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Autore: Sara Saliman    13/09/2015    5 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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ORFEO: Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefòne nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla.
 
(“Dialoghi con Leucò”, Cesare Pavese)
 
Quando lo vidi per la prima volta, sentii le gambe tremare e ringraziai il Fato di essere già seduta.
L’umano al centro della navata non aveva occhi d’argento, e la sua pelle non era del grigio spettrale della cenere. I suoi occhi erano azzurri come il cielo, i capelli castani e ondulati come viticci. La sua carnagione abbronzata parlava di colline baciate da Sole, del tocco gentile e ironico di Zefiro, del profumo voluttuoso e ricco dell’estate.
Provai, lancinante, il desiderio di alzarmi, scendere i gradini del trono e andargli incontro. Avrei voluto prendere le sue mani tra le mie, premere contro la guancia le sue nocche asciutte, assorbire  attraverso la sua pelle il tepore per me irraggiungibile di Helios, e attraverso le sue labbra il sapore dei frutti dolci di mia madre.
Raddrizzai la schiena e mi aggrappai ai braccioli di marmo con tanta forza da far sbiancare le dita.
-Orfeo dal nome famoso,- sussurrai. Ade mi lanciò uno sguardo obliquo, ma non disse nulla, e io non mi voltai nella sua direzione. -Vieni avanti!-
Orfeo avanzò lungo la sala, la cetra stretta fra le mani. Le sopracciglia aggrottate e la mascella volitiva creavano un vivido contrasto col suo sguardo azzurro, terso come quello di un fanciullo. Le spalle dritte e il petto ampio mi fecero pensare alla solidità della terra e all’aspra bellezza delle rocce, ma qualcosa, nel modo in cui sollevava il mento, tradiva un certo distacco dalle questioni umane.
Arrivato ai piedi del trono, Orfeo crollò in ginocchio, la fronte china fin quasi al pavimento.
-Rialzati.- disse Ade.
La voce di Orfeo, mite e pastosa, risuonò nella sala.
-Non prima di sapere che mi ascolterete, divini signori dell’Oltretomba.-
-Rialzati, ho detto. Hai la nostra attenzione.-
Ebbi la sensazione che Ade fosse infastidito, e intervenni cercando di smorzare la tensione.
-La tua fama ti precede, figlio di Eaco e Calliope. In ogni angolo della Superficie si narra di come il tuo canto riesca ad ammansire le bestie e affascinare gli uccelli, e di come persino i pesci guizzino fuori dall’acqua per udire la tua musica. Ascolteremo quello che hai da dire.-
Orfeo si levò in piedi e ci guardò. Ci aspettavamo che parlasse, invece strinse la lira al petto, poi ne pizzicò le corde e cominciò a cantare:
 
O dei, che vivete nel mondo degl'Inferi,
dove noi tutti, esseri mortali, dobbiamo finire,
se è lecito e consentite che dica il vero, senza i sotterfugi
di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare
le tenebre del Tartaro o per stringere in catene le tre gole,
irte di serpenti, del mostro che discende da Medusa.
Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato,
in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso.
 
La sua voce era ricca e vellutata, incantevole come quella di Apollo. Risuonò tra le colonne tortili, riverberando fino ai soffitti a volta e infine ricadendo sugli astanti, come fresca pioggia su un suolo riarso. Orfeo aveva scelto di cantare la propria storia anziché di raccontarla: era una mossa audace, ma di grande intelligenza: doveva aver pensato che, se anche non fossimo stati ben disposti verso di lui, una volta che avesse iniziato a cantare nessuno lo avrebbe interrotto, pur di non privarsi di un canto così bello.
 
Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato:
ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo;
se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero:
se non è inventata la novella di quell'antico rapimento,
anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi,
per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno,
vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice!
 
Qui Orfeo tacque, e le note della lira si spensero. Mi parve che la sala tutta trattenesse il fiato e che ogni occhio fosse puntato su Ade e me.
Mi voltai verso il mio sposo, cercando il conforto del suo sguardo, ma lui contemplava Orfeo, assorto.
-E così, vorresti sottrarre la tua sposa agli Inferi.- disse in tono carezzevole. – Se desideri così tanto ricongiungerti a lei, sarebbe più indicato che tu ponessi fine alla tua vita.-
Orfeo doveva aver previsto quell’obiezione, perché il suo sguardo azzurro non vacillò nemmeno per un istante. Riprese a cantare:
 
Tutto vi dobbiamo, e dopo un breve soggiorno in terra,
presto o tardi tutti precipitiamo in quest'unico luogo.
Qui tutti noi siamo diretti; questa è l'ultima dimora, e qui
sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto
il tempo che gli spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
io non me ne andrò: della morte d'entrambi godrete!(1)
 
