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Autore: Irene Adler    11/02/2009    3 recensioni
Winry prenderà una decisione difficile: Abbandonerà la sua vita, la sua casa e il suo mondo per ritrovare loro…lui.
Fra intrighi, rivolte e guerre in un mondo ridotto allo stremo dal primo conflitto mondiale, sulla carta concluso, ma ancora in atto, si dipana la vicenda di tre ragazzi che, se il destino vorrà, si incontreranno ancora una volta…
[Ambientazione post film] [Attenzione, presenza di diversi alter!] [EdWin...]
Genere: Introspettivo, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Un pò tutti, Winry Rockbell
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Separazione: Vorrei stare al tuo fianco

 

“S-signor…Huges? Maes Huges?”

L’uomo la fissò interrogativo, aggrottando appena la fronte.

Lei, continuando a fissarlo, tentò di alzarsi a sedere ma non ci riuscì, le braccia tremanti che a stento rispondevano ai suoi ordini.

Al suo fianco l’identica copia della Glacier di Amestris fissò dubbiosa prima l’uno poi l’altra.

“Caro, conosci questa ragazza?”

L’uomo sospirò, scotendo la testa “Deve essere ancora un po’ confusa per il colpo preso alla testa…”

Winry tentò di replicare fiocamente, ma una fitta lancinante alla fronte e una più fioca alla spalla fasciata la costrinse ad adagiarsi nuovamente fra le coperte.

Glacier si avvicinò a lei preoccupata, sedendosi di fianco al letto e sfiorandole delicatamente la fronte con una pezza d’acqua umida.

“Sta ferma. Devo cambiarti la fasciatura ora…”

La bionda la fissò per qualche istante, ancora frastornata e confusa.

-Cosa sta succedendo?-

Abbandonò mollemente il capo sul cuscino, fissando incupita la donna al suo fianco destreggiarsi con garza e disinfettante per sostituirle la benda vecchia.

-Forse sto sognando…-pensò fissando prima Glacier poi Huges con uno sguardo attento e meditabondo.

-E’ solo uno stupido sogno…deve essere per forza così. Questo vuol forse dire…?-

Fissò l’uomo dai capelli scuri cercandovi qualsiasi caratteristica che potesse differirlo dal Maes Huges di Amestris, ma, con suo rammarico, non ne trovò.

Si lasciò scappare un sospiro arrendevole e il suo corpo si rilassò maggiormente, accarezzato dalle coperte candide.

-Se lui è il signor Huges…io sono…?-

Glacier le disse qualcosa che lei ben non comprese e subito dopo avvertì una fitta alla spalla che le strappò un’esclamazione di sorpresa.

“Ho finito di medicarti, ora puoi riposare” le disse con gentilezza la donna, gettando la garza sporca in un cesto di vimini posto sotto la finestra vicina.

Winry socchiuse le labbra per rispondere, ma non riuscì ad articolare una sola parola, così si limitò ad annuire fissandola negli occhi con gratitudine.

-Non è possibile che sia morta…altrimenti non avvertirei dolore-

Ciò che sentiva era reale, dal tocco delicato delle coperte sulle braccia nude al dolore pulsante e persistente al capo, al tiepido venticello che spirava dalla finestra socchiusa; su tutto ciò Winry non aveva dubbi: era reale e lei era viva.

Eppure qualcosa era fuori posto: quelle due persone rendevano il tutto irreale.

 “D-dove sono?”

Glacier scambiò uno sguardo con l’alter di Huges, poi questi si avvicinò al letto.

Winry notò un qualcosa di militare nei suoi movimenti e constatò che erano identici a quelli dello Huges che lei aveva conosciuto; l’unica cosa che al momento le faceva pensare all’uomo davanti a sé come ad una persona solo somigliate al tenente colonnello di Amestris era il suo comportamento: lo Huges davanti a lei non sorrideva, non dimostrava un carattere allegro e un po’ burlone, non aveva fotografie della sua famiglia che spuntavano dalla tasca della giacca.

