Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coniglio_tossico    22/09/2015    0 recensioni
Sapeva di essere un grazioso uccellino rinchiuso in più ordini di gabbie; la sua personale gabbia dorata, il Giardino delle Rose, che le dava un ruolo e da vivere; la società malata che la circondava, con le sue storture sociali e politiche; Le Mura, al di fuori delle quali esseri giganteschi e pressoché sconosciuti disponevano dell’esistenza della razza umana.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Berthold, Huber, Irvin, Smith, Nuovo, personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nicholas Lobov scese dalla carrozza. Affaticato dal sovrappeso e annoiato dall’agio, salì gli scalini della sua dimora.
Il palazzo era uno dei più noti di Stohess per grandezza e opulenza. Ogni particolare nella sua architettura esprimeva ricchezza e arroganza, senza tuttavia apparire gradevole.
A differenza dell’edificio gli abiti del ricco borghese mostravano una sobria ricercatezza, con l’eccezione di alcuni particolari che ostentavano la sua posizione sociale, una catena in oro e rubini appesa al taschino della giacca e due pesanti anelli d’oro e granato alle dita. In cima al suo bastone troneggiava la testa di un dragone orientale, intagliato anch’esso in oro. A dispetto dell’incoerenza con il resto dell’abbigliamento, questo ornamento aveva il pregio di esprimere l’ossessione di Lobov, il suo amore per il potere.
La sua era stata una giornata piuttosto attiva, si era scomodato per affari più di quanto non fosse solito fare di persona. Era uscito in carrozza, aveva colto l’occasione per fare un giro nelle sue vigne, aveva degustato il fior fiore della sua produzione, controllato alcune case da gioco in suo possesso, presenziato al varo di un’imbarcazione che avrebbe solcato le acque dei canali a scopo commerciale e sulla via di casa aveva fatto una rapida fermata all’imbocco dell’Undicesima Scala che conduceva al quartiere sotterraneo per commissionare l’assassinio di Erwin Smith. Decisamente una giornata piena. Adesso pretendeva riposo e gratificazione. Dispose perché la servitù gli preparasse un bagno caldo e perché la sua massaggiatrice personale si occupasse dei suoi piedi affaticati.
Da tempo ormai viveva gli affari come un continuo spazzolarsi via la forfora dalla giacca. Qualsiasi cosa bramasse la sua mente speculativa, considerava ogni ostacolo al suo ottenimento qualcosa da spazzolare semplicemente via; fossero cose o persone poco importava.
Il favore che deteneva in parlamento era ormai stabile, questo in genere gli evitava il fastidio di disfarsi di personaggi scomodi. Si era guadagnato il totale appoggio della corporazione dei mercanti e raramente venivano prese decisioni che lo scontentassero. Ma quello Smith … Il pensiero irritante quasi gli rovinò il piacere del massaggio.
L’Armata Ricognitiva era una spina nel fianco. Gli altri corpi militari, in particolar modo quello di Gendarmeria, erano facilmente manovrabili, e molti soggetti al suo interno decisamente corruttibili. Giochi economici sui rifornimenti, deviazioni di carichi e conti truccati rappresentavano la normale amministrazione e costituivano una fiorente attività. Anche il contrabbando di materiale bellico che era ricettato nel quartiere sotterraneo, rientrava come voce abituale nel libro nero della contabilità del mercante.
L’Armata Ricognitiva agiva in autonomia. I soldati che ne facevano parte erano persone particolari, straordinariamente dotate ed eccentriche. Il fatto stesso di uscire dalle Mura li poneva nella condizione di avere una visione realistica del pericolo e dello situazione in cui si trovava l’umanità.  Avevano infine un difetto enorme, credevano in quello che facevano. Ognuno di loro ci credeva, per cambiare qualcosa o perché semplicemente lo sapeva fare bene e non avrebbe voluto fare altro. A questi soldati i rifornimenti servivano davvero e li pretendevano. I loro capi sapevano destreggiarsi in politica, ma non venivano a compromessi.
Maledettamente a rischio, ma maledettamente liberi, avevano molti nemici, ma anche molti sostenitori. Erano i miti dei ragazzini e considerati eroi da una parte di adulti. Non erano figure da poter spazzare via senza riflettere o senza un minimo di strategia. Il peggiore era il comandante Erwin Smith, ma lo consolava il fatto di aver organizzato un elaborato piano per disfarsi di lui.
