Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: haev    20/09/2015    7 recensioni
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l’avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
[...]
Il castano si sorprese ad ammirarla e sentir nascere dentro di sé un senso di calma che non aveva mai provato. Aspirò il fumo e scosse la testa: non doveva affezionarsi a lei. Il suo compito era quello di renderla più loquace, di scavare dentro di lei e capire il motivo per cui amasse così tanto la solitudine.
[...]
Greta non si definiva una ragazza depressa, semplicemente aveva smesso di vivere e non sapeva nemmeno se a vent’anni si potesse dire di aver iniziato a vivere per davvero, aveva ancora davanti una vita piena di cose da fare, scoprire e lei aveva già rinunciato a tutto.
Peccato che il suo tutto fosse su un letto con una bandana in testa per la chemioterapia.
Completa.
Genere: Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
And then I found out how hard it is to really change.
Even hell can get comfy once you’ve settled in.
I just wanted the numb inside me to leave.
No matter how fucked you get, there’s always hell when you come back down.
The funny thing is all I ever wanted I already had.
There’s glimpses of heaven in everything.
In the friends that I have, the music I make, the love that I feel.

I just had to start again.
-Oliver Sykes.
 
XV
 
«Papà, a nessuno là fuori importa se ho preso una sufficienza o un dieci, basta che sia sufficiente!» sbraitò il ragazzo, stringendo i pugni.
«A me importa.» mormorò suo padre a denti stretti.
«Chi è che va a scuola, mh? Io o te? Io! Sono io quello che studia, non tu, quindi fatti andare bene la sufficienza!»
«Non osare rivolgerti a me con quel tono, ragazzo. Non andrai da nessuna parte così.»
«Ovvio che no. Tu hai già deciso il mio fottuto futuro!»
«Mi pare normale, non avrai mai successo con quegli spartiti del cavolo che scrivi! Ti serve un lavoro vero e non avrò un figlio petulante!»
Louis si sentì punto nel vivo, non dedicava molto tempo al pianoforte, ma quando lo faceva ci metteva l’anima. Il suo sogno era quello di diventare un compositore per film, ma come lui ben sapeva, era solo un sogno. Sapeva che difficilmente avrebbe avuto successo, non si era mai iscritto a nessun concorso per piano, non era mai andato al conservatorio, era un autodidatta, ma amava la musica e sentirsi dire da suo padre quelle cose, lo fece inferocire.
Sapeva anche che il suo sogno era reso impossibile dal genitore, il quale aveva già deciso che una volta concluso il liceo, sarebbe andato a lavorare all’agenzia immobiliare del padre. Louis aveva provato ad opporsi, ma senza risultati, l'uomo era irremovibile.
Ovviamente il signor Tomlinson aveva messo lui stesso Louis sul pianoforte, ma non si sarebbe mai sognato che il suo unico figlio volesse diventare un compositore. Benché accettasse l’idea che il ragazzo suonasse il piano, il genitore cercava di far accantonare a Louis il suo desiderio più recondito perché sapeva che non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte ed era bene che il ragazzo tenesse il pianoforte solo come un hobby.
Nonostante questo, aveva un altro lavoro in mente, uno più realistico: voleva diventare psicologo.
Amava pensare di immedesimarsi nella testa di persone, scoprire i loro demoni. Era dell’idea che aiutando gli altri, forse avrebbe trovato una risposta a tutti i suoi complessi, per di più, il cervello umano lo affascinava e voleva studiarlo.
«Non mi conosci nemmeno, sono tuo figlio e non sai niente, niente di me.» fissò il padre negli occhi, «E questo non puoi nemmeno immaginare quanto male faccia.» fece un cenno di saluto all’uomo che aveva di fronte e andò in camera.
Si buttò sul letto, aveva una voglia matta di fumare, ma non voleva farsi vedere dal padre perché si sarebbe lamentato ulteriormente, quindi chiuse gli occhi.
Gli venne subito in mente Rion.
Doveva farla parlare, ma non sapeva come, doveva trovare un modo.
Ormai sapeva che spacciava e probabilmente lo faceva per pagare le cure a suo fratello. Si domandò se i suoi ne fossero a conoscenza, ma Louis credeva di no, altrimenti Rylee non l’avrebbe mai gettato nelle braccia di una spacciatrice.
Per di più Rion aveva quell’atteggiamento così chiuso e ombroso che chiunque avrebbe pensato che volesse essere lasciata in pace, ma non perché avesse un’altra identità. Louis era strabiliato, sorpreso, incredulo che una ragazza come Rion potesse spacciare, ma infondo la capiva: anche lui avrebbe fatto di tutto se sua sorella si fosse trovata nei guai.
Doveva farla parlare.
Come?
Doveva trovare qualcosa di strabiliante, che la facesse scoppiare. Aveva provato a farla ridere e addolcirla con il pianoforte, ma non aveva risolto nulla. La ragazza rimaneva la classica maschera impenetrabile.
Notò un’ambulanza passare a tutta velocità dalla finestra quando prese il telefono e decise di chiamare Maxie, forse lui aveva qualche idea.
 
