Anime & Manga > Binan Kōkō Chikyū Bōei-bu Love!
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Autore: MystOfTheStars    13/09/2015    2 recensioni
Si sa, l'unica cosa in grado di sconfiggere anche le più potenti e oscure tra le maledizioni è, naturalmente, il potere del vero amore.
Il neonato principe En viene maledetto da un demone malvagio e l'incantesimo oscuro potrà essere spezzato solo da un bacio. Tuttavia, sarà davvero difficile - se non impossibile - per i suoi tre spiriti guardiani riuscire a crescere il principino nel cuore della foresta, cercando anche di fargli trovare la persona giusta di cui innamorarsi. Per fortuna, il ragazzo potrebbe riuscire a trovare l'amore anche senza il loro aiuto...
[EnAtsu, IoRyuu, con la partecipazione di - quasi - tutto il cast dell'anime]
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Kinugawa, En Yufuin, Kinshirou Kusatsu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IV

 

Il porcospino nel labirinto di rose


 


 

Dalla sera prima sulla foresta cadeva una pioggerella fredda ed insistente. Le foglie dei faggi, che iniziavano ad arrossire dei colori dell'autunno, scivolavano a terra assieme all'acqua, pesanti nell'aria umida di fine estate. Il sottobosco emanava un profumo pungente, pregno di umori e carico di tutto quello che la stagione si lasciava alle spalle andandosene.

Cullato dal ticchettio delle gocce sul vetro della finestra, En si accoccolò sotto le coperte e si lasciò accompagnare un'altra volta nel mondo dei sogni, ignorando le voci che lo stavano chiamando dal piano di sotto.


 

Ryuu, con aria sconsolata, abbassò le mani che aveva usato per amplificare la voce e chiamare il ragazzo.

"Sai, ogni tanto mi viene il timore che abbiamo un po' esagerato nell'usare la magia per farlo addormentare, quando era piccolo e piangeva tutta la notte." commentò Io, pensieroso. D'altronde, data la loro inesistente esperienza con i bambini, non se la sarebbero mai cavata altrimenti.

"Dici? Secondo me è la maledizione di quel demone che lo ha fatto crescere così pigro."

Ryuu si accinse a salire le scale, borbottando qualcosa rispetto a quanto gliel'avrebbe fatta pagare a quei farabutti, una volta che tutto questo fosse finito (e rispetto al fatto che non vedeva l'ora di crescere in altezza ancora un po', perché era stufo di inerpicarsi per quei gradini con le gambe così corte), quando venne mezzo investito da un piccolo tornado biondo che lo superò di corsa. Certo le gambe corte non erano un limite all'energia di Yumoto.

Lo spirito del fuoco scrollò le spalle, decidendo di lasciare all'altro l'arduo compito di scollare En dal letto. "Piuttosto, spero che quest'ennesima trovata funzionerà." ribadì, incrociando le braccia sul petto e guardando severamente Vombato, seduto sul pavimento lì accanto.

"Ehi, siete voi a lamentarvi sempre di non sapere come fare ad istruire il ragazzo, eppure che cosa avete fatto per ovviare al problema finora? Dovreste ringraziarmi, visto che vi ho procurato un precettore di prim'ordine!" protestò l'animale.

Ryuu manteneva un'espressione perplessa. "Sarà... Però lo sai che non sta bene rapire la gente."

Il mammifero rosa sbuffò. "L'ho solo preso a prestito! Viveva tutto solo, non se ne accorgerà nessuno."

"Non si prendono a prestito le persone, si chiama sequestro." precisò Io.

I due spiriti guardarono, perplessi, l'uomo che stava in un angolo della stanza. Aveva un'apparenza distinta ma un'espressione totalmente assente, come se stesse dormendo ad occhi aperti.

"Non sembra affatto contento di essere qui." obiettò Ryuu.

"Oh, pignoli che non siete altro. Non sa nemmeno dove si trova! E quando avrà finito, non gliene rimarrà memoria. Credete che mi sia divertito ad incantarlo con la mia magia per farlo venire qui ad insegnare a quel fannullone? È una gran fatica!" proseguì gesticolando con le sue tozze zampette, "...oh, che cosa avete da guardarmi così? Gli stiamo dando un'opportunità per fare qualcosa di utile in quanto suddito del regno!"

Vombato sembrava davvero convinto di quello che diceva; i due spiriti, di conseguenza, non poterono che annuire e sperare che la cosa funzionasse davvero. Se fosse andata male, almeno al poveretto non sarebbe rimasta memoria della vicenda.


 

Nonostante il calduccio delle coperte e il suono della pioggia, En non riusciva a riprendere sonno. E dire che quel giorno non aveva assolutamente niente da fare... Nemmeno incontrare Atsushi nella foresta, perché l'amico non sarebbe più venuto fino alla prossima estate. Sarebbe ritornato senz'altro, però, En se l'era fatto promettere. Inconsciamente, si toccò il mignolo con cui avevano sigillato questo secondo accordo. Poi, c'era pur sempre il sogno, no?

Forse era semplicemente colpa della pioggia autunnale, che lo rendeva insolitamente apatico e, magari, anche un pelino triste- Il letto tremò, tutto all'improvviso, mentre su En si abbatteva una raffica di braccia e mani.

"Daaaaai, En!" Yumoto gli si era arrampicato addosso e ora gli stava seduto a cavalcioni sulla schiena. En emise un basso lamento di protesta.

"La pioggia mette un po' di malumore a tutti, ma rimanere a letto non aiuta! Dai, scendi di sotto! Oggi è una giornata importante, non ricordi? Gora ha fatto anche le focaccine al miele!"

"...non mi va."

"Non ti va? Ma tu adori le focaccine al miele! Non è che sei malato?" La mano di Yumoto gli si intrufolò sul viso, come a voler sentire se per caso aveva la fronte troppo calda.

