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Autore: _Breath    14/09/2015    2 recensioni
-Dafne Valenti?-
Dafne sorrise dolcemente, vagamente intenerita, sentendolo pronunciare il suo nome. A dispetto delle apparenze, Gabriele non era un suo normale coetaneo e non era neppure un deviato mentale come tutti le volevano far credere,ma era qualcosa di più. Un eterno Peter Pan o, magari, un Peter Pan che non aveva avuto la possibilità di crescere, che non era riuscito a varcare veramente il mondo degli adulti.
E lei aveva sempre voluto essere una Wendy.
-Si?-
-Se fossi stato un ragazzo normale, se fossi stato un tuo amico, proprio come quello lì, se non fossi stato un presunto pazzo chiuso da anni dentro uno stupido manicomio e non puzzassi come un cane abbandonato a se stesso in un deserto privo di acqua... Ecco... In quel caso, solo in quel caso, tu usciresti con uno come me?-
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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 Capitolo 3



Evitava accuratamente di incontrare lo sgurdo del suo amico continuando a tenere gli occhi saldamente impuntati verso le sue graziose scarpe di tela. Per un solo istante le sue scarpette rosse le parvero terribilmente interessanti. 
Luca stava qualche passo dietro di lei, il colletto della sua giacca invernale alzato con l'intento di coprirgli il collo e gli scarponcini alti, molto più caldi delle sue scarpe da ginnastica, ai piedi enormi e singolari. La sua camminata era pesante e frenetica, ma contemporaneamente lenta, come quella di un condannato a morte che si sta avvicinando al proprio boia al di là della collina. Dafne poteva quasi immaginare la faccia contrariata del suo amico, nonostante gli desse le spalle e non potesse veramente vederla. 
Sorrise nascondendo quel sorriso nella sua sciarpa color crema. 
Aveva dovuto usare tutto il suo charme- al quale, lei lo sapeva, Luca non sapeva resistere- per poterlo convincere ad accompagnarla  a fare visita a quel manicomio. 
Voleva vedere tutto da vicino, gli aveva detto, per poter capire al meglio cosa loro provassero sulla loro pelle. 
Luca l'aveva guardata, un'espressione scettica sul volto perennemente abbronzato, chiedendole se il suo masochismo l'avrebbe spinta anche a sedersi sulla sedia elettrica, per poter così capire al meglio anche i poveri cricetini usati come cavie dagli scenziati di tutto il mondo. 
Era da quando gli aveva esposto quella sua contorta idea che il ragazzo la guardava sconvolto, dicendolce che quel carattere da crocerossina non l'avrebbe portata da nessuna parte se non al suicidio suo e di chiunque le stesse intorno. Per esempio, si era esposto con nonchalance, continuare  la loro amicizia lo stava portando a un lento, doloroso, suicidio mentale. 
Dafne aveva riso, si era alzata sulle punte e gli aveva regalato un bacio amichevole sulla guancia che lo aveva fatto sorridere nuovamente, dimenticandosi di quello che probabilmente lei gli aveva domandato. 
O forse era solamente Luca che, con il suo carattere solare, riusciva ad allontanare facilmente dalla sua mente tutti quei pensieri che non riteneva importanti. 
Ed ora eccoli lì, a camminare in fila indiana, come due scolari in gita scolastica, riparati dentro giacche più large di loro, vittime indiscusse di quel vento glaciale. 
Dafne ancora ricordava quando, solo qualche istante prima, lui fosse venuto a prenderla al suo appartamento con una faccia da cane bastonato, domandandole con cortesia di cambiare idea. 
Lei aveva scosso la testa risoluta, divertita, aveva salutato la sua compagna di stanza ed era uscita, la sua borsa nera stesa sopra il braccio. 
Era da quando insieme avevano varcato il portone del suo palazzo che Luca non le rivolgeva la parola, o forse era solamente lei che, impaziente, camminava con un passò così felpato da impedirgli di avvicinarsi ulteriormente. Stranamente da come si sarebbe aspettata solo qualche tempo prima, Dafne era euforica.
