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Autore: AuraNera_    14/09/2015    5 recensioni
I Pokémon Leggendari non possono scomparire. I Guardiani devono salvaguardarli. Ma il prezzo potrebbe essere troppo alto.
Dal capitolo uno:
“Tutto in me è bianco. Bianca la pelle. Bianchi i capelli. Bianche i vestiti che indosso. Solo i miei occhi interrompono il monocrome che mi compone. Il bianco è un colore vuoto, per questo mi caratterizza. Ma, come un foglio bianco, spero che anche la mia anima venga colorata con nuove emozioni derivanti da questo viaggio. Un viaggio che mi porterà lontano. Mi chiamo Ayumi Sato. E sono la prima guardiana delle leggende.”
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Capitolo 28 – Non è colpa mia


_Romantopoli_


La città era circondata da boschi, infinite distese di alberi. La cosa risultava positiva, c’era un sacco di posto dove spuntare all’improvviso senza che nessuno sospettasse nulla. D’altro canto, quel luogo non sembrava avere fine.
“Che schifo di posto” borbottò con disgusto Seir, osservando i propri pantaloni ricoperti di melma. Il terreno paludoso rendeva difficile e lenta l’avanzata, oltre che evidentemente ripugnante.
“La principessina dei mari avrebbe preferito essere trasportata in spalla?” ribatté sarcastico Kurai, come c’era da aspettarsi. Accanto ad Ayumi, Shiho e Marisio sospirarono all’unisono, mentre l’albina se ne stava in silenzio, ignorando gli sguardi di fuoco che i due si lanciavano.
“Prima cosa, sono la Guardiana degli Oceani, e non principessina dei mari. Seconda cosa: stai zitto. Le ombre stanno in silenzio” rimbeccò la ragazza dai capelli blu, abbassandosi per schivare un ramo.
“E se io fossi un fantasma o uno spettro?”
“E se io ti tirassi un pugno sul naso?”
“Non puoi colpire con un pugno sul naso uno spettro”
“...vai al diavolo”.
“Per favore! Volete evitare di battibeccare per tutto il percorso?” chiese la Guardiana della Verità con esasperazione. I due sbuffarono e annuirono.
“...comunque ha cominciato lui” concluse dopo un po’ Seir, incrociando le braccia. Kurai si limitò a sollevare un sopracciglio nella sua direzione.
“Mi ricordano due bambini che bisticciano per le caramelle” ridacchiò la ragazza dai capelli biondo platino, raccolti in una pratica coda di cavallo alta.
“Loro sono due bambini bisticcianti. È da quando si sono conosciuti che vanno avanti così” intervenne Ayumi. Accanto a lei, Vaporeon si era liberata dalla sua sfera e saltellava nel fango schizzando tutt’attorno, contenta di essere con la sua padrona, per una volta, e non rinchiusa nel Paradiso Parallelo.
Era stata Shiho a consigliarle di portarla fuori. “Io ho insegnato a Snivy a stare su una passerella, così la portavo con me al lavoro. Non le piaceva stare troppo tempo senza di me, e probabilmente per Vaporeon è lo stesso” le aveva detto. La creatura di tipo erba si era arrampicata sulla spalla della padrona e osservava i dintorni con serietà.
Tutti i Leggendari erano nelle loro sfere, loro malgrado, ma altri Pokémon girovagavano nei dintorni. Per esempio Absol, che stava affianco alla sua padrona, pronta a dare un segnale a quest’ultima se qualcosa non fosse andato per il verso giusto. Ogni tanto, attraverso gli alberi, si intravedeva il Dusknoir di Kurai, fino ad allora tenuto segreto dal ragazzo, stesso discorso per il Lucario di Marisio. Invece un Doublade guardava le spalle al gruppo, affiancando Seir.
“Guardate! Lì c’è una casa!” esclamò Shiho, indicando un punto apparentemente indefinito nascosto dall’oscuro fogliame.
“Chi abiterebbe in un posto come questo?” domandò Seir, non reprimendo una smorfia schifata.
“Qualcuno a cui piace farsi i fanghi” rispose con ironia Kurai. La Guardiana degli Oceani lo guardò male, mentre Shiho scoppiava a ridere. Anche il Guardiano dell’Aura sbuffò divertito.