No. Lui non era il signor Huges.

“Sei a casa mia. Ti ho portata qui subito dopo il tuo arrivo”disse l’uomo, fissandola con la medesima attenzione che la giovane gli stava riservando.

“Elycia…”sussurrò lei.

Huges aggrottò la fronte.

“Come prego?”

“Elycia…dov’è?”

Dallo sguardo che l’uomo le lanciò Winry si convinse che lui non poteva essere assolutamente Maes Huges, così portò lo sguardo sulla donna: era identica a Glacier e si era dimostrata egualmente gentile e dolce, come lo era quella di Amestris.

“Ancora quello sguardo…assomiglio a qualcuno che conosci?”domandò tranquillamente la donna.

La ragazza la fissò per qualche istante senza dire nulla, poi fece un semplice cenno negativo con la testa.

No, neanche lei era la Glacier di Amestris.

“Ti è andata bene. Te la sei cavata solamente con una botta alla testa e qualche contusione; la spalla andrà a posto del tutto fra qualche giorno”asserì grave l’uomo, sistemandosi gli occhiali sul naso e avvicinandosi ancora di più.

Winry gli dedicò, seppur inconsapevolmente, un’occhiata identica a quella che aveva dedicato a Glacier.

“ Perché hai lasciato Shamballa? Perché sei venuta in questo mondo?Che intenzioni hai?”domandò guardingo l’uomo.

“Sham…balla?”

Socchiuse gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco come si deve ciò che la circondava, ma quello che ottenne fu solo l’effetto contrario.

 “Max, non farla stancare, è ancora ferita!Non affaticarla, se si sentisse male non potremmo portarla dalla dottoressa, dato che adesso è impiegata al fronte” lo redarguì appena Glacier posandogli una mano sulla spalla.

Detto ciò si allontanò da lui per poi avvicinarsi alla giovane distesa nel letto, ignorando la protesta dell’uomo.

“Come ti chiami?”domandò gentile.

Winry abbandonò il capo sul cuscino, mentre un’improvvisa spossatezza la assaliva; era ancora stordita dall’incidente e quella situazione tanto bizzarra non le stava decisamente giovando.

“Mi chiamo…Winry”sussurrò, senza neanche pensare di mentire alla donna: dopotutto era stata gentile con lei, non le avrebbe fatto del male ed in più rivelarle il suo nome non poteva certo metterla in situazioni spiacevoli.

-Sono così confusa…-

Winry sospirò lievemente affondando il capo nel morbido e candido cuscino.

“Ora riposati Winry, sei ancora debole…”

Inconsciamente annuì appena.

“Starò io con te…qui sei al sicuro”

Winry le credette e s’abbandonò alle braccia di Morfeo.

 

 

Alphonse socchiuse gli occhi, infastidito dai raggi mattutini che filtravano dalla finestra. Il micetto accoccolato fra le sue braccia gli strusciò il muso contro il collo, emettendo fusa intense e piacevoli.

“Ahaha!Ehi, mi fai il solletico!”disse, mentre il felino prendeva a leccargli il mento con la linguetta ruvida.

“Basta, dai!”

Il minore degli Elric lo afferrò dolcemente facendogli un grattino dietro l’orecchio e sorridendo all’espressione soddisfatta del piccolo felino a quelle attenzioni.

“Ti piace eh?”ridacchiò fissandolo con dolcezza.

Un miagolio d’apprezzamento accompagnò quell’affermazione, facendo sorridere maggiormente Al, che però tornò serio un attimo dopo.

Il gatto puntò i suoi occhi ambrati in quelli grigioverdi dell’Elric, che distolse lo sguardo.

“Hai gli occhi come quelli del mio fratellone”sorrise, stavolta con fare malinconico.

Era la prima volta che litigava con Ed da quando aveva riacquistato il suo corpo e il peso di quello ‘scontro’ lo avvertiva in un nodo allo stomaco ben poco piacevole.