Non vedeva l'ora, per esempio, di poter varcare la soglia di un manicomio, poter tastare con mano le pareti solide come marmo e tristi come un cimiterio di quel centro riabilitativo. Voleva vedere con i suoi occhi il volto di alcuni pazienti, cercare di parlare con loro, avere un minimo dialogo anche se limitato. Dafne, in quel preciso istante, aveva un solo desiderio, così ardente e focoso che la stava consumando completamente: voleva capire. 
Voleva capire cosa si provasse a essere considerati diversi, perché nel suo mondo quell'aggettivo veniva usato solo se connesso al bullismo; voleva poter fare chiarezza nella sua mente, trovare la sua vocazione, cercare un appiglio davanti a quella tremenda materia che sembrava essere totalmente in disguido con la sua persona. E se Luca le diceva che psichiatria era solo una materia di un singolo esame... bhé, lei non era d'accordo. 
Perché era una ragazza così perfettina, così maledettamente precisa, da non voler lasciare nulla al caso. Stranamente si ritrovò a pensare che non stava facendo tutto quello per un voto alto, per il suo agognato ventisette o trenta, ma per lei stessa in primis; per la prima volta nella sua vita, Dafne mise la sua cultura personale davanti ai numeri scritti sopra ad un libretto. 
Sorrise ancora dentro la sua sciarpa, orgogliosa di se stessa, poi si voltò a fronteggiare Luca il quale, ancora dietro di lei, la guardava in tralice, quasi abbattuto. E un Luca abbattuto era uno spettacolo più unico che raro. 
-Non fare quella faccia, Luke! Sono sicura che farà bene anche te e che, a esame finito, mi ringrazierai in tutte le poche lingue che conosci.-
-Quanto sei simpatica, Bambi.- le rispose con una smorfia intantile, contraendo i muscoli del suo volto e facendo arricciare in una maniera disumana gli angoli intorno ai suoi occhi. -Non riuscirò mai a capire il tuo carattere lunatico: un momento prima sei angosciata da questi manicomi e da questi  pazienti più vicini a Dio di quanto mio nonno sia stato prima di morire, e un istante dopo sei qui, bella euforica, impaziente di poter loro stringere la mano. C'è qualcosa di satanico in te, Daf!- 
La ragazza ignorò il suo ultimo commento poco raffinato e si sfregò le mani sui jeans, in un tic nervoso dettato anche dal clima freddo. Una strana euforia la invase totalmente, scorrendole sotto la spina dorsale e dentro le vene, pompato dal cuore in ogni signola cavità che lo componeva. 
Si riavviò i capelli con una mano, come faceva sempre da bambina quando qualcosa che aveva aspettato per tanto, troppo tempo, finalmente si stava per concretizzare. Con la mano libera cercò un contatto con il suo amico, dimenticandosi del loro precedente battibecco, necessitando di calore umano in quel momento tanto freddo, sia emotivo che climatico. 
Luca, ancora dietro di lei, le strinse delicatamente un polso. 
-Possiamo ancora tornare a casa, se vuoi. Io, per quanto mi sia concesso parlare, voglio tornare a casa.-
Dafne rise divertita anche se tesa. -Io invece no. Io devo poterli vedere, almeno una volta; non credo che riuscirei a vivere con questo rimpianto, quello di aver potuto almeno accertarmi con i miei occhi di quanto vere siano queste leggende metropolitane che li vedono protagonisti.-
Luca aprì la bocca per risponderle, ma probbilmente almeno una volta nella vita si decise a connettere cervello e bocca e, dunque, a rivalutare quel suo pensiero  probabilmente a Dafne interessava veramente poco. Quindi il ragazzo sorrise ancora, come se non sapesse fare altro nella vita, inclinò la testa verso destra e socchiuse lo sguardo nell'esatto momento in cui il vento gli sbatteva prepotentemente sulla faccia. 
-Questo posto è veramente angosciante- proruppe con voce ferma e incolore mentre guardava, con sguardo incerto, quell'edificio spento davanti a loro. 
