Capitolo 1 - Una nota di nostalgia
Ndr
12/09/15 Rispetto alla prima pubblicazione, sono state apportate
alcune correzioni generali; nella fattispecie al nome di Satomi, che ho
scoperto essere femminile e quindi trasformato in “Hitoshi”. Chiedo venia per l’errore,
nei prossimi capitoli presterò maggiore attenzione.
***
Nonostante
i valori della diligenza e devozione al lavoro gli fossero stati inculcati sin
dall’infanzia, Hitoshi san non reggeva più la vista di quella enorme montagna
di scartoffie che da settimane gli impediva di rincasare ad un orario decente;
e quella sera non si annunciava diversa dalle altre. Sbuffando appena,
impercettibilmente, prese a massaggiarsi le tempie doloranti; la dolce brezza
serale di inizio estate proveniente dall’esterno della finestra aperta gli
regalò un attimo di pace, ma non bastò a distrarlo dal pensiero della reazione
che sua moglie avrebbe avuto dopo l'ennesimo ritardo a cena. Certamente non
sarebbe stata docile e sottomessa quanto lei stessa era stata in passato, ai
tempi del loro matrimonio.
Eppure, nonostante questi tormenti gli rendessero difficile concentrarsi, mai
avrebbe consentito ai propri problemi personali di frapporsi tra se stesso e il
lavoro. I suoi superiori lo avevano reso responsabile dell'organizzazione di un
evento assolutamente maestoso; e lui avrebbe volentieri preferito il suicido anziché
deluderli con un fallimento.
La soddisfazione di aver ricevuto un incarico così importante lo fece fremere
di orgoglio e per un momento dimenticò la moglie insoddisfatta, il figlio
atteso invano per anni ed il suo stipendio appena dignitoso se paragonato a
quello di colleghi meno capaci di lui.
“Forse questa sarà la volta buona”, pensò sollevando la testa mentre esaminava
l’ennesimo modulo da compilare, “Stavolta, non potranno ignorare i risultati
eccellenti del mio lavoro”, e gli apparve così verosimile la prospettiva di una
promozione, che prese a lavorare con rinnovato vigore approfittando degli
ultimi raggi di sole che penetravano ancora nella stanza. Mai lo sfiorò, quella
sera, l’idea che la sua consorte, così devota eppure così sola nella piccola
casetta di periferia, avrebbe preferito averlo a cena tutte le sere piuttosto
che promosso. Quando finalmente rincasò, era già tardi e lei fingeva di
dormire; lo sentì distendersi nel letto al suo fianco, ma non si girò verso di
lui.
Reiko Matsuda vide il pugno del combattente che le stava di fronte, giungerle
con sorprendente chiarezza, e le fu facile evitarlo spostando appena il proprio
peso sulla gamba sinistra e abbassandosi leggermente. Nel farlo, fu così rapida
che il suo avversario non ebbe il tempo di ricomporre la guardia e questo errore
gli fu fatale : Con un ampio movimento del braccio lo colpì al fianco destro in
modo da togliergli il fiato; e quando lui si trovò completamente scoperto, lo
centrò in pieno petto con un colpo veloce e preciso. L’atleta, che quel giorno
era sceso in campo con incrollabile fiducia nella propria superiorità di
genere, e fermamente convinto che combattere contro una ragazza non fosse una
prova degna del suo talento, crollò invece miseramente al tappeto senza più le
energie per rialzarsi. Immediatamente, lo stupore degli spettatori si trasformò
in applausi indirizzati all’inaspettata vincitrice dell’incontro, quella
ragazza dallo sguardo fiero e dal fisico leggero e veloce.
Mentre si apprestava ai rituali inchini che celebravano la fine della gara e
stringeva la mano al suo sconfitto e mortificato avversario, tutto ciò che le
venne da pensare fu che da troppo tempo non aveva modo di misurarsi con un
degno lottatore. Si avviò verso gli spogliatoi con passo deciso sotto gli
sguardi ammirati del pubblico maschile del Wilmington Karate Club di Los
Angeles. Nel corridoio l’attendeva suo padre, Gonshiro Matsuda, con le braccia
conserte e la sua stessa espressione altera; non ebbero bisogno di scambiarsi
parole poiché lui la anticipò sul tempo
- Direi poco più di una passeggiata -
- Mpf - fu tutto ciò che ebbe a replicare Reiko, e proseguì diretta alle docce.
Quando si ritrovarono all’uscita della palestra, il cielo era dipinto dei
colori del blu, ma le sfavillanti luci della città intorno a loro tingevano l’aria
di un’atmosfera dinamica e incoraggiavano a perdersi tra la moltitudine della
folla e dei locali circostanti, nonostante l’orario tardo.
