Fanfic su artisti musicali > Green Day
Segui la storia  |       
Autore: Midnight the mad    16/09/2015    1 recensioni
Jimmy. 20 anni, un fallito. Questo è tutto ciò che c'è da sapere di lui. Almeno fino a quando non decide di andare via dalla città dove ha sempre abitato alla ricerca di... cosa? Neanche lui lo sa.
Ma quello che trova non se lo sarebbe mai aspettato: una periferia piena di parole, una ragazza con lo stesso nome della marjuana e soprattutto una persona senza nome, senza storia, senza vita.
"– Com’è che l’hai chiamata? –
Lei sorride. – Beh, non dice a nessuno il suo nome, tutti se lo chiedono. Dopo un po’, è diventato un soprannome. La cara, stronza, vecchia Whatsername. –"
". – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
There’s nothing else to analyze. Where will all the martyrs go when the virus cures itself? 

 
- Allora, com’è andata? – chiede Mary Jane, guardandomi, sorseggiando un bicchiere di succo di frutta.
Io scrollo le spalle. Pensavo meglio, oppure peggio. Diciamo che, in generale, non me l’ero aspettato così.
Ridacchia. – Non è così male, no? –
- No, non lo è. – rispondo, rigirandomi in bocca la domanda che voglio farle. – Mary... –
- Jane. – mi interrompe lei.
La guardo.
- Sì, insomma, “Mary” fa troppo santa. Quindi se devi abbreviare chiamami Jane. –
- E’ il tuo vero nome? –
- Beh, credo che i miei avessero una particolare fissa per la Marvel. Anche se ho di meglio da fare piuttosto che la troietta di Spiderman. –
Mi viene quasi da ridere. – Comunque... volevo chiederti... qui la gente si fa? –
Mi fissa come se stessi scherzando. Quando capisce che sono serio alza gli occhi al cielo. – Ma secondo te qui c’è qualcuno che non si fa? –
Esito. – Insomma, la gente qui non mi sembra così fuori di testa. –
- Sì, lo so. Il punto è... “quando voglio smetto”, capisci? Puoi farti di quello che vuoi quando ti pare, basta che non diventi un drogato del cazzo. O almeno se lavori per lei. Perché se Whatsername si accorge che non riesci più a staccarti ti manda fuori a pedate. Non vuole furti. E poi... – aggiunge. – A nessuno interessa di essere un drogato. Perché effettivamente, e lasciatelo dire da una che lo sa, la droga non è così divertente. Disintossicarsi è una merda, e quello che fai in realtà è stare normale quando ti fai e stare di merda quando non ti fai, così continui a farti perché ti sembra di stare meglio. –
- Ti è successo? – chiedo. So che è una domanda personale, ma voglio saperlo.
- Sì. Diciamo che non ho mai vissuto tra persone raccomandabili in generale. Mi sono fatta la prima striscia di coca a quattordici anni. A sedici mi hanno rinchiusa per un anno e mezzo in un centro per tossicodipendenti, e solo perché mio padre si è ammazzato e mi hanno presa in adozione. E adesso eccomi qui. Sono... relativamente pulita, e sinceramente sto meglio. –
La guardo. Non sembra che il racconto l’abbia particolarmente turbata. Finisce il bicchiere di succo e lo mette nel lavandino. – E tu, Jimmy? –
- Più che altro canne. La prima volta che ho sniffato è stato con te. –
Non reagisce, come se non fosse niente di che. – Andiamo a fare un giro? –
- Non in città. Quel posto mi deprime. –
Ridacchia. – Capisco. Dai, vieni, ti presento un paio di persone. –
- Ok. – All’improvviso, mi viene in mente una cosa. – Ma lei li ha amici? – chiedo.
- Intendi Whatsername? –
- Sì. –
Mary Jane mi guarda come se cercasse di trovare un significato nascosto in quello che ho detto e alza gli occhi al cielo. – Devi essere parecchio convinto di te stesso se pensi sul serio di poter diventare suo amico. –
- Non voglio diventare suo amico. – sbottai. – Volevo sapere se... frequenta gente a parte te. Insomma, non sembra una persona molto... –
- ...socievole? – conclude lei. – No, non lo è. Però ha carisma, quando vuole, e sa come farsi ascoltare. –
Ci rifletto. Penso a quello che c’era nella sua voce mentre cantava Hotel California. Una persona capace di questo non è una persona fredda. Quindi non è che non ha amici perché è una persona fredda. Non ha amici perché... già, perché?
Potrei chiederlo a lei. Potrei provarci. C’è qualcosa di strano, in lei, qualcosa che mi incuriosisce.
Non ti interessare troppo a lei. Stalle lontano. Perché se non lo fai sei fottuto.” ha detto Mary Jane.
Già.
Peccato che io non sia mai stata troppo bravo a seguire i consigli.
- M... Jane? –
- Mh? – fa lei.
