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Autore: Tynuccia    16/09/2015    1 recensioni
Il suo futuro era incerto e non poteva sicuramente permettersi il lusso di divagare. Non era mai stato il tipo di persona attratta da scenari mentali dalle poche possibilità di realizzazione, e in un momento come quello avrebbe avuto ancora meno senso aggrapparsi a fantasticherie.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo per questa volta lascerò due parole prima del capitolo. Non ero particolarmente tentata dal pubblicare questa storia, ma con una spintarella dall'alto e altri fattori mi sono detta "Perché no..?". La motivazione principale per cui l'ho cominciata è perché ho scritto di Yzak e Shiho in tutte le salse, e sentivo di dover loro qualcosa di definitivo. Insomma, hanno avuto troppe 'prime volte' e ho deciso di canonizzare in via definitiva quello che secondo me (ovviamente) è successo tra di loro. Inoltre, dopo quello schifo di long di cinque anni fa, ho voluto riscattare la mia anima.
E questo è quanto! Spero vi piaccia (e, se non avete ancora votato Shiho nella lista dei personaggi da aggiungere nella sezione, fatelo, disgraziati! Mi piange il cuore a mettere 'Altri' ogni volta che pubblico qualcosa XD).

*

Capitolo Uno
30 Settembre 71 C.E.
 
Il mare su cui si affacciava il porto di Aprilius One era pacato e lucido, ed il profilo della capitale si delineava con chiarezza in lontananza. Yzak Joule roteò gli occhi quando vide che la ragazza al suo fianco si era fermata davanti ad una delle vetrate per ammirare il panorama. “Non sei mai stata in città, Hahnenfuss?” domandò con voce scocciata.
 
 Shiho si voltò ed arrossì con fare colpevole. “Ho trascorso talmente tanto tempo nello spazio… Quasi non ricordavo che la terraferma potesse essere così rassicurante,” sospirò. “Perdoni i miei sciocchi sentimentalismi.” Lui sapeva che era originaria di Quintilis, ma in qualche modo vederlo scocciato per qualcosa di così sciocco la riempiva di gioia. Aveva temuto che dopo le ingenti perdite a Jachin Due si sarebbe chiuso in se stesso, senza neppure lasciare uno spiraglio di speranza al vecchio Yzak Joule dai modi spicci e burberi.
 Strinse il borsone e lo raggiunse rapidamente. A breve avrebbero dovuto lasciarsi, ma aveva avuto qualche giorno per metabolizzare l’addio e renderlo meno doloroso nella sua testa.
 
 Al termine della battaglia, a seguito dell’esplosione della Vesalius, loro due erano gli unici superstiti del Joule Team. Erano stati abbastanza fortunati ad aver trovato rifugio in un’altra nave di ZAFT, la Jupiter, poco danneggiata dallo scontro conclusivo di quella tremenda guerra. Il solo pensiero di aver perso tutti i suoi amici le procurò una dolorosa fitta al petto, ma decise di lasciare le preoccupazioni per un secondo momento.
 
 Intorno a loro i soldati della Jupiter stavano rumorosamente lasciando il corridoio, pronti a riabbracciare i loro cari e godersi nuovamente la vita da normali Coordinator. Nessuno sembrava badare ai due soldati d’élite. Dal momento in cui erano saliti a bordo non vi era stato il minimo contatto, e perfino il Comandante Bowers aveva svolto le proprie mansioni prestando ben poca cura alle formalità. “Credi che lo sappiano?” domandò Yzak all’improvviso. “Che ho fatto esplodere uno shuttle colmo di civili?”
 
 Shiho aggrottò la fronte e spiò il profilo del suo superiore. Perfino da lì poteva scorgere la spaventosa cicatrice che gli attraversava il volto, in quel momento corrucciato. Era ovvio che lo sapessero, dopotutto si trattava di uno dei soldati più in vista dell’esercito. Che il figlio di Ezalia Joule si fosse macchiato le mani con il sangue di innocenti era noto in tutti i PLANT. “Suppongo che abbiano pensieri migliori per la testa in questo istante,” affermò. “E poi chi non ha peccato in questa guerra?”
 
