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Autore: RuWeasley    17/09/2015    1 recensioni
Sei schiavo degli stereotipi. Tu come tutti gli altri.
Il tuo essere libero è sbagliato sin dal concetto.
E nonostante tu lo sappia
ora è troppo tardi. Le mie parole ti appartengono. Ho narrato la tua storia.
Quindi, perchè ora non posso continuare a farlo?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oliver Smith - il numero 19

Ogni tanto, ci sono giornate in cui vedo il sole.
Un cielo azzurro che mi sembra quasi surreale. La frivolezza nella mia conversazione ogni tanto mi fa sentire bene.
Leggero.
Vuoto.
Parlo di cose semplici con lui. Videogiochi, ragazze, vestiti e fantasie. In un certo senso, gli ormoni a mille dei miei coetanei mi facevano sentire superiore. Sentivo di potermi controllare, nonostante io non vada d’accordo con la mia solitudine. Mi crogiolavo, all’ombra nei miei vestiti neri in cui mi trovavo tanto bene. A volte, vivere d’apparenze mi fa bene. Mi sentivo così a mio agio nei miei vestiti scuri, protetto dalla loro grandezza, protetto dai pregiudizi.
Gente prevenuta dal mio aspetto. Un ragazzo gracile in vestiti larghi, un volto sottile coperto da uno scaldacollo che saliva al naso. I capelli lunghi mi coprivano gli occhi, e solo le mie mani grandi si vedevano durante le giornate d’inverno, nel suo freddo ormai rassicurante.
Mi piace il freddo. Ci si può riparare, ci si può sentire al sicuro.
Nel caldo puoi solo prostarti all’afa, scioglierti poco a poco fino al limite della sopportazione. Odio il caldo.
Mi ritrovo solo dopo pochi minuti. Igor, il mio migliore amico, deve operarsi al cuore. La mia apprensione non lo turba affatto, e mi saluta, come al solito, allegramente.
“Andrà tutto bene, tranquillo”.
Ci diamo il cinque e ci dividiamo, ognuno verso casa propria.
Il sole ancora batte, si ostina a riscaldare nell’autunno ormai inoltrato.
Non voglio tornare a casa, ma non so dove andare.
Per una volta, ho davvero desiderato la compagnia, forse troppo viziato da Igor.
Che, che dir si voglia,
non mi ha mai lasciato solo.
Ho stima per lui.
Non ci sono motivi per cui una persona debba provare rispetto per me, se non per mera educazione. Eppure, lui l’ha fatto, fin dall’inizio.
Vado al parco, alla ricerca di compagnia. Desolato, come al solito, ma sotto una strana luce. Mi avvicino all’altalena vuota e ci trovo attaccato un post-it:
“Ti va di vederci? Alle 18:30 di fronte la scalinata di scuola
-Brianne”
Confuso, mi avvio verso scuola. Come sa che sarei andato al parco?
Alle 18:00 sono di fronte alle scale, immerso nella mia musica. La scorgo distante, i capelli neri legati in una lunga treccia, e nei suoi vestiti riesco a rivedermi. Mi vedo al sicuro, sotto la larghezza dei miei vestiti, dei suoi vestiti. Accanto a lei vedo due ragazze, una bassina, dai capelli corti e rossi; vestita casual e truccata pesantemente.
L’altra invece, è bionda, dagli occhi verdi.
Occhi profondi, grandi.
Occhi impressionati da tutto.
Quasi ingenua, nel suo vestitino beige e nei sandaletti, nel pungente fresco dell’autunno. Portava i biondi capelli ricci sciolti dietro le orecchie, mostrando un sorriso raggiante.
Faccio un gesto con la mano a Brianne e lei corre da me. Mi abbraccia forte, ed io, immobile tra le sue braccia, trattengo le lacrime.
Lacrime senza un senso preciso,
che ti lasciano sulla bocca un sorriso,
amaro
ma che vale più d’ogni altra cosa.
La serata passa in fretta. Parliamo, parliamo tanto. Argomenti casuali ma interessanti, eppure nulla riesce a segnarmi. Una lezione piaciuta e non ricordata.
Una canzone di cui ricordi il ritmo ma non il testo.
Si fanno le dieci e mezza, ed io saluto Brianne e la ragazza dai capelli rossi. Insieme a me si alza anche la ragazza bionda.
“Devo andare anche io, mi accompagni?”
La mia strada è esattamente opposta alla sua.
E ci avviamo, verso casa sua.
Mi parla del suo passato. Un resoconto di lezioni e ricordi felici, sventure riparate e avventure di ogni genere. Mi narra una vita fuori dalla cupola;
mi narra la vita di chi vive, ed io, incantato ascolto ogni sua parola. Mi perdo nelle sue parole, navigo fiumi di parole lasciandomi cullare.
Due ore dopo, sono a casa, osservando il soffitto.
Ricordo ogni parola, ogni sfumatura, ma non ricordo la sua voce.
Una canzone di cui ricordo il testo ma non il ritmo.
Parole con un volto e senza voce,
un volto
nel quale mi sarei voluto perdere
ancora una volta.

   
 
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