Jessica correva per tutta la casa cercando di rimanere calma. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui Rich avrebbe avuto una caduta, i farmaci non gli bastavano più, le sigarette avrebbero avuto effetto, suo figlio doveva essere portato in ospedale.
Aveva trovato Rich sul letto che tossiva e intanto vomitava, la bandana gli era caduta, rivelando la testa senza capelli con le vene blu e viola sporgenti.
Jessica, alla vista del figlio, si sentì gelare, corse a chiamare un’ambulanza e ora prendeva tutte le carte, i vestiti, i medicinali per portarli in ospedale.
I dottori bussarono e accadde tutto troppo velocemente per far sì che Jessica potesse aiutare in qualche modo.
Vide il ragazzo steso su una barella con un macchina dell’ossigeno attaccata al naso, il viso cereo, gli occhi chiusi, il pigiama sporco.
Jessica prese la piccola Renae in braccio, che chiese: «Ich
«Sì, piccola, Rich sta male.»
«Opedale?»
«Sì, amore.»
Prese il borsone con dentro tutto il necessario e mise la piccola nel seggiolino in macchina, dandole un leggera carezza mentre Rylee chiudeva la porta di casa e Rion saliva in macchina con la faccia bianca quasi come quella del fratello maggiore.
Jessica respirò forte, facendo respiri corti e profondi, era l’unico modo per mantenere la calma. Chiuse un attimo gli occhi ripetendosi che doveva rimanere forte per le sue figlie, che tutto sarebbe andato per il meglio, i dottori avrebbero fatto il possibile. Guardò nello specchietto retrovisore, l’occhiata di Rion la colpì in pieno. Era uno sguardo così colmo di disperazione e paura che Jessica ne rimase pervasa, non vedeva emozioni negli occhi della figlia da così tanto tempo che vederle ora la fece quasi commuovere.
Mise in moto, tenendo la radio a basso volume, nella speranza che Renae si riuscisse ad addormentare e non causasse problemi all’ospedale.
 
