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Autore: Midnight the mad    13/09/2015    1 recensioni
Jimmy. 20 anni, un fallito. Questo è tutto ciò che c'è da sapere di lui. Almeno fino a quando non decide di andare via dalla città dove ha sempre abitato alla ricerca di... cosa? Neanche lui lo sa.
Ma quello che trova non se lo sarebbe mai aspettato: una periferia piena di parole, una ragazza con lo stesso nome della marjuana e soprattutto una persona senza nome, senza storia, senza vita.
"– Com’è che l’hai chiamata? –
Lei sorride. – Beh, non dice a nessuno il suo nome, tutti se lo chiedono. Dopo un po’, è diventato un soprannome. La cara, stronza, vecchia Whatsername. –"
". – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cigarettes and Raman and a little bag of dope, I am son of a bitch and Edgar Allan Poe. 

 
- E quindi adesso ho un altro collaboratore? – chiede Mary Jane, con aria divertita.
Annuisco scrollando le spalle. Dopo quella stretta di mano non ho più parlato con Whatsername, ma direi che è andata bene.
- Pink Floyd. – borbotto, tra me. – Davvero, non ci avevo pensato. Ma cavolo, faceva pure rima! –
Lei ride. – Lei è un po’ genere “Pink Floyd”. –
- E che cos’è il genere “Pink Floyd”? –
Mary Jane scrolla le spalle e non risponde. Alzo gli occhi al cielo. Ma perché nessuno riesce a finire un discorso, qui?
- Comunque, adesso che devo fare? – chiedo, dopo un po’.
- Beh, non so. Però se vuoi a casa mia c’è una stanza libera. –
- Stai cercando di rimorchiarmi? –
Mi guarda. Solleva un sopracciglio. – Bellezza, sono la migliore amica di un boss della droga conosciuto da Chicago a Toronto. Pensi sul serio che abbia bisogno di rimorchiare te? – Mi manda un bacio ironico con la mano e se ne va.
 
La sera stessa sono seduto al tavolo di una cucina arredata in modo piuttosto strano. Sì, sinceramente non avevo mai pensato di conficcare dei coltelli in un muro di cartongesso dipingendoci intorno del sangue che cola, ma probabilmente il problema sono io.
Io guardo il muro, poi Mary Jane. – Devo ammetterlo, mi stai facendo paura. –
Lei ridacchia. – Ti fa paura questo e non casa di Whatsername? Cazzo. –
- Almeno lì i coltelli non sono veri. –
Scrolla le spalle. Dovrò iniziare a contare quante volte lo fa al giorno, accidenti.
- E comunque non ho detto che quella non mi fa paura. – aggiungo.
- Ah, ecco. –
Mentre mi infilo in bocca qualcosa giocherello con il nuovo telefono che mi hanno dato. Con questo potrei chiamare mia madre, penso. Potrei dirle che sto bene.
Sì, ma se glielo dicessi dovrei tornare indietro. E io non voglio, non so perché ma ho bisogno di restare qui.
Sospiro e mi metto il cellulare in tasca, un attimo prima che quello si metta a squillare. Io lo porto all’orecchio. – Pronto? –
- Mi dispiace scomodare il tuo regale didietro, ma ho un lavoro per te. –
Mi sbatte il telefono in faccia.
Mary Jane mi guarda mentre mi alzo e rispondo alla sua domanda muta. – Sì, era lei. –
 
Cammino rapidamente fino al palazzo dove abita Whatesername. Non perché io abbia così tanta fretta, ma perché ho voglia di guardare un po’ meglio quei graffiti prima di entrare. Perciò non appena raggiungo l’edificio ci giro intorno.
Oltre la facciata dove c’è il portone, anche le altre sono dipinte, e ognuna sembra raccontare una storia a sé. Quella di destra la riconosco: è We are the world. Quella di sinistra non la conosco, ma visto come si ripete quella frase per tutta la canzone direi che si potrebbe chiamare Nothing else matters. Quella sul retro è Wish
you were here dei Pink Floyd. Sì, a quanto pare ci è davvero fissata.
Il portone è socchiuso, perciò entro e me lo chiudo alle spalle. Dentro non ci sono luci, ma quella dei lampioni all’esterno è sufficiente a riuscire a salire senza ammazzarsi. Anche se, con questa penombra, le macchie di sangue dipinte sul muro sono piuttosto inquietanti.
Inizio a sentire la musica quando sono a metà tra il terzo e il quarto piano. C’è una chitarra, e una voce che canta. Salgo di più per sentire meglio. Chiunque stia suonando, con la chitarra è bravissimo. La voce non è bellissima ma anche su quella non sputerei.
 
Welcome to the Hotel California!
Such a lovely place, such a lovely place,
such a lovely face...
They’re livin’ it up at the Hotel California.
What a nice surprise, what a nice surprise,
bring your alibis...
 
Arrivo alla porta dell’appartamento di Whatsername e mi rendo conto che la musica proviene da lì. Anche questa porta è socchiusa, perciò entro. E mi blocco.
Lei è seduta su un divano di pelle nera, una chitarra acustica tra le mani, le dita che volano sulle corde. Quando mi sente alza la testa e mi fa cenno di avvicinarmi, ma non smette di suonare.
 
