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Autore: aturiel    13/09/2015    4 recensioni
"Deve esserci qualcosa di strano in me, qualcosa come un gene particolare che attira la sfiga o uno spirito maligno che mi perseguita."
Era questa la conclusione a cui Nico era giunto dopo l'entusiasmante giornata appena trascorsa e, più ci pensava, più si convinceva che la sua diagnosi fosse esatta. Era impossibile un'altra motivazione che giustificasse tutto l'accaduto. [...] Nico si fermò un attimo: ecco, quello era stato il primo errore della sua giornata. Il Grande Manuale di Sopravvivenza della Greek High School (datato 2010, Di Angelo editore) era chiaro su questo punto: se non vuoi essere preso di mira, mai stare da solo.
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Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson, Quasi tutti, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo II

«Tu devi venire, questa sera» esclamò Jason.
Nico lo guardò storto: cosa non capiva delle parole “Non ho voglia di andare a una stupida festa”? Eppure gli sembrava una frase tanto semplice...
«Ci sarà tutta la scuola» disse Jason, per poi aggiungere con aria maliziosa: «Proprio tutta la scuola, intendo dire».
Il riferimento a Percy Jackson non era ignorabile. Nico trattenne un attimo il respiro, cercando un motivo preciso per cui non sarebbe dovuto andare, ma, proprio quando ne stava per afferrare uno, il suo telefono tremò: era Will.
«Devi venire alla festa di 'sta sera: Annabeth sta male, e io ho intenzione di presentarti a Percy! ;)»
Nico sentì una stretta al cuore e l'ansia salire.
Nico, è la tua occasione: coglila o te ne pentirai.
«Ok, verrò. Ma, Jason... prometti che non mi molli in mezzo a un gruppetto di ragazzine urlanti in vestiti strettissimi?»
Jason rise, quindi disse: «Certo che sì! Starò attaccato a te tutta la sera».

Will era più che agitato: sarebbe andato a prendere Nico alle nove e mezza a casa sua, quindi sarebbero andati insieme alla festa e casualmente Nico avrebbe incontrato Jason e, finalmente, lui avrebbe potuto parlarci. Avrebbe capito che genere di persona fosse, se il suo visino quasi perfetto fosse davvero lo specchio di ciò che dicevano in giro: un ragazzo d'oro, sempre a preoccuparsi per gli altri prima che per se stesso, sempre gentile, sempre calmo e divertente, un leader nato che però non s'imponeva mai veramente sugli altri ma che, al contrario, sapeva tirare fuori il meglio da ognuno. Era davvero così, Jason Grace, o era una leggenda metropolitana? Non lo sapeva, ma aveva tutte le intenzioni di scoprirlo.
S'infilò la sua camicia azzurro chiaro, poi cercò di ravviarsi i capelli e di mostrare il suo sorriso più smagliante per nascondere la preoccupazione.
«Will Solace, stai bene e andrà tutto bene. Andrà come deve andare» disse. Le sue parole rimbombarono nella casa vuota, sottraendolo per qualche secondo alla sensazione di solitudine che lo stava sempre più attanagliando. Tutta la sua famiglia era andata a fare un viaggio, lasciandolo a casa a causa dell'ultimo voto che aveva preso in matematica, e non era abituato a girare nell'appartamento da solo. Come faceva Nico a sopportare tutto quel silenzio, per di più in una casa così grande? Se fosse stato in lui, probabilmente si sarebbe rifugiato a casa di un amico finché la madre non sarebbe tornata... ma lui non aveva nessuno da cui rifugiarsi, o meglio, non aveva nessuno che gli avrebbe offerto asilo per qualche settimana.
«Andrà tutto bene, Solace. Tutto dannatamente bene» disse ancora una volta ad alta voce, quindi prese le chiavi di casa e uscì.
La sua macchina era fresca, ma non accese ugualmente il condizionatore e andò dritto verso la casa di Nico. Era stata una sorpresa scoprirsi quasi vicini, ma in quel momento ne era più che felice, e non solo perché Nico era un ragazzo simpatico, ma perché era... qualcuno. Avrebbe dato qualsiasi cosa per annullare la distanza che lo separava dall'enorme villa dell'altro o solo per poter sentir risuonare la sua voce nell'auto, così da non provare più quella terribile sensazione d'abbandono che in quei giorni lo coglieva fin troppo spesso.
«Ehi Nico, sei pronto?» urlò attraverso il citofono.
«Sì, scendo subito!» rispose l'altro. E scese proprio in fretta, per fortuna, talmente tanto che lo vide quasi inciamparsi negli ultimi gradini di casa.
Will non poté fare a meno di osservarlo di sfuggita: i capelli erano ancora un po' umidi – doveva essere appena uscito dalla doccia –, la maglia, ovviamente nera, era più aderente del normale e faceva intravedere un fisico sì magro, ma con un segno di muscoli appena evidenti, come se avesse iniziato da poco ad andare in palestra. I jeans invece erano larghi e strappati, e anche tanto, quindi si vedevano le sue ginocchia appuntite attraverso le aperture. Sì, Will doveva ammettere che stava piuttosto bene quella sera, e non perse l'occasione di farglielo sapere: «Se quel dannato Jackson non ti guarda di sfuggita nemmeno 'sta sera, abbiamo la conferma di una cosa» esordì.
«Del fatto che è più etero di Rocco Siffredi?» rispose acidamente Nico.
«No, del fatto che quei suoi begli occhioni non gli servono a niente».
Nico fece un sorriso tirato, quindi iniziò a torturarsi le mani: «Dici che andrà tutto bene?»
«Certo, Nico. Andrà tutto bene» lo tranquillizzò l'altro, aprendo le sue labbra in un enorme sorriso. Poi, accese la radio e sparò a manetta il suo CD preferito del momento, V dei Maroon 5, e iniziò a cantarlo a squarciagola.
Nico rimase molto sorpreso: «Ehi, hai una bella voce Will!»
«Beh, studio musica da anni. Soprattutto canto e chitarra».
Incuriosito, Nico gli chiese: «Mi farai sentire, un giorno, come suoni?»