- E’ un problema se vengo domani a conoscere i tuoi amici? Oggi avrei... una cosa da fare. –
Mary Jane sospira. – Non lo fare, Jimmy. –
- Sono sempre stato uno schifo a seguire i consigli. – rispondo. – E faccio un sacco di cose stupide. –
- Non farti tirare di sotto da un balcone. –
- Ci proverò. –
 
Quando arrivo davanti casa di Whatsername il portone è aperto, ma la porta di casa sua no. Mi chiedo cosa dovrei fare. Busso? E se non è in casa? E se...
Decido di provare a bussare e basta prima di farmi ventimila domande a proposito di cosa fare se non c’è.
Così colpisco la porta così piano che quasi non lo sento neanche io. E, stranamente, sento un: - Chi cazzo è? –
- Jimmy. – rispondo.
- E che vuoi? –
- Vorrei non dirlo da dietro una porta. –
Sento uno sbuffo, dei passi, e poi il battente si apre. Io mi infilo dentro. Il salotto è rimasto praticamente uguale all’ultima volta che sono entrato, a parte un quadro attaccato alla parete. Anzi, no, non è un quadro, è uno specchio, solo che riflette i colori di un graffito sul muro di fronte.
Lei si lascia cadere sul divano. Ha addosso un vestito senza maniche verde petrolio e ha i capelli raccolti sulla nuca in una specie di chignon sfatto. Appoggiato accanto a lei c’è un libro minuscolo. Mi avvicino per leggere il titolo.
L’ultimo giorno di un condannato a morte.
- Macabro. – commento.
- L’hai mai letto? –
- No. –
Scrolla le spalle. – Io direi che è realistico. Comunque, che ci fai qui? –
Non so cosa dire, così sparo la prima cosa che mi viene in mente. – Volevo chiederti se posso usare la chitarra. –
Mi fissa. – Eh? –
- Sì, insomma, io non me la sono portata dietro quando sono venuto qui. –
- Anche Mary Jane ha una chitarra. –
- Non lo sapevo. – rispondo, anche se so benissimo che non mi sta credendo.
- Alla tua destra. – dice lei, alla fine, poi prende il libro e si mette a leggere.
Io all’inizio non capisco, poi mi giro e vedo la chitarra appoggiata alla parete. La prendo. Non so che fare. Posso portarla via o no? E voglio portarla via, soprattutto?
No, affatto. Non sono venuto qui per una chitarra.
Però adesso una chitarra è tutto quello che ho. Così mi siedo sul divano, lontano da lei, e iniziò a strimpellare le diciotto note che ci sono prima dell’inizio di Wish you were here. E’ una canzone semplicissima, quindi non ci sono troppe probabilità di fare figure di merda.
- So, so you think you can tell Heaven from Hell? – mormora lei. Non sta cantando, lo sta dicendo e basta. Lo sta chiedendo a qualcuno. E non a me.
Mi fermo.
- No, no, continua. Scusa. – dice, e si rimette a leggere.
Io però non ricomincio. – Ti piace? – chiedo.
- Cosa? –
- La canzone. –
- Ne ho sentite di migliori. –
- Però l’hai scritta sul muro del palazzo. –
Mi fissa, e i suoi occhi tagliano. – Senti, Jimmy, io non lo so cosa vuoi da me. Ma c’è una cosa che voglio che tu faccia, ok? Ed è “non chiedere”. –
- Perché no? –
- Questa è una domanda. – osserva lei.
- Lo so. –
Silenzio.
- E allora te ne faccio una io. – dice, dopo un po’. – Che ci fai davvero qui? –
Io deglutisco. – Ti faccio domande. –
 
Non so quanto tempo sia passato dalla mia risposta. Abbastanza da farmi dimenticare dove cavolo io abbia trovato il coraggio per dire una cosa del genere.
Whatsername non parla. Mi guarda.
- E se anche rispondessi alle tue domande... – dice all’improvviso, lentamente. – ...perché dovrebbe importarti delle risposte? –
- Perché voglio capire. – mormoro.
- Capire cosa? –
- Capire te. –
Lei chiude gli occhi per un secondo e sospira. Mi aspetto quasi che si metta a urlarmi contro o a trattarmi come un idiota come al solito, ma non lo fa. – Vuoi capire me. – mormora, con aria quasi ironica. Ironia triste, però.
- Perché no? –
- Perché non c’è niente da capire. – Mi fissa negli occhi. – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” Lo pensi, vero? –
Deglutisco. – Lo penso. – ammetto.
- E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –
Mi sembra un discorso assurdo. – Non è possibile che tu non abbia una storia, una vita e un nome. Tutti ce li hanno. Cioè... almeno la storia e il nome. – aggiungo poi, rendendomi conto che neanche io ho una vita. Cioè, non sul serio.