Avanzarono ancora per una quindicina di minuti, tra un commento e l’altro, ricoperti fino a metà coscia di quell’orribile pantano. Poi, la palude finì, e tornò il terreno solido.
L’erba verde cresceva a chiazze, che diventavano sempre più frequenti mano a mano che il percorso fangoso appena percorso si allontanava.
“Ok, è ufficiale: dobbiamo ripulirci da questo schifo” decretò Seir, iniziando a far zampillare acqua pura dalle mani. Quando prendeva la Forma Guardiana, entrambi gli occhi le diventavano rossi e delle striature rosse le comparivano sul corpo.
Kurai si dissolse in ombra, lasciando dietro di sé una pozzanghera melmosa, Ayumi congelò il viscidume e poi lo ruppe con un gesto quasi non curante della mano, Marisio si fece aiutare da Seir. Shiho, in vece, si diede letteralmente fuoco, i capelli biondo platino che sfumavano fino a diventare bianchi verso le punte, gli occhi azzurri.
“Bene, ora che siamo tutti lindi e puliti possiamo andare!” sorrise quest’ultima non appena estinse le fiamme blu che la circondavano. “...Ovunque noi dobbiamo andare...” concluse poi, a voce un po’ più bassa.
“La città si chiama Romantopoli, ed è stata costruita attorno a un albero più che millenario. È una cittadina pacifica, o almeno lo era. Poi l’ex fabbrica di PokéBall è stata assaltata da dei vandali e da allora è inagibile” spiegò Marisio, con la voce che prendeva una sfumatura più cupa nel raccontare l’ultima parte.
“Per questo ci hai vivamente consigliato di venire qui in tanti?” gli domandò Ayumi, voltandosi ad osservarlo con un sopracciglio inarcato.
“Già. È probabile che ci attacchino. Una donna, mi pare che il suo nome sia Malva. Una dei Superquattro, quindi ha un potere piuttosto grande all’interno dell’organizzazione nemica, diciamo così, e dei Pokémon potenti. Non è molto abile con la sua aura, comunque. Però potrebbe rappresentare una spina nel fianco particolarmente fastidiosa” continuò il ragazzo.
Nel frattempo erano entrati in una zona dove gli alberi erano più radi. Erano arrivate in una cittadina dell’aspetto quasi incantato, sembrava un villaggio per gnomi, fatta eccezione per le proporzioni. Grossi funghi crescevano in gruppo di tanto in tanto, tutti i cespugli mostravano fiori dai colori più sgargianti, le case erano bianche con il tetto rosso e i fiori alle finestre, le poche strade non erano asfaltate. E poi, c’era il grande albero che troneggiava sui dintorni, al quale era appeso un orologio, fermo da chissà quanto.
“Ayumi, qual è l’aspetto del Guardiano che stiamo cercando?” chiese Seir, affiancandola e buttandole un braccio sopra alle spalle.
“Guardiani. Sono due gemelli dai capelli celesti e gli occhi marroni” mormorò l’albina senza ritrarsi al contatto. La ragazza dai capelli blu inclinò la testa di lato.
“Ascolta... è da quando ci hai raccontato di dove dovevamo andare e tutto il resto che sei  cupa. Che succede?” le sussurrò la Guardiana degli Oceani in un orecchio. L’altra stette in silenzio per un po’, guardando il terreno, persa nei suoi pensieri.
“Seir... sono due bambini... non voglio farlo” sussurrò infine, fissando l’occhio smeraldo della ragazza con sguardo triste... quasi spaventato. “Avranno sette anni” disse poi, tornando a guardarsi in giro.
“Merda” decretò Seir, staccandosi dalla compagna e distanziandosi un po’ per avere una visuale più completa.
“Cosa?” chiese Shiho, voltandosi e fissando attentamente con i suoi occhi grigi la ragazza di Spiraria, la quale scrollò le spalle.
“Niente. Stavo pensando all’Uomo Nero. Erano le mie considerazioni” ghignò in risposta. Il cosiddetto ‘Uomo Nero’ non era nientepopodimenochè Kurai, che in quel momento stava cercando di disintegrarla con il solo sguardo.
Marisio sbuffò divertito mentre Shiho si spiaccicava una mano sulla e la faceva scorrere fino al mento. Ayumi, invece, era stata attratta da delle voci spensierate, che si erano affievolite in quell’istante. E non per colpa della loro comparsa.
“Ragazzi” richiamò con voce piatta.