«Ti dirò di più: quando sarà il momento giusto, ti farò sentire una canzone mia» rispose lui, sorridendo.
Nico sorrise, ma poi, all'ennesima canzone, esclamò: «Non prenderla male, Will, ma per quanto ami Adam Levine non riuscirei a sentire un'altra sua canzone. Posso mettere qualcosa di mio?» implorò, guardandolo con quei suoi occhioni neri come la notte. E doveva essere parecchio disperato, perché Nico non implorava mai.
«Solitamente direi “auto mia, regole mie”, ma in questo caso farò un'eccezione... e solo perché mi guardi così» rispose Will, estraendo il disco, con un sospiro.
Nico sorrise, quasi si sentisse sollevato dalla sua risposta, quindi gli porse il suo CD. Le note di “Airbag” si diffusero nell'aria.
«E questa che roba è?» chiese Will, leggendo il titolo della canzone.
«I Radiohead, con OK computer... non ti piace?» disse l'altro, con uno sguardo come se lo stesse pregando di dirgli che, sì, quello sarebbe diventato il suo gruppo preferito.
Ci credo che si sente incompreso, se ascolta questa roba...
«Non mi fanno impazzire» iniziò, ma poi vedendo la faccia triste di Nico aggiunse, anche se non ne capì il motivo: «Ma magari è solo perché è musica sperimentale. Insomma, riconosco che sono bravi, devo solo farmi l'orecchio».
E vedendo che Nico, accanto a lui, apriva le labbra in un sorriso a trentadue denti, capì di aver appena firmato la sua condanna. Ma stranamente non gliene importava: era stato un bel regalo quella piega dolce che aveva preso la bocca del suo quasi-vicino di casa.
Arrivarono a destinazione dopo poco meno di mezz'ora. Sulla soglia della porta li accolse un ragazzo dai capelli biondicci e chiarissimi, abbastanza da avere l'aspetto di un Will “annacquato”, e non solo per i colori del suo incarnato e dei suoi occhi, ma anche per il sorriso vagamente antipatico che si aprì sul suo viso. Sembrava quasi che non fosse particolarmente felice di vederli, nonostante avesse invitato tutta la scuola, e questo diede parecchio fastidio a Will che entrò senza spendere troppo della sua allegria. Superata la soglia, iniziò a farsi strada fra la gente e, con l'irrazionale paura di perderselo per strada, afferrò una mano di Nico, cosa che l'altro probabilmente non gradì molto, ma in quel particolare momento non gliene importava: era convinto che lui avrebbe apprezzato più la sua mano che i corpi di qualcosa come cento studenti – tra l'altro sudaticci, visto che la festa era incominciata già da un'oretta buona – a spremerlo come un limone. Lo trascinò finché non si trovò di fronte al gruppetto degli amici di Percy Jackson – e si dava il caso che quello fosse anche il gruppetto dei suoi amici – quindi vi ci s'infilò e salutò tutti con un gran sorriso. Ognuno di loro rispose al saluto, quindi venne il turno di Percy che, per primo, notò Nico: «E questo qui chi è?» chiese, sorridendo.
«Lui è Nico Di Angelo» rispose Will, sempre sorridendo «è un mio amico, quindi trattatelo bene» aggiunse poi, spingendo l'altro avanti.
«Ciao Nico, io sono Percy, piacere!» esordì l'altro, porgendogli la mano.
Come se non sapesse chi sei, stupido di un ragazzo.
Will vide Nico stringere la mano che l'altro gli aveva allungato, e arrossire teneramente. Era davvero evidente come un'insegna a neon che quel ragazzo introverso avesse una cotta per Percy, ma fortunatamente l'altro era abbastanza imbranato per non accorgersene. E lo era anche per non accorgersi dell'espressione delusa che Nico mostrò quando Percy ricominciò a parlare tranquillamente con i suoi amici.
Will gli diede mentalmente dello stupido: Percy era decisamente un bravissimo ragazzo, ma se le cose non gli venivano sbattute in faccia, non riusciva a capire proprio cosa avrebbe dovuto fare. Quindi iniziò anche lui a parlare e fece i salti mortali per inserire anche Nico nella conversazione, e lo fece così bene che, alla fine, riuscì a far dire all'altro ben tre frasi di fila senza essere interrotto.
Ad un certo punto, però, un ragazzo arrivato da poco che Will non conosceva se non di vista, chiese a Nico: «Ehi, ma tu non sei il fratello più piccolo di Bianca Di Angelo?»
Will vide Nico sbiancare. Che gli prendeva tutto d'un colpo? Istintivamente gli mise con fare protettivo una mano sulla spalla, e non seppe mai che fu solo per quello che Nico, in quel momento, riuscì a non cadere. L'altro, intanto, vista l'espressione tetra che era comparso nel viso di Nico, esclamò: «Oh cielo, allora sei proprio tu. Non sai quanto mi dispiace per tua sorella!».
Will sentì Nico sotto le sue dita tremare forte, e rispondere con un fil di voce: «Già» e poi andarsene. Ci vollero alcuni secondi perché Will collegasse i pezzetti: “Di Angelo”... ecco perché la prima volta gli era sembrato un cognome già sentito. Era il fratello di Bianca, quella ragazza che aveva perso la vita in un terribile incidente stradale due anni prima. Si mise subito alla ricerca di Nico per scusarsi di tutti i commenti che aveva fatto sui quadri di sua sorella, di come si erano comportati Percy e i suoi amici, avrebbe voluto scusarsi di praticamente ogni cosa avesse detto o fatto di sbagliato, ma i suoi buoni propositi vennero interrotti bruscamente quando vide dove si era cacciato il ragazzo: era fra due braccia muscolose e chiare, che lo stringevano protettive e fraterne in un abbraccio che, lo poteva percepire fin da lì, era per non far vedere a tutto il resto delle persone che il fragile Nico era sull'orlo delle lacrime. Will si avvicinò a Jason e Nico, indeciso se iniziare a parlare o meno, un po' per paura di ferire ulteriormente Nico, un po' perché non sapeva cosa dire davanti agli occhi azzurri dell'altro. Per fortuna ci pensò Nico a sciogliersi dall'abbraccio proprio nel momento in cui stava arrivando e a dire: «Jason, girati. Questo è Will, un mio amico» per poi indicarlo al ragazzo più grande.
