paese, che difficilmente godevano di un conto in banca alla Gringott. Broderick non si fece scoraggiare dalla situazione, con le sue ottime capacità si mise all'opera per dotare anche quel piccolo borgo di un parco dove poter far scorrazzare i bambini e dove i più anziani potessero passeggiare all'ombra delle frasche. Ripulì il bosco a meraviglia, recintò la zona per assicurarsi che nessuna creatura magica pericolosa potesse avvicinarsi troppo a chiunque decidesse di passare un'oretta all'aperto e costruì qualche piccola giostra per i bambini.

Sua moglie, invece, che da poco tempo aveva terminato il suo percorso scolastico con un'ottima media di voti, aprì il primo centro per l'istruzione a Lilburrow – era troppo modesta per chiamarla propriamente scuola–, in attesa che qualche ministro si decidesse a rimuovere la ridicola tassa d'istruzione. 

Con il passare del tempo, i bambini aumentarono e la soluzione della signora Pierce divenne sempre più inadatta. La loro casa, per quanto spaziosa, non poteva accogliere più di dieci persone. Quindi, con l'aiuto della gente del posto, i Pierce ricostruirono il vecchio edificio in cui Elwin Meadow, il meteorologo, aveva passato gli ultimi anni della sua vita. Le figlie dei Pierce, ormai cresciute, si dedicarono totalmente al progetto della madre e l'aiutarono ad istruire i giovani maghetti. Il figlio più grande, invece, si diede alla politica. Fu eletto sindaco, un destino analogo spettò a suo figlio e così ancora per due generazioni. Le cose a Lilburrow cambiarono in meglio in poco tempo e tutti sapevano chi fosse alla base di quel miglioramento.

Fu Pierce Pierce a rompere la tradizione, il primo uomo della famiglia a declinare totalmente la possibilità di diventare Sindaco. Sapeva di essere troppo ingenuo per ricoprire un ruolo di tale responsabilità e, nel lungo periodo, quella sua scelta si rivelò azzeccata. Pierce preferiva la vita tranquilla tra la natura. Dopo aver frequentato Hogwarts ed esserne uscito per pura fortuna, si era dedicato alla vita nella sua forma più semplice e pura. Gli era costato molti sacrifici, ma nel giro di qualche anno riuscì a mettere su una sorta di fattoria. Ciò che proveniva dalla sua proprietà, fosse esso frutto di piante o di animali, veniva poi rivenduto alla comunità. Aveva assunto un ragazzino che portasse il latte di casa in casa, vendeva le sue verdure a chiunque bussasse ai suoi cancelli e si occupava personalmente della distribuzione dei cereali al fornaio del paese. Fu così che conobbe Whitney Konstig, la figlia del panettiere Olandese trasferitosi da poco a Lilburrow. La ragazza non parlava una parola, ma i due sembravano avere un'intesa fatta di occhiatine e gesti e pasticcini. In poco tempo si sposarono e misero al mondo una bambina di una bellezza veramente rara.

Fisicamente, Brittany non aveva nulla in comune al padre e non appena fu mostrata in pubblico, in paese non si fece che vociferare che Pierce non fosse il padre naturale della piccola.

Anche dopo anni ed anni, con una tale storia alle spalle, i Pierce erano una tra le famiglie più conosciute ed apprezzate del posto –specie per quanto avevano fatto per i paesani nel corso dei secoli. 

Proprio come la madre, Brittany Pierce aveva dei bellissimi capelli biondi, setosi, profumati. Era alta da dare le vertigini, due occhi di un azzurro indescrivibile ed un cuore tanto gentile da far invidia a quello di Lehanne Fetch. Aveva conquistato l'amore dei compaesani da piccola, con minuscole gentilezze rivolte ad ogni singolo abitante. 

L'unica cosa che l'accomunava al padre era l'amore per la natura e per gli animali. A otto anni sgambettava assieme al padre per la fattoria, con l'unico sogno di diventare in futuro una curatrice d'animali. Non appena mise piede ad Hogwarts, la scuola che sognava da tempo, creò un forte legame d'amicizia con Hagrid, guardacaccia, custode ed insegnante di Cura delle Creature Magiche. 

Quando Brittany informò i genitori tramite Goofy, il pennuto della famiglia, del suo amore per la materia insegnata dal mezzo gigante, i due non ne furono per nulla sorpresi. Pierce ne era talmente certo che ancor prima che la bambina comprasse il materiale per frequentare, l'uomo scommesse dieci galeoni con Madama Edel. Come da copione, la lettera probatoria arrivò prima della luna d'ottobre, portando con sé i dieci galeoni della barista.

Ciò che sbalordì i coniugi Pierce, invece, fu sapere che la loro ragazza era stata smistata nella casa di Corvonero perché, come i genitori, la biondina non sembrava avere grandi capacità intellettuali.