“Mammaaa! Perché non possiamo uscire fuori a giocare?”. Il ragazzino tirava insistentemente un lembo della maglia della madre, nel tentativo di catturare la sua completa attenzione.
“Rhiannon ha ancora da finire i compiti, tesoro, perché ieri è andata a casa di una sua amica che compiva gli anni. Porta ancora un po’ di pazienza” ribatté l’adulta, mentre accarezzava la testolina celeste del figlio. I genitori non sapevano da chi i due gemelli avessero ereditato quel colore così assurdo, dato che nella loro famiglia avevano tutti i capelli nero-violacei.
Il bambino gonfiò le guance.
“Hannie! Sbrigati dai!” gridò con la sua voce ancora bianca in direzione delle scale.
“Nath, ho quasi fatto, un attimo!” si sentì la voce simile della sorella dall’altra stanza. Il ragazzino sbuffò di nuovo.
“Sei lenta come uno Slugma raffreddato!” brontolò mettendo il broncio e lanciandosi sul divano.
“E tu sei fastidioso come uno Zubat” ribatté quell’altra apparendo dal piano superiore. “Ora ho finiti, vogliamo andare?” sorrise.
“Mamma, ora possiamo, vero?” chiese il fratello alla genitrice con gli occhi che brillavano. L’adulta ridacchiò.
“Sì, Nathaniel, ora potete. Ma state in giardino, non vi allontanate” raccomandò la donna, per poi sparire in cucina. I due gemelli si guardarono negli occhi, sorridendo, per poi schizzare fuori dalla porta, deviando nell’atrio solo per prendere un pallone.
Molti abitanti di Romantopoli dicevano che non si erano mai visti due fratelli andare d’accordo in quel modo. Ma Nathaniel e Rhiannon facevano eccezione su molte cose, prima di tutto il colore dei capelli. Avevano sette anni ed erano nati a mezz’ora di distanza l’una dall’altro. A lei piaceva leggere e fare ginnastica artistica, a lui correre dietro un pallone e stare seduto sul prato del giardino di casa a osservare i Pokémon.
Tuttavia, restava difficile tenerli separati per più di qualche ora, come se avessero una sorta di legame indissolubile, quasi telepatico.
Nessuno aveva mai visto i gemelli piangere, scoraggiarsi o perdere la loro allegria e vitalità, e questa era un’altra delle cose da aggiungere alla lista delle stranezze. I bambini cadono, si sbucciano le ginocchia e di conseguenza piangono.
Loro due no, correvano a farsi far mettere un cerotto, per poi tornare a giocare sorridendo.
“Sono le nostre due gemme di luce” dicevano i genitori ad amici e conoscenti. Quei due brillavano vicini della stessa luce, mai più luminoso o più oscuro del fratello o della sorella.
Eppure, quel giorno, qualcosa cambiò.
Nel giardino c’era qualcuno, una ragazza, che li osservava tetra, un ghigno orribile che le deformava il volto. Gli occhi neri erano grandi e spiritati.
Fuori dai confini dell’abitazione c’era anche una giovane donna dai curiosi capelli rosa acceso, raccolti sul dietro e con due ciocche ondulate lasciate cadere ai lati del volto sulle spalle. Gli occhi erano nascosti da degli occhiali dalle lenti arancioni. Lei però non guardava i due bambini. Il suo sguardo era puntato su un piccolo gruppo di persone.


“Quella è Malva” mormorò tra i denti Marisio. Ayumi socchiuse gli occhi, studiandola, per poi passare alla ragazza che era con lei e che puntava ai due Guardiani gemelli con aria quasi famelica. Gli occhi spiritati e scuri erano privi di ogni razionalità e quasi sbavava dato che la bocca era aperta nel formare sempre quel ghigno osceno.
L’albina sentì un brivido correrle lungo la schiena.
“Chi è quella ragazza?” le chiese Shiho, notando che la Guardiana di Articuno la stava fissando da un po’.
“Non so chi è... ma so cosa è diventata...” disse, prima di deglutire a vuoto, orripilata. “Le persone come lei, o forse è meglio chiamarle creature, sono dette Figlie della Follia. O Figli nel caso maschile. Credo che... che abbiate capito cosa le è... successo” sussurrò la ragazza.
Lo sapevano. Ghecis lo sapeva.
Sapeva che Pure stava impazzendo, e aveva mandato quell’essere davanti a loro per sbeffeggiarsi della figlia e della loro impossibilità e impotenza nel guarirla.
“Pure... diventerà così?” mormorò incredula Seir. All’albina non restò altro da fare che annuire.
“I Figli della Follia sono dei mostri. Non sanno più distinguere il bene dal male e attaccano chiunque fino a che di loro non rimane più nulla. La follia è suicida”.
“Bene bene... chi abbiamo qui? Un gruppo di schiavi dei Pokémon... o come vi chiamano altrimenti, ‘Guardiani’”. Malva sputò quelle parole con tutto il disprezzo della quale era capace. “Ce ne avete messo di tempo a trovare questi due pargoli... è da un po’ che li tengo sotto controllo, aspettandovi. Esatto, è una trappola” continuò poi con nonchalance.
Seir a quelle parole ringhiò, letteralmente. Come una sola persona, i ragazzi assunsero la Forma Guardiana, preparandosi per lo scontro imminente.
“Attacca” fu l’ordine imposto da Malva.
E la Figlia della Follia eseguì.
La casa crollò.