La massaggiatrice terminò il suo lavoro e calzò i piedi di Lobov in morbide pantofole di lana e pelliccia, gesto che interruppe il suo flusso di pensieri. Dunque, ancora avvolto nel telo da bagno, l’uomo corpulento si alzò dallo sgabello mentre due cameriere si affrettavano a finire di asciugarlo e fargli indossare una comoda vestaglia.
Congedò la servitù e si diresse nel suo gabinetto privato, entrò e chiuse a chiave la porta dietro di se.
Si accomodò alla scrivania sulla sua pesante poltrona di pelle borchiata e trasse una chiave da un luogo segreto.
Con la chiave aprì un cassetto dal quale tirò fuori un registro dalla copertina nera e alcuni documenti. Li controllò accuratamente, come per valutarne non tanto il contenuto quanto l’integrità e li ripose con apprensione. Di cosa trattassero a lui era ben noto: registravano e provavano le sue attività illecite. Quei registri gli erano necessari per gestirle, non se ne poteva disfare, ma nelle mani dei suoi nemici sarebbero stati un arma terribile contro di lui.
I documenti che già erano entrati in possesso di Erwin Smith non lo preoccupavano eccessivamente, ma se qualcuno avesse messo le mani su queste carte, lo avrebbe avuto in pugno.
Lobov contava sul fatto che l’esistenza di quel registro fosse sconosciuta e che Smith fosse convinto di avere già in suo possesso tutti i documenti necessari per incriminare il mercante.
Sulla superficie in pelle della scrivania erano accatastate alcune buste e lettere. Lobov ne sfilò svogliatamente una dal mucchio e guardò il sigillo del mittente. Una lettera del marchese Balto. La aprì, era un invito a recarsi presso la tenuta del marchese in occasione di un gran ballo che avrebbe avuto luogo di lì a quattro giorni. I balli non erano eventi che Lobov amava frequentare; la sua espressione rimase seria e annoiata di fronte all’invito. Considerò che sarebbe stato utile partecipare solo per gestire le pubbliche relazioni con alcuni soci in affari che sarebbero stati presenti e archiviò la data nella sua mente.
 
 
 
La sera del ballo Valenoff attendeva puntuale Juliette nell’atrio del Giardino delle Rose.
Lei apparve in cima alle scale, radiosa.
Scese con cautela, tentando di non inciampare negli strati di crinoline ai quali non era abituata. La gonna dell’abito era ampia e frusciava ad ogni passo. La sua mano era saldamente aggrappata al corrimano e l’altra, che sollevava un lembo dell’abito, stringeva tanto il tessuto da apparire esangue.
La tensione non le impediva comunque di essere deliziosa, i capelli raccolti in uno chignon che lasciava liberi ciuffi ribelli sul viso e l’ampia scollatura che metteva in risalto le spalle e il seno. Le braccia candide contrastavano con l’amaranto caldo del broccato come panna in un mastello di rame.
Vasilij la guardò ammirato e il suo volto si aprì in un ampio sorriso di soddisfazione.
“Madame, siete una visione”
Raggiunta la fine della scala la ragazza sorrise, accennò un grazioso inchino e rispose:
“ Signor Valenoff, vogliamo andare?” E gli porse il braccio.
L’uomo annuì con aria compiaciuta e prese il braccio di Juliette con la delicatezza con cui avrebbe raccolto un uccellino da terra.
Si allontanarono nel vialetto fiorito e salirono sulla carrozza che li attendeva.
Un’ora prima Fabiola era come impazzita e volteggiava eccitata intorno a Juliette cercando di aiutarla a vestirsi, impigliandosi in realtà in nuvole di chiffon e sottovesti come un gattino maldestro.
“Uaaa! Questo vestito è stupendo! Guarda qua! Ma non ti fa impazzire? … E questo Valenoff? … Uffa perché io non ci sono mai quando accadono le cose interessanti? ”
Juliette le rispose con la solita dolce esasperazione, togliendole di mano una calza di seta che Fabiola si stava infilando in faccia, facendo le boccacce.