Anche gli studenti della scuola di magia e stregoneria sembravano aver capito che, almeno in quella circostanza, il cappello avesse commesso uno sbaglio colossale. Brittany non era esattamente una bambina "sveglia". Passava la maggior parte delle ore a fantasticare nei mondi che aveva in testa e ogni volta che le veniva posta una domanda, lei dava risposte all'apparenza prive di ogni senso. 

Per tutti e sette gli anni, Brittany venne appellata come "corvoscemo", "ritardata", o più comunemente "stupida" da tutti coloro che incrociavano il suo cammino. Essere stata smistata in Corvonero, pensò, fu una grandissima scocciatura. Nessuno l'avrebbe trattata così se fosse capitata tra i Tassi. 

Per quanto si impegnò per ignorarli, quelle parole la ferirono e la segnarono. Certe cose non si possono proprio evitare o silenziare con una mossa della bacchetta.

Pur di tenersi alla larga dagli studenti maliziosi e cattivi del castello, Brittany iniziò a frequentare maggiormente Hagrid fino al punto da trascorrere ogni pomeriggio assieme a lui, guadagnando in un secondo tempo anche i permessi per accompagnarlo durante le rare visite a Diagon Alley per rifornimenti di mangime. 

Sebbene preferisse la compagnia dei Tassorosso, nella casa di Corvonero ebbe il piacere di farsi qualche amico e, addirittura, un compagno per la vita.  

Quando si sparse la voce della scomparsa di Whitney e Pierce Pierce, anch'essi caduti nella guerra magica, l'intero paese rimase a lutto per una settimana per esprimere al meglio il loro dispiacere all'unico membro della famiglia rimasto. 

Brittany sembrò apprezzare, un gesto tanto caloroso le fu d'aiuto in quei giorni difficili in cui l'amore sembrava voler prendere una scopa e volare fuori dal mondo. 

Nessuno abitante di Lilburrow rimase sorpreso quando, dopo essersi sposata in fretta e furia per via della battaglia, Brittany decise di mettere su famiglia a Lilburrow. 

Rimase nella casa dei genitori, riuscendo a stento a provvedere a tutti i lavori a cui solitamente si dedicava il padre con l'aiuto della moglie. Questo anche perché Artie, suo marito, non era esattamente il tipo da campagna. Eppure, insieme, erano una coppia deliziosa. O almeno, così dicevano gli abitanti di Lilburrow.

Da più di due anni i giovani innamorati cercavano un bambino, che tardava ad arrivare. Avevano provato qualsiasi cosa, dai consigli delle anziane alle pozioni, ma nulla sembrava servire. 

Una mattina Lehanne incontrò casualmente la bionda dallo Speziale, posò la sua mano raggrinzita sul ventre della ragazza e scosse il capo, rattristata. "Verrà la luna giusta e pregherai di non averlo mai desiderato. Desisti, fanciulla, e scappa lontano." 

La voce con cui l'anziana saggia parlò, fece prendere a Brittany l'ipotesi in considerazione per qualche secondo. Dopotutto, era una delle poche bocche di verità rimaste ed era ciò che più si avvicinava ad una mamma dalla scomparsa di Whitney. Non aveva motivo di mentirle su una cosa tanto bella e pura quanto un bambino, quindi perché non crederle?

La bionda tornò a casa preoccupata, marciando per le vie del paese con più fretta di quanto avesse mai avuto in tutta la sua vita. Giunta alla sua abitazione, posò il velo per capelli che aveva cominciato ad usare ultimamente – perché a dire di Rose Vince "il sole sulla zucca è per il bambino come il sale sulla terra"– sul tavolo e chiamò a gran voce il marito. Artie, borbottando, lasciò il solaio e le sue pozioni per qualche minuto e scese al piano terra, in cucina, per sentire cosa avesse da dirgli quella volta la sua consorte. Dopo aver ascoltato quello che aveva tutta l'aria di essere una specie di delirio da donna isterica, con la solita freddezza distaccata, le disse che doveva smettere di credere a qualsiasi cosa le dicessero, perché non era più una bambina. 

Brittany arricciò le labbra non troppo convinta, né rassicurata, dalle parole dell'unica persona che avrebbe dovuto comprendere il suo disagio. Ad ogni modo, cambiò eventualmente idea col passare dei giorni e si convinse che le parole di Lehanne dovessero essere state frutto di una cattiva lettura della situazione o di un pisolino mancato. 

A distanza di un anno, con il dispiacere ormai solo più della ragazza, di un bambino neanche l'ombra. Ancora Brittany non voleva arrendersi all'idea di non poter avere prole.

Aveva appena finito di rifornire il nuovo fornaio di farina quando, per la prima volta dalla fuga da Hogwarts quella maledetta sera in cui la battaglia aveva raggiunto il castello, sentì una forte esplosione. Pregò con tutto il cuore che si trattasse dell'ennesimo esperimento andato male del marito ma, in cuor suo, già conosceva la verità.