Sembrava quasi una villa abbandonata, una casa fantasma, e molto probabilmente mai prima impressione era tanto lontana dalla realtà; Dafne si chiese quanti cadaveri, quanti zombie, quanti uomini vivi ma morti dentro ci fossero lì. Inforcò la testa nelle spalle, rabbrividendo impercettibilmente. 
Una scritta elegante ma anch'essa sporca, brillava sulla facciata frontale del manicomio.
Dettava: Manicomio Leonardo Bianchi. Napoli.
Dafne lo lesse e rilesse più volte nella sua mente, facendo scorrere gli occhi sopra quella didascalia sbiadita ma originalmente dorata. Un brivido le scese lungo la spina dorsale.
Con riluttanza, ma anche con grande coraggio, la ragazza tirò a se il braccio del suo amico incitandolo a camminare di nuovo; voleva entrare in quel edificio, vederlo, visitarlo, fare quello che sentiva di dover fare e poi uscire di lì. 
Si chiese se quella sua decisione fosse veramente tanto importante come lei sentiva che in reatà era, se l'avrebbe aiutata a studiare e capire. Sentì al suo fianco, dietro al suo collo, Luca sospirare.
Avrebbe voluto respirare forte anche lei, ma il respiro le morì completamente in gola quando vide come fossero quei luoghi all'interno. Se possibile erano peggio che fuori!
Non c'era colore, non c'era vita; sul fatto che ci fosse l'ossigeno Dafne era scettica. Nel momento in cui posò piede sul pavimento freddo del manicomio, ebbe quasi paura di poter essere risucchiata dentro qualche strano turbine di dolori e sofferenze. Avrebbe tanto voluto essere avvolta dal vortice di Paolo e Francesca, quello decantato da Dante nell'Inferno, perché almeno lì avrebbe trovato un po' di calore, scaturito dalla passione dei due amanti. Cosa c'era invece lì?
Il grigio era il colore dominante e, per un solo istante, Dafne si sentì come l'unica macchia di colore presente in quel lugubre posto. Le sue scarpe rosse fungevano da luce al neon, seppur non facessero luce, ma almeno la rendevano facilmente riconoscibile come se fosse stata sotto la più calda delle lampade. 
Luca, accanto a lei, non le lasciò per un secondo la mano e Dafne avrebbe potuto giurare di averlo sentito trattenere il fiato e masticare una bestemmina poco elegante. 
Con il senno di poi la ragazza avrebbe trovato quasi esilarante la presenza di un soggetto come Luca- così allegro, così estroverso e insensibile al cattivo umore- lì dentro. Lui era più indirizzato a frequentare feste, discoteche e assurdi pub inglesi!
Dopo essersi guardata un po' intorno ed aver reistrato quel soffitto ammuffito, di odore e di aspetto, consumato agli angoli tanto che per un solo istante temette che potesse cedere e cadere sulle loro teste, Dafne tirò a se ancora il braccio dell'amico per incitarlo a camminare. Lui non se lo fece ripetere due volte e, affiancandola, le circondò le spalle con un braccio; la sovrastava almeno di quindici centimetri.
-Sei ancora sicura di voler stare qua dentro?-
Lei annuì, convinta. -Sicurissima.-
Luca sbuffò affranto. -E adesso spiegami come ti possano spaventare i film horror, quando far parte di uno di questi invece non ti scalfisce affatto!-
Lei si inumidì le labbra secche con fare pensieroso, quasi stesse valutando una giusta risposta, forse quella più esauriente, ma alla fine gli regalò un sorriso che sembrò accontentarlo. Era un sorriso luminoso, forse poco spontaneo, ma probabilmente nessuna risposta verbale era abbastanza per soddisfare quella richiesta stupida. Perché d'altronde da un soggetto supido, pensò Dafne, che domande poteva aspettarsi?
Ancora stretta al fianco del suo migliore amico attraversò la prima stanza chiedendsi dove potesse essere qualche infermiera, qualche medico, qualche psichiatria al quale spiegare la loro situazione.
Che poi, che cosa gli avrebbe mai potuto dire?
Gia si immaginava stringere convulsamente il braccio di Luca, cercare invano di nascondere i suoi denti storti mentre parlava e sussurrare il suo disgusto per la psichitria. E cosa mai le avrebbero potuto rispodendere?