"Non sono malato, ma non-" La mano del bambino aveva cambiato direzione all'ultimo momento ed ora l'altro gli stava facendo il solletico sui fianchi. Anche sotto le lenzuola, En si ritrovò a contorcersi per le risate, tentando senza successo di liberarsi dell'altro. Solo quando Yumoto decise di avere pietà di lui e di lasciarlo respirare per qualche secondo, En strisciò fuori dalla coperte, ancora piegato in due e con le lacrime agli occhi, borbottando qualcosa a proposito dell'aver capito di dover alzarsi.

Preceduto da un esultante Yumoto, En scese le scale con passo svogliato. Non capiva il perché di quell'insolita agitazione, e nemmeno ci teneva a scoprirlo. Nonostante la sua renitenza, tuttavia, non poté fare a meno di notare che, nell'ingresso di casa, c'era decisamente qualcosa di diverso... anzi, qualcuno di diverso.

Accanto ad un Gora vagamente perplesso, stava un signore alto ed anziano. In realtà, En non si intendeva di vecchi - anzi, era la prima volta che se ne trovava uno davanti - ma i capelli ed i baffi grigi gli facevano capire che si trattava senz'altro di una persona in là con gli anni.

"Bene, ora che ci sei anche tu, En..." Gora sembrava un pochino imbarazzato. "...questo è il signor Tawarayama, che sarà il vostro maestro, d'ora in poi."

En sbatté gli occhi un paio di volte, per poi ricordarsi, suo malgrado, che il fratellone un paio di giorni prima aveva annunciati loro la fantastica notizia. Già, Gora li aveva riuniti tutti in cucina ed aveva spiegato ai ragazzi che il signor Tawarayama era stato un precettore di rampolli di famiglie importanti, in passato, ma che ora si era ritirato a vita privata. Tuttavia, aveva deciso di impiegare utilmente il tempo che aveva in abbondanza per istruire quattro poveri orfanelli che vivevano dispersi nella foresta.

Yumoto aveva obiettato che Gora avrebbe potuto insegnare loro tutto quello di cui avevano bisogno, al che Io l'aveva fulminato con lo sguardo e gli aveva detto che senza un minimo di istruzione nessuno di loro avrebbe mai fatto grandi cose nella vita. En si era disinteressato del battibecco, e la sua mente, incredula per la notizia, doveva averla archiviata tra le cose inutili da ricordare perché troppo stressanti.

Infatti, En si era completamente dimenticato che il maestro sarebbe arrivato oggi, e doversene ricordare così all'improvviso era abbastanza traumatico. Accanto a lui, Io sembrava soddisfatto, Yumoto entusiasta per la novità (ah, beata innocenza...) e Ryuu stava guardando male il roditore rosa, che era da tempo il loro animaletto domestico e che ora stava beatamente appollaiato tra le braccia del signor Tawarayama, quasi fosse geloso dell'affetto che dimostrava all'estraneo – proprio lui, che scappava sempre quando si cercava di coccolarlo.

Forse pensando che i quattro ragazzini fossero delle bestiole a loro volta, l'uomo si chinò su di loro per fare una carezza sulla testa a ciascuno (cosa di cui, a dirla tutta, En non fu propriamente entusiasta).

"Perché non vi accomodate per, uhm, iniziare le lezioni? Vi porto del tè e dei pasticcini al miele." fece Gora, spingendoli verso il grande tavolo di legno su cui erano soliti pranzare. En seguì gli altri strascicando i piedi, sentendosi calpestare la sua stessa voglia di vivere con ogni passo che faceva.

Maestro, studio, compiti... Tutto questo gli ricordava quello che gli aveva raccontato Atsushi, a proposito di quanto fosse noiosa e faticosa la vita a corte. Non aveva mai pensato che una sorte simile sarebbe toccata anche a lui.

Nemmeno dieci minuti dopo l'inizio della loro prima lezione, En si ritrovava a guardare fuori dalla finestra. Pioveva ancora e si era anche alzata la nebbia; non avrebbe saputo immaginare un clima che meglio rispecchiasse il suo stato d'animo. Inizialmente aveva pensato che, senza Atsushi, quell'autunno sarebbe stato una noia mortale, ma era piuttosto evidente che avrebbe dovuto rinnovare la sua definizione di tale concetto, se tutti i giorni d'ora in avanti sarebbero stati così... Un richiamo da parte del maestro riportò l'attenzione En lontano dalla finestra e al foglio che gli era stato messo davanti.

Tortura sembrava una definizione più adeguata di noia mortale, forse.


 

---


 


 

Il bosco era quieto, l'aria calma e silenziosa. Era pomeriggio inoltrato e la luce cominciava già ad arrossare oltre le fronde degli alberi. Attutiti, si potevano udire gli zoccoli di due cavalli che si facevano strada nel sottobosco: erano due stalloni neri, eleganti e lucidi quanto i loro due cavalieri.

Ad aprire il sentiero era Kinshiro, i sensi all'erta ed un lungo arco stretto tra le mani tese. Subito dopo di lui veniva Ibushi, che lo seguiva fedelmente ma con un'aria decisamente più rilassata. Da qualche parte davanti a loro c'erano i cani, che stavano minuziosamente seguendo la traccia della preda che avevano puntato.

La caccia era uno dei passatempi preferiti di Kinshiro. Come tutto ciò che gli piaceva, aveva le sue regole, i suoi riti. Il demone, poi, aveva una mira infallibile con l'arco ed amava tenersi in esercizio. Inoltre, finché si trattava di animali, era relativamente facile - certo più di quanto non lo fosse con gli umani.