Nico... come fai a far finta di nulla con questa semplicità?
Jason l'osservò un poco, quindi disse: «Ciao Will...» per poi aggiungere: «Ci conosciamo già?»
Oh beh, dipende dai punti di vista. Se due persone si baciano, vuol dire che si conoscono?
«Credo che tu mi abbia solo visto a scuola... sai, faccio greco antico con Nico» rispose invece, tenendo per sé i suoi pensieri. Poi, rivolgendosi al ragazzo dai capelli neri, chiese: «Tutto ok, Nico?»
L'altro annuì piano, quindi si schiarì la voce e disse: «Scusami se non te ne ho parlato prima, ma non volevo scocciarti con cose tristi, quindi...-» s'interruppe, poi riprese a parlare, con le guance leggermente rosate: «E poi mi piaceva come guardavi i quadri di Bianca».
«Sono io che devo scusarmi... sappi che, qualunque cosa, ci sono» disse Will, non trovando parole migliori.
A rispondergli, però, non fu Nico ma Jason, che disse: «Will, puoi accompagnarlo a casa? Io purtroppo non posso farlo, sono venuto con Leo e...-»
Nico però lo interruppe, dicendo: «No, Jason. Non andrò a casa, non 'sta sera» e fece un sorriso tirato. Quindi prese – assurdo! – sia Will sia Jason per un braccio e li portò nel gruppetto di Percy dove fece, improvvisamente sicuro di sé, tutte le presentazioni. E Will non poté far a meno di notare quanto forte fosse quel ragazzetto piccolino e smilzo: sopportare la solitudine di una casa senza lamentarsi, la morte della sorella, i soprusi di Clarisse e l'essere innamorato di un ragazzo decisamente etero era al di sopra delle possibilità di Will, tanto che si sentì sciocco nelle sue paure infantili del buio e del restare solo per qualche giorno in casa sua.
Probabilmente i suoi occhi rivelarono una parte di questi sentimenti, e infatti da lì a poco sentì Jason dirgli sottovoce: «Sembra che qualsiasi cosa possa buttarlo giù, ma alla fine è più forte di me e te messi insieme, vero?»
Will non poté far a meno di annuire, un po' perché le parole si erano improvvisamente bloccate in fondo alla sua gola per i due occhi che, in attesa di una risposta, erano puntati verso di lui, un po' perché il rispetto per Nico stava crescendo talmente in fretta da impedirgli di commentare.

«Sentite, che ne dite di fare un gioco? Mi sto annoiando» urlò a un certo punto un ragazzo, lo stesso che qualche ora prima aveva collegato Nico a sua sorella. La maggior parte della gente se n'era ormai andata, restavano solamente loro e il proprietario della casa che, dal canto suo, si era afflosciato addormentato in un angolo del divano e quindi non li avrebbe disturbati.
Fu Cal – soprannome per Calypso, un nome che molti non sapevano apprezzare, ma che a Nico piaceva perché gli richiamava alla memoria il mito greco –, la ragazza di Leo, a proporre un gioco per una volta diverso dal solito “gioco della bottiglia” o “obbligo e verità”: «Che ne dite se ognuno di noi racconta due storie su di sé, una vera e una falsa e poi gli altri dovranno decidere quale, secondo loro, è quella falsa? Se sbagliano, devono bere».
Tutti accettarono questo innovativo gioco con molto entusiasmo, tanto che la stessa Cal si stupì delle reazioni degli altri, ma non poté che sentirsi realizzata per aver riscosso un tale successo. Percy prese quindi una bottiglia di birra vuota e la mise in centro al cerchio che si stava andando a formare. Quindi, quando tutti si furono seduti, distribuì a ognuno una bottiglia ancora piena di birra e, una volta che pure il suo “regale sedere” – come continuava a chiamarlo Will da tutta la sera ormai – si fu posato a terra, fece girare la loro freccia improvvisata.
Nico cadde nel panico mentre quella ruotava: che storie avrebbe mai potuto raccontare? E, soprattutto, che storia vera avrebbe avuto il coraggio di condividere con gli altri? Era ancora troppo sobrio per mettersi a narrare di quella volta in cui, il primo giorno del secondo anno, era rimasto in mutande perché un passante dei suoi jeans aveva deciso di incastrarsi nella maniglia della porta, o di quel terribile momento in cui aveva perso l'ultimo pullman disponibile e, per la paura di arrivare in ritardo, l'aveva rincorso a piedi per quasi due chilometri sotto lo sguardo di tutto il vicinato.
Per fortuna venne però tolto dall'impiccio: la bottiglia puntò qualcun altro, e quel qualcuno era Jason. Il suo amico si guardò intorno, imbarazzato, piegando le labbra sottili in quella smorfia buffa che gli storceva tutta la cicatrice, a Nico ormai così familiare.
«Allora, direi che tocca a me aprire le danze» iniziò, fra le risatine generali. «La prima storia è molto breve: il motivo per cui ho questa cicatrice è che mi sono spillato – letteralmente – il labbro con una pinzatrice». Dovette interrompersi un attimo, mentre gli altri si consultavano sulla veridicità o meno della sua prima storia, quindi continuò: «La seconda invece è questa: da piccolo avevo un pesciolino rosso, di nome Tommy – non chiedetemi perché avesse quel nome, ma tant'è –, ma un giorno, mentre lui era nel lavandino del bagno in attesa che mia mamma gli cambiasse l'acqua, visto che ero ancora troppo basso per vedere cosa ci fosse dentro al lavandino, pensai bene di lavarmi le mani lì sopra, con tanto di sapone. Tommy morì avvelenato».
Nico rise piano: sapeva perfettamente che quella vera era la prima (e aveva la sensazione che fosse per non farlo bere troppo che Jason aveva raccontato proprio quella), ma la seconda era così divertente che pochi non l'avrebbero votata. E infatti, tutti tranne Nico e Leo decisero che quella vera fosse la seconda... e tutti tranne Nico e Leo bevvero un grande sorso di birra.
