Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: AAVV    12/09/2015    1 recensioni
Sebastian e Cecilia sono una coppia come tante. Lui è un aspirante musicista in cerca della canzone che lo porterà al successo, lei un'insegnante di sostegno alle elementari e pittrice per passione. Nonostante i problemi economi e il loro diverso carattere, l'amore che li unisce è più forte e riescono a superare ogni avversità.
Ma, un giorno, il mondo di Sebastian crolla quando, dopo un colloquio di lavoro, al suo rientro a casa Cecilia non c'è. Al suo posto, una lettera in cui vi è scritta una strana poesia. Cecilia è stata rapita da un uomo che firma le proprie lettere con il nome Ade.
E mentre Sebastian cerca disperatamente la sua amata, pian piano, Cecilia conosce il suo rapitore, Khalid, e tra i due comincia a instaurarsi un insolito legame.
Sei sicuro di conoscere le persone che ami?
Una storia in cui nulla è come sembra, in cui il confine tra amore e ossessione è molto sottile. Non vi fermerete più ad una prima impressione...
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 5. Un nastro rosso
 
 
 
Khalid la fece sdraiare comodamente sul letto e le prese la caviglia tra le mani. Con mosse semplici tastò la parte dolorante, massaggiandola. Appoggiò il palmo della mano sulla pianta del piede, costringendola ad una violenta torsione.
Cecilia sussultò per il dolore. Lui alzò gli occhi, sollevando un sopracciglio. «Non fa così male» disse.
«Ho una soglia del dolore molto bassa» rispose lei, seccata. Era lei la vittima lì, quella che era stata rapita, doveva anche sentirsi una stupida?
Lui riportò lo sguardo sul piede. «Vista la caduta che hai fatto, non è niente. Devi solo tenerla a riposo per un po’.»
Di quale caduta sta parlando?, si chiese lei. Per quanto si sforzasse di ricordare, Cecilia non vedeva altro che il vuoto. Probabilmente era caduta nel tentativo di fuggire; doveva essere per questo motivo che lui era riuscito a riprenderla. Tutta colpa di una caduta...
Ancora sotto shock per gli ultimi avvenimenti, quasi senza pensarci, Cecilia disse: «Che cosa ci faccio qui?»
Khalid la guardò confuso, senza rispondere.  «Mi hai rapita?» continuò allora lei. «Hai intenzione di chiedere dei soldi per il riscatto? Perché se è così, ti avverto subito che non ho una lira, né io, né la mia famiglia, né Sebastian...»
Sebastian...
Il pensiero del suo compagno le causò una fitta alla testa. Quell’uomo aveva fatto del male anche a lui? Era ferito? Lo aveva portato in quella casa assieme a lei e rinchiuso in qualche angolo remoto dell’abitazione?
Oppure non sapeva nulla su dove lei fosse e la stava cercando?
Fissò il suo aguzzino negli occhi e lui parve quasi intimorito da quello sguardo. «Non ti ho rapita» mormorò lui. «Non ricordi nulla di quello che è successo?»
Non si trattare di ricordare o meno, si disse Cecilia. Che l’avesse rapita era un dato di fatto, altrimenti non si sarebbe ritrovata in casa di uno sconosciuto con la caviglia slogata nel tentativo di scappare da lui. Allora perché lui sosteneva il contrario?
«Se non vuoi farmi del male» fece lei cambiando discorso «allora lasciami andare.»
«Non posso.»
«Perché? Perché non puoi?» Vedendo che lui non accennava a rispondere Cecilia continuò: «Ti do tutto quello che possiedo, tutti i soldi che vuoi, basta che non chiedi un centesimo a Sebastian. Ma ti prego, lasciami andare.»
 «Non voglio soldi.»
«E allora cosa vuoi? Vuoi il mio corpo? Vuoi possedermi?»
Khalid si ritrasse da lei di qualche centimetro, nel volto un’espressione offesa. «Non voglio farti del male» disse di nuovo.
