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Autore: Tynuccia    29/08/2023    1 recensioni
Il suo futuro era incerto e non poteva sicuramente permettersi il lusso di divagare. Non era mai stato il tipo di persona attratta da scenari mentali dalle poche possibilità di realizzazione, e in un momento come quello avrebbe avuto ancora meno senso aggrapparsi a fantasticherie.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Due
18 Ottobre 71 C.E.
 
Un’imprecazione sfuggì alle labbra di Shiho quando le suonò il cellulare per la terza volta nel
giro di qualche minuto. Si guardò intorno e non vide nessuno oltre a lei nel corridoio, quindi si
affrettò ad estrarre il telefono per poi rispondere con tono scocciato, senza neppure
controllare chi l’avesse chiamata. “Shiho Hahnenfuss.”

“Alla buon’ora".

“James”. Shiho si avvicinò all’area relax deserta e si abbandonò su una delle sedie. “Sono al
lavoro, e sono sicura che i miei superiori non gradirebbero vedermi ciondolare al telefono”.

“A che ora stacchi?”, tagliò corto James, apparentemente poco interessato a certe questioni
burocratiche.

Shiho guardò l’orologio appeso al muro e si strinse nelle spalle. “Ho da fare fino alle sei, ma potrei rimanere qualche ora in più a fare straordinari. Sai, per vedere come funziona il nuovo pezzo acquistato da Morgenroete", aggiunse, la voce che tradiva eccitazione al prospetto di ritrovarsi con qualche chicca meccanica tra le mani.
Dopo essere tornata a casa sana e salva, aveva preferito limitare le sue mansioni da soldato ai
laboratori di ricerca. Le era sempre piaciuto sistemare i Mobile Suit e, se non fosse stata
chiamata sul fronte in quanto Redcoat, avrebbe continuato a lavorare lontana dal campo di
battaglia. Sicuramente i progressi con il DEEP Arms sulla Vesalius l’avevano incoraggiata a
tornare sui suoi passi.

“Faresti meglio a rimandare la tua curiosità ingegneristica a domani, Shiho”, rispose James con voce morbida. “Il processo di Joule è fissato per oggi alle cinque e tre quarti, al tribunale militare”.

Shiho si irrigidì e involontariamente strinse l’apparecchio nella mano con fare febbrile. “Oggi?”, ripeté. Non aveva più avuto contatti con il suo capitano da quando si erano salutati
nell’atrio del porto venti giorni prima. Lei non lo aveva cercato e lui non si era fatto sentire.
Non avrebbe avuto comunque senso. Scosse la testa, conscia che suo fratello non potesse
vederla. “Beh allora poi fammi sapere come va”.

“Non vuoi venire?”. Il tono di James fu accusatorio, in qualche modo, e sentì la ragazza
trattenere il fiato.

“Lo condanneranno a morte certa, Jimmy. Di sicuro non mi lascerebbero salutarlo propriamente”, Un sorriso amareggiato le increspò le labbra. “Inoltre sarà presente il Consiglio. Non voglio vedere papà”.

“Neanche se si tratta di Yzak Joule?”.

“Credimi. La mia presenza farebbe solo danni”. Shiho si bloccò e fissò le sue ginocchia.
Tremavano. Aveva cercato di non pensare a quella storia e, fortunatamente, ci era più o meno
riuscita. “Sono stata semplicemente la sua sottoposta,” continuò in un sussurro flebile. “Va bene così, era molto più di quanto potessi sperare".

“Ti terrò aggiornata, allora”, borbottò James dopo qualche istante di silenzio.

“Grazie comunque per avermi avvisata”. Shiho toccò lo schermo del cellulare e lo ripose.
Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, ma ancora non era preparata ad affrontarlo. Non la riguardava in prima persona, ma Yzak Joule, nel suo piccolo, rappresentava molto per lei. Arrossì, tormentandosi il lembo più lungo della giacca scarlatta. Senz'altro l'albino non aveva bisogno del suo supporto morale, eppure tutto quello a cui riusciva a pensare era lui, solo contro la terribile corte marziale. Esattamente come lo aveva trovato nelle ultime fasi della guerra, un ragazzo abbandonato a se stesso e alla sua sofferenza. Tutti quanti, dai meccanici agli operatori sul ponte di comando, l’avevano messa in guardia contro il suo stupido caratteraccio, senza però immaginare che Shiho lo avrebbe saputo prendere meglio di tanti altri.