Maxie stava picchiettando la penna sulla scrivania quando squillò il cellulare, posò la penna e rispose con calma: «Pronto?»
«Ehi.»
La voce squillante riempì l’orecchio del ragazzo, che sorrise, «Ciao, Lou. Come va?»
Louis emise una specie di verso, Maxie afferrò al volo che il ragazzo non ne voleva parlare, ogni volta che lo vedeva, il biondo leggeva nei suoi occhi una rabbia tale da farlo rabbrividire.
«D’accordo. Hai bisogno qualcosa?»
«Devo far parlare Rion.» mormorò l’amico.
Maxie alzò le sopraciglia, non sapeva come avrebbe potuto aiutare Louis: lui a stento conosceva Rion. Giustamente conosceva alcune cose che gli altri non sapevano, ma solamente perché usciva in compagnia con Rylee e aveva fatto con le due gemelle le elementari, per il resto, poteva ritenersi un estraneo.
«Louis, non so come aiutarti.» e mentre parlava, si sentì un po’ seccato.
Maxie aveva pensato molto negli ultimi giorni e aveva notato che il castano lo cercava solo per chiedergli informazioni di Rion, cercava di convincersi dicendosi che era solo il momento, Louis era preso dalla ragazza e voleva scoprirla, ma al tempo stesso si sentiva usato.
Maxie odiava sentirsi usato.
Nonostante questo, il ragazzo biondo riconosceva che Louis si stava mettendo d’impegno per non parlare solo ed esclusivamente della mora, difatti gli aveva proposto di suonare la chitarra assieme, dato che gli era arrivato il piano. Immancabilmente, però, ogni volta che uscivano il discorso “Rion” era sempre sulla bocca di Louis.
«Ho bisogno di una persona che abbia idee geniali e tu le hai sempre, mi serve qualcosa che faccia scoppiare Rion.»
«E’ un muro, non puoi far scoppiare un muro.»
«Esplodere allora, se necessario.»
Maxie ricordò che più di una volta suo padre per farlo scoppiare, lo faceva arrabbiare.
«Falla incazzare.» propose scrollando le spalle.
«No, svierebbe il discorso.»
Il biondo si appoggiò alla sedia e si mise un dito sulle labbra, sentiva il respiro tranquillo dall’altra parte del telefono.
Louis non poteva costringere la ragazza a parlare per il semplice fatto che se ne sarebbe andata oppure non avrebbe parlato nemmeno con una pistola puntata alla testa. Louis non poteva chiedere con parole a Rion cosa avesse in mente, gli serviva qualcosa che la lasciasse di stucco, che la costringesse a parlare, che le facesse perdere tutte le speranze.
Maxie dubitava ancora che fosse Rion la stessa ragazza che gli dava l’erba il sabato sera, ma il fatto del taglietto sul dito rendeva il tutto più che veritiero.
Si sarebbe potuto scoprire da chi prendesse la roba Rion e poi incriminarlo, così che la ragazza non avesse più potuto spacciare e di conseguenza aiutare il fratello.
Maxie scosse la testa, troppo rischioso.
Lo sguardo gli cadde su un poster, era di un film degli anni ’90, vi erano diverse macchine della polizia con dietro un’esplosione.
Il ragazzo biondo sorrise, «Louis, ho un’idea.»
 
Due parole, due occhi che si chiudevano sconsolati, un sospiro triste, opaco.
Terapia intensiva.
Perfino i dottori sembravano più preoccupati del solito, le cose erano peggiorate gravemente da quando il ragazzo aveva deciso di non curarsi più e ora i medici dovevano rimediare a mesi di cure perse.
Jessica si accomodò su una poltroncina in sala d’attesa, non gli permettevano di entrare, non ancora.
D'altronde il reparto di terapia intesiva era molto particolare: bisognava indossare un camice e una cuffia per capelli per poter entrare, non si doveva essere affetti da nessun tipo di malattia, anche il minimo raffreddore ed era assolutamente necessario lavarsi mani e faccia. Anche il più piccolo batterio poteva essere dannoso per il paziente. 
Jessica era preoccupata, non avevano mai ricoverato suo figlio in quel reparto così mal visto, era sempre stato portato in oncologia, il reparto adibito ai tumori e invece, ora, si trovava lì. Tutto ciò faceva aumentare l'ansia alla madre.  
Erano solo loro, suo marito sarebbe arrivato a momenti.
Abbassò la testa, quante volte si era seduta in sale d'attesa come quella? Poteva vedersi negli anni.
Lì, che aspettava, fissando un punto vacuo nel muro. Aspettava, era l’unica cosa che poteva fare. Quanto aveva dato a suo figlio, le ore perse al lavoro, i soldi spesi per le sue cure, la sofferenza nel vederlo sul calvario. In quei momenti non si sentiva una donna, bensì una bambina incatenata a quella sedia come per punizione, ma a differenza dei bambini, lei non cercava di alzarsi, ma rimaneva lì, come arresa.
Tutta la sofferenza di quegli anni le cadde sulle spalle, non sapeva cosa fare, non poteva costringere suo figlio a curarsi perché era maggiorenne, ma non poteva nemmeno rimanere lì a guardarlo morire tra le sue braccia.
Gli sarebbe mancato così tanto, rivisse tutti gli anni passati assieme, le gioie, i dolori e il suo cuore faceva così male. Un dolore straziante, che la prosciugò.
Sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua schiena e carezzargliela, l’unica cosa positiva era che non sarebbe stata sola, aveva una famiglia.
Cercò un punto nel muro e iniziò a fissarlo, aspettando.
 