La calma con cui ripeté quelle parole le fece perdere la testa. «E allora che cosa vuoi?» gridò Cecilia, gli occhi prossimi a lacrimare, e subito un’altra fitta alla testa la costrinse a rimanere in silenzio. Si portò le mani alle meningi, una smorfia di dolore sul viso.
«Che cos’hai?» le chiese Khalid, avvicinandosi. «Ti fa male? Non ti ho visto sbattere la testa...»
«Non è niente. Sto bene.»
Lui fece finta di non averla sentita e la costrinse a chinare il capo tra le sue mani, in cerca di qualche ferita. Cecilia si dibatté, ma la presa dell’uomo fu più forte e alla fine cedette.
«Non c’è nessun taglio, niente di niente» disse lui allontanando le mani. «Non hai sbattuto la testa, quindi non ci può essere nemmeno un’emorragia interna.»
«Sei un dottore, per caso?»
«No, ma lo era mio padre. Mi ha insegnato un po’ di cose.»
Cecilia socchiuse gli occhi. «Potrebbe essere grave. Portami in ospedale, te ne prego.»
«Ti ripeto che...»
«Non mi interessa quello che dici! Devo andare all’ospedale!»
«Non posso portartici. Ti troverebbero. Devi solo cercare di riposare.»
Ti troverebbero, chi? Intendeva la polizia? Aveva paura che l’ospedale sporgesse denuncia e che quindi la polizia avesse scoperto che l’aveva rapita?
Khalid si passò una mano tra i folti capelli scuri. «Adesso è ora di cena e devi mangiare. Ti preparo qualcosa» disse, alzandosi dal letto.
«Non voglio nulla da te.»
«Devi mangiare.»
Lei si sdraiò su un fianco, dandogli la schiena.
«Se devo costringerti a farlo, lo faccio. Non ci sono problemi.» Nessuna risposta, neanche il più lieve movimento. Khalid sospirò. «Pensaci. Se io fossi uno psicopatico non ti avrei mai permesso di trattarmi come mi hai trattato fino ad ora. Non credi?»
Così dicendo uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Come diavolo si era permesso di dirle una cosa del genere?
Più Cecilia ci pensava più non riusciva a capacitarsene. Era lei la vittima lì dentro, lei soltanto, non poteva- e non doveva- sentirsi in colpa per avergli urlato contro.
Nonostante ciò, aveva provato un certo disagio quando lui le aveva fatto notare di non essere stata molto gentile nei suoi confronti. Forse era stato il suo tono calmo e gentile, forse il suo fascino, fatto sta che lei non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione.
Io sono la vittima. Io sono la vittima. Si ripeté questo mantra fino a perdere il conto. Io sono la vittima.
Io sono la...
Un suono improvviso la riscosse. Quando si ripeté di nuovo, capì che proveniva dalla sua pancia. Cavolo, aveva fame davvero. Ma non avrebbe toccato per nulla al mondo il cibo che lui le avrebbe portato. Mai e poi mai.
L’unico uomo a cui avrebbe permesso di cucinarle la cena era Sebastian, anche se non era mai stato un cuoco provetto. Tornò con la memoria a quando l’aveva invitata a cena per la prima volta a casa sua; quella volta aveva bruciacchiato il polpettone e l’espressione delusa sul viso di lui le aveva fatto tenerezza.
«Mi dispiace» aveva detto, abbattuto.
Lei gli aveva sorriso e cominciato a mangiare. Era buono, sempre meglio di qualunque pietanza avrebbe potuto cucinare lei, e quando gliel’aveva fatto notare il morale di Sebastian era salito.
Era stata una cena tranquilla, perfetta, la prima di molte altre a venire. Più si conoscevano, più la loro intimità era migliorata.
Adesso che si trovava rinchiusa in casa di un uomo che non conosceva capì quanto si fosse comportata da stupida tutte le volte che aveva inscenato un litigio. Avrebbe dato qualunque cosa per scusarsi con lui e promettergli che non si sarebbe più comportata come un’emerita stronza. Qualunque cosa pur di abbracciare l’uomo che amava.