Avevano condiviso parecchie cose, nello spazio, ed era stata estremamente orgogliosa nel
trovare una scintilla di sollievo nel suo algido sguardo quando si erano riuniti sulla Jupiter, unici superstiti della loro sventurata squadra.

Annaspò alla ricerca d’aria e strinse le unghie contro il palmo della mano, le nocche bianche.
Era sempre stata lì per lui, nei momenti più bui della guerra. Lo aveva consolato, e consigliato
tante volte, lieta di essere una piccola luce nel mare di tenebre che sembrava avvolgerlo. E per
Yzak, dopo qualche tempo, era diventata una consuetudine cercarla per chiacchierare di
qualcosa, solitamente al buio della sala comune.

Scattò in piedi e riprese il cellulare, decisa a non lasciare che le convenzioni sociali potessero
insinuarsi nella sua coscienza ed impedirle un gesto che avrebbe altrimenti rimpianto per
tutta la vita.

*

L’autunno di Aprilius era sempre stato implacabile e quel giorno non era diverso dagli altri.
La pioggia batteva insistente contro le finestre del tribunale e quel rumore gli si era insinuato
nella mente già da prima che entrasse nell’aula designata per il processo. Non aveva ascoltato
le parole della corte dinanzi a lui, bensì le gocce che si infrangevano sui vetri. I discorsi di quei vecchiacci erano vuoti, del resto, e sperava che arrivassero subito al dunque; che lo condannassero a morte senza girarci troppo attorno. Aspettava quella sentenza dal giorno in cui aveva appreso dei civili a cui aveva barbaramente strappato la vita. Se avesse potuto, si sarebbe alzato ed avrebbe cominciato ad abbaiare come suo solito, interrompendoli ed intimando loro di darsi una fottuta mossa; di mandarlo al patibolo per aver assassinato degli innocenti. 
 
Era davvero necessario parlare così tanto di una questione simile? Sua madre era una traditrice, e lui il degno erede di una nemica della patria. Avevano già deciso nel momento in cui avevano ricevuto il rapporto. Un movimento insolito catturò la sua attenzione. 
 
Laddove ognuno rimaneva al proprio posto come se da quell’azione dipendesse il futuro delle Clessidre, Gilbert Dullindall si era alzato con calma quasi studiata ed aveva dato un colpetto di tosse, permettendosi di esprimere la sua opinione.
 
Improvvisamente la pioggia smise di battere per le orecchie di Yzak. Guardò quell’uomo dai
fluenti capelli corvini mentre si rivolgeva alla corte. 
Disse loro che il soldato Joule rappresentava pienamente il prototipo di vittima di quella sanguinosa guerra; 
disse che i giovani erano il futuro della nazione e che punirli per errori commessi dagli adulti non avrebbe giovato al clima di pace appena instaurato; 
disse che sarebbe stato uno splendido esempio per gli altri sventurati ragazzi, catapultati in un mondo frenetico fin troppo presto. Togliergli la vita avrebbe dato le premesse sbagliate e li avrebbe dipinti come i soliti despoti pronti a lavarsi le mani delle conseguenze. E l’ultima cosa di cui avevano bisogno i PLANT era una sommossa civile.

Yzak non osò fiatare o muoversi, i polsi intrappolati dalle manette come se fosse stato un
volgare ladro. Un mormorio si levò dai politici presenti e la surreale calma di qualche secondo
prima esplose come una bomba ad orologeria nel tribunale scarsamente illuminato. La pioggia
era stata coperta da quel chiacchiericcio fastidioso e l’erede dei Joule non poté fare altro che
continuare ad aspettare, suo malgrado. La pazienza non era mai stata una delle sue virtù. Non
seppe neppure quanto tempo era passato da quando i giudici si erano allontanati per
deliberare, ma fu un mero secondo quello che ci impiegarono per informarlo della sua sorte.

Si alzò su gambe stranamente tremolanti e non guardò neppure il gruppo di uomini di fronte
a lui. Gli permisero di andarsene, ricordandogli comunque di farsi vivo non appena avesse
preso la sua decisione, oltre che sarebbe stato sottoposto ad una severa sorveglianza. Lui si tormentò i polsi ormai liberi ed uscì dall’aula. Non era così stupido da meditare una fuga, e del resto non aveva altro posto in cui andare se non Aprilius One.
 
L’ingresso del tribunale era praticamente deserto, ormai. Gli ufficiali che avevano finito i
processi rimanevano seduti sulle panche a bere un caffè e a chiacchierare, ignari della sua
presenza. Chiunque fosse presente non si curava di lui, e la cosa gli andava più che bene. 
 