Quell'estate segnava il sedicesimo anno dall'inizio della ricerca del principe ed ancora non avevano fatto alcun passo avanti: la situazione si poteva definire frustrante solo a voler utilizzare un eufemismo molto generoso. L'unico lato positivo del trascorrere del tempo era che il demone aveva finalmente potuto abbandonare le fastidiose sembianze da ragazzino umano per riacquistare le sue originali anche di fronte agli altri - era un sollievo di poco conto, ma se non altro non doveva più fingersi un mocciosetto.

I segugi riapparvero di fronte ai cavalli e Kinshiro riportò la sua attenzione sull'inseguimento che stavano conducendo. Da qualche parte davanti a loro, si udirono un grande fracasso ed i latrati dei cani, che avevano stanato il cervo di cui avevano seguito le tracce. Kinshiro strinse le redini e lanciò il cavallo all'inseguimento, seguendo i rumori della fuga della preda. Questa era la caccia che gli si confaceva: all'individuazione della preda seguivano la ricerca, l'inseguimento, e poi l'abbattimento.

Era una routine che, in un certo senso, lo rassicurava, anche se con sé portava sempre il brivido dell'ignoto e dell'incertezza, fino all'ultimo istante, di riuscire veramente a raggiungere l'obiettivo. E tuttavia, gli animali selvatici, pur forti dei loro istinti, non erano che facili prede rispetto agli esseri umani – ah, ma avrebbe portato a termine anche la caccia al principe, questo era certo, si disse mentre spronava il cavallo, sentendo che ormai dovevano essere addosso al cervo.

All'improvviso, però, il gran rumore della corsa terrorizzata dell'ungulato cessò. I due cacciatori approdarono in una piccola radura, dove trovarono i cani che, confusi, stavano annusando terreno ed aria alla ricerca della preda svanita nel nulla. L'espressione di Kinshiro si indurì. L'animale doveva essersi infrattato da qualche parte nelle vicinanze per aspettare che il pericolo fosse passato prima di uscire. Ibushi gli toccò un braccio, portandosi l'indice alle labbra per indicargli di fare silenzio. Le foglie attorno si mossero in una brezza improvvisa, magica, che i cani fiutarono avidamente, ma senza risultato. Il demone assunse un'espressione pensosa: nemmeno cambiare il senso del vento era servito a scovare la preda. Un momento dopo, però, Ibushi strinse di nuovo il polso di Kinshiro, invitandolo con un cenno del capo ad ascoltare attentamente.

Qualche istante dopo, anche Kinshiro udì: qualcosa si muoveva a poca distanza da loro, appena oltre la cortina di fronde del sottobosco, qualcosa che si stava avvicinando. Doveva essere senz'altro il cervo, che stava tornando sui suoi passi.

Kinshiro incoccò una freccia e prese la mira. Attese fino a che fu certo che la preda fosse alla distanza minima, appena celata dai cespugli, e poi scoccò il suo dardo.

Si aspettava con certezza di udire il bramito di dolore del cervo colpito, ma in risposta ricevette, invece, l'eco di un'esclamazione soffocata di stupore e spavento, per niente animalesca ed anzi assolutamente umana.

L'attimo dopo, nella radura sbucò Atsushi, con l'aria spiritata di chi si era appena reso conto di aver rischiato la vita. Guardò i due a cavallo con occhi stralunati.

"...Kin?!"

Il demone spalancò gli occhi, incredulo.

"...Atsu?! Per l'amor del cielo, che cosa ci facevi lì?!"

Scese in tutta fretta da cavallo, avvicinandosi con premura all'altro.

"Credevo fossi il cervo che stavamo inseguendo... Stai bene? Non ti ho colpito?" fece, squadrandolo e toccandolo. Ma il principe era illeso, solo un po' scosso per l'improvviso spavento.

"Sto bene. Ma la tua freccia mi è passata a tanto così..." fece, avvicinando pollice ed indice ad indicare una distanza davvero minima.

Kinshiro esibì un pallido sorriso. "Per fortuna. Mi è preso un colpo."

"Non sai a me..." Atsushi rise, ancora un po' nervoso.

"Ma che cosa ci facevi nella foresta tutto da solo?! Non dovresti andartene in giro così, è pericoloso."

"Oh, andiamo, Kin, non esagerare. Si trattava di te, no? È stato solo un incidente." Atsushi cercava di sdrammatizzare. "Voglio dire, non volevi certo ferirmi."

L'altro lo osservava con aria affranta. "Avrei potuto farti del male anch'io, pur senza volerlo..." Ed ancora lo esaminava, come se non fosse convinto di averlo mancato e come se il principe dovesse per forza nascondere, da qualche parte, una ferita.

"Dai, va tutto bene. Stavo tornando a casa comunque, venite anche voi, o proseguite la caccia?"

"Credo che sia il caso anche per noi di tornare." rispose Arima per Kinshiro.

Il demone si riscosse.

"Ah. Certo.” Si guardò intorno un'ultima volta, ancora piuttosto incredulo che il suo cervo fosse sparito e che, al suo posto, avesse rischiato di ammazzare il principe. “Atsu, tu verrai con noi, naturalmente. Non hai un cavallo? Tu guarda se è il modo di andare in giro per un principe... Be', sali con me allora." E mentre Atsushi, un poco imbarazzato da quei rimproveri, si scherniva, praticamente lo costrinse a montare in sella dietro di lui.


 

Poco più tardi, erano alla villa, seduti comodamente nel salotto di Kinshiro, quest'ultimo ancora nei suoi abiti da caccia, Atsushi un poco sporco di foglie e terriccio e con un'aria vagamente colpevole.

Il consueto tè caldo aveva notevolmente calmato Kinshiro, che però non sembrava ancora essersi perdonato quella freccia scagliata senza pensare abbastanza, né aver perdonato l'amico per la sua avventatezza.