Prima che potesse prendere atto di ciò che stesse accadendo, udì delle urla, poi altre esplosioni. Brittany, istintivamente, prese a correre per la piccola e stretta via che separava il negozio del panettiere dalla piazza e quindi dal lungo viale che portava a casa Pierce, sentendo che in quel momento nessun posto sarebbe stato tanto sicuro quanto la sua abitazione. 

Alzò intimorita gli occhi in alto e vide nel cielo il marchio che per notti le era apparso negli incubi. 

L'unica cosa visibile era quel maledetto serpente aggrovigliato attorno ad un cranio dalla bocca aperta, da cui era uscita la creatura viscida, sebbene fosse solo fumo. Un simbolo tanto raccapricciante quanto gli atti che quei violentatori di civiltà stavano promuovendo.

Giunta alla fine della via, sporse il capo oltre l'angolo dell'ultima casa per vedere una trentina di Mangiamorte sfilare in fila a due a due per la strada principale. Le maschere che indossavano erano ancora più spaventose del loro marchio. Si domandava di cosa avessero paura, non c'era motivo per loro di mascherarsi così. 

I lunghi mantelli neri perdevano di numero ogni volta che la loro marcia si imbatteva in un portone. Il plotone non si fermava mai, ma due  mangiamorte puntualmente si staccavano dal resto per far saltare in aria le porte e farsi largo nelle abitazioni, probabilmente alla ricerca di mezzosangue o nati-babbani. 

La ragazza sentì una goccia di sudore freddo colarle lungo la schiena e si accorse di non potersi muovere, terrorizzata com'era. 

I suoi genitori erano morti invano. Il loro sacrificio non era servito a nulla. 

Riprendendo un po' di coraggio, allungò la mano verso la bacchetta per poi accorgersi che non sarebbe mai riuscita a combattere un tale numero di maghi tutti assieme. Così chiuse gli occhi e raccolse tutta la concentrazione che poteva. Non era mai stata un asso nella materializzazione, eseguire quell'incanto le aveva sempre richiesto una dose di tempo di cui, in quel momento, non disponeva per cause maggiori. Si ripeté mentalmente ciò che l'istruttore del ministero le aveva spiegato l'ultimo anno al castello, durante il corso per l'esame di materializzazione. Le tre D.

Destinazione. "Casa. Voglio andare a casa". Determinazione. Decisione. "Adesso!"

Brittany chiuse gli occhi sentendo il proprio corpo venire compresso e vorticare attorno al proprio baricentro. Proprio quando stava per materializzarsi all'interno del salotto di casa sua, le sorse un dubbio atroce."Posso materializzarmi in un luogo che non esiste più?" L'istruttore del Ministero non aveva mai accennato ad una situazione simile a quella che stava vivendo la bionda.

Quella piccola indecisione fu cruciale.

Quando Brittany ricomparse, lo fece  anziché nel salotto di casa sua, davanti alla sua proprietà, ormai ridotta ad un cumulo di macerie.

I Mangiamorte si erano presi anche Artie. Il dolore che sentì dentro al petto non fu nulla in confronto a quello che provò al braccio e all'anca. Non appena voltò il capo verso i propri arti superiori per capire cosa fosse successo, si sentì mancare.

L'osso dell'avambraccio le era letteralmente schizzato fuori dal gomito e sporgeva di una decina di centimetri. Non ebbe la forza per controllare cosa stesse provocando il dolore all'altezza del suo bacino, ciò che aveva visto le era bastato. Sapeva cosa avesse provocato quegli effetti collaterali, era stata la sua indecisione durante la materializzazione, il cambio di rotta improvviso ed insicuro. 

Presa dal panico e dal dolore, lanciò un urlo straziante, poco importava se dei Mangiamorte l'avessero sentita e fossero tornati per lei. Tutto ciò che voleva fare, in quel momento, era piangere.

L'ultima persona a lei rimasta cara era morta, schiacciata dal peso della casa saltata in aria mentre al suo interno ancora vi era il suo compagno di vita. La speranza che fosse rimasto illeso non era che un pensiero comico nella sua testolina. Il suo povero Artie non aveva avuto modo di  apprendere in anticipo dell'arrivo dei distruttori, non aveva avuto possibilità di avere salva la vita. 

Brittany ed Artie lo sapevano. Sapevano che, quando i mantelli neri avrebbero attaccato, la loro casa sarebbe stata una tra le prime ad essere distrutte. Artie era l'unico nato-babbano del villaggio e Brittany, sposandolo, era diventata una traditrice del sangue. Erano consapevoli del fatto che la loro famiglia sarebbe stata tormentata, solo nessuno dei due immaginava che dovesse andare a finire così.