Will, stupito, sussurrò a Nico: «Allora è più stupido di quanto sembri!». Nico gli tirò un pugno su una spalla, ma sorrise piano sotto i baffi: sì, Jason era proprio più scemo di quanto apparisse!
Il secondo e il terzo turno furono piuttosto veloci, e in entrambi solamente Will e la povera Cal furono costretti a bere, mentre al quarto turno la bottiglia puntò esattamente una persona: Percy.
«Allora, la prima storia riguarda un poco la mia ragazza» incominciò, provocando commenti un po' spinti nella compagnia e un sorriso tirato sulle labbra di Nico: «La prima volta che ci siamo incontrati, io ero svenuto perché un imbecille mi aveva colpito per sbaglio la testa con una mazza da baseball, e quando mi sono svegliato mi sono ritrovato in infermeria con questa bellissima ragazza dai capelli biondi che cercava di fasciarsi da sola un dito insaccato. Io mi aspettavo il commento del secolo, e invece, appena ho aperto gli occhi, mi ha guardato come se fossi una creatura dell'orrore e ha detto: “Quando dormi sbavi”». Tutti si misero a ridere a crepapelle, immaginandosi la scena – sempre che fosse vera –, e nemmeno Nico non poté far a meno di sorridere di nuovo, questa volta sinceramente divertito.
Certo che Percy è davvero più alla mano di quanto potesse sembrare a prima vista...
«Ehi, ragazzi. Nessuno vuole sentire la mia seconda storia?» urlò poi, per sovrastare tutte le voci che si accalcavano le une sopra le altre. Quindi, dopo che la confusione si placò un po', riprese: «La seconda storia è invece tristemente divertente: un giorno sono andato con un mio amico dark – quindi vestito di nero dalla punta dei capelli fino alle scarpe – a New York. E voi sapete com'è New York: c'è gente ovunque, e una confusione da impazzirci. Comunque ad un certo punto dovevo chiamare questo mio amico, ma visto che chiamarlo a voce era troppo mainstream, ho pensato di tirargli una gomitata sul fianco, tanto – ho pensato – è proprio di fronte a me. Peccato che quello che si è poi girato per rispondermi, fosse un prete e non il mio amico».
Le risate furono generali, ovviamente, e per questo tutti erano convinti che la vera fosse proprio la seconda, e la delusione fu generale quando si scoprì che invece era proprio il contrario.
A Nico toccò il turno successivo, e alla fine si rassegnò a dover raccontare proprio dei pantaloni incastrati nella maniglia, mentre la seconda era talmente mal costruita che tutti, tranne Will, la ritennero falsa.
«Ehi, Will. Tocca a te ora!» esclamò a un certo punto Percy, con fare allegro; aveva bevuto abbastanza, e i suoi occhi erano già da qualche giro piuttosto luccicanti, ma non era nulla in confronto a Will che, invece, aveva dovuto compiere la penitenza quasi ogni turno e, come sospettava Nico, nemmeno troppo involontariamente.
«Allora, la mia prima storiellina è davvero divertente: una volta sono andato in discoteca e a un certo punto mi sono ritrovato una vecchietta tirata a lucido che si stava strusciando contro di me. Mi ha pure morsicato un orecchio, a un certo punto!» iniziò, fra le risate degli amici. Questa volta anche Nico si fece scappare una risata: forse era per l'immagine comica, forse era a causa dell'alcool che aveva in circolo o forse semplicemente perché Will stesso era scoppiato a ridere, contagiandolo, ma anche se le sue labbra si aprirono in un grande sorriso, questo si spense in fretta sentendo l'inizio della storia successiva: «Bene, un giorno invece ero sempre a una festa, ma questa volta non è stata una vecchietta ad avere cattive intenzioni, quanto un ragazzo! E il bello era che, fino a quel momento, tutti avevano supposto fosse banalmente eterosessuale, e invece mi è saltato addosso e...-».
Nico ebbe una velocità di reazione piuttosto alta contando che le bottiglie di birra vuote al suo fianco erano già due, o forse fu proprio per quello che mise in pratica il piano più efficace che, in quel momento, gli venne in mente per zittirlo: si spiaccicò una mano contro la bocca e, dando mostra delle sue – scarse – doti d'attore, simulò un attacco di vomito piuttosto rumoroso. Tutti si zittirono, quindi Nico ne approfittò per afferrare con l'altra mano il polso di Will e lo trascinò in bagno.
«Will, ti rendi conto di ciò che stavi per raccontare?» esordì, non appena varcarono la porta.
L'altro lo guardò con aria smarrita: «Ma tu non stavi male?»
«No, sei tu che sei un idiota, Will» sospirò Nico.
«E perché? Stavo solo raccontando la storia di me e Jason...»
«Appunto, Will, appunto» disse Nico, sempre più scoraggiato.
Ci vollero alcuni secondi perché anche Will si rendesse conto di ciò che era stato in procinto di fare. Poi probabilmente l'alcool agì di nuovo al posto suo, perché si lanciò fra le braccia di uno sconvolto Nico e iniziò a singhiozzare sulla sua spalla: «Oddio, Nico. È che vorrei tanto che lui sapesse che sono io quello che ha baciato quel giorno, vorrei che lo rifacesse di nuovo».
Nico sentì un'inspiegabile stretta al cuore, ma non ci fece caso e quindi rispose: «Va bene, Will. Glielo farai sapere di certo, ma non durante un gioco alcolico, ok?»
L'altro, asciugandosi le lacrime (e un po' di moccio) sulla sua maglietta, rispose: «Giusto, Nico. Hai ragione».
«Senti, ti prometto una cosa: entro la fine della serata o io o te gli racconteremo tutto, va bene?»
«Ti voglio tanto bene, Nico. Grazie» gli rispose l'altro.
Nico lo guardò sconsolato: si ripromise di non ridursi mai in uno stato simile a quello di Will, soprattutto se avrebbe potuto combinare uno dei suoi pasticci o se ci sarebbe stato il rischio di scoppiare a piangere come nulla.
