Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Flora    17/09/2015    7 recensioni
New Orleans, 1896. Un famoso musicista scopre di avere pochi mesi di vita. Nel tentativo disperato di prolungare il suo tempo, stringerà un contratto il cui prezzo si rivelerà spaventosamente alto.
------
Ora sa tutto, padre. La scongiuro, mi assolva. Ho paura. Non so cosa ci sarà ad attendermi dall’altra parte, ma ho il terrore di rivedere il ghigno di quella donna. L’ombra alle sue spalle.
Ho paura, padre.
Guardi la clessidra. Pochi granelli e sarà finita,
E io ho tanta paura.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
LA CLESSIDRA
 
 
 
 
 
 
 
La prego, padre, accolga la mia confessione. Mi perdoni perché ho peccato.
Che cosa ho fatto?
Sono un ladro. Un ladro che non potrà mai essere processato per il suo crimine.
La vede quella clessidra sopra il pianoforte? Sì, so che sono stato un grande musicista, ma non è di questo che voglio parlare. Guardi la clessidra. Vedrà che manca poco perché tutta la sabbia si raccolga sul fondo. Ed è per questo che voglio confessarmi. Il mio tempo volge al termine, ringrazio Dio per questo. È tanto che aspetto e il tempo rimasto è così poco.
Ma ora la scongiuro, raccolga la confessione di un peccatore. Prenda il mio diario, lì sul comodino. Sì, quello.
Inizi a leggere.
 
 
 
 
 