Sovrastata dal dolore fisico e mentale, Brittany lasciò che il suo corpo cadesse a terra. Non capì, però, perché la sua carne non raggiunse mai le fredde pietre dure che formavano il vialetto di casa Pierce. Era curiosa di conoscere la risposta, sapeva che non era possibile che avesse imparato a fluttuare nell'aria proprio in quel momento. 

Per quanto volesse soddisfare la sua curiosità, non riuscì a tenersi sveglia.

Sentì le forze farsi meno, era consapevole del fatto che non fossero né le circostanze né il posto migliore per svenire, ma non le importava più. Al suo risveglio, non avrebbe comunque più trovato nessuno ad aspettarla.

Ciò che era successo non faceva parte della serie dei brutti sogni che ultimamente aveva preso a fare, al suo risveglio Lilburrow sarebbe stata ancora un cumulo di mattoni a terra, pianti e fumo. Artie non l'avrebbe svegliata per salvarla da quella realtà ingannevole, non le avrebbe più portato la colazione a letto per calmarla. Non era nemmeno certa che i suoi animali fossero ancora vivi. 

In uno strano modo, comunque, non riusciva a preoccuparsi per ciò che era successo, non più.

Poi tutto divenne nero ed anche il dolore svanì. 

 

***

 

Brittany fu costretta a riaprire gli occhi quando qualcosa di duro le colpì con forza la guancia. Si stupì di se stessa perché, nonostante il colpo, dalle sue labbra non uscì nemmeno un piccolo lamento.

«Bentornata al mondo, zuccherino.» Una voce sgradevolmente acuta fu la prima cosa che registrò dopo quel colpo. Seguì una risata di scherno, troppo grassa per appartenere ad una sola persona.

Brittany fece del suo meglio per mettere a fuoco le figure attorno a lei. Non si spiegava perché stesse fissando un uomo con la testa al posto delle gambe finché non prese coscienza di trovarsi a penzoloni sulle spalle di un uomo da uno sgradevole odore. 

Il dolore causatole dal braccio la raggiunse subito, si accorse allora di avere ancora un osso fuori dal braccio, curioso di esplorare il mondo.

«Quello sarà l'ultimo delle tue preoccupazioni, pasticcino!» Commentò ironico l'ometto più minuto - quello che doveva averla presa a schiaffi per svegliarla-  notando la linea dello sguardo della ragazza. Era di un biondo cenere, i capelli scompigliati ed una barba incolta ricopriva i lineamenti ossuti del suo viso malcurato. 

Puntuale come un orologio seguì la risata dell'uomo più grande. «Oh, sì, l'ultima delle tue preoccupazioni.» Gli fece eco, dando una pacca sulla schiena della ragazza.

Brittany non riusciva a comprendere come fosse finita in quella situazione. Continuava ad essere sballottata da destra a sinistra, ondeggiando ad ogni passo di quel mezzo gigante, fino a che qualcosa lo fece arrestare.

«Non incasinare tutto come l'ultima volta, Mogunard.» Lo riprese il piccoletto. 

Brittany strinse gli occhi e si sporse per intravedere tra il braccio ed il fianco dell'uomo che la stava portando quale fosse il motivo di quella loro sosta. 

Davanti ai tre si trovava un insieme di mura imponenti, Brittany non si era neanche accorta di aver attraversato un ponticello. 

Come per magia, l'imponente portone incastonato tra le pietre si aprì, lasciando il via libera per il passaggio ai tre. Oltre le mura, per grande sorpresa della bionda, si trovava un giardino meraviglioso, con statue, fontane e siepi spuntate alla perfezione. Da quel che stava capendo, stavano seguendo una sorta di viale, ciò che le mancava era la destinazione. Quei due la stavano portando a casa loro? Sarebbe stata seviziata fino alla morte?

«Speriamo sia nella luna buona.» Il più grande dei due uomini ruppe il silenzio.

«Quella megera non è mai nella luna buona.» Rispose scocciato il piccoletto. 

Brittany voleva davvero rimanere sveglia per sapere cosa le sarebbe successo a breve, ma era come se la strega della notte la stesse forzando a chiudere gli occhi. 

Era troppo, tutto assieme.

Era sicura di essersi lasciata andare tra le braccia di morfeo da meno di un minuto quando, ancora una volta non per sua volontà, fu costretta ad aprire gli occhi.

Mogunard, il mezzo gigante, l'aveva deliberatamente fatta cadere a terra come un sacco di patate. «I braccialetti, zuccherino.»

Brittany non capì le parole della figura più minuta fino a che, dopo ad un gesto della bacchetta, attorno ai suoi polsi apparvero delle manette. «Pura formalità. Sappiamo tutti che con quel braccio non potresti fare niente di concreto.» 