Nel migliore dei casi l'avrebbero mandata a quel paese con tanto di calcio nel posteriore, nel peggiore l'avrebbero denunciata. Ma poi, poteva veramente essere denunciata per una causa tanto assurda?
Luca, con un passo forse più lungo della sua stessa gamba, la riscosse dai suoi pensieri perché per poco non caddero entrambi rovinosamente a terra. Dafne lo guardò con fare omicida, ma vedendo la sua espressione dispiaciuta non poté fingersi arrabbiata ancora a lungo.
Accigliandosi, poi, la ragazza si passò una mano dietro il collo.
-Credo che ci siamo persi, Luke!-
Lui sollevò il sopracciglio destro, scettico. -Ah, tu dici?Perché, tu credi davvero che ci sia realmente una strada da seguire qui? Siamo scesi negli inferi, Daf, e probabilmente dietro qualche muro tra poco spunterà Virgilio pronto a farci da guida, perché anche lui, come te, ha manie di protagonismo e vuole aiutare il prossimo.Ma credimi se ti dico che se questo dovesse succedere mi rifiuto di venire con voi, perché non sopporterei un suo monologo su quanto il suo piccolo Enea sia stato forte e valoroso! Tagliatemi un braccio, ma le lodi di un genitore ogoglioso rivolte al proprio figlio, per di più inventato,  non le sopporto. Rischierei di diventare pazzo!-
Dafne camuffò una risata. -Oh, bhé, nel peggiore delle ipotesi siamo già in un manicomio... mi risparmi la fatica di accompagnarti qui, non trovi?-
Luca le tirò un buffetto sulla guancia, intimamente divertito. -Onestamente questa te la potevi risparmiare, sai? Non faceva ridere.-
-Perché, la tua battuta sì invece? Stai perdendo colpi, Luke. Ti consiglio di aggiornare il tuo repertorio, perché da un po' di giorni non sei più esilarante come un tempo.-
-Ma io sono bello!- si lamentò lui, gonfiando il petto orgoglioso.
Dafne lo guardò con sguardo critico, poi sospirò. -Vero,- ammise- ma cosa vuoi che importi? Diventerai basso, grosso e molle anche tu, come tutti quanti, fra un paio di anni. E' solo questione di tempo!-
Luca si finse per qualche istante offeso, un espressione da cucciolo bastonato sul volto e cercò di ritrarre l'avambraccio sul quale Dafne si era appoggiata, ma lei fu più veloce; lo arpionò con rapidità, lo strinse con forza fra l'ascella e il braccio, vittoriosa. 
Come se fosse stato un bambolotto e non il suo migliore amico, la ragazza lo trascinò con se per qualche istante ancora in un silenzio rigenerante che aveva sempre amato. 
Dafne venerava i silenzi, erano qualcosa che la facevano sentire viva e forte, potente. Le davano allegria, seppur a detta di molti- anche del suo stesso amico- fossero tristi e deprimenti. 
Quando Dafne si ritrovava coinvolta in un silenzio tombale si sentiva come se si stesse caricando di energia positiva e niente e nessuno, in quel momento di autentica pace, avrebbe potuto disturbarla. 
Dunque camminò con delicatezza e felicità, studiando con sguardo circospetto e un po' critico ciò che la circondava, cercando di imprimere nella mente quel odore putrido molto simile ad un cadavere in decomposizione. Era fastidioso,pensò, eppure era sempre una faccia di quella medaglia che era il mondo reale;Dafne aveva ormai ventidue anni e doveva imparare ad accettare che la vita non è necessariamente quello che noi vogliamo, perché ci sono diverse sfumature di colori altrettanto sconosciuti, ma non per questo meno importanti.
Camminò quindi con veneranda tranquillità, cercando forza nel corpo del suo amico, sentendolo al suo fianco come non aveva sentito nessun altro nella sua intera vita; probabilmente lui le era più vicino del suo stesso corpo, rifletté con un sorriso incoraggiante. Con la coda dell'occhio lo osservò e lo ringraziò mille e più volte, per ciò che faceva e rappresentava per lei.