 Yzak la guardò per qualche istante. “Tu, Hahnenfuss,” rispose rapidamente. “Sei entrata nel vivo delle battaglie solo alla fine ed anche in quegli istanti non hai tolto la vita a nessuno.”
 
 “Non ne ho avuto l’occasione,” replicò la ragazza, ridendo. Sentiva le mani formicolare. “Mi deve credere, mi sono arruolata poiché spinta da ideali non esattamente nobili. Le tempistiche mi hanno salvata, non il mio presunto buon cuore.”
 
 L’albino entrò in un’ascensore e soffocò un’imprecazione. “Ti odio. Sei una falsa modesta.”
 
 Shiho continuò a sorridere e premette il pulsante corrispondente all’atrio. “Gliel’ho già detto, Capitano. Deve cercare di essere sereno.” Si morse la lingua per non aggiungere qualcosa di sconveniente; qualcosa che assomigliava a ‘Potrebbero essere i suoi ultimi giorni’. Sapeva perfettamente che andava incontro ad un processo importante. Non poteva conoscere l’esito, e prevedere se il tribunale l’avrebbe assolto, specie perché la corte marziale di PLANT non era di certo famosa per la sua clemenza. Di fronte ai danni provocati da una guerra di tale portata avrebbe di sicuro cambiato qualche procedura, ma il suo Capitano aveva ucciso degli innocenti e la legge era inequivocabile a riguardo.
 
 “Non posso permettermi di sperare,” disse Yzak, laconico. “Preferisco affrontare il mio destino con rassegnazione. Dopotutto ho già commesso il mio errore. Rimane solo l’attesa.”
 
 Lo spietato realismo nelle sue parole contribuì ad appesantirle il petto. Non l’avrebbero salvato semplicemente perché gli era affezionata ed il solo pensiero di non poter fare nulla in merito la distruggeva. “Vorrei schiaffeggiarla, Capitano, ma perderei la mano, oltre che la dignità.”
 
 Il ragazzo si voltò a guardarla. Aveva gli occhi lucidi, ed il respiro pesante gli suggeriva che stava combattendo contro se stessa per non scoppiare in lacrime di fronte a lui. Sollevò il braccio e le toccò la sommità del capo con la punta delle dita, leggermente a disagio. Durante i mesi trascorsi assieme aveva imparato a tollerare la sua presenza. Sulla Jupiter, quando si erano ritrovati, si era lasciato prendere da una strana euforia e l’aveva baciata, per poi non parlarne neppure durante i giorni successivi. Non che sapesse cosa dire o come giustificarsi. Non poteva credere che una donna fosse riuscita a ricoprire così bene il ruolo che in passato era stato di Dearka Elthman. Con la sola differenza che nessun tipo di esaltazione lo avrebbe spinto a baciare quel cascamorto. Diamine, quando ancora faceva parte della squadra di Le Kleuze avrebbe vomitato al semplice pensiero di dover baciare chicchessia su qualsiasi porzione del corpo umano.“Ti conviene non provarci, Hahnenfuss. Sarebbe meglio non avere un monco come ultimo rappresentante del Joule Team.”
 
 In quel momento Shiho sentì qualcosa rompersi dentro di sé. Effettivamente, se anche Yzak fosse morto, sarebbe rimasta da sola. I soldati e i meccanici con cui aveva stretto amicizia nelle ore più buie erano già polvere nello spazio e perfino l’inarrivabile Capitano dalla chioma argentea avrebbe potuto lasciarla.
 Anche Yzak vide come il suo volto si fece pallido, quindi si schiarì la gola con fare impacciato. “Cosa hai intenzione di fare d’ora in avanti?” domandò, sperando di distrarla dai suoi pensieri.
 