"Quando dico che andarsene in giro così nel bosco è rischioso, Atsu, dico il vero, comunque. Oggi ero io e si è trattato di un incidente, ma che cosa potrebbe succedere se domani fosse qualcuno davvero intenzionato a farti del male? Se ci fossero dei briganti? O qualche bestia pericolosa?"

Atsushi sventolò una mano per minimizzare. "Non ci sono animali pericolosi in quella foresta."

"Davvero? E tu come fai ad esserne sicuro?"

Atsushi glissò. C'erano troppe cose di cui era certo, a proposito di quella foresta, e che tuttavia non sapeva giustificare razionalmente e che non poteva spiegare all'amico.

"E comunque, davvero, che cosa ci facevi lì?" indagò ancora Kinshiro, sull'orlo dell'esasperazione, come se si stesse rivolgendo ad un bambino cocciuto. E dire che i due avevano la stessa età.

Atsushi abbassò gli occhi sulla tazza di tè che teneva tra le mani, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a sviare la conversazione. Avrebbe voluto rispondergli la verità, così forse Kinshiro avrebbe smesso di giudicarlo matto come sembrava stesse facendo (o lo avrebbe giudicato peggio, chissà), ma non poteva. In tutti quegli anni, non era mai venuti meno alla promessa fatta ad En e non aveva mai parlato di lui ad anima viva. Non voleva tenere niente di nascosto a Kinshiro, soprattutto adesso che l'altro glielo stava chiedendo esplicitamente, ma non poteva nemmeno rompere il suo giuramento.

"Non posso dirtelo, Kin, è un segreto." ammise quindi, ma tentò di farlo con un'aria scherzosa, sperando che l'amico non se la prendesse. L'altro, tuttavia, sembrò rimanerci male e si irrigidì.

"Un segreto, davvero."

Con un tuffo al cuore, Atsushi si rese conto che, se avesse lasciato le cose così, Kinshiro avrebbe finito con l'offendersi.

"Un posto segreto per leggere, sì. Lo sai che mi piace stare tranquillo di tanto in tanto."

"Un segreto sconvolgente." rispose Kinshiro asciutto, dimostrando di non credergli minimamente.

"Be', mi dispiace se non nascondo segreti più scabrosi." replicò il principe.

Per un momento, i due sorseggiarono il loro tè in silenzio, con Atsushi che osservava l'altro di sottecchi e gli occhi verdi di Kinshiro rigorosamente puntati da tutt'altra parte.

"Se proprio ci tieni, posso raccontarti un segreto più interessante." fece alla fine Atsushi, un poco infastidito da quel silenzio improvviso. Era certo che Kinshiro si fosse offeso per la sua risposta e voleva in qualche modo fare ammenda.

"Sentiamo." Kinshiro lo disse in tono così freddo che l'altro si pentì quasi di aver tirato fuori l'argomento. Non era che una storiella, dopotutto, qualcosa che aveva pensato di raccontargli per alleggerire il clima che si era fatto, improvvisamente, pesante.

"È qualcosa che ha raccontato la nostra anziana balia a mia sorella... Sai che si lamenta sempre per il fatto che non è stata ancora promessa in sposa a nessuno, no? Ecco, la balia, per accontentarla, le ha raccontato che in realtà è già stata promessa ad un principe che deve ancora conoscere."

Atsushi, per niente sicuro dell'inizio della sua storia, si rincuorò non appena vide un bagliore di interesse nelle iridi verdi di Kinshiro.

"La cosa buffa - certo la nostra balia ne ha, di immaginazione - è che questo principe è stato colpito da una maledizione: secondo lei, il giorno in cui mia sorella lo incontrerà, se lo ritroverà davanti addormentato a causa di un incantesimo malvagio, e solo baciandolo potrà svegliarlo."

Atsushi rise imbarazzato. Lo sguardo negli occhi dell'amico si era fatto fin troppo interessato per quella che lui riteneva essere una semplice storiella per tenere a bada la Principessa.

"Ecco, pensa che cosa deve inventarsi per tenerla tranquilla... Ma mi raccomando, mia sorella ci teneva che rimanesse un segreto, quindi non dirlo a nessuno!" si assicurò, mettendola sul ridere, e cercando di scacciare l'improvvisa, spiacevole sensazione di aver sbagliato a condividere quel racconto con Kinshiro.

Sapeva che non aveva senso, però, il ragazzo era uno dei suoi migliori amici, poteva contare sulla sua riservatezza. Era vero che sua sorella glielo aveva raccontato come se fosse chissà quale segreto, ma non era importante come la promessa che Atsushi aveva fatto ad En, visto che questa sembrava concernere la sua stessa sicurezza. In ogni caso, comunque, sapeva di potersi fidare di Kinshiro.

L'amico, ora, stava sorridendo, e il senso di colpa che aveva improvvisamente angustiato Atsushi venne dissipato dal buonumore dell'altro.

“Davvero buffo.” commentò Kinshiro, e i due ci risero sopra assieme.


 

Fu poco più tardi che Atsushi si accomiatò per tornare a casa. Kinshiro aveva insistito per farlo addirittura scortare da qualcuno fino al suo castello, ma il Principe si era rifiutato; il suo ospite, quindi, aveva ottenuto solo di potergli prestare un cavallo.

Mentre aspettava che il signor Ibushi si occupasse personalmente di sellarglielo e portarglielo, Atsushi si concesse una breve camminata nel giardino.

Il sole era già calato e la solitamente fervida attività di api e farfalle aveva lasciato il posto agli insetti del crepuscolo e della notte, ai grilli ed alle falene. Il sole tramontava presto, sul finire dell'estate, ma le sere erano ancora deliziosamente tiepide e profumate – ah, quel giardino era anche più bello nel buio che seguiva il crepuscolo, con le sagome scure delle piante che gli si affollavano intorno, chiacchierando quietamente nel loro placido mormorio di foglie.