Rientrarono nel salone, quindi tutti gli altri si interessarono della salute di Nico, che rispose con un sorriso debole, che si aprì di più quando notò che i più preoccupati erano Jason, Leo e... Percy. I suoi occhi incredibili lo osservavano con apprensione, come se davvero fosse importante per lui se l'altro stava male o meno, e addirittura una delle sue mani forti si allungò verso il suo ginocchio e gli diede una leggera pacca d'incoraggiamento. Il più piccolo non poté far a meno di arrossire un poco, ma poi si riprese in fretta e disse, tirando di nuovo fuori un coraggio che solo l'alcool gli poteva regalare: «Sentite, questo gioco mi inizia ad annoiare... e se facessimo qualcos'altro?»
Subito Jason lo appoggiò, e propose: «E se tornassimo a un normalissimo gioco della bottiglia? Non dobbiamo nemmeno sforzarci troppo...».
I ragazzi furono entusiasti dell'idea – e chissà perché –, ma lo stesso non si poté dire di Reyna, che fulminò con lo sguardo il suo ragazzo, e di Cal, ancora delusa perché anche la sua proposta era stata bollata come “noiosa”. Alla fine però nessuna delle due fazioni riuscì ad avercela vinta perché, a causa della confusione, il proprietario della casa, che Nico aveva scoperto si chiamasse Octavian, si svegliò e, con l'aria di un bufalo imbestialito, cacciò tutti fuori senza voler sentire storie.
«Nico, dove sei?» sentì urlare a un certo punto. Era la voce di Jason, e ci volle poco tempo perché Nico lo rintracciasse e gli si avvicinasse: d'altronde era il più alto del gruppo e i suoi capelli biondi spiccavano fra gli altri. Quello teneva fra le braccia un Will che a mala pena si reggeva in piedi, e a dirla tutta nemmeno il suo migliore amico era proprio sicuro sulle sue gambe. Di Reyna non c'era traccia (forse si era allontanata con la sua amica Cal e con Leo), fatto sta che quei due non sarebbero andati molto lontano, lasciati così alla deriva. Quindi Nico corse loro incontro e chiese al più piccolo: «Dove hai lasciato la macchina?»
L'altro rise e disse: «Oh, non lo so... forse qui, forse là...»
Sopportare un ubriaco è più difficile di quanto pensassi.
«E tu,» chiese Nico, rivolgendosi questa volta al suo migliore amico «dove hai lasciato la macchina?»
L'altro gli rispose che si trovava nel parcheggio a qualche isolato da lì: non aveva trovato posto davanti all'abitazione di Octavian e quello era il più vicino. Nico quindi afferrò le spalle di entrambi, una per mano – quella sera le sue dita avevano stabilito il record di contatto umano volontario, ma Nico non riusciva comunque a reprimere la sensazione di disagio che ne derivava –, quindi disse: «Bene, ora io vado a recuperare la tua macchina, Jason, se mi dai le chiavi...» s'interruppe un attimo per afferrare il portachiavi a forma di palla da calcio che l'altro gli porgeva, quindi continuò: «Voi mi aspettate qui. E non muovetevi, chiaro? Altrimenti giuro che mi arrabbio» e lo disse con una voce talmente seria e minacciosa che entrambi non poterono far a meno d'impallidire e annuire velocemente.
Ora devo solo sperare che questi due non si mettano nei pasticci...

Will era estremamente felice. Tutto ciò che guardava gli pareva bellissimo, il mondo girava in modo gradevole, e l'odore di pioggia che proveniva dal cielo gli annebbiava piacevolmente i sensi.
Aveva uno dei suoi sorrisi stampati in volto, e questo si allargava sempre di più ogni cosa che faceva, e non sembrava avere intenzione di richiudersi in qualche modo, soprattutto quando si accorse che era seduto affianco a Jason Stramitico Grace. Il suo profilo non era mai stato così vicino a lui e non gli era parso mai così familiare, e quella piccola cicatrice, ormai, era certo di poter dire di conoscerla a memoria.
Stava benissimo con la camicia, e i jeans gli fasciavano le gambe – e il fondo schiena, ma questo era convinto che non fosse il caso di farglielo notare – in modo sublime, tracciando i contorni dei suoi muscoli decisamente sviluppati e mascolini. Sì, doveva essere un bellissimo spettacolo poterli vedere da più vicino, e doveva esserlo anche poterli saggiare con i polpastrelli. Allungò quindi le dita e le posò sulla coscia dell'altro, facendole vagare, incuriosite, fino al ginocchio, per poi farle risalire fino quasi al linguine, dove però furono bloccate da quelle più forti e decise di Jason.
Perché l'aveva fermato? Era lui che l'aveva baciato per la prima volta, non aveva il diritto di impedirgli di toccarlo.
«Che stai facendo, Will?» chiese, più stupito che infastidito.
Will osservò ancora per qualche secondo il viso di Jason, studiandone ogni particolare, perdendosi in quegli occhi azzurri e cristallini, senza macchia o paura, sulle labbra sottili, sulla mandibola squadrata, sulla sottile cicatrice biancastra che rendeva, paradossalmente, quel ragazzo ancora più perfetto. Will sorrise e rispose: «Ti sto baciando».
Jason spalancò gli occhi, ancora più scioccato, quindi incominciò: «Ma non mi stai b...-» ma fu costretto a interrompersi, quando le labbra morbide e calde dell'altro si attaccarono alle sue.

Jason si ritrovò completamente impreparato. Non lo era mai stato a scuola, non lo era mai stato nell'aiutare Nico durante la sua problematica vita, non lo era stato mai durante le partite di calcio, non lo era mai stato e basta... mai, ad eccezione del momento in cui si era trovato con le labbra di Will unite alle proprie.
Eppure avevano un qualcosa di già sentito, quelle labbra, conosceva già il loro sapore e la loro consistenza, il loro calore e la loro dolcezza, e l'attimo dopo non era più impreparato: Jason si ricordò della sua prima – e ultima – vera sbronza, quella che gli aveva gettato in faccia la verità sul suo orientamento sessuale, quella che era passata alla storia della squadra di calcio come la “serata in cui il capitano si è fatto a caso un altro ragazzo”. E, visto che era piuttosto certo che l'unico momento in cui la sua memoria aveva fatto cilecca fosse stata proprio quella, e che quindi l'episodio accaduto si poteva considerare unico nel suo genere, Jason fece due più due e arrivò alla conclusione che era proprio Will quello a cui si era incollato.