Sono cose che capitano.
Un attimo prima pensi che aspettare a giocare per colpa dei compiti sia una cosa crudele ed ingiusta, che la scuola non dovrebbe mettere i bastoni tra le ruote alla vita dei ragazzi, o anche a quella degli adolescenti.
Poi ti accorgi che la vera crudeltà è un’altra.
Nathaniel se ne accorse quando qualcuno lo tirò via di forza dalle macerie della sua casa, confuso. I suoni erano ovattati, sentiva un sapore sconosciuto in bocca e il suo corpo era debole, non riusciva a stare in piedi senza sostegno. Le palpebre sembravano come paralizzate, non erano chiuse ma non riusciva nemmeno ad aprirle del tutto. Erano ferme a mezza via, lo sguardo vacuo.
Puntato negli occhi vitrei della sorella.
Rhiannon era lì, le pupille puntate in quelle del gemello, che lo fissavano vederlo davvero. I bei capelli celesti erano sparsi sulle macerie del muro che era crollato loro addosso ed erano sporchi, corrotti dal colore del suo stesso sangue. Sangue che sgorgava da un profondo taglio sulla tempia, dalle labbra rosee della fanciulla e da una ferita allo stomaco inferta da un frammento di vetro, andato distrutto assieme al muro della casa, esploso in seguito ad un attacco. Un proiettile acuminato come una lancia di un antico guerriero in armatura.
Ma Nathaniel non aveva armatura. E Rhiannon neppure.
Sono cose che capitano.
Una lacrima solcò il volto del ragazzino, mentre prendeva finalmente consapevolezza dell’orrore attorno a lui. Rabbrividì mentre veniva trascinato via dalla stessa persona che lo aveva tratto in salvo dalle macerie.
“Non temere, ora ti portiamo via” gli mormorò. Era una voce maschile, calda e rassicurante, ma incrinata dall’orrore e dalla rabbia. Gli attacchi che venivano lanciato nella loro direzione venivano deviati da una forza sconosciuta, chissà come. “Ayumi!” chiamò il ragazzo.
Nella confusione davanti ai suoi occhi scuri, Nathaniel scorse una figura reagire a quel richiamo. Era una ragazza dai lunghi capelli lisci, bianchi e blu. Combatteva con il ghiaccio ed era circondata da fiocchi di neve che planavano pigri ogni folta che sferrava un attacco. Gli occhi rossi erano spalancati e riflettevano una paura folle, odio e rabbia. Erano privi di luce.
“Dobbiamo portarlo via!” urlò Marisio per farsi sentire sopra il frastuono di un’altra esplosione. L’altra lo osservò senza muoversi, come impietrita.
“Ayu!” la richiamò Seir, che stava radunando attorno a sé una grande quantità d’acqua. “Tu vai! Portalo via!” urlò.
“Ci pensiamo noi qui!” Le fece eco Shiho, mentre le sue fiamme blu ingoiavano quelle rosse, estinguendole o indirizzandole contro Malva, che stava provando a scappare dopo aver scatenato il suo stesso mostro.
Gli occhi della Guardiana dei Venti Gelidi si scontrarono poi con quelli azzurri di Kurai per qualche istante, giusto il tempo per lui di farle un cenno affermativo, prima che la Figlia della Follia richiedesse nuovamente tutta la sua attenzione.
Ayumi si voltò e iniziò a correre verso i due, afferrando la mano che Marisio le porgeva, quella che non era impegnata a stringere le spalle del ragazzino, mentre subiva in silenzio ogni secondo passato a reggere lo scudo.
La ragazza intrecciò le esili dita con quelle del Guardiano dell’Aura e il mondo riflesso negli occhi di Nathaniel iniziò a sfumare e vorticare.