Si era già abituato all’idea di morire, e di sicuro nessuno avrebbe portato il lutto: sua madre era alle prese con gli arresti domiciliari, Dearka troppo occupato con la sua Natural, e Zala non sapeva neppure dove fosse finito dopo Jachin Due. Certi pensieri disfattisti non gli appartenevano, ma dentro di sé conosceva le ragioni che l’avevano spinto a quel disinteresse più totale.
Quella stessa mattina non si era forse svegliato convinto che non avrebbe visto di nuovo l’alba? Il suo unico desiderio era stato quello di non andare al patibolo con dei rimorsi, e staccarsi
psicologicamente dagli affetti – se così poteva definirli – era stata la chiave per il successo.
Inutile dire che ci era riuscito.

Varcò le grosse porte del tribunale e si trovò sulla gradinata di pietra, la pioggia che
continuava a cadere inesorabile sulla città. Non aveva neppure pensato di portarsi un ombrello. A un cadavere non sarebbe certo servito. Imprecò e cominciò a scendere i gradini, ma i suoi occhi colsero la familiare sfumatura vermiglia di un'uniforme di ZAFT. 
Si fermò, ormai lontano dalla tettoia, e guardò la ragazza che era appena uscita da uno dei taxi parcheggiati di fronte all’edificio. 
 
Lei ricambiò lo sguardo in silenzio per qualche istante.

Yzak inspirò a fondo e la raggiunse. Gli sembrò un déjà-vu del giorno in cui si erano salutati a
giudicare dall’espressione mortificata di lei. “Portami lontano da qui, Hahnenfuss.”

*

“Sono così terribilmente dispiaciuta, Capitano Joule!”, esclamò Shiho, le guance paonazze.
Aumentò l'intensità del phon e cominciò a muoverlo più rapidamente in direzione della maglietta una volta indossata da lui, umida a causa della pioggia.

Yzak si continuò a strofinare i capelli con un asciugamano, a sua volta a disagio per essere a
torso nudo. Si erano inzuppati d’acqua nel minuto buono che avevano trascorso a guardarsi in
silenzio fuori dal tribunale e, una volta arrivati nel suo appartamento, Shiho si era resa conto
di non avere nessun tipo di indumento maschile da prestargli se non i pantaloni di una
vecchia tuta, dimenticati in un armadio da suo fratello. 
In tutta onestà Yzak aveva sempre creduto che fosse figlia unica, e quella piccola informazione innocente lo aveva spiazzato. 
Le prese la maglia dalle mani ed uscì dal bagno. “Ormai è calda a sufficienza”, tagliò corto mentre la indossava.
 
Shiho lo seguì ed andò a spegnere il bollitore dell’acqua, versandone un po’ in due tazze. Non
era abituata ad avere ospiti nel suo appartamento ed il fatto che il primo fosse proprio Yzak
Joule non contribuiva a farla tranquillizzare. Gli tese il suo tè e si accomodò vicino a lui sullo
sgabello, giocherellando con la bustina.

Continuava a piovere, ma ormai le tenebre avevano inglobato Aprilius One, l’orologio che
segnava le venti e trenta. “Sicuro di non avere fame? Potrei prepararle qualcosa da mangiare”.

Yzak scosse il capo e sorseggiò il suo tè. “Non mettermi ancora più a disagio. Direi che la
doccia, i vestiti e qualcosa di caldo da bere siano più che sufficienti”, rispose con una scrollata
di spalle.

Lei si mordicchiò il labbro inferiore e continuò a spiarlo con la coda dell’occhio. Era stata
fortunata a trovare un taxi a quell’ora di un caotico e piovoso venerdì sera, e nonostante ciò aveva atteso per un ammontare di centocinquantanove dollari che succedesse qualcosa. Di sicuro non si era aspettata di vedere il suo capitano uscire dal tribunale sulle sue gambe ed in totale libertà. Ancora non sapeva come si era risolto il processo, ma preferiva non ammorbarlo con domande così scomode. L’importante era che fosse lì, con lei, e non in qualche prigione di ZAFT.