-Goderne…?- disse Ade. –Sopravvaluti, e di molto, la tua importanza nel Cosmo.-
Poggiai una mano sulla sua.
-Ade…- sussurrai, così piano che non fui nemmeno certa che potesse udirmi.
-Canta, mortale.- Ade non mi guardava, ma ero certa sapesse che lo fissavo. –Cantami le bellezze della Superficie. Dammi qualcosa per cui cedere.-
Orfeo chinò rispettosamente il capo, per cui non potei scorgere la sua espressione. Mi parve di vederlo umettarsi le labbra e stringere la cetra nervosamente.
La proposta di Ade era molto sottile: aveva fatto una richiesta precisa e alla quale non era possibile sottrarsi, eppure mettersi a tessere le lodi della Superficie lì nel Sottosuolo sarebbe stata un’insolenza imperdonabile.
Orfeo cantò, e sono certa sapesse che ormai non cantava più solo per salvare Euridice, ma anche se stesso.
 
The sun is sleeping quietly
Once upon a century
Wistful oceans calm and red
Ardent caresses laid to rest
 
For my dreams I hold my life
For wishes I behold my night
The truth at the end of time
Losing faith makes a crime
 
Le anime esangui, in attesa di essere giudicate, piangevano lacrime d’argento. Le furie si stringevano le une alle altre, gemendo piano. Sonno si raccolse le ginocchia al petto, stringendole nelle braccia. Persino Thanatos, la schiena appoggiata a una colonna, si tirò il bavero del mantello fin sotto il naso e incrociò le braccia al petto, chinando il capo.
 
I wish for this night-time
to last for a lifetime
The darkness around me
Shores of a solar sea
Oh how I wish to go down with the sun
Sleeping
Weeping
With you
 
Sorrow has a human heart
From my god it will depart 
I'd sail before a thousand moons
Never finding where to go
 
Orfeo era intelligente. Evocava i paesaggi della Superficie, come Ade aveva chiesto, ma invece di esaltarne la bellezza, li usava per tradurre in immagini il proprio dolore. Questo, se possibile, mi fece ancora più male. Se chiudevo gli occhi, riuscivo a vedere il cielo incendiarsi d’oro e le onde del mare tingersi di rosso alla luce del tramonto, solo che ero io a bruciare, io a sanguinare. Il suono della risacca era un immenso, regolare battito di cuore, che possedeva lo stesso ritmo dei miei singhiozzi. Dall’oscurità in cui mi trovavo e che pure amavo, non ambivo forse anche io a sentire un’altra volta sulla pelle il tepore di Helios? Potevo dunque biasimare Euridice?
 
Two hundred twenty-two days of light
Will be desired by a night
A moment for the poet's play
Until there's nothing left to say
 
I wish for this night-time
to last for a lifetime
The darkness around me
Shores of a solar sea
Oh how I wish to go down with the sun
Sleeping
Weeping
With you(2)
 
Mi sembrava di sentirlo: il suono dei gabbiani sull’acqua, il frinire dei grilli nei prati, e la luce, quella luce meravigliosa che…
Mi nascosi il viso fra le mani, scoppiando in singhiozzi.
Ade si alzò bruscamente dal trono e scese con grazia i gradini che lo separavano da Orfeo.
Il poeta smise immediatamente di cantare, crollando in ginocchio.
-Divino Ade…-
-Riprenditela.- disse mio marito. Il suo tono incolore non ingannò nessuno: era furente. –Riprenditi Euridice e riportala pure indietro.-
-Io… io non so come ringraziarvi!-
-Taci.- la parola di Ade irradiava gelo. Ostilità, persino. –Non ho finito. La mia concessione è valida a una sola condizione: non dovrai voltarti indietro neppure una volta, finché non sarete tornati entrambi in Superficie.-
-Divino Ade, divina Persefone, canterò la vostra generosità finché avrò vita!-
-Non hai nulla per cui ringraziare.- disse Ade tra i denti.
E, volgendo le spalle a Orfeo e alla corte intera, uscì a grandi passi dalla sala.
 