Cercò di approfondire il contatto, aprendo la bocca e lasciando che l'altro vi penetrasse, allungando le mani sulla sua schiena e stringendolo come aveva fatto quella sera: le sensazioni erano identiche, non c'era nulla da fare. Il suo sangue ricordò ciò che era avvenuto e, come allora, incominciò a pompare più forte di quanto avesse mai fatto, le sue mani affondarono ancora di più nella carne morbida e nei capelli ricci dell'altro che, come di riflesso, si premette forte contro di lui, come se fosse tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Errore.
La sua testa andò in completo cortocircuito: la prima volta, l'altro si era allontanato da lui dopo poco, troppo sconvolto per reagire, mentre questa volta le sue dita si stavano pericolosamente avvicinando all'inguine. Le immagini divennero confuse, i ricci dorati di Will non furono più ricci, ma divennero neri e ondulati, troppo lunghi per essere i suoi, Jason immaginò che il corpo che lo stava abbracciando e baciando non fosse così alto e muscoloso, ma più sottile, la sua pelle più chiara, le sue dita più magre e allungate e i suoi occhi neri come la pece.
Si staccò velocemente dall'altro, allontanandolo con i palmi delle mani. Non sapeva cosa dire, non sapeva che pensare, e l'alcool stava solo peggiorando la situazione già di per sé complicata. Non ci voleva un genio per capire cos'era avvenuto, eppure tutto gli pareva così confuso da non riuscire a capire dove esattamente era iniziato e dov'era invece finito il bacio dato a Will.
«Ho fatto... ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiese il ragazzo, improvvisamente cinereo in viso, cosa assai strana visto il colore abituale delle sue gote.
Jason deglutì: «No, niente» rispose, cercando di fuggire dal suo sguardo.
Con un bacio sono riuscito a commettere tre tradimenti: verso Reyna, la mia ragazza, verso Will, che avrei dovuto avere in mentre mentre lo baciavo, e verso il mio migliore amico. Si interruppe per qualche secondo, faticando a formulare nella sua mente il nome a cui corrispondeva la definizione di “migliore amico”. Nico.

Nico impiegò più tempo del previsto a recuperare l'auto di Jason, e si perse due volte prima di ritrovare la casa di Octavian. Stava sperando con tutto se stesso che nessuno dei due avesse fatto qualcosa di cui, più tardi, si sarebbe pentito e nel frattempo, probabilmente per inclinazione professionale, stava anche implorando tutti gli dei dell'Olimpo – in particolare Ade – perché non lo facessero schiantare contro un palo (aveva a malapena superato l'esame di guida, e solitamente non era lui a guidare, soprattutto se si trattava dell'enorme – e bellissima – Volvo di Jason) e quindi morire fra le lamiere.
Su, due curve e dovresti essere arrivato. Dai Nico, ancora un poco, e poi...
Vide Jason che stringeva Will fra le braccia, e l'altro che invece allungava le mani verso la cerniera del suo migliore amico, come se non avesse idea di trovarsi in mezzo a una strada.
Ma che accidenti...?
Vide Jason che improvvisamente, come appena ridestatosi da un sogno, spalancava gli occhi azzurri e spingeva lontano Will.
Cosa stai facendo, Grace?
Non aspettò di scoprirlo, quindi aprì la portiera e la chiuse rumorosamente, facendo sobbalzare entrambi. Non s'impietosì di fronte alle facce sconvolte e sull'orlo delle lacrime l'una, colpevole l'altra, quindi urlò: «Si può sapere che cazzo pensavate di fare?»
Will disse: «Io niente, l'ho solo baciato...-»
Jason rispose: «Io...-»
Nico sentì uno strano sapore di sangue raschiargli a fondo la gola, quindi rispose, interrompendoli: «Will, tu non avevi intenzione solo di baciarlo... e tu, Jason, hai una fottuta ragazza, te lo vuoi ficcare in testa?».
Entrambi abbassarono lo sguardo, colpevoli, quindi Will scoppiò a piangere e Jason emise un verso a metà fra un ringhio e un singhiozzo.
Gestire degli ubriachi diventa sempre più difficile. Pensò, e ne fu ancora più convinto quando Jason l'afferrò e lo tirò dentro un abbraccio, a cui si aggiunse dopo poco un lacrimoso Will. E Nico si sentì strano: la sensazione di claustrofobia che ogni volta gli provocava un abbraccio, in particolare quando ad abbracciarlo erano persone decisamente più alte e grandi di lui, si fece sentire, ma questa volta fu superata da un calore che iniziava a salirgli su per il petto, fino ad avvolgerlo del tutto nel suo tepore confortante e infinitamente dolce.
Pensava di aver appena provato il massimo del calore che le relazioni umane potevano dare, quando sentì un ennesimo peso aggiungersi sulla sua schiena. Anche questo era caldo, forse ancora più dei due precedenti, ma il suo odore di cloro sovrastava quello degli altri. Il naso di Nico si arricciò un poco, mentre il suo stomaco si contorceva e il suo viso, fortunatamente nascosto dai corpi degli altri due, diveniva rosso come un pomodoro maturo al pensiero di chi li stava abbracciando. E se fino a cinque secondi prima si trattava solo di una timida ipotesi, il suono della sua voce la fece divenire realtà: «Ehi, ragazzi! Avete appena dato inizio a una nuova festa?»
L'atmosfera sognante si spezzò in un secondo: Jason si scostò in fretta, avendo cura di allontanarsi soprattutto da Will, quest'ultimo invece portò le braccia lungo il corpo e strinse forte i pugni, cercando di non far vedere gli occhi ancora arrossati, mentre Nico internamente urlava di terrore. Si voltò e si ritrovò di fronte Percy Jackson, con il suo solito sorriso amichevole, con le sue solite braccia levigate dagli allenamenti in piscina e dall'acqua stessa, con il suo solito sguardo che ricordava pericolosamente l'oceano. E quello sguardo era puntato proprio verso di lui, che a malapena riusciva a sostenerlo.