Mentre passeggiava lungo il sentiero, il ghiaino che scricchiolava un poco sotto le suole dei suoi stivali, scorse con la cosa dell'occhio un movimento a terra, sotto i rami di un cespuglio. Si avvicinò e vide una piccola palla nera in mezzo alle ombre dell'erba, distinguibile solo per le screziature più chiare che individuavano i lunghi aculei sulla schiena dell'animale. Si trattava di un grosso riccio, uno dei tanti che Atsushi sapeva popolare il giardino: per nulla infastidito dalla presenza dell'umano, il piccolo essere proseguì tranquillo per la sua strada.

Anche i ricci erano animali notturni, ed a quell'ora se ne potevano contare tantissimi nel giardino della villa. Quando erano più piccoli, lui e Kinshiro ci giocavano spesso. Li liberavano subito, naturalmente, anche perché il signor Ibushi sembrava tenere particolarmente a quegli animali. Kinshiro diceva che era perché i ricci si nutrivano soprattutto di lumache, e perché le lumache erano la cosa che il signor Ibushi odiava di più al mondo (per l'ovvio motivo che rovinavano le piante, naturalmente, non certo perché gli facessero impressione né niente del genere).

Perso di vista il riccio, Atsushi alzò la testa e stiracchiò le braccia. Poco distante da lui, si apriva l'entrata del labirinto, invitante come sempre. Gli occhi del principe indugiarono su quella bocca scura, contornata di rose come tenere labbra, che celavano spine come denti affilati.

Un refolo d'aria più fresca fece rabbrividire Atsushi, che mosse qualche passo verso il suo ingresso, nonostante i suoi sensi fossero improvvisamente all'erta, come se al di là della soglia so nascondesse uno dei mostri dei suoi romanzi.

La brezza soffiò ancora ed i petali delle rose, violacei nelle ombre della sera, si mossero, come labbra appena dischiuse in un sussurro. Il labirinto aveva un tono di rimprovero; perché aveva tradito il piccolo segreto di sua sorella per accontentare Kinshiro? Perché era stato così accomodante?

Si era trattato di una cosa da nulla, ribatté Atsushi nella sua testa: non poteva svelargli il suo vero motivo e quindi gli aveva raccontato qualcos'altro. Non voleva che Kinshiro ci restasse male.

Se ci fosse restato male, rispose il labirinto, sarebbero stati fatti suoi; Kinshiro non poteva certo pretendere di sapere sempre tutto su di lui, o no?

Atsushi scrollò le spalle. Teneva all'amicizia di Kinshiro, e il labirinto doveva saperlo bene: quello era stato il luogo dove, per la prima volta, i due si erano incontrati.


 

Era un giorno di tante estati prima; Atsushi era arrivato fino all'ingresso del labirinto per puro caso, mentre vagava a zonzo nel giardino. Entrarci era stato automatico, più forte di lui: quell'arco verde lo aveva ingoiato in silenzio, attirandolo come un'ape con la promessa del polline.

Altrettanto presto il principino si era perso nell'ombra dei roseti, ed aveva iniziato ad avere l'impressione che le pareti di foglie e spine si stessero pian piano richiudendo attorno a lui, come le fauci di un gigantesco drago. Gli ci era voluto un poco di più, tuttavia, per iniziare ad avere paura e realizzare che non aveva la minima idea di come fare per tornare sui suoi passi e guadagnare l'uscita di quella che, ai suoi occhi, si stava trasformando in un'enorme trappola.

Atsushi non aveva con sé né spada né scudo, non era come gli eroi dei suoi racconti, non aveva modo di difendersi. Agitato, aveva iniziato a correre, girando a casaccio per quel corridoio che tentava di serrarglisi addosso - Atsushi ne era certo, ormai, perché aveva sentito i rami aggrapparglisi ai vestiti, avvinghiarglisi attorno alle caviglie come per volerlo far inciampare.

Ad un tratto, poi, si era trovato in un vicolo cieco: la cortina di spine e foglie gli si era richiusa di fronte e presto, Atsushi lo sapeva, gli si sarebbe serrata alle spalle, inghiottendolo.

A quel punto, si era messo a soffiare il vento. Una prima raffica impetuosa aveva spinto il muro verde davanti a lui, che si era aperto come il sipario di un palcoscenico su un piccolo giardino, in cui ancora splendeva il sole pomeridiano.

La seconda folata ve lo aveva spinto dentro e per poco Atsushi non era inciampato e rotolato sull'erba. Lo strano inseguimento era finito: ora, poteva intuirlo, si trovava nel cuore del labirinto, un cortile verde con due graziose panchine di legno e quello che sembrava un minuscolo gazebo al suo centro.

L'erba era curata e sembrava tagliata di fresco, lungo le colonne di legno del gazebo si inerpicavano gentilmente dei glicini spioventi di fiori viola. Nell'aria era tutto un allegro via vai di farfalle, api ed insetti, ed Atsushi si era strofinato gli occhi, vagamente incredulo. Dall'incubo che gli pareva di aver vissuto fino ad un momento prima, si ritrovava catapultato in un grazioso giardino segreto, tranquillo e sereno.

Guardandosi attorno ancora sul chi vive, ma curioso, il principino aveva esplorato le siepi che lo contornavano senza trovare un'altra via d'uscita. Allora, aveva salito i gradini del gazebo. Al centro della piattaforma c'era un piedistallo di marmo, una spessa colonna poco più alta di lui.

Alzatosi in punta di piedi, Atsushi aveva spiato che cosa c'era in cima, ed era rimasto affascinato: c'era una piccola scultura, la riproduzione di un riccio a grandezza naturale, in giada verde.