Rion aveva le gambe incrociate, i gomiti appoggiati sulle cosce, i capelli le ricadevano sul viso, nascondendo gli occhi, il naso, la bocca. Una volta arrivata all’ospedale si era seduta nella sala d’attesa e non aveva mosso un muscolo.
Non si accorgeva nemmeno del passare del tempo, riviveva interrottamente suo fratello che veniva portato via con la barella.
Era come un disco interrotto che ritornava sempre alla stessa immagine.
Non sentiva niente, non era nemmeno preoccupata per Rich, sapeva che i dottori lo avrebbero rimesso in sesto, era quello che avevano sempre fatto.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era lui sulla barella con la macchinetta dell’ossigeno attaccata al naso.
Era orribile non provare nulla anche nelle situazioni più gravi.
La sua mente, il suo cuore, niente di lei reagiva. Sapeva che si trovava in ospedale, che suo fratello era in terapia intensiva, ma non riusciva a provare niente.
Sua madre se ne stava seduta a fissare un punto vacuo sul muro, preoccupata. Sua sorella cercava di mostrarsi solidale e faceva giocare la piccola Renae, suo padre era seduto accanto alla madre.
Rion in macchina fu colta dal panico, ma ben presto venne oppressa da un senso di calma tale che si lasciò andare.
Non voleva pensare a niente, solamente a suo fratello sulla barella.
Il disco continuava a essere interrotto.
«Rifiuterà le cure, lo sai.»
«Lo so, tesoro, non possiamo fare niente. Dobbiamo solo accettare quello che verrà.»
«Non riesco a immaginarmi una casa senza di lui, anche se è sempre nella camera da letto, non riesco. Mi sembra così impossibile. Il mio bambino.» sua madre iniziò a singhiozzare.
Rion si irrigidì, sapeva che il fratello non accettava le cure, ma pensava che sua madre con i soldi che aveva ricevuto da parte sua, l’avesse convinto alla nuova cura.
Sicuramente Rich avrebbe accettato, tutti avevano paura di morire e Rich non era un’eccezione, Rion lo sapeva. I soldi non erano abbastanza, allora.
La ragazza doveva procurarsene altri, sicuramente con una bella sommetta avrebbe potuto far pagare le cure a Rich.
Sì, lei avrebbe portato a conclusione la sua missione, lei avrebbe guadagnato i soldi indispensabili per le sue cure, quella sera stessa.
Non avrebbe lasciato che il fratello morisse, lei aveva bisogno di lui e Rion sapeva per certo che Rich con la nuova cura sarebbe guarito.
Si alzò e passeggiò tranquillamente per il corridoio, l’immagine di suo fratello in testa.
Doveva agire quella sera stessa, altrimenti sarebbe stato troppo tardi.
 
Maxie scrisse su un foglio tutto quello che c’era da sapere, Louis era rimasto entusiasta del piano.
Niente poteva andare storto, altrimenti tutto sarebbe andato a monte.
L’idea gli era venuta guardando proprio un poster ed era una scena da film quella che si immaginava dovesse accadere quella sera al giro.
Si complimentò con se stesso per la sua mente matematica.
 