Yzak si alzò e andò di fronte alla vetrata, dandole le spalle. La vedeva perfettamente nel
riflesso, i lunghi capelli castani ancora umidi dopo la doccia e le esili braccia ormai prive di
lividi, a differenza del giorno in cui si erano salutati al porto. “Mi hanno salvato all’ultimo. È stato Dullindall a farli ragionare, non fosse stato per lui a quest’ora starei contando i minuti prima dell’esecuzione". Guardò in silenzio mentre Shiho sobbalzava e si concesse un altro sorso di tè. “Certo, dipende tutto da me e da cosa deciderò di fare”.
 
“In che senso?”, chiese lei con un filo di voce. I loro sguardi si incontrarono nel riflesso e notò
che i suoi occhi ardevano di una strana luce. “Mi auguro che non voglia fare qualche
stupidaggine”. Cercò di contenere il tono, ma la frase suonò comunque piuttosto irosa ed
accusatoria.

Yzak si girò e andò a posare la tazza vuota sul ripiano della cucina. “Vogliono che diventi
Consigliere, dal momento che mia madre è attualmente agli arresti domiciliari fino a data da
destinarsi. Oh, e anche un Comandante di vascello. Il più giovane della storia,” aggiunse, scimmiottando il tono del rappresentante della Corte in tribunale, la voce intrisa di veleno. “Quindi, o accetto queste imposizioni, o vengo condannato a morte.” Sadicamente si divertì a notare come la sua sottoposta volesse urlargli contro di tutto. “Non trattenerti Hahnenfuss. Lasciati guidare dal momento”. Si parò di fronte a lei, un ghigno sprezzante sulle labbra. “Mi vogliono privare del mio orgoglio. Diventerei come un cagnolino per loro e sarei uno strumento tra le mani del Consiglio e dell’esercito. Credi che ne sia felice?”.

Shiho aveva i lineamenti duri come la pietra nell’ascoltare quelle parole vuote. “E allora vale la pena morire per salvarsi la faccia?". Tese le labbra per sospirare e gli sfiorò leggera le nocche. "Io lo sono. Felice, intendo. Non speravo di rivederla vivo, tanto meno di poter bere una tazza di tè in tutta tranquillità con lei”. Lo sentì rabbrividire sotto i polpastrelli e decise di allontanare le dita, stupita dalla sua stessa audacia. “Non ho mai detto nulla per non gravare ulteriormente su di lei, ma non credevo che il tribunale potesse conoscere la pietà. E di sicuro non ero a conoscenza dell’influenza di Dullindal”.

“Neppure io, o avrei dormito sonni più tranquilli,” bofonchiò Yzak. Avvertiva ancora un certo
calore dove si erano posate le dita della ragazza, morbide e leggere. “Comunque non credo di
dover decidere nulla in base alla tua reazione, Hahnenfuss. Senza nulla togliere, ovviamente”.
 
“Ed io non ho mai preteso di aver ragione”, rispose Shiho con una scrollata di spalle,
nonostante il clima teso. “Mi chiedevo semplicemente che senso abbia avuto sopravvivere alla
guerra per poi gettare la spugna solo per l’orgoglio. Voi uomini vi lasciate proprio accecare dalle questioni più stupide”.

“Ti preferivo di gran lunga lassù. Eri molto più rispettosa dell’autorità”. Yzak si appoggiò
all’isola di marmo chiaro con i gomiti, lo sguardo puntato sul soffitto. Chiuse gli occhi,
ascoltandola ridacchiare, ed esalò un sospiro profondo. “Ti renderebbe davvero felice se
continuassi a vivere?”.

Shiho approfittò delle sue palpebre abbassate per scrutarlo liberamente. Sentiva il cuore
galoppare impazzito mentre studiava il suo profilo spigoloso. Aveva gli zigomi alti e forti, che
contrastavano con quei suoi lineamenti delicati. “Non sarei la sola ad esserne contenta,
signore. Ci posso scommettere questa casa”.

“Non ho mai creduto troppo nelle seconde opportunità, ma non mi sembra di avere troppa scelta”. Yzak schiuse le labbra, come se volesse aggiungere altro, ma ci ripensò all’ultimo e le strappò la tazza ormai vuota di mano, prodigandosi per risciacquarla nel lavandino. “Davvero, non sarei dovuto sopravvivere alla guerra, almeno non avrei affrontato questo dannato casino".

“Farò finta di non aver sentito nulla”, replicò Shiho con tono accigliato. Lo sentì sghignazzare
e gli passò uno strofinaccio, evitando che bagnasse il pavimento con le mani gocciolanti. “Ma la
ringrazio”.