-Sono stato proprio uno sciocco; ho sbagliato a portare questo gattino in casa senza dirgli nulla-pensò, carezzando il capo del micio.

-E forse anche sul latte…non posso obbligarlo a berlo se non gli piace…anche se gli fa bene- aggiunse un attimo dopo.

Si alzò in piedi.

-Si, andrò a chiedergli scusa!-

Indossò rapidamente la camicia chiara del giorno prima, un paio di pantaloni scuri e un gilet del medesimo colore, osservando per un istante la sua figura nello specchio da parete sopra il comodino; abbracciò poi il gatto e scese le scale intenzionato a riappacificarsi con il fratello, mentre qualcuno suonava alla porta di casa.

 

“Arrivo!Sto arrivando!!”

Noah era fuori casa, così come Glacier, quindi fu Edward a dirigersi verso l’uscio, maledicendo mentalmente la sua gamba dolorante che gli impediva di camminare decentemente.

Vi fù un altro scampanellio, più insistente dei precedenti.

“Un attimo!”

Aprì la porta e fissò con sguardo seccato la persona che gli si parava davanti.

“Si tratta della dimora dei fratelli Elric?”

Edward fissò l’uomo, sospettoso. Doveva avere sui trent’anni, indossava una divisa militare verde scuro e i suoi penetranti occhi grigio topo osservavano l’interno della piccola abitazione.

“Chi li desidera?”domandò formale, fissando i tipi in uniforme dietro l’uomo che stava parlando.

In quel mentre Alphonse fece la sua comparsa scendendo dalle scale che conducevano al piano superiore, il gattino in braccio e un’espressione dispiaciuta dipinta sul viso.

“Nii-san, io vole--“

“Al, torna di sopra!”

Il ragazzino lo fissò sbigottito, per poi portare lo sguardo verso gli sconosciuti alla porta.

“Che cosa…?”

“Muoviti!”

Il giovane Elric fece per seguire il consiglio del fratello, ma due dei militari entrarono bruscamente in casa, costringendolo ad avvicinarsi alla porta d’ingresso. Il gatto che il ragazzino teneva in braccio finì sul pavimento, dove prese a soffiare minaccioso con la coda ritta.

Edward guardò con astio il soldato che gli aveva parlato per primo, tenendo sotto controllo gli altri due uomini e il fratello con la coda dell’occhio.

“Che significa questo?Chi siete?!”

“ Sono il sottotenente Grunder.Sono stato incaricato dal governo di arruolare un uomo per ogni famiglia, di modo da contribuire all’accrescimento delle truppe del nostro paese. Siamo in guerra e questa città è a rischio. Siccome lei è invalido- lanciò un’occhiata all’automail al braccio lasciato scoperto per una buona metà dalla manica- non vedo alternative signor Elric. Suo fratello prenderà il posto assegnato a lei!”

I soldati che avevano preso Alphonse lo invitarono ad uscire dalla porta, senza tante cerimonie.

“Nii-san, ma che…?!”

Edward tese una mano verso di lui afferrandolo per una manica e se lo portò al fianco.

“Lui non va da nessuna parte, sottotenente!”

Questi fissò impassibile Edwarde per qualche secondo.

“In questo caso…”

I soldati si mossero, prendendo per le spalle il minore degli Elric e trattenendo il maggiore.

“Non potete farlo!”

Alphonse si aggrappò alla camicia del fratello, mentre questi tentava di tenerlo a se cingendogli con fermezza le spalle con un braccio.

“Lasciatelo!Non ne avete il diritto!”

“Questa è la guerra signor Elric. La priorità va al bene del paese”replicò severo il sottotenente.

Edward sentì la propria presa scivolare dal polso alla mano del fratello, che serrò la propria con una stretta forte e disperata.

“Fratellone!”

Altri due soldati afferrarono Al e lo strattonarono bruscamente, troncando quella stretta che univa ancora i due fratelli.

“Lasciatelo andare!”