 Lei lo guardò in silenzio per qualche secondo. “Forse tornerò al laboratorio di ricerca,” mormorò. “Sarà difficile scrollarmi di dosso questa uniforme.” Le porte dell’ascensore si aprirono e i due uscirono nell’atrio gremito di soldati. “Ho avuto tempo per abituarmi all’idea del congedo, ma suppongo ci vorrà qualche giorno prima di realizzare concretamente che la guerra è finita per davvero.”
 
 “Non riporre troppa fiducia nelle persone. Potrebbe scoppiarne un’altra a breve,” commentò Yzak. Si fermò e con un cenno del capo indicò una donna anziana di bassa statura che stava sventolando il braccio in loro direzione. “Quella è una delle cameriere della nostra casa su Aprilius,” spiegò rapidamente.
 
 “Allora dovrebbe sbrigarsi, Capitano. Non è carino far attendere una signora,” disse Shiho sorridendo. Allungò la mano, tendendola di fronte a lui. “Suppongo che questo sia un addio.”
 
 Il ragazzo fissò l’arto pallido qualche istante prima di stringerlo con il suo. Fu breve, perché Shiho si ritrasse immediatamente, ma lungo abbastanza per fargli sentire quanto stesse tremando. “Prenditi cura di te, Hahnenfuss.”
 
 “Lo stesso vale per lei,” rispose la ragazza. Alzò lo sguardo su di lui, cercando di memorizzare quanti più dettagli del suo volto, della sua espressione impenetrabile. Forzò l’ennesimo sorriso e piegò la testa di lato. “Sono stata fortunata ad avere un Capitano come lei.”
 
 Yzak sgranò gli occhi e poi, miracolosamente, sogghignò. “Mi fa piacere,” aggiunse, quindi si voltò rapidamente e prese a camminare verso la donna che ancora si stava sbracciando. Sentiva un enorme morsa allo stomaco, ma si costrinse a non tornare a guardarla. Il suo futuro era incerto e non poteva sicuramente permettersi il lusso di divagare. Non era mai stato il tipo di persona attratta da scenari mentali dalle poche possibilità di realizzazione, e in un momento come quello avrebbe avuto ancora meno senso aggrapparsi a fantasticherie.
 
 Dal canto suo Shiho lo continuò a fissare in silenzio. Avrebbe voluto stringersi a lui, ma non era il caso di prendersi troppe libertà, soprattutto in mezzo a tutta quella gente. Se Rin fosse stata lì avrebbe sicuramente ironizzato sui suoi sentimenti, ma ormai la sua amica non era più in vita.
 Shiho rabbrividì e distolse lo sguardo dal suo Capitano, ora prigioniero dell’apparente morsa d’acciaio costituita dall’abbraccio dell’anziana cameriera. Stava per avvicinarsi ad una cabina telefonica quando vide un uomo poco distante da lei. Tra le mani reggeva un cartello che recitava il suo nome. Impallidì e lo raggiunse rapidamente.
 
 “Signorina Hahnenfuss?” domandò lui, titubante.
 
 Shiho rimase un attimo in silenzio, scrutandolo con fare sospettoso. Nessuno avrebbe dovuto conoscere quel nome. Non l’aveva adottato da molto tempo e, soprattutto, non aveva creduto possibile che qualcuno si sarebbe preso la briga di andare ad accoglierla, una volta tornata dalla guerra.
 
 “Non si spaventi, signorina, ho ricevuto l’incarico di accompagnarla a casa,” continuò l’uomo, sperando di tranquillizzare la ragazza, la cui espressione trasudava paura. “Il signor Maxwell ha già pagato la corsa, deve solo venire con me.”
 
 Quando Shiho udì il nome del suo benefattore sobbalzò una seconda volta, ma evitò di protestare e seguì il tassista fino al suo veicolo, quindi si accomodò sul sedile posteriore, conscia del tremore implacabile che la pervadeva.
 
 *
 
 “Benvenuta signorina.” Il portiere le andò incontro con le braccia tese e le prese il borsone. Shiho lo guardò e gli fece un cenno del capo. Lo seguì all’interno dell’ascensore e si appoggiò alla parete di esso, le braccia conserte dietro la schiena.
 