Rise da solo alla sua battuta. Poi, con poca grazia, il mezzo gigante la tirò su per il braccio sano, costringendola a rimanere in piedi.

«D-dove..»

«Allora sai ancora parlare, temevamo fossi muta.» La interruppe il biondo, studiandola più attentamente. «Ora sì che saprai fruttare sul mercato nero. Ma questo è un nostro piccolo segreto.»

Si portò l'indice sulle labbra e muovendo la bacchetta in direzione dei piedi della ragazza, fece comparire altre costrizioni per la povera donna malconcia.

Brittany abbassò lo sguardo, notando le catene che si erano formate attorno alle sue caviglie scoperte - quando aveva perso le scarpe? Poi mise a fuoco le parole dell'uomo. Mercato nero? Quindi sarebbe stata venduta al miglior offerente? No, non era così che sarebbe finita la sua vita.

«Non sarò ma-»

Il dorso della mano dell'ometto colpì per l'ennesima volta la guancia della bionda. «I traditori del sangue non possono mancare di rispetto ai maghi puri.»

Brittany aggrottò la fronte, sentendo la guancia andare in fiamme. In che modo poteva essere puro un uomo tanto vile e disgustoso?

«E adesso fa silenzio.» 

Dopo aver detto addio al mezzo gigante, che a quanto pare non era ammesso nel posto in cui Brittany ed il mago biondo stavano entrando, l'uomo tirò senza alcuna cura la catena che univa quelle legate attorno alle caviglie ed ai polsi di Brittany. La ragazza si sentì come uno di quei cani babbani, tirati al guinzaglio. 

«Fossi in te, terrei la bocca chiusa d'ora in avanti.» Le suggerì l'uomo.

Brittany annuì distrattamente e approfittò di quell'apparente stato di lucidità per studiare l'ambiente attorno a lei. 

Era finita in una specie di castello, a giudicare dalle pareti altissime, in pietra. Il colore predominante era il nero ed il grigio, ogni mobile sulla loro strada fino ad allora era apparso scuro, i drappi alle finestre erano rigorosamente neri come i tappeti su cui stavano camminando.

La ragazza voleva chiedere dove fossero diretti, ma tenne la bocca chiusa. Che importanza aveva?

Dopo quelli che parvero minuti infiniti, il mago che la stava scortando all'interno di quell'edificio si fermò per aprire l'ennesima porta. Brittany non aveva mai visto una stanza tanto imponente.

 

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Villa Lopez era immersa nel silenzio, ad eccezione del grande salone dove, come da tradizione, alla fine di ogni rastrellamento, i maghi tanto coraggiosi - o stolti- da azzardare un tale gesto, si radunavano assieme a quelli che ritenevano essere "ricordi di un lavoro ben fatto". Donne, principalmente. C'era chi le voleva per tenerle al pari degli elfi domestici, chi per vanità, chi per desiderio e chi, contro la legge, per rivenderle come se non fossero null'altro che merci a maghi tanto idioti da comprarle.

L'unica regola era che, prima, la persona a capo della legione passasse in rassegna personalmente le meraviglie raccolte di villaggio in villaggio. Solitamente la cerimonia si teneva nella magione dei comandanti, che fino a quel momento erano giunti ad un totale di quattro. Queste persone di grande prestigio erano responsabili di centinaia di uomini e si occupavano principalmente delle linee di azione dei mantelli neri, affinché il piano superiore potesse essere messo in pratica.

Ogni legione aveva quindi un proprio modo di fare, di muoversi, ogni attacco aveva una particolarità che era la firma identificativa del loro comandante. La legione Dolohov, ad esempio, era famosa per gli incendi che seguivano ogni rastrellamento, per cui spesso i componenti di quel gran battaglione venivano appellati come fiamme nere.

Per quanto, a livello burocratico, ogni legione avesse lo stesso valore delle altre, si erano creati diversi livelli di popolarità e le quattro compagnie non erano temute allo stesso modo. Non c'erano dubbi, ad esempio, sul fatto che la legione Lopez fosse quella più temuta. 

La disciplina ed il rigore imposti dalla giovane Mangiamorte ai suoi uomini erano portati ad un livello di esasperazione tanto alto da far desiderare ad ogni nuovo adepto di entrare a far parte di quella compagnia ed allo stesso tempo pregare per il contrario. 

La giovane mora aveva compiuto un cambiamento impressionante dagli anni in cui era stata ospite ad Hogwarts ad allora. Da quando era finita la battaglia, strane voci percorrevano i salotti delle streghe aristocratiche. Si diceva che Santana Lopez, in quel conflitto, avesse preso la ragione assieme al briciolo di umanità che le era rimasta. Non si era ancora trovata un compagno e rifiutava sempre più spesso la compagnia di maghi in cui non riponeva piena fiducia. La gente cominciò a vociferare e dire che la ragazza stesse diventando paranoica e che l'unico motivo del suo isolamento fosse una paura eccessiva di essere circondata da traditori o spie.