§§§§
 
Lo seguii immediatamente, cercandolo per i corridoi bicromi del palazzo dell’Anticamera dell’Averno.
Evitai le sale del piano terra, in cui Eaco, Minosse e Radamanto svolgevano le loro funzioni, e salii direttamente al primo piano, chiamandolo per nome.
Qualcosa mi seguiva, passando di ombra in ombra, celandosi nell’oscurità dei soffitti, ma io non vi badavo. C’erano un’infinità di porte, e io le aprii una ad una, piangendo. Sapevo che la mia reazione aveva ferito Ade profondamente, eppure non riuscivo a smettere di piangere.
Lo trovai nell’estrema ala ovest. Nella livida penombra del salottino, mio marito era una sagoma alta e oscura stagliata contro la vetrata piombata, che occupava un’intera parete.
Sotto di lui, le acque fumose dell’Acheronte si contorcevano inquiete.
-Ade!- lo chiamai, entrando esitante nella stanza.
Non si voltò né mi rispose.
-Ade… mi dispiace. Io…-
-Ascolta.-
Tacqui. Oltre i vetri piombati si levava il gemito delle Ombre sballottate nel Vortice.
-Gli insepolti…-
-No. Ascolta meglio.-
Oltre il lamento del vento, lo udii. Un grido umano, una voce ricca e pastosa che riverberava nell’aria del Sottosuolo, giungendo fino a noi.
Dio dell’Averno, ti maledico per il tuo inganno! La voce disperata di Orfeo risuonava per il cielo del Sottosuolo. Proverai un dolore simile al mio, un giorno! Proverai anche tu cosa sia, vedersi strappare dalle braccia la propria sposa!
Sgranai gli occhi, sconvolta dall’odio contenuto in quelle parole.
-Che cosa è successo?-
-È successo che avevo ordinato a Orfeo di non voltarsi lungo il tragitto, e lui invece si è voltato.-
-E la colpa sarebbe… tua?-
-Lo è.- Il sussurro di Ade era spietato. -Ho posto una condizione che Orfeo non poteva rispettare. E io lo sapevo: è per questo che l’ho posta.-
-Sì che poteva rispettarla! Sarebbe bastato…-
-No, Persefone. Non poteva.-
Lo guardai senza capire.
-Come puoi esserne certo?-
-Se al posto di Euridice ci fossi stata tu, io non avrei potuto evitare di voltarmi.-
-Lo hai ingannato? È questo che stai dicendo? Hai ingannato un mortale disperato, che ha fatto tanta strada solo per chiederti aiuto?-
Finalmente Ade si girò verso di me, offrendomi la linea tagliente del suo profilo.
-Sì, l’ho fatto, e lo rifarò tutte le volte che si renderà necessario. C’è una cosa che devi capire, Persefone: non possiamo essere amati da tutti, né elargire eccezioni e miracoli. Non è per questo che esistiamo!-
-Io… io non posso credere che tu lo abbia fatto davvero!-
-Persefone!- il sussurro di Ade sferzò la penombra come una scudisciata, facendola tremare. Facendo tremare persino me. -Siamo ciò che siamo: questa è accettazione! Ma siamo anche ciò che rappresentiamo, e questa è responsabilità!-
Indietreggiai, ma lui mi afferrò per un polso, tirandomi verso di sé. Le sue dita erano fredde e forti, i suoi occhi più bui del Tartaro.
-Le cose morte devono morire. Le cose che non appartengono più alla Superficie devono essere lasciate al Sottosuolo. È doloroso? Sì! È atroce? Crudele? Spietato? Sì, sì e ancora! Ma è necessario!-
-Smettila…-
-Noi non siamo gentili. Noi siamo ciò che siamo e siamo ciò che rappresentiamo: questa è la nostra funzione, la nostra responsabilità nei confronti dei mortali e del Mondo!-
-…HO DETTO SMETTILA!-
Strattonai il polso, così forte da farmi male. Ade continuò a trattenermi e allora strattonai ancora più forte, torcendo la mano nella sua stretta.
-È di Orfeo e di Euridice che stai parlando? O di me e di Helios?-
Ade fece una smorfia e aprì di scatto le dita, lasciandomi andare. Mi rivoltai contro di lui come una mangusta.
-Al pari della mia gentilezza, anche il tuo senso di responsabilità non è poi così nobile! O pensi non l’abbia notato?-
Il sussurro di Ade fu così freddo che i vetri si coprirono di brina.
-Ti prego, continua. Sono sempre così ansioso di sapere cosa pensano di me quelli della Superficie!-
Non aveva mai utilizzato il suo sarcasmo per ferirmi, prima. Per disarmarmi sì, ma per ferirmi mai. Fu un colpo di rasoio nella carne: per un istante il dolore fu quasi nullo, il taglio invisibile. Subito dopo arrivò il bruciore violento, e iniziai a sanguinare.