Mirrors on the ceiling,
pink champagne on ice,
and she said: “We are just all prisoners here
of our own device.”...
And in the master chambers
they gathered for the feast;
they stab it with their steely knives
but they just can’t kill the beast...
 
Io la guardo. Lei mi guarda, quasi con aria di sfida. A sorpresa, io mi ritrovo a cantare con lei l’ultima strofa.
 
Last thing I remember,
I was running for the door:
I had to find a passage back to the place I was before...
“Relax.” said the night man.
“We are programmed to receive:
you can check out anytime you like,
but you can never leave...”
 
La musica si spegne lentamente, ma noi continuiamo a guardarci. Whatsername posa la chitarra sul divano accanto a sé. – Beh. – dice. – Secondo te è così? –
Batto le palpebre senza capire. – Secondo me è così cosa? –
- Secondo te c’è una via di fuga da quello che hai deciso di fare oppure per quanto tu scappi... non riuscirai mai ad andartene? – Non ha un’aria minacciosa. Semplicemente, mi guarda come se la mai risposta la incuriosisse.
Io ci penso per un secondo. Non è semplice tirarsi fuori dai giri di spaccio e lo so, ma... – Tu mi impediresti di andartene, se volessi? –
- Dipende. – Sorride. – Ma tu pensi che vorrai andartene? Che vorrai tornare a casa? –
La fisso negli occhi. – Io non ce l’ho una casa. –
- Beh, allora ok. Ti spiego cosa devi fare. –
 
- Quindi... è tutto qui? – chiedo, quasi senza crederci.
Lei scrolla le spalle. – Sì. Tutto qui. Non mi sembra troppo problematico, no? –
Io non ho il coraggio di dire che mi sembra fin troppo poco problematico.
Whatsername, come se potesse leggermi nel pensiero, alza gli occhi al cielo. – Senti, è molto più semplice di quello che sembra, e oltretutto non ti affiderei incarichi troppo difficile adesso neanche se ce ne fossero, prima di tutto perché non sono sicura di potermi fidare di te e poi anche perché potresti farti scoprire o anche ammazzare e non voglio perdere mercanzia, chiaro? –
Già. Ovviamente il problema, nel caso della mia morte, non è la mia morte.
Ma che cazzo mi aspettavo? Questa è una svitata spacciatrice di droga. Ok, forse non così tanto svitata, visto  quello che è riuscita a fare. Però un po’ pazza lo è di sicuro.
Lei vede la mia espressione e ghigna. – Senti, Jimmy, non ho la minima intenzione di preoccuparmi per te. Prima di tutto perché sei un idiota del cazzo e secondo perché con il lavoro che faccio preoccuparmi per la gente è qualcosa che non posso permettermi, soprattutto se la “gente” in questione è composta da idioti, cosa effettivamente vera. Chiaro? –
- Chiaro. – rispondo. Vorrei mandarla a quel paese, ma in un modo diverso da cui ho mandato a quel paese la mia vita soltanto qualche giorno fa. Vorrei mandarla a quel paese e poi restare qui, non mandarla a quel paese e andarmene sbattendole la porta in faccia. Non so bene che cosa significhi questa differenza, ma non mi sembra affatto una cosa da nulla.
- Stai pensando che sono una schifosa figlia di puttana, vero? – chiede.
- Sto pensando che sei una fottuta telepate o qualcosa del genere, in realtà. – rispondo, sbuffando. – Come fai a capire tutto quello che penso? –
- Sono abituata. – ribatte, tranquillamente. – Sai che il settanta per cento della conversazione umana è a livello non verbale? –
- Io di solito mi concentro sull’altro trenta per cento. – ribatto.
- Oh, allora sei davvero un idiota. Cosa pensi, di poter conoscere una persona soltanto dal suo trenta per cento, e per dal trenta per cento inutile? Tu guardi solo la facciata. A me invece interessano le storie. –
- Sì, allora perché invece che fare la spacciatrice non ti sei messa a fare la scrittrice? – sbotto, senza riuscire a trattenermi.
- Ho troppo gusto per il dark per scrivere storie che piacciano. In effetti, cazzo, potrei essere la figlia di Edgar Allan Poe. E a quasi nessuno piace Edgar Allan Poe, no? Non è uno di quei... poeti maledetti, o qualcosa del genere? – Quando lo dice, per un secondo, penso che lei potrebbe esserlo, una “poetessa maledetta”, un’artista troppo profonda che fa cose che sono troppo oscure per essere capite. Perché in effetti quei graffiti devono voler dire qualcosa, e io ci ho sentito l’infinito nella sua voce che cantava Hotel California in quel modo che faceva quasi paura perché ti faceva sentire tutto l’inferno nascosto in quelle parole. E non è per questo che la gente chiama quegli artisti “poeti maledetti”? Perché sono capaci di farti vedere l’inferno?
Ripenso anche a quello che mi ha detto Mary Jane. Che lei è... quali erano le parole? “Genere Pink Floyd”, mi sembra. In effetti, che cos’era Syd Barrett se non un poeta maledetto?
- E poi... – aggiunge Whatsername, interrompendo i miei pensieri. – Chi ti ha detto che non scrivo? –
  
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