Qualunque.
 
Khalid le aveva lasciato un vassoio per le pietanze con dentro della pasta, piatto, forchetta, tovagliolo e una bottiglietta d’acqua sul comodino accanto al letto. Uscendo, lei non gli aveva rivolta neanche un’occhiata.
Quando tornò a controllare che avesse mangiato, vide il piatto sporco di sugo con la forchetta posata sopra e lei sdraiata su un fianco, addormentata.
Alla fine aveva ceduto e pareva che le fosse anche piaciuto, poiché si era quasi mangiata tutta la porzione.
Khalid riportò il tutto in cucina, facendo il minor rumore possibile, e si mise subito a lavare piatto e forchetta.
La zona cucina comunicava direttamente con il salotto e la casa aveva un solo bagno e due stanze da letto. Meglio di niente, di certo una delle migliori sistemazione che potesse trovare nei d’intorni, lì, sperduta tra la campagna toscana.
C’era una sola abitazione nel raggio di chilometri, proprietà di un vecchio contadino. La sistemazione ideale per chiunque volesse un po’ di privacy. Soprattutto, per chi non volesse essere trovato.
Quando ebbe finito di lavare, si asciugò le mani da acqua e sapone pensando alle ultime ore trascorse e al dialogo avuto con Cecilia. Prima che lei si fosse risvegliata, aveva trovato per terra un foglio ripiegato molte volte in modo da entrare nella tasca dei pantaloni. Doveva esserle caduto proprio da lì e si era chiesto distrattamente se lei si portasse quel foglio ovunque andasse.
Lo aveva aperto e aveva visto un disegno che la ritraeva, fatto molto probabilmente da un bambino di non più di sei anni, accompagnato dalla scritta Cecilia. Era stato così che aveva scoperto il suo nome.
Il foglio era quasi completamente vuoto, a parte la figura storpiata della donna e il suo nome; non c’erano un cielo e un sole a fare sfondo al disegno, tipici dei bambini. Solo una donna, la quale avrebbe potuto essere benissimo una bambina, etichettata con il proprio nome.
Aveva appoggiato il foglio accanto al libro di poesie in cucina e se ne era quasi dimenticato, almeno fino ad ora che lo aveva davanti. Si chiese chi avesse potuto donarle quel disegno.
Cecilia aveva fatto cenno ad un uomo, un certo Sebastian- il compagno? Il marito?- ma nessun cenno a qualche possibile figlio e Khalid escludeva che ne avesse. Era giovane, non più di trent’anni, e anche se sapeva benissimo che c’erano ragazze madri molto più giovani di lei non gli era sembrato il tipo di donna da avere già un figlio.
Magari si trattava di un nipote o il figlio di un’amica. Oppure, poteva avere a che fare con il suo lavoro.
Khalid sorrise. Non credeva che potesse essere una babysitter o un’insegnante delle elementari. Con il caratterino che si ritrovava, come minimo sarebbe impazzita avendo a che fare con un’orda- ma anche uno solo- di marmocchi confusionari. Perlomeno, questa era l’immagine che si era fatta di lei.
Prese il libro di poesie e lo aprì alla pagina segnata con un nastro rosso. Sfiorò quel nastro ricordando la bambina che glielo aveva donato, quindi cominciò a leggere a bassa voce, soffermandosi su dei versi in particolare.
‘’ Non si possono contare le lune che brillano sui suoi
tetti,
né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi
muri.’’

Era un’antica poesia che parlava della sua città natale, Kabul, una città che non aveva mai conosciuto da bambino, ma che aveva visto da adulto martoriata dalla guerra.
Era la città della caccia agli aquiloni che lui non aveva mai vissuto, mai giocato in vita sua, ma soprattutto era la città della bambina con il nastro rosso, con i capelli corti e la testa spaccata in due. 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: AAVV