- Tu dici che non è possibile perché non ti è mai successo. Ma quello che dico della vita lo capisci, perché dopotutto se sei finito qui vuol dire che te ne stai cercando una nuova, e quindi che non ne hai una, al momento. – Scrolla le spalle. – Non c’è niente da capire, Jimmy, davvero. Non cercare qualcosa dietro la facciata, perché non c’è niente. Guarda questo palazzo, per esempio. Ha una bella facciata, forse anche misteriosa, perché nessuno capisce cosa ci facciano lì quelle canzoni. Ma poi? Poi dentro c’è una storia? C’è qualcosa di incredibile, di assurdo, di fantastico? No, non c’è. –
- Sì che c’è. – ribatto.
Ci guardiamo. Lei sa cosa sto per dire, e sembra che mi implori con lo sguardo di non dirlo.
Ma io lo faccio: - Ci sei tu, dietro. E io non ci credo che non hai una storia. Tu sei una persona, cazzo. Tutte le persone hanno una storia. –
- Ti ho detto... – mormora, lentamente, fissando il pavimento. – ...che non c’è niente da capire. E adesso non metterti a pensare che io sia troppo disperata per parlarne. Perché non è così. Semplicemente non c’è niente. E se non te ne fregherai da subito quando capirai che ho ragione ti sentirai solo un idiota, perché avrai perso chissà quanto tempo a cercare di capire una persona che non esiste, che è solo una facciata. –
- Tu sei una persona. –
- No. Sono solo un... un virus. –
Io la fisso. Un virus? Che accidenti significa?
Lei sembra rendersi conto del mio stupore, perché aggiunge: - E’ questo che sono. Guardami. Distruggo vite ogni singolo giorno. E tu lo sai benissimo. –
Ma non sta dicendo la verità. Questo discorso l’ha inventato sul momento. Non gliene importa niente di ammazzare la gente con la droga, non è questo il punto.
Ma ormai è andata. Whatsername mi da la schiena. – Vattene. – mormora.
- “Sapete quel che sapete, d’ora in poi non dirò più nulla.” – mi esce, per qualche motivo, con voce quasi arrabbiata.
Si volta di scatto e mi lancia un’occhiata strana, di fuoco ma ghiacciata. – Per l’ultima volta, Jimmy, non c’è niente da sapere. – sibila, ed esce dalla stanza.
Io non la seguo, sarebbe inutile. Mi limito ad appoggiare la chitarra dove l’ho presa e ad andarmene. Mentre scendo lentamente le scale continuo a pensare che non è possibile che lei non abbia una storia. Ma forse dice la verità quando afferma che non ce l’ha. Magari è solo che crede di non averne una.
Ma come si fa a credere di non avere una storia?
 
Quando la mattina dopo mi sveglio, noto qualcosa accanto al mio letto che la sera prima non c’era. Batto le palpebre. Sembra un libro. Accendo la lampada sul comodino. Sì, è proprio un libro, dalla copertina bianca su cui spicca come una macchia di sangue il rosso di un fiore. C’è scritto Undici minuti.
E’ abbastanza famoso, ora che ci penso. L’ho sentito nominare qualche volta. Ma che ci fa qui?
Noto un segnalibro che sporge da una pagina più o meno a metà libro. Lo apro, e mi salta subito agli occhi una parte sottolineata.
Una malattia sconosciuta  si era diffusa in tutta l’Europa, e nessuno sapeva perché mietesse tante vittime. Una malattia che cominciarono a chiamare “Peste Nera”, una punizione che Dio aveva mandato sulla terra a causa dei peccati degli uomini.
Fu allora che un gruppo di persone decise di sacrificarsi per l’umanità e di offrire ciò che maggiormente temeva: il dolore fisico. Quegli individui presero a vagare giorno e notte attraverso questi ponti, lungo queste vie, flagellandosi il corpo con fruste e catene. Soffrivano in nome di Dio e, con il loro dolore, lo celebravano. Ben presto scoprirono di essere più felici così che non facendo il pane, lavorando i campi o governando gli animali. Il dolore non era più sofferenza, ma piacere di riscattare l’umanità dai suoi peccati.
Non capisco. Accanto alla parte sottolineata però c’è un piccolo asterisco, con le parole: Ultima pagina.
Sfoglio il libro fino ad arrivare all’ultima pagina, che è bianca. O meglio, che dovrebbe essere bianca. Invece qualcuno ci ha scritto qualcosa con una grafia quasi illeggibile.
Ma ovviamente i martiri non curarono la malattia. Facevano quello che facevano perché la vita comune non gli bastava, volevano fare di più. E non si rendevano conto che, se avessero lasciato perdere Dio e si fossero resi MATERIALMENTE utili, sarebbero davvero serviti a qualcosa. Ma non volevano vedere questa realtà.
Alla fine la Peste Nera venne debellata. E cosa ne fu dei martiri? Niente. Probabilmente morirono per le ferite inutili che si erano inflitti, oppure fu la stessa malattia a ucciderli, visto che avevano indebolito fino a quel punto il loro corpo.
Agisci per quello che conta materialmente, se proprio devi. Non fare il martire, perché quando questo virus si sarà curato da solo, che cosa potrebbe mai esserne di te?
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Green Day / Vai alla pagina dell'autore: Midnight the mad