Poi, quando si accorse che quel manicomio sembrava essere un labirinto inesplorato e cupo, si fermò nuovamente davanti ad una porta socchiusa e malandata. Il fiato le si mozzò nuovamente, come se qualcuno l'avesse appena colpita sullo stomaco.
Cercò di nuovo lo sguardo di Luca e lo trovò, sempre più allegro, ancora più rassicurante. Gli strinse più forte una mano.
-E se ti dicessi che sto iniziando a dubitare della natura di questo luogo?- gli disse con voce inferma e terribilmente tremolante.
-Cosa intendi dire, Bambi?-
Lei fece un respiro ampio, quasi volesse inalare tutta l'aria presente nei suoi polmoni; ma quello era ossigeno sporco, vecchio, ammuffito. 
-Ho la sensazione che questo manicomio sia più triste e spettrale di un cimitero, Luke. Mi sento tesa come non sono nemmeno davanti la tomba di mio padre.-
Il ragazzo le sorrise nuovamente, ma questa volta il suo non era un sorriso di circostanza, un sorriso ironico e derisorio. Era un sorriso vero, amichevole, fraterno. 
Con lentezza le baciò la nuca, inalò il profumo dietro le sue orecchie e l'abbracciò totalmente. Dafne si sciolse tra le sue braccia, completamente. 
-Non avere paura, Daf, perché ci sono io qui con te. Ci sono tanti fantasmi al mondo, ma nessuno sarà mai tanto importante da toglierti il sorriso. Ricorda, mia piccola Bambi, che tutto quello che devi fare è sorridere sempre.-
Le labbra di lei tremarono, così come i suoi occhi ormai pieni di lacrime. 
Dafne pensava a suo padre, a sua madre, alla sua sorellina lontana. Pensava a quello zio morto in guerra, quel parente che mai aveva conosciuto, e a chi aveva avuto la sua stessa sorte. Pensava al suo professor di psichiatria, alle sue mani incerte sulle gambe mentre spiegava la mattina prima e infine pensava a chi, dietro quella porta semichiusa, respirava affannosamente, le gambe strette al petto, e un pianto a rigargli le guance. 
-Come faccio a sorridere davanti al dolore, Luke? Come fai a respirare questa aria e a credere nel futuro, a non avere paura per loro e per te stesso?-
Luca arricciò il naso, alzò la testa a fissare quel soffitto ingiallito e le rivolse uno sguardo incuriosito. Non sembrava minimamente divertito, per la prima volta da quando lo conosceva Dafne pensò che lui non si stava prendendo gioco di lei.
-Mi dà forza il fatto che nonostante il grigio di queste pareti, lì fuori c'è sempre un po' di sole pronto a risclaldarci. Credo nella vita e nelle soddisfazioni che prima o poi ognuno di noi avrà lungo il suo percorso. Non ho paura del traguardo finale, perché tutti lo raggiungeremo prima o poi, ma io so che quando varcherò il mio avrò ben impressi nella mente i momenti più piacevoli della mia esistenza. E adesso smettila di piangere, andiamo in quella stanza a conoscere persone come noi. Portiamo un po' di luce dentro questo grigio, perché io mi sono stancato di questa puzza di morte e catrame. Il tuo profumo di pesca e mango è buono abbastanza da scacciare tutto questa purtida puzza insivata nelle pareti.-
E insieme, abbracciati, forti ma anche tanto incerti, entrarono in quel mondo inesplorato.
Forse, avrebbe pensato Dafne qualche tempo dopo, era così che Colombo si era sentito quando aveva scoperto l'America: solo, spento, vivo, energico, spaventato ed eccitato. Ma anche tanto, troppo vulnerabile.




Un uomo piangeva in un angolo striminzito- forse quello stesso uomo che Dafne aveva sentito lamentarsi dietro da quella porta- e si teneva saldamente le mani posate sulle orecchie. Aveva gli occhi chiusi, le braccia nude, le spalle scarne. Guardandolo attentamente, non senza un certo imbarazzo, Dafne notò che lui era completamente nudo; immediatemente distolse lo sguardo verso la sua destra. 