La pietra era levigata e rifletteva tante piccole scaglie di luce tutto attorno a sé. I dettagli della piccola statuina erano entusiasmanti per quanto realistici erano, specialmente per quanto riguardava gli aculei, che sembrano sottili ed appuntiti come se fossero veri.

Il principe era rimasto abbagliato da quella scoperta, i suoi occhi catturati da quei strani giochi luminosi sul marmo chiaro e sul legno del tetto del gazebo. Aveva allungato un mano per sfiorare quella minuscola creatura immobile, già pregustando la sensazione di quelle fini cesellature sotto le mani, chiedendosi se davvero si sarebbe punto se avesse sfiorato gli aculei...

Improvvisamente, però, qualcuno lo aveva chiamato.


 

"Principe, il cavallo è pronto."

Atsushi sussultò appena, quando la voce di Ibushi dissipò le memorie che lo avevano avvolto.

Ah, doveva essere stato il signor Ibushi anche quella volta di tanti anni fa. Sua sorella si era preoccupata a non vederlo più in giro ed il maggiordomo doveva aver indovinato che si era perso nel labirinto. Non aveva molti altri ricordi di quel pomeriggio, e, in fondo, non era poi nemmeno tanto sicuro che quello che aveva appena richiamato alla mente fosse un ricordo piuttosto che una strana fantasia che si era fatto con il tempo.

Il signor Ibushi si fermò a poca distanza da lui, tenendo in mano le briglie di uno dei migliori cavalli della scuderia di Kinshiro. Atsushi conosceva bene l'animale, era la giumenta che aveva cavalcato le volte in cui aveva accompagnato l'amico nelle sue battute di caccia.

Fece un passo in avanti per accarezzare il muso del cavallo e poté quasi sentire, in quel momento, che il labirinto dietro di lui si ritraeva, come un animale selvatico messo all'angolo. Istintivamente, si voltò, quasi aspettandosi di vedere l'ingresso del labirinto più distante alle sue spalle. La soglia era lì, dov'era sempre stata, un arco di buio nelle ombre del crepuscolo.

"Tutto bene, mio Principe?"

Il ragazzo annuì. I labirinti di fiori non parlano né si muovono, pensò dandosi del facilmente impressionabile. Non era più un bambino che si spaventava perché si perdeva in mezzo a dei cespugli.

"Avete sempre avuto una grande curiosità per quel luogo, vero?" fece Ibushi sorridente, accompagnandolo mentre si avviavano verso il cancello della proprietà.

"Mi intriga molto." ammise il Principe, ma dentro di sé, pensò improvvisamente che la risposta era un'altra: mi chiama, si disse, il labirinto mi chiama.

"Meglio non addentrarvisi quando fa scuro, però, Altezza. Le ombre possono essere insidiose, lì dentro."

Atsushi lo guardò allarmato, ma l'altro aveva un'espressione ieraticamente serena.

"Potreste inciampare e rovinarvi i vestiti. I rovi non perdonano, sulle stoffe di pregio." rispose l'altro tranquillamente.

"Oh, certo." Atsushi sorrise. Del resto, che altri pericoli potevano mai esservi, in quel labirinto?

Salì sul cavallo e lo spronò sulla via di casa. Prima che se ne rendesse conto, l'aveva già spinto al galoppo - in quel momento non voleva più entrare nel tunnel di rose, voleva solo allontanarsene il più in fretta possibile.


 


 

"Il bacio del vero amore, capito, Arima?"

Kinshiro sorrideva, rigirando tra le mani la tazza di tè. Gli veniva quasi da ridere. Quindi era così che stavano le cose: i tre spiriti erano riusciti in qualche modo a convertire la maledizione, e questo era il risultato.

"Un tentativo quantomeno maldestro." convenne Ibushi, alle sue spalle.

"Di' pure ridicolo. E come pensano di fare a far innamorare la Principessa? Oh, dovranno per forza farli avvicinare, e molto presto anche, perché ormai il tempo è quasi giunto."

"Non ci rimarrà che sorvegliare la ragazza più da vicino."

Il sogghigno di Kinshiro si allargò.

"Sapevo che il nostro piano avrebbe funzionato." Lo aveva sempre saputo, che gli umani si sarebbero traditi, presto o tardi. Gli dispiaceva quasi che Atsushi credesse che tutto ciò fosse solo una storiella... A quel pensiero, il sorriso si incrinò appena.

Atsushi era stato superficiale a raccontargli tutto così. Tutto tornava a suo favore, naturalmente, ma come potevano gli esseri umani essere così disattenti? Chissà, a questo punto non gli sarebbe nemmeno interessato sapere che la maledizione l'aveva lanciata lui... In ogni caso, non aveva alcun senso preoccuparsi delle reazioni di un mortale, non era così?

Kinshiro appoggiò con decisione la tazza sul piattino, facendo tintinnare la ceramica.

"Questa volta il principe non ci scapperà." affermò con decisione.

Erano anni che attendeva con pazienza e non avrebbe lasciato che la stupidità di un umano lo intralciasse.

Tra la scoperta e il suo personale disappunto nei confronti di Atsushi, Kinshiro si era dimenticato di quanto fosse rimasto stupefatto dal fatto che la freccia che aveva accidentalmente scagliato contro il ragazzo non l'avesse nemmeno sfiorato. E dire che lui aveva un mira eccellente e non mancava mai - mai - il bersaglio.


 

---


 

"Ehi, Atsushi, lo sai, secondo me il nostro maestro è morto."

"...eh?!" Il ragazzo si fermò improvvisamente ed abbassò la spada di legno che stava brandendo contro l'amico, osservandolo con aria stranita.

"...secondo te...? Gli è successo qualcosa di brutto? Sta male?" fece, vagamente preoccupato.

"Nah, è sempre uguale a se stesso. E' per questo che ti dico che sembra morto." L'altro aveva a sua volta abbassato l'arma e si stava stiracchiando come se niente lo preoccupasse.