 Il viaggio in taxi era durato meno del previsto e, al posto di raggiungere la villa di famiglia sulle colline di Aprilius, la vettura l’aveva condotta nel centro della città, proprio di fronte ad un alto grattacielo. Le eleganti uniformi degli inservienti le avevano suggerito che gli inquilini fossero benestanti e il trattamento ricevuto sembrava non smentire la sua ipotesi.
 
 “Ecco le chiavi dell’appartamento. E il badge magnetico,” il portiere le allungò i due oggetti, sempre sorridendo con infinito garbo. Lei li prese senza fiatare. “Sono stato informato che il resto dei bagagli arriverà entro serata. Non si preoccupi, glieli farò recapitare personalmente.”
 
 Shiho aggrottò la fronte sotto la folta frangia. Se era uno scherzo non era di buon gusto. Non capiva perché Maxwell avrebbe dovuto prendersi la briga ed affittare per lei un appartamento in una zona talmente sofisticata. L’aveva sempre considerata una scimmietta poco aggraziata, sicuramente non avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza tra broker e investitori. “Potrei sapere di che cosa sta parlando? Sono appena stata congedata dall’esercito, non ho altri bagagli,” disse dopo qualche istante, indicando con il mento il suo borsone sgualcito.
 
 Nuovamente lo seguì, questa volta fuori dall’ascensore. “Tra non molto potrà chiedere direttamente al signor Maxwell,” rispose semplicemente l’uomo. Si incamminò lungo il corridoio, fino ad una porta blindata. “Prego, la chiave è quella più grossa.” Le sorrise e fece un passo di lato, aspettando che la ragazza usufruisse appieno dei suoi nuovi privilegi. “Oppure può passare il badge, signorina. Come meglio l’aggrada,” continuò, notando che era rimasta immobile con lo sguardo fisso di fronte a sé.
 
 “Uh? Ah sì, mi perdoni.” Shiho scosse il capo e aprì la porta, facendo girare il chiavistello un paio di volte. L’accolse la vista di un ampio salone arredato in maniera sobria e, seduto sul divano, vide un giovane uomo dai corti capelli castani. Sgranò gli occhi e si fermò. “J… James?” boccheggiò, incredula.
 
 Lui si alzò e le andò incontro, un sorrisetto sulle labbra. “Chi ti aspettavi di trovare? Papà?” domandò divertito e conscio di aver colpito un nervo scoperto. Con un cenno del capo congedò il portiere e, una volta rimasto solo con la ragazza, la strinse tra le braccia con fare bonario. Si staccò rapidamente e si diresse verso il tavolo da pranzo.
 
 “Si può sapere come hai fatto a trovarmi?” chiese Shiho, seguendolo incuriosita. Si appoggiò alla superficie liscia, il cuore in gola. James Maxwell era un giovane brillante e con un’ottima carriera di fronte a sé, nonché suo fratello maggiore. Durante la sua esistenza era stata continuamente gettata in ombra dai successi encomiabili del ragazzo, soprattutto agli occhi di loro padre, ma non poteva dire di odiarlo.  Anzi. Era sempre stato gentile con la sua sorellina, e tra le mura domestiche era una delle poche persone a cui si fosse mai affezionata genuinamente.
 
 “Non hai fatto del tuo meglio per nasconderti, mettiamola così.” James versò dell’acqua in un bicchiere e glielo tese. “Hai mantenuto il tuo nome di battesimo. Inoltre ti sei limitata ad usare il cognome della mamma. Mi è bastato richiedere una lista delle ultime reclute di ZAFT ed aspettare che la guerra finisse.” La guardò mentre sorseggiava, preoccupato alla vista delle bende che le fasciavano la testa, semi-coperte dai suoi lunghi capelli scuri. “Sei stata una vera stupida, lasciatelo dire.”
 