Una donna si mordeva le mani, piangendo anche lei, e le mordeva con forza; sembrava volersi fare male, ma male davvero, quasi odiasse se stessa, quel posto e la vita. Probabilmente era così che le cose veramente stavano. 
Dafne non sapeva niente di lei, di cosa passasse nella sua testa, ma qualcosa le suggerì che i suoi pensieri avessero una natura del tutto perversa. 
Infine, molto distante, dall'altra parte della stanza, lei la vide. Aveva una divisa bianca e pulita, linda e ordinata, un espressione annoiata e un trucco pesante sugli occhi e sulle labbra. Era china su qualcosa- o forse qualcuno!- che nascondeva completamente con la sua schiena robusta. 
Dafne cercò di sbirciare i suoi lineamenti, ma Luca l'attirò nuovamente a se come se lei fosse diventata il suo peluche personale e lui ne avesse uno smisurato bisogno. Le guance di lui erano lisce ed asciutte, diversamente dalle sue ancora lucide e bagnate, ma ora totalmente inesplorate da altre lacrime curiose. 
Dafne si avvicinò al suo amico, posò una mano sulla sua spalla e si alzò in punta di piedi per potergli sussurrare tranquillamente qualcosa all'orecchio.
-Chi è quella donna, secondo te?-
Luca si inumidì le labbra, un espressione perfida a disegnare il suo volto. -Non saprei, ma sicuramente una con troppa autostima e tanti chili di troppo. Mi chiedo quali dei due avranno rotto la sua bilancia stamattina!-
Lei trattenne a stento un sorriso divertito, nonostante la circostanza e il suo stato d'animo. -Sono seria, Luke!-
-Anche io! La vedi come si sta comportando? Non so chi si nasconde dietro il suo fisico molliccio trattenuto a stento in quella divisa più piccola di due taglie, ma lo sta maltrattando alla grande. Posso giurare di averle visto tirare un calcio sulla gamba a quel povero malcapitato.-
L'espressione di Dafne mutò nuovamente e da divertita diventò spaventata. -Dici davvero? E pensi che si sia fatto male?-
Luca la fissò con insistenza, sarcasmo e curiosità che si mischiavano insieme. -Non saprei, Daf. Però, se sei tanto curiosa di valutare la fascia di dolore, potremmo sempre andarle a chiedere di sfogare i suoi istinti repressi anche su di te. Io potrei cronometrare il tempo che ci impieghi a svenire, che te ne pare?-
Anche questa volta Dafne gli tirò uno scalpellotto sulla testa, facendolo sbuffare e imprecare contro la sua violenza. Avrebbe potuto scommetterci un braccio sul fatto che sicuramente lui adesso stesse brontolando, proprio come un bambino, circa il fatto che le donne erano terribilmente manesche con gli uomini, forse più di loro stessi.
Nonostante tutto fece finta di non aver udito nessuno dei suoi commenti e cercò di avvicinarsi a quella donna- che a suo parere sarebbe dovuta essere una sorta di infermiera- senza però dare nell'occhio. 
Stranamente- che poi tanto strano nemmeno era- non ci riuscì perché lei si voltò a fissarli, un espressione furiosa sul volto bello ma paffuto, e gli occhi incandescenti. Dafne non lo avrebbe mai ammesso, ma Luca aveva avuto ragione quando aveva commentato il suo eccessivo peso trattenuto a stento in vestiti più piccoli di lei di almeno qualche taglia. 
Con educazione Dafne alzò una mano in segno di saluto avvicinandosi alla donna.
-Buongiorno signora, io sono Dafne Valenti e lui e il mio amico Luca Pelosi. Siamo venuti qui per poter visitare qualche paziente e poterci... accertare delle loro condizioni fisiche. E' possibile?-
La donna, un tono acido quasi quanto un limone scaduto, fece schioccare la lingua sul palato.
