Capitolo 3
L'oppio, oggi l'oppio è un'idea migliore. E poi ho lasciato la scorta di cocaina nel nascondiglio in sala e non posso andare a prenderla. John sta provando a parlarmi dall'altro lato della porta, ma non voglio ascoltarlo. E se non fosse tutto uno scherzo? Questa domanda si permette di apparire sottile nella mia mente, chiaramente c'è ancora una parte di me che crede alle favole. Mi odio, ha ragione John a farmi del male. Forse, però, non l'ha detto volendo ferirmi, forse sperava che mi facesse stare meglio sentirglielo dire. Devo essere sembrato solo e sofferente, mi ha detto che mi ama perché gli facevo pena. Oppure no, se avesse davvero voluto farmi del male? Va bene anche così, finché lo rende felice. Speravo che per renderlo felice bastasse rinunciare a lui, fare tutto il possibile per lui e Mary, ma se vuole anche che io soffra dovrei soffrire e basta. Tanto non ho più protezioni da un bel po' di tempo. Purtroppo, però, è troppo tardi. Ho fatto la dose un po' troppo alta. Più alta di quella che prendo di solito. Che lo è già troppo. Tanto non penso che John starà male per la mia morte. Solo, ieri sera...Sei qui, sei vivo. Mi tornano in mente le sue parole, trovo in un attimo il ricordo, l'abbraccio.
Sei qui, sei vivo. Sento nuovamente il dolore della ferita e il piacere del contatto. Il lutto è stato così pesante perché ti amo. Vedo le sue dita contrarsi come quando è nervoso, i suoi occhi invece rimangono fissi nei miei. SHERLOCK! Ascolto la sua voce urlare il mio nome nel sonno. La stessa voce ha urlato il mio nome nello stesso modo sotto il tetto del Bart's, quando ero pronto ad fingere il mio suicidio. Non essere morto. Per me. Ora parla alla mia lapide, freddo marmo nero.
Perché mi sto uccidendo adesso? Che idea stupida. E' umiliante procurarsi un'overdose volontariamente ma cambiare le proprie intenzioni poco prima di morire.
John sta ancora parlando, non riesco ad afferrare neanche una parola.
“John.” Non riesco ad urlare come vorrei, devo raggiungere la porta.
Mi alzo dal letto ma cado, mi trascino per terra finché non riesco a raggiungere la maniglia. La abbasso, ma la porta non si apre. Ho chiuso a chiave, dannato idiota. Prendo la chiave per girarla nella toppa, ma mi cade per terra, sembra la cosa più distante del mondo anche se è a poco più di un metro da me. I miei occhi lottano per chiudersi, il mio corpo per fermarsi. Io lotto per raggiungere una stupida chiave nella speranza che John mi voglia aiutare. Certo che mi vorrà aiutare. (O se ne andrà ridendo?) Sento il freddo del metallo sulle dita, riesco a mettermi in ginocchio e a togliere i giri. Devo solo aprire la porta ora. Non posso farlo in ginocchio. Mi alzo in piedi, mi appoggio al muro. No, non devo. Devo aprire la porta. Finalmente ci riesco.
“Oppio.” Non so se mi ha sentito, forse ho parlato troppo piano. Forse non ho proprio parlato. Sento qualcuno che mi impedisce di cadere e mi sostiene. Ora mi sta facendo camminare, non importa John, tra poco cadrò, cado dopo poco tempo, non riesco più a parlare. John mi sta ancora parlando, prova a farmi rimanere cosciente. Riesco a percepire poche parole. Ora nessuna. Tra poco perderò coscienza, dopo morirò. E se John mi amasse davvero? E' l'ultimo pensiero coerente che riesco ad avere.