 Shiho sollevò un sopracciglio e si portò una mano sul petto, esattamente dove erano cuciti i gradi. “Cosa avrei dovuto fare? Infilare la testa sotto la sabbia dopo l’ennesimo litigio con papà e tornare a far finta di non esistere?” Si morse il labbro, innervosendosi al semplice ricordo dei suoi ultimi istanti come Shiho Maxwell. “Ho preferito che mi diseredasse piuttosto che continuare con quella vita senza senso.”
 
 “E a chi ti vuole bene non hai pensato.” Era un’affermazione e James si gustò parzialmente l’espressione smarrita che le adornò il volto. “Te ne sei andata nel cuore della notte e senza neanche lasciare un misero biglietto, Shiho. La servitù ed io eravamo estremamente preoccupati.”
 
 “Ovviamente papà non ha battuto ciglio,” sentenziò la ragazza mentre si allentava il colletto della divisa. Chiuse gli occhi e respirò a fondo, pensando che fare la rancorosa non avrebbe portato nulla di buono in quel momento. “Stupida io a sorprendermene.” Si staccò dal tavolo e si guardò intorno. “Piuttosto. Di chi è questo appartamento? È un possedimento dei Maxwell di cui non conoscevo l’esistenza?” domandò curiosa e sarcastica: erano molte le ricchezze di famiglia di cui non era stata informata e se si concentrava poteva quasi scorgere, in un angolo della memoria, l’espressione contrariata di suo padre ogni volta che la guardava.
 
 James annuì. “Sì e no. Sulla carta è mio, l’ho comprato qualche anno fa quando ho iniziato ad assistere in Consiglio. Viaggiare fino a Quintilis ogni giorno sarebbe stato un suicidio, come puoi ben immaginare, e non avevo davvero voglia di soggiornare sempre nella villa in collina.”
 
 Era davvero una bella casa. Non troppo grande, costruita su due piani, a quanto Shiho poteva immaginare dalla rampa di scale sulla destra, e con un’ottima visuale dei palazzi di Aprilius.
 
 James la raggiunse e le batté un colpetto sulla schiena. “Ho deciso che posso lasciarlo a te visto che ormai non ci abito da un sacco di tempo. Tra qualche mese mi sposerò con la figlia del Consigliere White e stiamo provando a convivere,” continuò a dire senza dare troppa importanza allo sguardo confuso della sorella, ma con le gote vagamente arrossate.
 
 “Insomma mi regali una casa da far girare la testa e convoli a nozze con Patricia? Odiavi quella ragazza, non dirmi che è solo per far contento papà!” Shiho scosse il capo e, conscia che ormai quella fosse la sua dimora, si andò a sedere sul divano. La sua morbidezza, così diversa dai mobili spartani della Vesalius, le strappò un sospiro incantato. Al diavolo l’orgoglio, con James non aveva mai avuto una litigata seria e, a prescindere dall’appartamento, gli voleva genuinamente bene. Durante la guerra aveva pensato spesso a lui, ma la sua fuga notturna non le aveva permesso di salutarlo propriamente, o sincerarsi delle sue opinioni in merito all’ultima litigata avuta con loro padre.
 
 “Innanzitutto sì, te la regalo perché ormai sei stata diseredata e dubito che l’indennizzo di ZAFT possa arrivarti a breve. E secondariamente devo ammettere che Patricia non è poi così male. Le avversità della guerra ci hanno uniti e, conoscendola oltre la facciata da bambolina ben istruita, ha saputo conquistarmi.” James si accomodò sulla poltrona di fronte a lei e le rivolse un ghigno sghembo, sinonimo che era imbarazzato come ogni volta che si parlava troppo a lungo di lui.
 
 “Sono contenta per voi. Seriamente. Come al solito hai fatto più di quanto non fossi tenuto, James.” Fece una pausa e andò a slacciarsi il colletto della divisa. “Perdonami per essere fuggita senza dire nulla a nessuno, ma quella non era più casa mia da anni ormai,” disse Shiho, lo sguardo fisso negli occhi castani di lui. “Per quanto riguarda la casa non posso fare a meno di ringraziarti. In effetti era mia intenzione andare alla sede centrale di ZAFT per farmi assegnare uno di quei monolocali per soldati in periferia, ma per fortuna tu non sembri odiarmi tanto quanto mi odia papà.”
 