-Queste domande avrebbe dovute farle prima di imboscarsi insieme al suo fidanzatino in questo ospedale, signorina.-
Dafne sentì Luca borbottare una battuta poco raffinata secondo il fatto che quel manicomio non poteva essere minimamente considerato un ospedale, perché in quel caso anche lei, un balena troppo grossa anche per tutto il Pacifico, sarebbe potuta diventare facilmente miss Italia. Ironia della sorte entrambe le cose erano utopiche, oltre che terribilmente irrealizzabili. 
Dafne, però, con estrema maturità- almeno una dei due doveva dimostrare un po' di amor proprio, pensò- evitò commenti più acidi di quelli dell'infermiera. D'altronde cosa avrebbe comportato il risponderle per le rime? Una soddisfazione personale? Vero, ma probabilmente il famoso e forse non più tanto fantasticato calcio nel posteriore, non glielo avrebbe tolto nessuno in quel caso.
Con un po' di saliva ingoiò anche tutto il suo orgoglio e si dipinse un sorriso educato sulle labbra, i denti storti in bella mostra, adesso.
-Non era nostra intenzione imboscarci, signora. Siamo studenti di medicina, prossimamente dovremo svolgere un esame di psichiatria e avremmo tanto voluto poter essere partecipi, anche solo per qualche istante, di questa verità che siamo costretti a studiare su carta.-
La donna gonfiò le guance ancora di più di quanto fossero già paffute, poi distolse lo sguardo da loro. -Non credo sia orario di visite. Siete parenti, almeno?-
Luca fece ruotare lo sguardo per la stanza, un'espressione disgustata sia da ciò che vedeva che da chi era costretto a sentire. 
-No, come le ho detto siamo solo studenti. Ci ha mandato il professor Ruggiero, se può fungere da garanzia. Siamo suoi allievi, lauerandi della Federico II-
Per un solo istante lo sguardo della donna vacillò ancora, quasi si stessero iniziando a sciogliere tutti i suoi dubbi e le sue incertezze. Fece un respirò enorme quasi quanto il suo posteriore, infine si voltò a guardare il paziente che poco prima Luca le aveva visto maltrattare. 
Era una donna dai grandi occhi marroni, notò Dafne con compassione, il volto magro e grandi occhiaia sotto gli occhi; provò pena, oltre che un profondo senso di disagio.
Alla fine, quasi con riluttanza, l'infermiera fece schioccare ancora la lingua sul palato.
-Sono sola  qui dentro, l'unica infermiera in questo schifo di posto. Anche Satana mi ha voltato le spalle, oggi!-
Luca si morse debolmente l'interno guancia, completamente disinteressato.
-Dunque vi posso autorizzare a fare ciò che dovete fare per almeno sessanta preziosi minuti mentre io andrò a visitare altri pazienti nell'altra ala del manicomio. Non credo sia necessario raccomandarmi massima serietà, perché sono persone molto fragili quelle con cui andrete a confrontarvi.-
-Assolutamente signora, e grazie.-
La donna la guardò a lungo, poi accennò un sorriso cortese che si spense completamente quando incorciò lo sguardo di Luca; prima di voltare definitivamente le spalle a loro e andare a sfogare i suoi istinti isterici su altre povere cavie che, Dafne ne era sicura, avrebbero sentito urlare e piangere da lì a qualche istante, si voltò nuovamente a guardare la donna alle sue spalle. 
Dafne, seguendo il suo sguardo, si chiese da quanto tempo non desse loro da mangiare, considerando la loro magrezza e il loro pallido colorito.
Avrebbe tanto voluto poterli aiutare, ma forse in quell'istante l'unico sostegno che poteva darli era quello di essere almeno più decisa e ferma sulle sue posizioni. Alzò il mento con fierezza, salutò ancora l'infermiera e poi strinse la mano di Luca lungo il fianco.
Fu in quel momento, precisamente quando alzò lo sguardo sul soffitto, sospirò e poi lo riportò fra le pareti della stanza, che lo vide. 
Lo vide, e improvvisamente seppe che non avrebbe più potuto vedere occhi uguali e dimenticarsi di quelli. 
Che poi, si chiese con titubanza, avrebbe mai visto occhi identici ai suoi?

  
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