Jessica si alzò di scatto quando vide il dottore uscire della sala, quest’ultimo si avvicinò con un sorriso tranquillo e stanco.
La madre del ragazzo odiava il comportamento che assumevano i medici, specialmente il dottor Miles, il quale seguì Rich per tutta la sua malattia.
Era un bravissimo dottore e tutte le volte aveva sempre avuto ottimi consigli da dare alla famiglia e aveva una cura pronta per suo figlio, sapeva sempre cosa fare anche nei casi estremi.
Nonostante la sua bravura, Jessica detestava quando le leggeva la prassi e tutto il resto per via che usava paroloni strani quando lei voleva solo sapere come stava suo figlio.
«Come sta?» domandò con voce tremante, sentì che suo marito le appoggiò una mano sulla spalla, gli fu grata per quel gesto.
«Non bene.» ammise il dottore, «Una parte della diagnosi è ancora in corso, ma si è riscontrato che se fino a tre mesi fa la neoplasia era solo raggruppata nel pancreas, ora le metastasi si sono diffuse nel fegato, nell'intestino e stanno iniziando a infettare i polmoni. C'è poca speranza che riesca a farcela, mi dispiace signora Lee, ma suo figlio è terminale.»
Quella voce pragmatica e schietta fece infuriare Jessica che fissò truce il dottore, «Come sarebbe a dire, dottor Miles? Lei ha sempre trovato un modo per curare mio figlio.»
«Certo, ma il ragazzo ha rifiutato le cure da tempo.»
«E non è suo dovere mantenere in vita un paziente?» domandò la donna con voce tonante.
«Non se il paziente lo richiede, mi creda, signora, sua figlio ne ha abbastanza di tutto questo.»
«Non mi interessa cosa vuole mio figlio! Lei lo deve tenere in vita perché è mio figlio e non deve lasciarlo morire!»
«Da un punto di vista medico la terapia che Rich ha fatto sino a tre mesi fa, quando ha rifiutato le cure, non è più applicabile. Il corpo è abituato ai farmaci, c’è bisogno di una nuova terapia, anche se non penso che porterà riscontri.»
«La facci.»
«Non posso, mi creda, nel corso degli anni mi sono affezionato al ragazzo, ma se lui acconsente a non essere curato, io non posso mettergli le mani addosso.»
Jessica si sentì avvampare, non poteva essere vero. Rich non poteva aver firmato nulla senza averglielo detto, non era da suo figlio.
«Lui ha…» mormorò Jessica, basita, stupita, irrequieta.
Non riusciva a crederci, Rich voleva morire.
D’un tratto ebbe paura. Paura di tutto, non voleva perdere suo figlio. Lo amava più di qualunque cosa a quel mondo, avrebbe fatto di tutto per farlo stare meglio, si sarebbe messa al suo posto se avesse potuto.
Non poteva, però, era impedita nel suo corpo. Costretta ad accettare la morte di un figlio. Nessun genitore dovrebbe vedere il suo bambino morire. Il suo bambino.
Jessica cominciò a piangere, si strinse al marito.
Rich morto.
Rich in un bara.
Erano pensieri così lontani che non riusciva a crederci, non poteva accettare una vita senza di lui, le era impossibile.
Si sentì sola, confusa, vuota, morta.
Non sapeva cosa avesse fatto.
«Mi dispiace.» mormorò il dottore.
Jessica si lasciò cadere sul pavimento, piangendo tutto il suo dolore e stringendosi al petto la piccola Renae, che, premurosa, si era avvicinata alla madre.

Spazio autrice.

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!

Eccomi qui!
La prima settimana di scuola è andata e io sto già pregando nelle vacanze di Natale. A voi com'è andata e che scuola fate? Daaaaaai, vorrei conoscervi un pochetto ew.

Allora, mancano pochi capitoli alla fine della storia e già ho il magone, ma vbb. 
Abbiamo un capovolgimento drammatico dalla situazione. 
Rich sta male e il dottore ha praticamente detto l'atroce verità. Ma Rion è fermamente convinta che lui possa salvarlo. 
Vorrei che vi soffermaste su questa ossessione quasi maniacale che Rion ha nei confronti del fratello. E' quello su cui è incentrata maggiormente la storia e non deve essere necessariamente intesa come l'amore fraterno, semplicemente un qualcosa in cui TUTTI ci possiamo ritrovare. Tutti, ne sono certa, sono affiatati a qualcosa, che sia un familiare, un evento del passato, un gioco, qualsiasi cosa e sto cercando di rendere questa FF, dal punto di vista emotivo, più reale possibile, quindi: voi come vi sentireste se la cosa a cui tenete più al mondo è in procinto di andarsene? COSA fareste? 
Il comportamento di Rion è plausibile?
Soffermatevi sul fatto che una persona è così attaccata a qualcosa che non riesce a separarsene. Rion, tutto sommato, non è sola. Ciò che ho fatto credere fin dall'inizio della storia, riguardo la solitudine di Rion, è vera fino a un certo punto, perché ci sarà sempre quella cosa che non ci lascerà da soli, sempre. E' vero che nasciamo e moriamo da soli, ma nella vita siamo noi e il mondo, oppure noi e le nostre emozioni e solamente quando scompaiono le nostre emozioni siamo soli, fino a che ciò non accade, non siamo soli. 
Vi trovate d'accordo?
Provate ad analizzare il personaggio di Rion con ciò che vi ho detto fin'ora: VI RITROVATE? 

Rispondetemi, perché davvero ci tengo. Non mi interessano 456890 recensioni. 
Mi interessa che voi vi ritroviate nei personaggi, che voi sentiate le loro emozioni, che IO vi trasmetta qualcosa. 
Non vi chiedo di recensire per fare un favore a me, ma per voi e convincervi che no, non siamo soli.

Per favore.

Okay, dopo questa cosa molto filosofica che mi ha sorpreso, ci vediamo sabato prossimo!

A presto,

Giada.
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: haev