_Isole Orange_


Era già il tramonto lì. Era lontano da dove erano prima. Dopo tutta la confusione che aveva riempito le orecchie dei tre, in quel momento c’era solo un’inspiegabile calma. Il solo rumore proveniva dall’immensa distesa blu scuro quale era l’oceano, nel quale il sole e tutte le sfumature aranciate derivate da esso si stava tuffando, affogandosi in quella linea praticamente retta.
In mezzo a quello scenario, davanti a loro, stavano come punte di un tridente l’Isola del Fuoco, l’Isola del Ghiaccio e l’Isola del Fulmine.
“Ayumi... che ci facciamo qui?” chiese calmo Marisio. La ragazza non rispose, era rimasta immobile a guardarsi attorno.
Il ragazzo la osservò attentamente. La ragazza sembrava essere ringiovanita di colpo, perdendo tutto d’un tratto la sua freddezza e professionalità. Gli occhi, tornati ciclamino, erano spalancati ad osservare il vuoto, spaventati, impauriti, persi. Le mani affusolate stringevano spasmodicamente la stoffa dei pantaloni e il petto si alzava e abbassava ad una velocità un po’ troppo elevata. Sembrava un animale messo all’angolo, troppo terrorizzato persino per reagire.
Troppe emozioni tutte assieme.
‘Che mi sta succedendo? Cos’è questa sensazione, questo dolore? Perché d’improvviso mi sento così fragile?’.
L’albina prese qualche profondo respiro, cercando di calmarsi almeno un po’.
“Seguitemi” mormorò semplicemente, con voce più flebile ed insicura di quello che avrebbe voluto. Prese ad incamminarsi lungo la spiaggia, diretta verso il paese dove era cresciuta, lontana dal luogo in cui tutta la strada in discesa che l’aveva portata nel suo abisso era iniziata.
Guidò i due che la seguivano attraverso le strade meno praticate, silenziose, non c’era molta gente a quell’ora per quei vicoletti. Stavano evitando le persone e continuarono a farlo fino a che non ebbero raggiunto un edificio di modeste dimensioni leggermente separato rispetto agli altri. La scuola.
Lì accanto c’era una casa con le finestre illuminate. Con grande sorpresa di Marisio, la ragazza si diresse proprio lì davanti e bussò alla porta. Aspettarono una manciata di secondi, prima che una signora ormai non più troppo giovane aprisse la porta.
Era bassina, dai capelli marrone rossiccio e dagli occhi blu scuro circondati da una sottile ragnatela di rughe. Quello sguardo dolce e ridente si illuminò quando vide la giovane.
“Ayumi, cara! Che piacere rivederti!” esclamò con voce dolce.
“Paula. Anche per me è un piacere” rispose l’albina tenendo la testa bassa come il volume della sua voce. Questo bastò a far sparire il sorriso dalle labbra della donna, sostituita da un’espressione preoccupata e rassegnata.
“Cosa ti serve, bambina mia?” le chiese dolcemente.
“Lui è Nathaniel, il Guardiano della Volontà, di Azelf. Erano in due con la gemella, ma lei è morta in seguito ad un attacco. Vorrei che lo tenessi qui, al sicuro, fino a che la situazione non diventerà meno pericolosa”. Dietro di lei, Marisio spalancò gli occhi esterrefatto, ma non pronunciò parola.
‘Che stai facendo, Ayumi...’ pensavano entrambi, sia l’albina che il ragazzo dai capelli blu.
“D’accordo. Nathaniel? Vieni con me” acconsentì Paula, prendendo per mano il ragazzino, che non capiva come facesse la ragazza dai lunghi capelli bianchi a conoscere il suo nome. “State attenti...” sospirò infine l’adulta, per poi chiudere la porta. Non c’era altro da dire.
Ayumi e Marisio si allontanarono, camminando fianco a fianco, fino a ritrovarsi a costeggiare la spiaggia e ancora, fino a che non si ritrovarono seduti sugli scogli.
“Chi era lei?” chiese il ragazzo, tentando di mantenere un tono controllatamente pacato per non intaccare ulteriormente l’animo evidentemente tormentato dell’altra.
“Si chiama Paula. È l’insegnate di quest’isola e quando ero piccola ha insegnato qualcosa anche a me. Per questo mi conosce. Sua prozia è una delle sagge del posto e le ha raccontato la ‘leggenda’ dei Guardiani” raccontò piano l’albina.
“Si prendeva cura di te quando...”
“Quando mia madre adempiva al suo dovere di Guardiana, esatto. Mi ha insegnato qualcosa, ma purtroppo a sette anni ho dovuto... prendere il posto di mi madre... e quindi non so molte cose che una persona comune considererebbe naturali ed immediate...”
“D’accordo, ho capito. Non ne parliamo, se non vuoi” la rassicurò lui, appoggiandole una mano sulla spalla. Lei rabbrividì al contatto.
“Ho paura” sussurrò alla fine, sorprendendosi. Da quando i suoi sentimenti le erano così chiari? “Da sempre” aggiunse, voltandosi a guardare il ragazzo. Gli occhi scuri di lui la scrutavano, riuscendo a trapassare quel muro ormai fragile che da sempre, o meglio, da otto anni, proteggeva la ragazza.
‘Proteggeva o intrappolava?’ si ritrovò a domandarsi Marisio d’improvviso. Effettivamente i conti tornavano.
“Perché hai paura Ayumi?” le chiese infine dolcemente, mentre le accarezzava una guancia. “Non sei da sola”.
“È una bugia. Io sono da sola, lo sono da quando mia madre è morta!”. Dopo molti, moltissimi anni, finalmente quelle lacrime amare e disperate, imprigionate in una cella dimenticata finalmente aperta abbandonavano gli occhi ciclamino dell’albina.
E, dopo tanto, troppo tempo, qualcuno la strinse tra le braccia, tentando di consolarla e lenire il suo dolore. Il Guardiano dell’Aura la stava cullando mentre la abbracciava, sentendola tremare e avvertendo le sue lacrime bagnargli la stoffa che copriva la sua spalla.
“Non voglio tornare indietro... non voglio... non lì...” balbettava terrorizzata. Il ragazzo era esterrefatto, non capiva cosa stava succedendo. Era strano, era da un po’ che Ayumi era diventata più... sensibile a ciò che li circondava. Ma mai a quei livelli.
“Ayumi. Qualunque cosa ti spaventi, ci siamo noi. E sappi che faremo qualsiasi cosa necessaria per aiutarti. Noi ti vogliamo bene, non vogliamo vederti soffrire” le disse con voce calda, mentre le asciugava le lacrime. Gli occhi erano ancora pieni di terrori, ma in fondo brillavano di fiducia.
Voleva credergli, e per questo annuì leggermente. Lui le sorrise e poggiò le sue labbra sulla fronte della ragazza.
“Magari quando sarà tutto finito” le sussurrò. Lei rispose con un sorriso flebile e annuì leggermente.
Si rialzarono, osservando ancora una volta il mare che aveva abbandonato i colori caldi del sole per vestire quelli argentati della luna.
“Forse dobbiamo andare” mormorò il ragazzo. Ayumi annuì, mentre sentiva di nuovo l’agitazione nel suo petto. Faceva male. Prese la mano al ragazzo, tentando di sopprimere i suoi sentimenti ancora.
Sparirono.