-Tu sei geloso!- sibilai. Mi arrabbiai esattamente come lui: abbassando il tono della voce invece di gridare. –Il potente Sottosuolo è geloso del Sole, perché il suo calore e la sua luce sono le uniche cose che non può darmi! Su una cosa hai ragione: Helios mi manca! Che cosa ti aspettavi, che non mi mancasse? E come potevi? La Superficie è il mio mondo! Ci sono nata, lì! La Terra fertile è mia madre, il Fulmine è mio padre! Helios era la misura delle mie giornate! Come puoi illuderti che tutti loro non mi manchino?- La mia voce era un sibilo roco, tremante di collera. – Tu ti senti così superiore agli dei della Superficie! Eppure non capisci la cosa più ovvia: lo avrei mangiato comunque, quel melograno, anche se tu non me lo avessi offerto con l’inganno. Lo avrei mangiato per amore, e adesso lo sapresti anche tu, se solo ti fossi fidato!-
Un’ombra scura si contorse in fondo agli occhi di Ade. Una linea sottile, come una crepa, comparve fra le sue sopracciglia.
-Di quale inganno stai parlando? Io non ti ho mai ingannata.-
-E cosa mi dici della nostra cerimonia di nozze? Cosa mi dici del melograno che mi hai offerto davanti a tutti, affinché non lo potessi rifiutare? Chi mangia i frutti del Sottosuolo è costretto a restarvi per sempre! Davvero pensavi non lo sapessi?-
Ade avanzò verso di me e, mentre avanzava, la sua figura sembrava farsi più gigantesca e più buia.
-Costretto a restarvi per sempre,- ripeté lentamente. –Così è questo che ti hanno raccontato. Pensi che ti abbia offerto quel frutto per costringerti qui, nel caso un bel giorno tu decidessi di andartene.-
Rovesciai il capo all’indietro e lo guardai negli occhi.
-Osi negarlo?
Il viso di Ade era una maschera esangue, gli angoli delle labbra piegati all’ingiù. Vi lessi un dolore e un’impotenza terribili. Vi lessi la rabbia per quanto era appena accaduto.
Impiegai un istante per rendermi conto che, ancora una volta, tutte quelle emozioni appartenevano a me, e non a lui.
-Ti interesserà sapere,- disse Ade graffiante, –che il modo in cui mi hai descritto è lo stesso in cui ci vedono gli umani. In cui ci vedono entrambi,- precisò.
-Spiegami il valore di quel melograno.- sussurrai, la bocca arida.
Ade torreggiava su di me come una colonna di tenebra.
-No.- Il suono della sua voce mi colpì come uno schiaffo, ma fu l’amarezza che conteneva a spezzarmi il cuore. -Se non sei capace di capirlo da sola, è inutile che io te lo spieghi.-
Aspettai, ma non arrivò nient’altro: non sentii il gelo delle sue dita serrarmi la gola, né la sua mano strattonarmi i capelli.
Ade mi passò accanto e uscì dalla stanza.
Crollai in ginocchio sul pavimento. Tremavo e mi battevano i denti. Premetti le dita sul polso slogato e trovai la forza di non balbettare.
-Mostrati, Ipno. So che ci sei.-
Un’ombra si staccò dal soffitto e calò silenziosa sul pavimento davanti a me. Un mantello morbido e pesante fu appoggiato sulla mia schiena. Mani gentili me lo rimboccarono attorno alle spalle, avvolgendomi in esso.
-Mi dispiace,- dissi. –Mi dispiace davvero per questo spettacolo così sgradevole.-
Le mani si poggiarono per un istante sulle mie spalle, poi la voce del genio fendette l’aria, composta.
-Dispiace anche a me avere violato un momento così privato.-
Trasalii: la voce era familiare… ma non apparteneva a Ipno.
Sollevi il capo di scatto, incontrando gli occhi ambrati di Thanatos.
-Credo, mia regina, che noi due dovremmo parlare.-

 
§§§§
 
1_Metamorfosi, Ovidio, ripreso pari pari da una traduzione trovata online. Francamente, l’idea di mettere in bocca a Orfeo parole *mie* volte a smuovere gli dei dell’Oltretomba mi faceva ridere istericamente, per quanto era spropositata rispetto alle mie capacità. Per cui, insomma, meglio Ovidio ;)
2_Sleeping Sun, dei Nightwish. https://www.youtube.com/watch?v=zwsIgHcr5iQE potete farvi un’idea di come sarebbe, cantata da una voce maschile. Sì, sì, lo so che Orfeo non conosceva né il metal né l’Inglese, ma io adoro queste commistioni un po’ sopra le righe, per cui sopportatemi e compatitemi!
 
Saliman
   
 
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