“ Da qua… Non ci sei mai perché sei irrequieta e non si riesce a tenerti tranquilla un secondo, probabilmente eri andata a spiare le tresche della moglie del fornaio, oppure saltellavi sui tetti, lo so che lo fai…”
“Certo che lo faccio, sono un’acrobata. Non penserete mica che quando non stiamo lavorando me ne stia a cucicchiare sottovesti come fa Liana? E poi la moglie del fornaio è uno spasso, meglio del teatro dei burattini, è così spudorata nei suoi tradimenti che mi chiedo cos’abbia sugli occhi il marito! E ora dai, racconta tutto! ”
Juliette aveva delle forcine in bocca e stava cercando di venire a capo dei suoi capelli, così masticò le parole:
“ Che c’è da raccontare? Questo tipo con i soldi è venuto qui, ha preso accordi con la Signora e io stasera devo lavorare fuori invece che in camera. Tutto qui”
Fabiola sgranò gli occhi:
“ Tutto qui? Ma andiamo, te ne vai a un ballo! In società! Con tutta quella gente spocchiosa e divertentissima! …Oh diavolo, vorrei troppo vederti e vorrei troppo venire anch’io!”
Juliette, seduta davanti alla specchiera, aveva l’aria poco convinta riguardo al risultato dell’acconciatura.
“ A me basterebbe riuscire a sistemare questi maledetti capelli” Sospirò “Comunque sono curiosa anch’io di sapere come me la caverò stasera, se non altro Valenoff sembra simpatico”.
“Aspetta! Ma come ti sei truccata quelle sopracciglia!? Dai, girati, che ti sistemo io…”
Fabiola si mise all’opera con i pennellini da trucco, esibendo piglio professionale e risentita serietà.
Juliette si mise remissiva nelle mani della sovreccitata fanciulla. Avrebbe voluto poter parlare liberamente con lei, ovviamente era un’ipotesi da escludere.
Alla fine di chiacchiere e preparazioni Juliette aveva dato un bacio in fronte alla compagna e le aveva augurato buona notte e buon lavoro.
Fabiola si era allontanata dalla stanza rimuginando fra se. Non era certo la moglie del fornaio che la ragazza aveva spiato. La piccola intrigante, inafferrabile e invisibile come un’ombra, era riuscita a intrufolarsi dietro le tende del salottino, durante la conversazione tra Juliette e Valenoff. In pratica aveva appreso che Vasilji Valenoff era una copertura e che il motivo per cui Juliette andava al ballo era qualcosa di grosso e pericoloso in cui l’aveva coinvolta il capitano Smith.
La sua mente adesso era colma solo della curiosità di saperne di più e della voglia di prender parte alla cosa, di qualsiasi cosa si trattasse. La verità era che quella vita la annoiava da morire e l’idea di un diversivo elettrizzante come una cospirazione nell’alta società la solleticava terribilmente.
Doveva trovare il modo di seguire Juliette, ma come?
**
Il dondolio della carrozza sciolse un po’ il nodo allo stomaco di Juliette.
Vasilij non aveva ancora detto una parola nonostante fossero in viaggio da diversi minuti.
Probabilmente l’uomo aspettava che attraversassero il tratto di campagna che precedeva la tenuta del marchese Balto, per sentirsi più libero di parlare.
Finalmente si riscosse dai suoi pensieri e parlò:
“Bene, mia cara, dobbiamo dare fuoco alle polveri.  Cerca di avvicinare Lobov nella maniera più naturale possibile: mangia bevi e danza come gli altri, ma cerca di non perdermi di vista. Durante questa serata il nostro uomo dovrà solo notarti e sviluppare un forte interesse per te, null’altro. Dobbiamo essere calmi e disinvolti, alla fine del ballo ce ne andremo tranquilli come siamo venuti. Sapremo di aver vinto solo domani, se Vasilij Valenoff riceverà un invito personale da parte di Lobov per lui e signora. Ufficialmente tu sei una mia lontana cugina, proveniente dal distretto settentrionale di Nedlay, in visita presso i parenti di Stohess. ”
La gola di Juliette si strinse. Ormai non poteva più tirarsi in dietro. La carrozza si fermò. Valenoff scese e andò ad aprirle lo sportello.
“ Prego madame ” L’uomo le porse il braccio.
La ragazza scese e insieme s’incamminarono, belli ed eleganti, lungo il viale che portava all’ingresso della villa del marchese Balto.
L’aria era frizzante e autunnale, i profumi di terra, conifere e sottobosco si mescolavano nelle narici.