Edward tentò di avvicinarsi a spintoni e a spallate, tendendo un braccio verso il fratellino che lo guardava atterrito, completamente bloccato dai soldati, che già lo stavano trascinando sul camion dove le reclute prendevano posto.

“NOOO! AAAL!”

Avrebbe combattuto per impedire che glie lo portassero via, ma l’automail e la sua gamba erano così deboli che lo stare in piedi era di per se difficoltoso.

“NIII-SAN!”

Alphonse gridava, disorientato, scosso, spaventato, gli occhi liquidi fissi nelle iridi ambrate del maggiore, che stava facendo di tutto per riuscire a raggiungerlo.

Del tutto indifferente alla scena che gli si presentava davanti, il sottotenente diede l’ordine di bloccare il maggiore degli Elric.

Uno dei soldati lo colpì alla nuca con il calcio di una pistola e per un istante Ed barcollò, mentre la vista diveniva sfocata, poi cadde in ginocchio sentendo l’equilibrio venir meno.

“FRATELLONE!”

Il grido angosciato di Al lo raggiunse appena, mentre il giovane Elric si dibatteva penosamente, le lacrime che ormai gli illucidivano gli occhi e lo sguardo fisso sull’unico componente della sua famiglia steso a terra.

“Cosa gli avete fatto?! Lasciatemi, lasciatemi andare!Lasciatemi!!”

“Al…”

Edward poggiò una  mano sul ginocchio tentando di far leva su di esso per rimettersi in piedi.

-Dannazione, non vi permetterò di portarlo via!-

“Alphonse!”

Il ragazzino venne caricato di peso sul camion dove le reclute aspettavano guardando la scena, immobili; i soldati salirono con lui trattenendolo.

“ALPHONSE!”

Il camion si mise in moto con uno sbuffo di fumo nero, che Edward inalò per poi tossire ripetutamente.

“Nii-san!”

Il veicolo partì ed iniziò ad acquistare velocità, Edward cominciò ad inseguirlo, ignorando il dolore bruciante alla gamba.

“Al, salta!” gridò tendendo un braccio verso di lui.

Alphonse, con la forza della disperazione, si liberò con uno strattone di chi lo bloccava e si accinse a lanciarsi dal veicolo in corsa, quando una mano guantata gli si posò sulla spalla.

“Sicuro di volerlo fare?”

Gli occhi del ragazzino, che fino a qualche momento prima erano fissi sul viso del fratello maggiore, si puntarono sulla figura dell’uomo che lo aveva bloccato.

“Se ti rifiutassi di arruolarti potrebbero mettere in prigione tuo fratello o perfino giustiziarlo…”

La voce roca dell’uomo graffiò il cuore del minore degli Elric, che sembrò sbiancare di colpo.

“…sicuro di volere questo?”

Il ragazzino emise un respiro strozzato, mentre il suo labbro inferiore tremò appena.

-Io…-

“Salta!”

-Io non…-

Gli occhi grigioverdi del minore incontrarono quelli dorati di Ed, ricolmi di lacrime e rassegnazione.

Un sorriso triste si affacciò sulle labbra di Al.

“Perdonami” sussurrò

Appena un soffio, ma già dallo sguardo l’altro aveva capito le sue intenzioni.

“no…”

Al si allontanò dal bordo del veicolo e i soldati che prima l’avevano immobilizzato lo inchiodarono senza troppe cerimonie sul pavimento del mezzo.

“No, Al…” si ritrovò a gemere Edward.

Per l’ultima volta gli occhi del fratello si posarono sui suoi.

“ALPHON--“

Un dolore acuto alla gamba bloccò l’ex alchimista di stato, che cadde rovinosamente a terra.

“Perdonami…”

Al voltò dalla parte opposta il viso, nascondendolo in parte nell’ombra, sedendosi affianco all’uomo che gli aveva parlato.

“Al!!”

“Perdonami, nii-san!”mormorò con un filo di voce, prima di sentire il richiamo angosciato del fratello maggiore che chiamava il suo nome per l’ultima volta.

“ALPHOOONSEEE!!!”

 

  
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