Un episodio che aveva fatto discutere parecchio la nuova nobiltà di maghi purosangue era stato quello riguardante la cessione di Villa Lopez.

Il padre la diede in dono alla figlia per premiare il valore dimostrato durante la guerra magica e le sublimi capacità. 

Santana ringraziò il padre e la madre, ma non appena mise piede in quell'immensa magione si liberò di tutti gli elfi domestici che avevano avuto fino ad allora il compito di prendersi cura della casa. 

A quel punto, condizionato dai pettegolezzi, anche Luis Lopez per diverse settimane ebbe timore che la battaglia avesse incrinato per sempre la mente della figlia, sua unica gioia. Si offrì così di pagarle un curatore che si occupasse di ciò che stava succedendo dentro alla testa della latina, ma Santana non volle sentire ragioni. Anzi, per tutta risposta diede l'ordine che le stanze non usate della villa rimanessero vuote, compressive solo di mobili. 

L'unica compagnia che la mora sembrava apprezzare, era quella della bestia che per pura vanità aveva voluto acquistare al mercato delle belve di Eger. Da allora, difficilmente Santana si spostava senza la compagnia di Mahaf, quello che lei amava chiamare il suo micione

«Hai sentito l'ultima? Santana Lopez ha comprato una pantera!»

«Quella ragazza ha perso la testa. Se fossi suo padre la farei internare al St. Mungo!»

«Secondo me anche suo padre ha paura di lei.»

«Beh, non posso dargli torto. In confronto a lei, anche un Ungaro Spinato sembrerebbe docile.»

I pettegolezzi scivolavano leggeri lungo il mantello della latina, sapeva che per quanto ne dicessero, i maghi e le streghe del Paese non avrebbero mai rifiutato una notte con lei e ciò era sufficiente a farle pensare che, probabilmente, i portatori di tali voci erano ancora più matti di lei.

 

Quando le porte del grande salone di Villa Lopez si aprirono rivelando la figura della tanto discussa maga, improvvisamente, ogni lingua divenne, tremando, muta. Un sorrisino compiaciuto comparve sulle labbra della ragazza formando quello che era divenuto famoso con il nome di "ghigno del diavolo". Sapere che incuteva tanto timore anche tra maghi ben più grandi di lei era sempre una tale fonte di gioia, per la mora. Musica per le sue orecchie, come si suol dire.

Guardò velocemente i maghi disporsi ai lati del lungo tappeto nero che percorreva il pavimento della sala da parte a parte. "Meno del solito." Notò ancor più sollevata la latina, facendo una stima mentale dei presenti. Odiava quel lavoro. 

Vedere come quegli uomini osavano trattare delle donne come lei le faceva accapponare la pelle. Avrebbero fatto lo stesso con lei se solo non avesse avuto tanto potere?

In occasioni come quelle ricordava quanto andasse fiera di essere lesbica

Si sbarazzò alla veloce del sorrisetto malefico per tornare ad essere la solita maschera di serietà e rabbia, il volto del cambiamento.

Il ticchettio dei suoi tacchi fu l'unica cosa che interruppe il silenzio mentre la ragazza avanzava verso le carogne che tanto odiava. Il suo compito era semplice, doveva solo decidere chi aveva il diritto di divertirsi con quelle ragazze e chi no ed eventualmente decidere di prendere una ragazza per sé. Accadeva raramente, ma accadeva. Raramente Santana si concedeva delle serate con delle streghe del genere ed il motivo era semplice: i mezzosangue, per lei, erano vera feccia. Avrebbe avuto orrore anche solo di un contatto fisico con delle persone del genere. Il più delle volte le prede dei suoi scagnozzi erano ragazzine disperate,spesso nate-babbane, più raramente mezzosangue e quasi con la stessa cadenza delle eclissi di luna, purosangue.

Santana aveva già scrutinato più o meno tre quarti del salone quando la sua pantera, finalmente, la raggiunse. 

Un animale imponente, le spalle massicce ed una muscolatura da far rabbrividire la pelle. Gli occhi gialli dell'animale erano la vera perla, aveva uno sguardo capace di restarti addosso per giorni e notti. 

Gli sguardi dei presenti, per un attimo, si catalizzarono sull'animale che felpatamente si sistemò al fianco della latina.

La ragazza sembrò fulminare l'animale con lo sguardo per un breve istante, come a volergli suggerire di non dover osare mai più un'entrata del genere. L'egocentrismo e l'eccentricità della Mangiamorte erano più che conosciuti. Poi, dopo quell'occhiata di fuoco, riprese a passare in rassegna visivamente le ragazze incatenate ed inginocchiate nella sua sala, senza mai dire una parola. Alcune erano estremamente belle per essere sporche mezzosangue o, peggio, nate-babbane. 