 
Era il mardi gras del 1896 quando decisi di uccidermi. Cinque mesi prima mi era stato diagnosticato un male incurabile, un morbo che mi dilaniava dall’interno, senza speranza di guarigione se non per un miracolo.
Avevo trascorso quel periodo tra dolori indicibili e umori disgustosi – e così avrei continuato per il poco tempo che mi restava, affogando la mia dignità tra sangue e diarree, prima che una morte misericordiosa venisse a porre fine alla mia umiliazione.
Così, avevo deciso.
Tutto era stato predisposto, il testamento redatto; il lascito avrebbe permesso a mia figlia Sophie di vivere negli agi e questo era sufficiente a darmi sollievo. Tuttavia, nemmeno il pensiero della mia amatissima figlia poteva distogliermi dal mio proposito, né il rimpianto per la musica e per la luminosa carriera che avrei interrotto. Almeno sarei stato ricordato all’apice della gloria e anche in questo trovavo consolazione.
Quella notte, mentre la città era presa nell’abbraccio lascivo del Carnevale, lasciai la mia casa in Rue Dauphine e mi inoltrai nella palude che lambisce le rive del delta del Mississippi.
Il Bayou era immerso nella bruma, una densa foschia sfiorava le acque; l’oscurità era assoluta, appena rischiarata dal pallido osso della luna appeso in cielo. Il silenzio era lacerato solo dall’urlo delle gavie e dal gracidio impazzito delle rane. Camminai verso la riva e poi dentro l’acqua, finché non mi ritrovai sommerso dai liquami limacciosi del fiume.
Aprii la bocca e inghiottii il sapore amaro della morte, fino a riempirmene i polmoni.
Poi, il nulla.
Mi risvegliai dopo un tempo che non saprei dire, sopra un giaciglio di paglia dentro una baracca fatiscente. Sentivo il grido degli uccelli notturni appena fuori dalla finestra, dunque dovevo essere ancora nel Bayou, ma non saprei ritrovare la strada.
La stanza era piccola, puzzava di stalla ed era illuminata dal bagliore fioco di una lucerna. Nel cono di luce potevo scorgere un tavolo di legno marcio e, seduta al tavolo, una vecchia china a scrivere qualcosa.
Il cuore mi fece un balzo. Tutti in città conoscevano quella donna, anche se nessuno ne parlava mai. C’erano voci su di lei, dicerie che non si osava rammentare alla luce del giorno, ma che di notte prendevano la forma di una paura oscura. Si diceva che, quando qualcuno desiderava cose che non si potevano chiedere in chiesa, era da lei che bisognava andare. Bruja era la parola, ed era una parola di sangue, che mai avrei voluto pronunciare – o anche solo pensare – in quel luogo.
Come richiamata dai miei occhi aperti, la vecchia alzò il viso e mi guardò. Persino nella penombra della baracca il suo sguardo acquoso sembrava trapassarmi.
Poi sorrise, scoprendo le gengive nere.
Bienvenu, mon ami,” mi disse, e la sua voce era stranamente dolce, “bentornato. Vieni monsieur, siediti qui con me.”
Avrei solo voluto andarmene, ma qualcosa in me si rifiutò di farlo. Vorrei dire che era la paura, ma ora so che si trattava di qualcos’altro. Mi alzai e camminai a fatica fino alla scrivania, lasciandomi cadere sulla sedia davanti al tavolo.
Stavo per chiederle se mi avesse tirato lei fuori dall’acqua, ma la vecchia fece cenno di non parlare, ricacciandomi le parole in gola.
“Hai tanta fretta di mettere fine al tuo tempo,” disse, sporgendosi in avanti. Le vesti cenciose frusciarono, portandomi al naso una zaffata di sudore e tanfo di orina. “Fretta di interrompere il tempo. Couper le temps.”
Allungò il braccio e mi toccò il ventre. Potei sentire la sua unghia coriacea premere contro la stoffa della camicia. “Hai la morte qui dentro, che ti divora. Ma tu sei stupido. Tu es un fou, perché il tempo è prezioso e non si butta mai.”
“Allora voglio più tempo,” mi sentii dire, senza neanche accorgermi di cosa usciva dalla mia bocca. “Voglio il tempo che mi è stato rubato.”
Il sorriso della vecchia si allargò, i pochi denti incastrati nelle gengive marce brillarono nel buio. “Mama Eudalie può aiutarti, mon fils. Può darti quello che desideri.”
Tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia, poi aprì un cassetto e ne trasse un oggetto che spinse davanti a me. Era una semplice clessidra di legno, riempita di sabbia del fiume. La sabbia giaceva sul fondo, i piccoli granelli di quarzo baluginavano appena nella luce della lampada.
“Tu pensi che il tempo ti appartenga, mon fils. Tutti lo pensano.” Prese in mano la clessidra, cominciò a svitare il tappo lentamente, senza staccare gli occhi dai miei. “Ma il tempo è solo in prestito, e presto o tardi deve essere reso.” Appoggiò il tappo sul tavolo, poi mi prese la mano; il contatto mi repelleva, la sua pelle era secca e rattrappita come quella di un rettile, ma non mi sottrassi. “Dovrai prendere in prestito quello di qualcun altro, se ne vuoi ancora.”
“Prenderlo in prestito da chi?”
Il sorriso scomparve sul volto della vecchia, la fiamma della candela oscillò e per un attimo avrei giurato di scorgere un’ombra alle sue spalle. Il terrore mi inchiodò alla sedia, svuotandomi delle poche forze rimaste.
“Il tempo è un dio maligno,” disse Mama Eudalie, cominciando a disegnare dei cerchi sul mio palmo aperto, “è geloso dei doni che fa agli uomini.” Continuava a tracciare cerchi concentrici sempre più stretti sulla mia mano, e io sentii le palpebre farsi pesanti, un sapore acido invadermi la bocca. “Se tempo è concesso, altro tempo deve essere reso, n’est-ce pas?” Fermò la mano, puntò l’unghia all’interno del mio polso, nello snodo delle vene e dei tendini. “È giusto. Un buco viene riempito e un buco deve essere svuotato. Dimmi il nome.”
“Quale nome?” A occhi chiusi, percepii l’unghia della vecchia bucare la carne, e il flusso di sangue riversarsi all’esterno.
“Tu lo sai. Dimmi il nome.”
Aprii le palpebre. Il mio polso era sospeso sopra la clessidra, il sangue scorreva lungo le pareti di vetro e inzuppava la sabbia sul fondo. La vecchia sussurrava una cantilena in una lingua che non riuscivo a capire, le parole si accavallavano, cozzavano e stridevano come una musica suonata dalle mani di un folle.
E allora seppi. Pronunciai il nome, sotto la luna e le stelle impazzite.
 