Casa loro era poco distante da lì, così si incamminarono a piedi, l’uno accanto
all’altra, in silenzio.
Fisicamente, non si assomigliavano molto, poiché Reiko aveva ereditato i
lineamenti gentili del volto, il color ambrato dei capelli e il corpo atletico
dalla madre; ma i suoi profondi occhi castani, dai quali saettava lo stesso
sguardo penetrante e austero del padre, lasciavano pochi dubbi sull’identità
del loro legame; uguale era pure il loro portamento sicuro.
Attraversarono a passo rapido il boulevard.
- Potremmo mangiare qualcosa - propose l’uomo – Che ne diresti di uno strappo
alle regole? Hai combattuto bene stasera -
Reiko, che aveva lo sguardo pensieroso, impiegò qualche secondo prima di
rispondere – Non ho fame, andrò direttamente a dormire; Ho intenzione di
riprendere gli allenamenti già domattina –
Il padre tentò una debole protesta - Questo programma che segui…Non sarà
eccessivamente severo? Ricorda che il riposo…-
- …E’ altrettanto importante che l’allenamento – concluse lei al posto suo,
sforzandosi di trattenere un sorrisetto – Strano che sia proprio tu a dirmelo,
abbiamo preparato insieme la mia scheda atletica –
- Ammetto che all’epoca non pensavo che saresti mai riuscita a seguirla
integralmente – confessò Gonshiro sorridendo di fronte all’occhiataccia di
risposta che si ebbe dalla figlia – Ma è stato comunque interessante seguire i
tuoi progressi – aggiunse appoggiandole una mano sulla spalla.
La ragazza corrucciò la fronte prima di sorridere anch’ella – Ecco perché ho
faticato tanto…Ma non ti avrei mai dato la soddisfazione di chiederti di mitigarmi
gli allenamenti –
- Lo credo bene, sei mia figlia – rispose lui, semplicemente.
Continuarono a camminare finché non furono giunti all’ingresso della loro
abitazione, e fu in quel momento che Gonshiro ebbe uno dei suoi rari attimi di
esitazione.
Da tutta la sera desiderava rivolgerle una domanda, ma il carattere estremamente
riservato della ragazza, così simile al suo, unito al timore di una reazione
potenzialmente esplosiva, lo aveva dissuaso dal tentare senza prima aver colto
il momento giusto, e quello gli parve il migliore della giornata.
Sorrise tra sé e sé poiché l’indecisione era stata una sensazione a lui
sconosciuta fino a qualche tempo prima; ma da quando Reiko era cresciuta, le
cose erano cambiate.
- Avanti, dimmi a cosa stai pensando – lo esortò lei inclinando leggermente la
testa come faceva sempre quando notava qualcosa di insolito.
Gonshiro sospirò, deluso di non aver saputo mascherare meglio la sua
incertezza, poi si risolse a chiederle francamente – Mi domandavo se avessi
ricevuto più notizie da Hayama –
Come aveva previsto, lo sguardo della fanciulla passò immediatamente dalla
curiosità al fastidio – No, e non ho intenzione di riceverne – fu la secca
replica.
L’irruenza della risposta di sua figlia lo indusse ad esprimersi senza più
curarsi di essere delicato - Reiko, non dovresti essere così severa -
Si aspettava una reazione violenta, che stranamente non giunse; invece lei lo
fissò dritto negli occhi - Non penso affatto di essere severa, ho i miei motivi
per comportarmi così -
- Non ho dubbi - convenne il padre - Sei una ragazza
intelligente e volitiva, abituata a riflettere prima di agire; ma sei anche
orgogliosa come me, e a te stessa non puoi mentire : Conoscevi fin dall’inizio
la situazione, e sapevi che prima o poi sarebbe rientrato a Tokyo;
ciò nonostante, mi sembra che tu non riesca proprio a perdonarlo e che lo abbia
preso come un torto personale -
Reiko si voltò a guardare la strada, cosciente della verità di quanto le era stato
appena detto da suo padre, che pure conosceva solo una parte della storia; il
pezzo mancante, per quanto potesse intuirlo, non sarebbe stato certamente lei a
rivelarglielo. Ma era testarda per natura e quindi insistette - Tornare a Tokyo
non era necessariamente l’unica scelta che avesse; e inoltre dal giorno della
sua partenza ha agito in modo tale da troncare i nostri rapporti, perciò non c’è
altro da aggiungere -
Gonshiro fece un ultimo tentativo prima di aprire il portone di casa - Sono
pronto a scommettere che ti manca combattere contro di lui -
Una nota di nostalgia velò appena i grandi occhi della ragazza - Era l’unico che valesse qualcosa, e abbastanza intelligente da capire subito
che non doveva abbassare la guardia e trattarmi alla pari di un atleta maschio
- concluse prima di dirigersi verso la sua stanza senza aggiungere altro.