Le mancavano si e no cinque ragazze da vedere prima di poter dare il via libera ai suoi Mangiamorte quando un ringhio della pantera attirò la sua attenzione.

Santana si fermò e voltò soltanto il capo di qualche grado in direzione dell'animale. «Mahaf.» Sibilò a denti stretti per richiamarlo una prima volta, certa il nome del giaguaro sarebbe bastato per fargli capire che fosse il caso di ritornare al suo fianco. Così non fu.

La mora si voltò sbuffando, non accettava un "no" in risposta neanche dai suoi pari, non avrebbe mai permesso che il suo animale da compagnia si imponesse su una sua decisione. Allo stesso tempo, tuttavia, sapeva che quel gattone aveva un'intelligenza tutta sua che non andava insultata. Mai fino ad allora si era fermato per studiare una ragazza e mai in passato aveva attaccato qualcuno senza un vero valido motivo. Così, sospirando scocciata, raccolse tutta la pazienza che aveva a disposizione e fece marcia indietro.

Come a voler attirare maggiormente l'attenzione, il felino si mise a soffiare in faccia all'uomo minuto che, fieramente, si reggeva affianco ad una ragazza bionda. 

«Via, bestia!» Non fu che un sussurro pieno di paura, ma la latina sentì lo stesso le parole del biondino. Come avrebbe potuto non sentirlo in quel mare di silenzio?

Santana estrasse la bacchetta dal fodero e, senza esitazione, schiantò il mago che aveva osato riferirsi al suo giocattolo peloso in quel modo. Il corpo del mago minuto schizzò lontano e finì contro la una delle vetrate del salone che, per reazione, andò in pezzi. Per quanto possibile, Santana sembrò ancora più irritata. «Nessuno ti ha chiesto di parlare, Talbot.»

La mora si sforzò per far sembrare la sua voce più calma di quanto non fosse internamente. Le pareva irrispettoso il modo in cui quel mago da strapazzo si era preso la libertà di parlare alla sua pantera, che solo per la sua maestosità era su un gradino sociale superiore rispetto alla posizione del Mangiamorte. 

La ragazza  depredata da Talbot, nel mentre, aveva preso a tremare. Santana non poté darle poi così torto, prima una belva le aveva mostrato le fauci e dopo un incantesimo capace di farle perdere quel poco di vita che le era rimasta, l'aveva sfiorata.

Incuriosita e, allo stesso tempo, scocciata, la mora si avvicinò alla ragazza. «Su con la testa.» 

La istruì, impaziente di vedere i lineamenti del suo viso. La ragazza, tuttavia, sembrava non voler collaborare. Santana roteò gli occhi, certe volte la stupidità dei maghi dal sangue impuro era più evidente che mai. Senza pensarci due volte, le prese la mascella tra le dita della mano sinistra e con poca grazia la obbligò ad alzare il viso.

Si scontrò immediatamente con quegli occhi d'un azzurro topazio, che avevano perso parte della loro lucentezza. Il volto della ragazza era particolarmente fine nonostante le varie ferite sparse qua e là tra guance, labbra e sopracciglia. L'espressione della bionda rendeva abbastanza esplicito l'odio che doveva provare nei confronti della Mangiamorte, tanto da far scappare una mezza risata di scherno alla latina. Senza fretta, la mora scese con lo sguardo sulla veste strappata e sporca di sangue della ragazza in ginocchio. Si chiese se quel sangue fosse suo o di qualcun altro. La risposta le parve evidente quando notò la situazione del suo braccio, non doveva essere nulla di piacevole. 

Tornò a studiare il suo viso, in qualche modo le sembrava familiare anche se non ricordava dove l'avesse già vista. Poi si voltò verso l'animale che si era nel frattempo seduto accanto ai piedi della bionda, anche lui sembrava volerla studiare. 

«Non è ancora l'ora di cena, Mahaf. Togliti da lì. » Suggerì la latina. Probabilmente il micione era stato attirato dall'odore di sangue impresso sulla bionda, per quello si era messo a soffiare. Sì, Santana si disse che l'unico motivo valido fosse proprio quello. 

Senza controllare che la pantera le obbedisse, la latina riprese il compito lasciato in sospeso. Dopo aver passato lo sguardo anche sulle ultime cinque malcapitate, Santana si girò sui tacchi e squadrò i presenti. Il suo animale non si era mosso di un centimetro mentre Talbot, dal fondo della stanza, aveva ripreso a dare segni di vita. Con un po' di fatica si era rimesso in piedi e si stava riavvicinando alla ragazzina che aveva catturato. Quando notò la pantera, rimase come di pietra.

«Molto bene.» Parlò la latina, delicata. «Potete andare. Fuori da qui, tutti quanti, subito.» 

Non passò un secondo dalla sua affermazione che la folla di Mangiamorte si mise in movimento per accedere all'uscita della sala.   