«Oh, Percy!» esclamò Will, facendosi evidentemente coraggio. «Non ti avevamo visto...»
L'altro ridacchiò un poco, quindi disse: «L'avevo capito che non mi avevate visto».
Solo in quel momento Nico notò il leggero imbarazzo che aleggiava negli occhi del nuovo arrivato, e solo in quel momento si accorse dell'enorme tragedia che era avvenuta: se Percy aveva visto la scena, Jason si trovava nei guai, in enormi guai.
«Ehm, Percy, posso parlarti un secondo?» chiese quindi Nico, rispondendo al muto grido d'aiuto che gli stava indirizzando con gli occhi il suo migliore amico.
«Sì, certo» acconsentì l'altro, allontanandosi dal gruppetto.
Una volta che furono lontani dal corpo del reato – che in questo caso era il corpo di due adolescenti problematici e in piena crisi ormonale, come i fatti avevano appena dimostrato – iniziò: «So cos'hai visto. Ecco, è stato un errore madornale, Jason lo sa... quindi che ne dici di non spargere la voce in giro? Se Reyna lo scoprisse...»
Nico vide un lampo di delusione passare negli occhi di Percy, e quindi dire, quasi offeso: «Ehi, ma per chi mi hai preso? Non vado a spifferare i fatti altrui, io.»
«No, scusami... cioè, io intendevo...-» incominciò Nico, torturandosi le mani per l'imbarazzo.
«Tranquillo, scherzavo. Ho capito cosa intendevi. Ed è ok, va bene» disse l'altro, con un sorriso. Poi aggiunse: «Anzi, se avessi bisogno di una mano, non aver paura di venire da me, ok? Will è anche mio amico, e non so cosa potrebbe fare una Reyna infuriata, quindi...»
Nico sorrise, con le gote che si andavano a imporporare: «Lo farò. Grazie, Percy».
Allontanandosi da lui, Nico provò una certa soddisfazione egoista: se Will e Jason non si fossero ubriacati, se Will non avesse baciato Jason, se Jason non l'avesse ricambiato – almeno per un momento – e se Percy non li avesse visti, lui e il ragazzo dei suoi sogni non si sarebbero probabilmente più nemmeno salutati a scuola. Adesso invece avevano un segreto in comune e, per quanto questo fosse un segreto da non rivelare a nessun costo, il legame fra loro si stava andando a inspessire.
Forse era una cattiva persona a pensare questo, ma a Nico, per la prima volta nella sua vita, non importava affatto: aveva un sogno, e aveva intenzione di realizzarlo. E, in fondo, era umano anche lui. Chi l'aveva detto che non poteva sbagliare, cadere e infangarsi un poco?

La mente di Will lavorava ai trecento all'ora: aveva baciato Jason, lui l'aveva ricambiato – e anche con una certa convinzione –, quindi senza un motivo apparente l'aveva respinto. Analizzando tutto ciò che aveva fatto, non c'era stato movimento che gli era parso sbagliato o, almeno, non abbastanza da farsi scacciare in un modo simile.
L'alcool era ancora in circolo, lo sentiva bene, ma neppure la consapevolezza che quella sostanza abbassava notevolmente le barriere imposte dal pudore gli impedì di scoppiare, per l'ennesima volta, a piangere come un bambino.
Ho rovinato tutto, e non so nemmeno come ho fatto.
Vide Nico avvicinarsi a lui, con aria preoccupata. Era strano come quel viso che, fino a pochi giorni prima gli pareva simile a tanti altri, ora possedesse delle sfumature che prima non era riuscito a cogliere appieno: le sopracciglia avevano una forma particolare, non erano né dritte né arcuate, ma una via di mezzo fra le due, il corpo non era poi così magro e ossuto, pareva più che altro che dovesse ancora sbocciare, come se la muscolatura stesse aspettando, paziente, di farsi intravedere con più decisione sotto la pelle e i suoi occhi non erano più solo neri, ma avevano un vuoto dentro che l'attirava terribilmente, quasi come la luce che tutti dicevano appartenergli desiderasse venir risucchiata in quelle tenebre perenni. Non era bellissimo, Nico Di Angelo, ma Will comprese il suo fascino, quindi sorrise un poco fra le lacrime e scoppiò a ridere.
«Will, promettimi che non ti ridurrai più in questo stato» esclamò a un certo punto Nico, vedendolo passare da un pianto disperato a una risata profondamente divertita.
«Te l'hanno mai detto che hai dei begli occhi?» gli chiese Will, cercando di non ridere.
Nico sospirò, con le gote un po' arrossate: «No, non me l'hanno mai detto».
«A me invece lo dicono tanto spesso» esclamò Will, ridendo sempre di più.
«Ci credo: hai gli occhi azzurri, e per lo più molto chiari» rispose Nico, con un'espressione sconsolata e rassegnata.
«Eppure i tuoi sono più belli» rise di nuovo Will, e non si diede pena di rispondere alla richiesta di una spiegazione da parte dell'altro, ma si limitò a continuare a ridere come se tutto ciò gli sembrasse la cosa più divertente a cui avesse mai assistito.
È che sono un completo idiota, Nico. E ho subito molto meno di te. E i tuoi occhi sono stupendi, i miei freddi e lontani.
«Senti, io sono andato a recuperare la macchina di Jason per un motivo. Che ne dite se lo metto in pratica?» esclamò ad un tratto Nico, rivolgendosi in primis a Will, ma anche a Jason e Percy che, lì vicino, avevano assistito al dialogo nonsense avvenuto fra i due e che continuavano a guardarli come se sulla loro testa aleggiasse un enorme punto interrogativo.
E fu proprio Percy il primo a rispondere: «Se potreste accompagnare anche me, sarebbe fantastico: ero venuto con Jack – ehm, non mi ricordo il cognome –, ma mi ha mollato qui e sono senza macchina, quindi...-»
«Se hai la patente, ti lascio direttamente la macchina. Di Nico non mi fido molto» rispose Jason, con una risata.