Lui si accomodò sul divano e Shiho si sedette sulla poltrona di fronte a lui. Non pensava che
l’avrebbe rivista. In qualche modo se n’era fatto una ragione. Si era abbandonato alla morte, ed
il viso della Hahnenfuss era rimasto in un angolo remoto della sua mente. “Dearka è tornato
sui PLANT”, disse all’improvviso. “Con la sua fidanzata”.

Shiho aggrottò la fronte. “Come mai questo tono stizzito? Credevo aveste fatto pace dopo
Jachin Due”. Ricordava ancora, sulla Jupiter, la confusa spiegazione del Capitano Joule in
merito al salvataggio del Buster di Dearka, oltre che del suo breve soggiorno sull’Archangel e, all’epoca, si era stupita che non avesse fatto saltare in aria tutta la nave che gli aveva procurato ogni sorta di problema dopo il raid di Heliopolis.

“Mi sto domandando cosa ci veda in quella Natural”, borbottò Yzak, come se non l’avesse
sentita.
 
“Mia madre era una Natural”, sospirò Shiho e giocherellò con uno dei corti ciuffi che le
incorniciavano il viso. 
 
“Era?”, L’albino si irrigidì e lei si strinse nelle spalle. Non sapeva che fosse orfana di madre, né
tantomeno che la donna non appartenesse alla loro classe genetica. Avrebbe scommesso che
Shiho fosse razzista, in un modo tutto suo, viste le occhiatacce che indirizzava alla ragazza che Le Kleuze aveva portato con sé sulla Vesalius.

“L’hanno uccisa un paio di anni fa, in un attentato. I Blue Cosmos”. Sorrise, nella speranza di
smorzare i toni. “Era sposata con un Coordinator, hanno automaticamente dedotto che lo
fosse a sua volta. Però è una storia vecchia, non vale la pena sprecare del tempo per riportarla
a galla”. Guardò Yzak, che era evidentemente nel panico. Era una scena sadicamente comica. “Non si preoccupi, non mi sono offesa. E non sono una Natural, se è quello che si sta chiedendo”.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, l’unico suono era quello della pioggia oltre le
finestre.
 
“Immagino che Elthman-san verrà sottoposto ad un processo a sua volta,” continuò
Shiho, spezzando la tensione.

Yzak agitò una mano nell’aria, visibilmente scocciato. “L’hanno già giudicato colpevole di
tradimento, ma essendo che suo padre è ancora un rispettato membro del Consiglio hanno
hanno chiuso un occhio e si sono limitati ad abbassarlo di grado. Adesso, se continuerà a lavorare nell’esercito, non potrà più indossare la Redcoat.”

Shiho annuì, serena. Le sembrava di essere nuovamente nello spazio, durante una delle loro
lunghe chiacchierate di fronte alle stelle lontane. Con la differenza che ora nessuna sirena
avrebbe rimbombato nel salotto, interrompendoli e catapultandoli in un terribile scenario di
morte e paura.

Finirono di parlare quando l’orologio batté i dodici colpi della mezzanotte. 
 
Yzak si alzò, imprecando. “Non credevo fosse così tardi.” Posò lo sguardo su Shiho e strinse i pugni ai lati del corpo. “Sono parecchio stanco, Hahnenfuss, e ho tenuto il telefono spento per tutto il giorno…”. Si morse la lingua, imbarazzato e scocciato. Non era sicuro di trovare messaggi o chiamate perse, ma l’idea di una ramanzina da parte di sua madre lo gettava in uno strano sconforto, quasi nostalgico.

Shiho si alzò a sua volta e rise. “Se vuole rimanere qua a dormire non ci sono problemi,” gli
andò incontro, notando le difficoltà che stava sperimentando per porle quella scomoda
domanda. “C’è una camera per gli ospiti al piano di sopra, mi segua”. Salirono le scale e lei si fermò di fronte ad una porta. “Faccia pure come se fosse a casa sua”.
 
“Probabilmente sentirai un po’ di confusione visto che devo dare la notizia a mia madre", borbottò Yzak, lanciando il cellulare sul letto. “Cercherò di fare piano”. La vide scuotere la testa e sorridere. Inspirò a fondo e, sgraziatamente, fece un mezzo, sgraziato inchino, la schiena rigida mentre si piegava. “Grazie per essere venuta oggi, Hahnenfuss”.

Shiho, imbarazzata da quel gesto così inconsueto, scosse la testa rapidamente. “Non si preoccupi, Capitano Joule. L’ho fatto con piacere”.
  
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