«Non tu Talbot, tu resti. » Chiarì successivamente, vedendo l'ometto mingherlino cercare di svignarsela tra gli altri maghi più alti di lui. Aspettò che la stanza fosse vuota per chiudere con un gesto della mano le porte della sala. 

Talbot e Santana si scambiarono un'occhiata intensa che durò diversi secondi. Poi qualcosa fece pensare all'uomo di avere il diritto di parlare per spiegare meglio l'inconveniente accaduto prima.

«Mia Signora,» tentò, ma non gli fu lasciato il tempo di finire. 

«Avada Kedavra.» Un bagliore verde schizzò fuori dalla punta della bacchetta della latina e prima di poter anche solo pensare di chiedere scusa, Talbot giaceva a terra senza vita.

Brittany trattenne il fiato, incredula. La freddezza del gesto l'aveva lasciata senza parole, non aveva mai visto nessuno morirle davanti, meno che mai aveva visto in diretta un'esecuzione. Sapeva funzionasse così ma le veniva difficile credere quelle due paroline potessero fare così tanti danni. Alzò per un attimo lo sguardo sulla latina, che non sembrava essere minimamente turbata dall'accaduto. Brittany si domandò quante altre vite avesse già preso in quel modo. Con quali pretese, poi. Le movenze e la facilità con cui aveva pronunciato l'incanto avevano dato alla bionda l'impressione che per l'altra quella di uccidere fosse una macabra abitudine  – e così era, in effetti. Lo sapeva anche Brittany, nel profondo, ma per il momento non voleva credere alla vocina nella sua testa che le stava suggerendo quanto fosse essere malvagia e pericolosa la figura minuta ancora in piedi a pochi metri da lei. Semplicemente, non riusciva a capacitarsi che potessero esistere persone così spietate. 

«Mia signora.» Ripeté schifata la latina, interrompendo i pensieri della ragazza incatenata, ancora inginocchiata sul pavimento. Gli occhi della latina si strinsero visibilmente mentre con un semplice movimento del polso puntò la bacchetta verso i cocci di vetro sparsi a terra, che magicamente tornarono a comporre una vetrata ordinata con un sordo "tumpf" finale, segno che ognuno aveva ritrovato la sua posizione.

«Non guardarmi così Mahaf, se l'è cercata.»  Borbottò poi, riponendo la bacchetta nel fodero apposito all'interno del suo lungo ed elegante mantello. Brittany, che era rimasta silenziosa per tutto il tempo, non riusciva a credere a ciò che aveva visto e sentito. Allora era vero che la mora stesse diventando pazza. Insomma, prima uccide un pover'uomo – con quale ingenuità la bionda riuscisse ancora a credere Talbot un "pover'uomo"– senza batter ciglio e poi ne parla con la sua pantera. Non sono esattamente due segni di sanità mentali. 

«Piuttosto, dovresti ringraziarmi per la cena.» Aggiunse successivamente, voltandosi verso la ragazza e la pantera. Per un momento, Brittany pensò che stesse parlando a lei. 

Dovette ricredersi quando l'animale al suo fianco, dopo un'eternità, si mosse, ricordandole un'altra volta della sua presenza. L'osservò marciare in modo estremamente composto e quasi regale verso il corpo di Talbot. La belva annusò per un paio di istanti il cadavere prima di decretare che piuttosto che mangiare quello schifo d'uomo, avrebbe fatto digiuno.

Santana inarcò un sopracciglio, sembrava quasi sapesse già che il suo animale non avrebbe gradito il pasto. «Beh, non è un mio problema.»

Decretò infine, decidendosi a rivolgere le proprie attenzioni sull'altra maga presente nella stanza. Le passò a fianco e la studiò per un'altra manciata di secondi prima di renderla partecipe della sua scelta.

«Alzati.» 

Brittany sentì un brivido correrle lungo la colonna vertebrale. Non voleva passare un altro minuto in compagnia di quella donna, ma non aveva molte altre possibilità. Che male poteva fare rinviare di un altro po' una fine certa? Così, seppur controvoglia, si mise in piedi. Dopo aver passato così tanto tempo sulle ginocchia, alzarsi non fu semplice né piacevole, ma riuscì a farlo.

«Seguimi.» La latina si voltò facendo svolazzare il mantello, non lasciando altra possibilità alla bionda se non di fare quanto le era appena stato ordinato.

 

 


Avevo il capitolo pronto da un po', quindi, perché no?
Spero vi sia piaciuto e che, ora che sapete un po' di più sulla vita di Brittany, la storia non vi dispiaccia.
Come sempre, ricordo che mi piace leggere i vostri pensieri riguardo ciò che scrivo ed una recensione non guasta mai!  
Se ci sono degli errori, magnema. <3

 

 

 

   
 
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