“Non è stata colpa mia. Non doveva succedere ma... non potevo farci nulla, è... successo troppo in fretta. Non è... colpa mia. Io... ho paura”

 


Angolino nascosto nell’ombra
Qualcuno mi dia un letto. Qualcuno mi dia un rimedio contro la stanchezza anomala (?). Qualcuno mi dica che non sto diventando depressa.
AHAHAHAHHA MA IO NON SONO DEPRESSA AHAHAHAH almeno spero.
Okno. Perdonatemi.
Non ho molto da dire a riguardo tranne che sì, Pure è sta degenerando ed è inguaribile (tranne per Angeallen che, ops, non può evadere dalla sua dimensione) e Marisio si è dichiarato, yeah. Nathaniel e Rhiannon mi servivano solo per far impazzire Ayumi, sì. E qui è sereno ma diluvia.
Wa da fak, tempo atmosferico.
Ho trovato una canzone adatta per GoL, che non è la cosa più originale del mondo ma è una cosa che mi piace fare. Si chiama Get Out Alive ed è dei Three Days Gracias o come si scrive il loro nome, non lo so, sono troppo stanca per controllare, non linciatemi plis.
Il perché di questa canzone... si capirà bene solo nel prossimo capitolo ahahahah SI LO SO CHE MI ODIATE TANTO.
Bene. Forse le pubblicazioni diventeranno ogni due settimane perché la scuola è iniziata per tutti e il terzo anno si è presentato a me come parecchio più incasinato. Amen fratelli e sorelle.
Tanto Lob *come dice Sabrina*


Aura_

  
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