Era vero, Hayama era stato il solo contro cui le fosse piaciuto davvero
combattere, uno dei pochi in cui aveva scorto lo spirito del vero
karateka. Quando si muoveva sul
ring aveva una resistenza ed una forza d’animo che conquistavano
il cuore e gli
occhi di chi lo osservava. Niente avrebbe potuto distoglierlo dal suo
obiettivo; era una persona che nel karate infondeva parte della propria
vita, ed
era difficile anche solo sperare di poterlo fermare.
Eppure, la prima volta che lo vide presentarsi alla palestra del padre, non
avrebbe mai pensato che quel ragazzino biondo dalla faccia ostinata e dal
braccio destro paralizzato potesse competere in quel mondo alla pari dei
normodotati. Era sicura che, come altri prima di lui, si sarebbe presto
destato dal sogno e avrebbe abbandonato quell’idea folle per dedicarsi ad
altro; tuttavia ne ammirò il coraggio. Ciò nonostante, l’unica simpatia che potesse
nutrire per Hayama all'epoca, era quella di condividere le medesime origini
nipponiche e il destino di ritrovarsi in una terra straniera così diversa
dalla loro.
Suo padre invece, più lungimirante di lei, era rimasto affascinato dalla
caparbietà del biondino, e aveva scorto al di là di essa una forza tenuta volutamente nascosta; ma questa sensazione, da sola non sarebbe bastata per
convincerlo a fargli da maestro : Occorreva prima che il ragazzo fosse
messo alla prova, e che la superasse.
Reiko ricordava bene quel giorno; Hayama, privo di qualsiasi
allenamento e
senza conoscere nulla sui metodi di combattimento del padre, venne
invitato a misurarsi contro uno degli allievi più promettenti in
un regolare match; com’era prevedibile, perse l’incontro,
ma non
prima di aver impegnato duramente il proprio avversario per 8 riprese senza che
questi riuscisse a domarlo.
Gonshiro aveva osservato la gara; quando Akito era stato sconfitto aveva
sorriso, e, senza esitazione, gli aveva comunicato che accettava di addestrarlo
alla disciplina. Reiko aveva obiettato; non capiva perché ad Hayama dovesse
essere risparmiata la lunga gavetta fatta di ore di esercizi e preparazione in
solitudine che era spettata invece a tutti gli altri, lei compresa, e gli fosse
stata invece subito riconosciuta una preparazione speciale.
Dapprima, lo aveva odiato per questo, e aveva tentato in tutti i modi di fargli
percepire questo suo sentimento sottoponendolo al doppio delle fatiche ogni
volta che il padre lo spediva ad allenarsi nella zona della palestra di sua
competenza; inoltre, non perdeva occasione per rimproverarlo anche di colpe non
sue.
Ma Akito aveva retto alla prova; e con il tempo, con la dedizione,
mese dopo
mese, aveva recuperato quasi completamente l’utilizzo
dell’arto destro e
colmato la distanza che lo separava dagli altri atleti, confermando
così l'avvedutezza della scelta di Gonshiro. Infine, anche la stessa
Reiko dovette riconoscere le eccezionali qualità di quel ragazzo
tenebroso e
taciturno, e fu meravigliata di riscoprirsi affascinata e desiderosa di
conoscerlo in modo sincero. Ben presto, mise da parte tutti i suoi rancori,
anche se
mantenne una certa diffidenza ancora per qualche tempo.
Questi ricordi destarono in lei una spiacevole sensazione di sconforto poiché
sapeva che non lo avrebbe forse mai più rivisto; decise così di andare a letto.
Nonostante avesse appena disputato un incontro, però, non riusciva a prendere
sonno.
Prese a rigirarsi tra le lenzuola senza trovar pace, finché capì che sarebbe
stato inutile insistere e decise di uscir fuori della terrazza a prendere una
boccata d’aria. Dall’alto del proprio appartamento, osservava le luci della
città risplendere come fuochi ardenti di fronte a lei, e poteva facilmente
udire il rumore appena smorzato dei clacson delle automobili che, come
formiche, pullulavano le affollate strade del centro di Los Angeles.
Reiko sospirò, prima di scorrere con lo sguardo l’intera strada e posare i
propri occhi su una panchina solitaria alla fine di essa.
Le tornò alla mente un episodio risalente alla permanenza di Hayama, legato
proprio a quella panca; in modo del tutto simile al padre, abbassò la testa e
sorrise tra sé e sé.