Percy acconsentì, quindi tutti salirono sull'auto. A metà strada Jason si rese conto che, non potendo guidare, o Percy sarebbe stato costretto ad andarsene a casa a piedi, oppure la sua macchina non sarebbe stata parcheggiata nel suo garage, quella sera. Alla fine però, dopo qualche riflessione condivisa e parecchie rassicurazioni da parte dell'autista improvvisato, Jason optò per la seconda scelta e, pur con un groppo in gola, acconsentì che l'altro se ne tornasse a casa con la sua auto.
La prima tappa fu la villetta di Nico, dove Will iniziò a fare scenate da bambino di cinque anni che ha appena finito di vedere in televisione l'Esorcista; alla fine Nico gli permise di dormire da lui – d'altronde sua mamma era fuori casa e, se per una volta trasgrediva le regole, non sarebbe morto nessuno –, quindi lo fece salire e gli indicò da perfetto uomo di casa la stanza degli ospiti.
Passarono cinque minuti che Will fece capolino nella sua stanza dicendo che la camera che gli era stata assegnata era troppo lontana dalla sua, e che quindi sarebbe stato come se non fosse nemmeno in compagnia. Nico, impietosito dal suo viso spaurito e per tutto ciò che gli era capitato quella sera, gli propose di stare svegli insieme in soggiorno a vedere film – possibilmente non horror – e, questa volta, gli indicò il divano.
Mise nel lettore DVD uno dei suoi film preferiti, Bastardi senza gloria di Tarantino, quindi si accoccolò anche lui fra i cuscini e si godette, un fantastico – e non solo metaforicamente – Tenente Aldo Raine alle prese con i Nazisti e Hitler, finché non sopraggiunse il sonno.

Il mattino seguente Nico si svegliò per un raggio di sole di troppo che riuscì a passare fra le tende azzurre del salone. Si stropicciò gli occhi, quindi si rese conto che più della metà del suo corpo era sepolta sotto un altro, quello di Will. L'altro ragazzo si era infatti addormentato con la testa appoggiata al suo petto, le gambe sul divano e le braccia a stringergli la vita, manco fosse un pupazzo di pezza. Sarebbe stata un'immagine dolce – con i riccioli di Will illuminati dal sole, le sue lunghe ciglia chiare che brillavano e il suo solito calore – se non fosse che un rivoletto di bava colava da un angolo della sua bocca e si andava a poggiare proprio sulla maglietta di Nico. Il ragazzo quindi, cercando di non svegliare l'altro ma rendendosi allo stesso conto che sarebbe stato praticamente impossibile non farlo, cercò di sfilarsi da sotto il corpo di Will. Come previsto, però, quello si svegliò e si mise a sedere, solo dopo qualche secondo passato a cercare di capire in che luogo si trovasse.
«Quando dormi sbavi» disse Nico, con una smorfia.
«Chissà perché, ma questa frase mi suona familiare...» rispose invece Will, massaggiandosi la testa. Non aveva decisamente una bella cera e i suoi occhi erano ancora annebbiati dal sonno.
Nico, finalmente in grado di muoversi, si alzò e si diresse in cucina per preparare la colazione. Purtroppo, però, le uniche cose che trovò nel frigo erano o scadute – vedi latte e uova – oppure per niente appetitose – vedi cetrioli sottaceto –, quindi optò per dei miseri cereali trovati in fondo alla dispensa e una macedonia di frutta. Non ci volle molto che Will si alzò e lo trovò in cucina a sbucciare una pesca, quindi, senza dire mezza parola, afferrò anch'egli un coltello e lo aiutò con la sua operazione di alta precisione. Col suo aiuto, in pochi minuti ebbero finito e riuscirono a mangiare qualcosa che somigliasse a una colazione, ma poco dopo si accorsero che la lancetta delle ore era posata sull'uno già da un po', quindi alla fine decisero di uscire direttamente e di andare a mangiare un pasto decente.
Il viaggio che li condusse fino a un ristorante fast food fu molto più piacevole del previsto: nonostante entrambi avessero mal di testa e i corpi stanchi per la nottata passata, chiacchierarono amabilmente per tutto il tragitto, come se una sera del genere li avesse avvicinati. Will si ricordava molto poco di ciò che era successo, e purtroppo quel poco che non aveva dimenticato a causa dell'alcool era quello che più pesava nel suo cuore. Eppure si sentiva stranamente sereno stando vicino a Nico, forse perché l'aveva accolto in casa sua come se si conoscessero da sempre, forse perché l'aveva aiutato quando era in condizioni terribili, forse perché non l'aveva ricacciato in camera degli ospiti quando era spuntato dietro la sua porta, forse perché aveva smesso di ripetergli ossessivamente “Non toccarmi” ogni volta che lo sfiorava per sbaglio o per abitudine. E Nico sorrideva e rideva alle sue battute, faceva ironia – sarcastica, perché d'altronde non si poteva pretendere molto da lui in questo campo – e addirittura allungava le mani lui stesso per tirargli qualche buffetto amichevole o di protesta.
Eppure la presenza minacciosa di una terza persona aleggiava fra loro: Jason. Se Will era terribilmente in imbarazzo a parlare di lui e sentiva di avere fra le mani l'ultimo pezzo del puzzle e di continuare a rigirarlo nel modo sbagliato senza che quello trovasse la sua giusta collocazione, Nico era sinceramente preoccupato per l'amico. Si fidava istintivamente di Percy, ma aveva la sensazione che ciò che era successo non sarebbe caduto nel dimenticatoio e che, quando meno se l'aspettavano, sarebbe scoppiato un pandemonio senza fine, e proprio Jason sarebbe stato l'occhio del ciclone.






 


Note capitolo:
In questo capitolo ci sono delle citazioni più o meno dirette all'opera originale, come la prima frase che Annabeth dice a Percy appena si sveglia al Campo Mezzosangue o il modo in cui Jason si è procurato la cicatrice sul labbro.
Le altre storie raccontate dai protagonisti, invece, sono direttamente accadute a me. Ridete pure xD
Il film Bastardi senza gloria (titolo originale: Inglourious Basterds) è stato diretto da Quentin Tarantino e uscito nel 2009.
Il capitolo è più lungo del solito perché è il perno di tutta la storia! Gli altri saranno un po' più brevi, tranquilli.
   
 
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