 “Sono più ragionevole di lui.” James scrollò le spalle dandosi un tono ed incrociò le braccia sul petto. “Ad ogni modo… Mi è capitato di leggere il tuo fascicolo, Shiho. Davvero sei finita nella squadra di Yzak Joule?” Sorrise con malizia ed una punta di perfidia. “Quell’Yzak Joule? Sembrerebbe quasi che tu ti sia arruolata apposta.”
 
 Shiho scattò in piedi, paonazza. “Cosa stai insinuando!?” starnazzò. “Non potevo sapere che tre quarti del suo team avrebbero o disertato o lasciato questo mondo. Così come non potevo sapere quando mi sarei diplomata dall’Accademia! Sono state tutte coincidenze, lo giuro!” Si grattò una guancia con fare imbarazzato. Dall’esterno era lampante che stesse cercando scusanti, quando in realtà era stato davvero solo un caso che fosse finita sotto il suo comando. “E comunque quell’Yzak Joule, come dici tu, è stato il mio Capitano e ha confermato i miei pensieri di sempre.”
 
 James annuì con fare estremamente consapevole, quasi a volerla prendere in giro, e si levò in piedi a sua volta. “Immagino avesse uno splendido cavallo bianco parcheggiato nell’hangar, allora.”
 
 La sorella gli schiaffeggiò la spalla, non arrivando a toccargli la testa. “Solamente un Mobile Suit,” ritorse, atteggiandosi. “E comunque non è valido sfruttare i tuoi ricordi in maniera così sleale!”
 
 Lui alzò le mani in aria, colpevole, ma apparentemente divertito. “Parlando di cose serie. Hai bisogno che chiami un medico per quelle bende?” domandò, fallendo nel nascondere la propria preoccupazione.
 
 “No, si tratta solo di qualche graffio. Niente che non possa guarire nel giro di un paio di giorni.” Shiho andò a toccarsi le bende. L’aveva già medicata Yzak sulla Jupiter, in seguito a quel curioso incidente che consisteva nelle labbra di lui premute goffamente sulle sue per pochissimi istanti. Sorrise tra sé e lasciò cadere il braccio. “Piuttosto gradirei farmi un bel bagno. E mangiare qualcosa che non assomigli al pasto di una compagnia aerea scadente.”
 
 “Sembra che tu stia parlando con la governante.” James rise apertamente e prese una grossa busta dalla ventiquattr’ore sul divano. “Il bagno è di sopra, mentre qua dentro c’è parte dei tuoi risparmi. Sono riuscito a salvarne un po’ dalla furia di papà, mi raccomando di non farglielo sapere.”
 
 Shiho gli regalò un sorriso colmo di gratitudine ed annuì. “Non ho comunque intenzione di rivolgergli nuovamente la parola.”
 
 James roteò gli occhi, supponendo che si sarebbe dovuto abituare. In quei lunghi mesi aveva evitato di pensarci, sicuro che la sorella avrebbe cessato di vivere in chissà quale remota porzione di spazio. Non che avesse poca fiducia nelle sue capacità, ma aveva giudicato la sua fuga un capriccio fin troppo esoso. Quando aveva scoperto che era sopravvissuta alla sanguinosa battaglia di Jachin Due si era affrettato a rimediare alla sua cattiva fede con quel bell’appartamento, come se avesse perso una scommessa con se stesso e dovesse fare ammenda con lei.
 Chiuse la valigetta e si diresse alla porta. “Ci sentiamo domani, Shiho. La mia fidanzata mi aspetta.”
 
 La ragazza gli sorrise e sventolò graziosamente la mano, in cuor suo più che lieta di aver scoperto di avere ancora una porzione di famiglia a lei cara. 
  
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