Non ricordo come tornai a casa. Mi ritrovai il mattino dopo davanti alla stalla, il cavallo tenuto per la cavezza, i vestiti inzuppati di fango, e la prima cosa che pensai, con uno stupore che rasentava l’estasi, era che il dolore era sparito. Volatilizzato come la nebbia sopra le acque del Mississippi in una giornata estiva.
Alzai il viso e guardai il sole. Mai un’alba mi era apparsa più bella, mai la luce mi era sembrata più dolce.
Mi venne incontro Tom Teagarden, il mio stalliere. Ricacciai la gioia sul fondo della gola, sentendomi addosso tutto il peso della colpa.
Conoscevo Tom da una vita, era rimasto orfano da bambino e mio padre l’aveva allevato insieme a me, come un bianco. L’aveva fatto studiare, gli aveva persino insegnato a suonare il pianoforte. E Tom era bravo, aveva un talento che sembrava elargito dagli angeli. Una volta, di nascosto, ero andato a sentirlo suonare in uno dei locali in cui si esibiscono i negri, a Storyville. Mescolato nella folla, l’avevo ascoltato mentre eseguiva una habanera malinconica, che sgorgava dalle sue dita come il lamento di un dio ferito. In quel momento l’avevo odiato, perché sapevo che le mie capacità, tutto il mio celebrato talento, impallidivano davanti a quel miracolo del cielo.
Avevo pianto le lacrime più amare della mia vita.
Poi mio padre era morto, e Tom era ritornato a fare ciò a cui da sempre era stato destinato, ma questo non aveva soffocato il mio risentimento, anzi. Se possibile l’aveva accentuato, perché quel talento – tanto sprecato in lui – io avrei venduto l’anima per poterglielo rubare.
Ora so che gli ho tolto qualcosa di ancora più prezioso.
Tom prese in consegna il cavallo e, guardando i miei vestiti, mi chiese se stavo bene. Non risposi.
Non dissi nulla neanche a Sophie, che mi accolse con amorevole preoccupazione, e si premurò personalmente di prepararmi il letto con lenzuola pulite e profumate.
Trascorsero i giorni, e il ricordo di Mama Eudalie assunse sempre più i contorni di un incubo che si scioglie al mattino. Ma il mio corpo era tornato forte, le energie mi sembravano inesauribili, e tutto questo non era un sogno. Ripresi a dare concerti, a frequentare i salotti, ad andare a cavallo. Il pubblico acclamò il mio rientro sul palcoscenico, i dottori non poterono far altro che constatare il miracolo.
Poi, dopo alcuni mesi, come una nuvola gravida di veleno che passi davanti al sole per infettarlo, l’incubo ritornò ad ammorbare la mia vita con il suo alito mefitico.
Mia figlia era scappata con Tom Teagarden. Ne ebbi notizia dalla domestica, e anche il resto della servitù lo confermò. Tutti sapevano della relazione proibita che Sophie intratteneva con Tom, tutti avevano taciuto. Divenni pazzo per la rabbia. La mia bambina, il mio fiore, scappata con un negro, uno stalliere figlio di stallieri che aveva avuto l’ardire di portarmi via la mia cosa più preziosa.
Non pensai alla notte nel Bayou, non in quel momento, ma nel fondo del cuore sapevo che qualcosa si era messo in moto, e nessuno avrebbe potuto fermarlo.
Diedi l’allarme, iniziò una lunga e serrata caccia all’uomo. Vi partecipai personalmente, ma non fui io a ritrovarli. Che ironia in tutto questo.
Mi riportarono Sophie in una fredda mattina di aprile, i vestiti intrisi d’acqua, gli occhi senza vita di una bambola rotta. Li avevano ritrovati nelle campagne attorno a Baton Rouge, Tom aveva opposto resistenza, gli animi si erano scaldati. Era partita una pallottola, e il tempo di Tom era stato reciso per sempre. Un buco viene riempito, un altro buco viene svuotato.
Quando me lo dissero, mi parve di sentire la risata della vecchia, da qualche parte nel vento.
Sophie non aveva resistito alla morte del suo amante. Si era gettata nelle acque del Mississippi, segnando per sempre la mia dannazione.
Tornai a casa dopo le esequie, e la clessidra era lì, sul comodino accanto al mio letto. Non so come ci fosse arrivata, ma era lì ad aspettarmi. Non me ne stupii. La presi in mano, per un attimo sembrò pulsare e vibrare, ma non ne sono certo. Non ero in me in quel momento.
La capovolsi.
La sabbia prese a scorrere con un fruscio lungo il sottile imbuto di vetro, e da quel momento non si è più fermata. Ho provato a romperla, l’ho gettata nel fuoco, ho tentato in tutti i modi di distruggerla, ma nulla su questa terra sembra scalfirla. Dovrà fare la sua corsa, fino alla fine.
E, che Dio mi aiuti, io con lei.
 
 
 
 
 
 
Ora sa tutto, padre. La scongiuro, mi assolva. Ho paura. Non so cosa ci sarà ad attendermi dall’altra parte, ma ho il terrore di rivedere il ghigno di quella donna. L’ombra alle sue spalle.
Ho paura, padre.
Guardi la clessidra. Pochi granelli e sarà finita,
E io ho tanta paura.
 
 
 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Flora