Atsushi aggrottò le sopracciglia. A volte era difficile capire che cosa volesse dire En, ma con gli anni il principe aveva affinato le sue tecniche di comprensione ed ormai sapeva come muoversi anche di fronte alle stravaganti affermazioni dell'altro. Se se ne usciva con una cosa del genere mentre erano nel pieno di uno dei loro allenamenti (per modo di dire) di scherma, significava probabilmente che si era stufato e che voleva trovare una scusa per fare una pausa.

"Si muove, parla, respira...?" indagò Atsushi.

En annuì, rigirandosi tra le mani la spada, ricavata da un ramo di faggio.

Quelle armi erano state intagliate per gioco un paio di estati prima, ma non erano state usate quasi per nulla, poiché nessuno dei due era particolarmente appassionato di battaglie e duelli (se non sulla carta), almeno fino al momento in cui ad Atsushi non era stato imposto di doversi allenare nella scherma quasi quotidianamente. Il principe mal sopportava questa imposizione, data la sua indole intrinsecamente pacifica e la poca voglia di mettersi a dura prova in qualcosa che non faceva per lui. Esercitarsi con En, però, era tutt'altra cosa, sebbene l'amico tendesse sempre a trovare qualche scusa per smettere non appena il loro allenamento diventava troppo faticoso.

Approfittando dell'apparente distrazione dell'altro in quel momento, Atsushi provò a colpirlo con un affondo, ma En lo schivò agilmente - aveva riflessi eccezionalmente pronti, per essere di indole così pigra, pensò l'altro con un pizzico di stizza.

"Oh, Atsushi, non approfittare così delle mie preoccupazioni!" si lamentò, senza peraltro dar segno di voler rispondere all'attacco a sorpresa dell'amico. Evitato il colpo, continuò ad osservare la spada di legno come se non sapesse bene che farsene. Era piuttosto chiaro che la sua voglia di esercitarsi, per il momento, era esaurita.

"Però è strano.” ragionò il biondo. “A volte perde il filo del discorso e guarda nel vuoto fino a che non si riprende, mentre altre volte sembra proprio addormentarsi sulla sedia. Forse è perchè è anziano, magari."

Atsushi lo guardò perplesso, poi ridacchiò, lasciando cadere la sua spada per terra.

"Vuoi dire che è un vecchio maestro che ripete sempre le stesse cose e fa sempre gli stessi rimproveri? Ce ne sono tanti così, ma, anche se possono apparire imbalsamati, non sono morti." assicurò. Ne aveva avuti anche lui, di precettori di quel genere, pensava di poter capire quello che intendeva l'altro.

"Davvero?" En guardò l'amico in cerca di conferma, fino a che quello non annuì vigorosamente, ed allora fece spallucce e si sedette in mezzo all'erba, ravviandosi all'indietro i capelli spettinati dall'allenamento.

Atsushi sapeva tutto sul mondo fuori dalla foresta ed era la persona a cui En si rivolgeva per tutti i dubbi - più o meno assurdi - che gli venivano in mente: se lui diceva che qualcosa stava in un certo modo, allora En gli credeva. In cuor suo, però, continuava a dubitare della salute del suo maestro. Forse dipendeva dal fatto che viveva tutto solo? Almeno quando parlava con i suoi allievi, sembrava rianimarsi, anche se il ragazzo non era sicuro che preferisse i suoi studenti o il vombato rosa che gli si era così affezionato da stargli sempre in braccio o addosso in qualche strana maniera.

Come ripeteva sempre Gora, era stato di una generosità immensa a divenire loro maestro, considerando anche che la maggior parte dei suoi alunni sovente si distraevano o si addormentavano durante le sue lezioni. Ma il signor Tawarayama era paziente e non li aveva mai rimproverati più di tanto – del resto, il fatto che si mettesse a ripetere le cose da capo non aiutava a stare svegli, si giustificò En, che, pur rispettando il maestro, non poteva davvero farci niente se ogni tanto lasciava che la testa gli cadesse sul tavolo.

"Ehi, Enny, continuiamo ad esercitarci?" Atsushi aveva ripreso la spada in mano e sembrava ancora deciso a insistere. En sembrò rimuginarci sopra. Da come si era semisdraiato a terra, non sembrava intenzionato ad alzarsi. Alla fine, però, si girò verso l'amico.

"Mmh, d'accordo... Ma sta per piovere, non vedi?" chiese, senza voltare lo sguardo. Atsushi corrugò le sopracciglia - il cielo gli era sembrato sereno fino ad un momento prima, pensò alzando gli occhi, ma proprio in quella si rese conto che En aveva ragione. L'aria sapeva già di pioggia e le nuvole andando addensandosi velocemente sopra le loro teste. La stagione era ormai avanzata e questo poteva essere uno degli ultimi temporali estivi. Con un sospiro, Atsushi si rassegnò a lasciar perdere la scherma per il momento ed aiutò En ad alzarsi.


 

Prima che iniziassero a cadere le prime gocce, avevano trovato riparo in una grotta accanto alla polla d'acqua. Era un minuscola caverna di pietra, dal pavimento di roccia e ghiaia, nascondiglio ideale durante i temporali estivi. Vista la comodità, aveva ormai preso il posto della loro piccola casetta sull'albero in qualità di rifugio segreto, anche perché ormai entrambi erano diventati troppo alti per entrare nella minuscola opera architettonica che avevano realizzato sulla vecchia quercia nella radura.

En aveva compiuto da poco sedici anni ed il compleanno di Atsushi non era lontano; tutti e due erano cresciuti parecchio da quando avevano progettato quel loro nascondiglio e, be', quattro anni prima non era venuto in mente a nessuno dei due che sarebbero diventati così alti che, per sedersi entrambi nella casetta, avrebbero dovuto lasciar fuori le gambe e, possibilmente, anche un gomito.

 

Il temporale durò solo il tempo di qualche sguazzo e di una serie di tuoni arrabbiati, e poi la luce cambiò, il cielo tornò azzurro ed allo scroscio della pioggia si sostituì il canto degli uccellini.

Atsushi ripose il suo libro e si voltò verso En, che si era appisolato accanto a lui. Come facesse a dormire sui sassi della grotta era un mistero, si disse il principe - anche se la vera domanda era come facesse a dormire così tanto in generale.

Non doveva essere nemmeno comodo, a giudicare da come si era messo tutto storto, tentando di posizionare le sue lunghe gambe in mezzo alle pietre del suolo - avevano portato delle coperte in quella grotta, ma ovviamente l'altro era stato troppo pigro per tirarle fuori.

"Ehi, svegliati. Non piove più." fece, alzandosi, ma En non diede segno di averlo sentito.

Atsushi sbuffò, inginocchiandosi accanto a lui.

"Eddai, Enny, domani parto, vuoi davvero passare a dormire l'ultimo pomeriggio che possiamo trascorrere assieme?" si lamentò.

C'era il sole, adesso, ed avevano ancora diverse ore di luce davanti. Possibile che l'amico fosse così pigro?

Atsushi allungò una mano e gli diede un leggero pizzicotto sulla guancia.

"Oi." ripeté, poco convinto, mentre osservava il suo volto addormentato.

Nonostante la posizione contorta, En aveva un'espressione assolutamente pacifica, come se niente potesse disturbare il suo riposo - e infatti, non aveva sobbalzato nemmeno ai tuoni più vicini, che invece avevano fatto quasi cadere il libro dalle mani di Atsushi.

Il ragazzo scostò dagli occhi dell'altro un paio di ciocche bionde, ma lui non sembrò accorgersene. In quel momento, gli tornò in mente la storiella della balia di sua sorella, quella che aveva raccontato a Kinshiro per evitare di dirgli di En.

...quella che aveva a che fare con principi e baci, già.

Atsushi arrossì e ritrasse la mano, chiedendosi perché mai dovesse venirgli in mente una storia del genere proprio ora.

Mentre si interrogava sulla questione, però, i suoi occhi indugiavano sul viso dell'amico, e i suoi dilemmi passarono in secondo piano. La pelle di En era appena arrossata, dal sole o dall'esercizio di prima, dorata della luce del pomeriggio e dei capelli color del grano sparsi attorno a fronte e zigomi - ad Atsushi ricordava le albicocche mature con cui erano soliti fare merenda all'inizio dell'estate, morbide e di una pienezza liscia al tatto. Tornò a sfiorargli il volto, allungandogli un leggerissimo pizzicotto.

"Ehi, guarda che se non ti svegli con le buone, ti dò un bacio." sussurrò, catturato dai bagliori d'oro delle ciocche che facevano da cuscino a quell'espressione di pace e tranquillità.

E siccome non ebbe risposta alcuna, si chinò lentamente su di lui e le sue labbra sfiorarono la pelle del suo amico - non tanto vicino alla bocca da toccargliela, ma abbastanza da lasciar intendere che non si trattava nemmeno di un infantile bacio sulla guancia.

Non c'era niente di infantile nel suo gesto, Atsushi lo sapeva, ma... doveva pur riuscire a svegliarlo in qualche modo, no?, pensò mentre si ritraeva.

Quando aprì gli occhi, che aveva tenuto socchiusi, si ritrovò a fissare quelli di En. "...be', sei sveglio adesso?" esclamò, fingendosi irritato per mascherare l'improvviso, tremendo imbarazzo. Si alzò in tutta fretta e si dedicò a recuperare le due spade abbandonate in un angolo, facendo una gran baraonda - tutto per celare ad En il rossore che, era sicuro, gli stava incendiando il viso.

Ma l'altro non fece commenti – chissà, magari era talmente addormentato da non essersene nemmeno accorto, pensò Atsushi, incerto se sperare o meno che fosse così.

"Sicuro di volerti esercitare ancora con questi cosi? E' davvero una faticaccia.” si lamentò En invece. “Perché non ti riposi un po' con me, piuttosto?" propose, ed alle orecchie di Atsushi c'era una nota languida nella sua voce che, vera o no, il principe faticò ad ignorare.

"...ci si riposa dopo aver faticato, normalmente." gli rispose, riguadagnando la sua consueta serietà ed allungando ad En la sua spada.

L'amico sporse il labbro inferiore in un tentativo poco convinto di mettere il broncio, ma Atsushi fu irremovibile.

“Se non vuoi, io torno a casa, e ci vediamo la prossima estate.”

En abbassò le orecchie, ma obbedì, afferrando la spada e lasciando che fosse Atsushi a tirarlo in piedi.

"Agli ordini, allora." sospirò.

Se Atsushi la metteva in questi termini, non c'era pigrizia che tenesse, naturalmente.


 


 

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NOTE: innanzitutto, mi scuso tantissimo per il ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma sono davvero impegnatissima in questo periodo :'( almeno il capitolo era più lungo degli altri u3ù
In secondo luogo, ho cambiato la formattazione del testo. Non sono una grandissima fan dei paragrafi staccati così, però avevo l'impressione che senza il testo fosse un po' troppo attaccato e scomodo da leggere.

Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo tra un mesetto, ma se ritarderò dovrete scusarmi ancora, perché sarà per una buona causa - un certo Love Stick azzurro da preparare per Lucca :'P Spero di non fondermi le dita con la colla calda...
A presto e grazie davvero per la pazienza <3 dopo Lucca, gli aggiornamenti saranno decisamente più rapidi!
 
 

  
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