Presero entrambi un profondo respiro, si scambiarono uno sguardo di intesa ed entrarono nell’ampio atrio illuminato dove il maggiordomo e le domestiche li annunciarono e si occuparono dei soprabiti.
Superate le formalità, la coppia venne introdotta nella sala da ballo, dove già molti invitati stavano danzando al suono di un valzer e altri si rinfrancavano con la sontuosa distesa di cibo ben disposto su lunghe tavole e candide tovaglie ricamate in verde e oro.
La sala era un ovale ricavato dall’intera area di uno dei torrioni che contornavano la villa. I soffitti erano altissimi e splendidamente affrescati, le finestre svettanti lame di vetro che davano accesso ad ampie terrazze.
Candelabri con molte braccia ammorbidivano la luce intensa dei lampadari di cristallo, creando complicati giochi di luce sulle pareti e riflettendosi su bottiglie e caraffe di varie bevande.
Juliette guardava ammirata, cercando di non far trasparire il suo stupore e la sua poca familiarità con questo genere di ambienti.
La calma sicurezza nei movimenti di Valenoff la rassicurò; si diressero a porre i loro omaggi al padrone di casa che si trovava al lato opposto della sala, circondato da una corte di borghesi reverenti e innaturalmente ilari.
Mentre attraversavano la sala, gli occhi di tutti, soprattutto quelli delle signore, erano puntati su di loro. Sguardi curiosi e penetranti, molti colmi di malizia, che sembravano voler carpire in un attimo tutti i segreti di una persona.
Juliette si sentì spogliata, molto più di quanto le capitasse nell’esercizio delle sue funzioni, ma mantenne la calma e assunse un’espressione dignitosa e distaccata, come la aveva vista sul viso della signora Cornelia, in più di un’occasione, quando rimetteva al proprio posto certa gente.
Il suo accompagnatore salutò il marchese.
“Marchese Balto, i miei rispetti. Vasilij Valenoff, ci siamo incontrati durante quell’asta in città, ricorda? Abbiamo combattuto strenuamente per quel manufatto orientale.  Che squisita rarità, mi dolgo ancora per come magistralmente lei mi abbia battuto”
Era noto a tutti quanto al marchese piacesse vincere. Se si desiderava entrare nelle sue grazie la via più breve era sicuramente quella di sfidarlo in qualsiasi campo e lasciarsi battere.
Perfino Dot Pixis, comandante del reggimento Garrison, massimo responsabile militare di tutte le regioni del sud, da anni ormai regalava a Balto  la vittoria nel gioco degli scacchi, solo per compiacerlo.
Valenoff, pochi giorni prima, aveva ingaggiato una strenua battaglia con il marchese presso una rinomata casa d’aste, allo scopo di gratificarlo. In effetti Balto si era gonfiato come un tacchino quando lo sconosciuto e agguerrito borghese si era fatto battere sull’ultimo rilancio.  Avere la meglio in pubblico e potersi pavoneggiare aveva talmente nutrito l’ego di Balto da permettere a Valenoff  non solo di farselo amico, ma anche di farsi invitare al ballo quella sera. Tutto ancora prima che Erwin fosse certo che Juliette avrebbe accettato l’incarico. In quel caso il piano avrebbe preso una piega diversa, ma sarebbe comunque andato avanti.
“ Valenoff! Mio caro! Che piacere che siate venuto! La vedo in splendida forma! E chi è la mirabile dama che vi accompagna?”
Balto si rivolse a Juliette chinandosi in un goffo baciamano.
“ Questa, signore, è mia cugina Juliette, in visita a Stohess dal lontano distretto di Nedlay, nei territori settentrionali.”
“ Mi complimento con i territori settentrionali. Dovrò andarci più spesso se le signore di quelle parti sono dotate di tale avvenenza”
“ Lei mi lusinga marchese, ma non posso fare a meno di notare che in questa sala fanno sfoggio di se signore di ben altra bellezza ”
Juliette si schermì, riuscendo a simulare un lieve rossore che le dava un’irresistibile aria d’ingenuità. Fu aiutata dalla vampa di calore che l’aveva pervasa quando il marchese le si era rivolto. Ogni parola da ora in avanti doveva essere attentamente soppesata.
Fortunatamente Balto si disinteressò rapidamente di Juliette, molto più interessato a narrare ogni particolare della sconfitta di Valenoff alla sua corte di invitati. Il buon Vasilij seppe reggere magistralmente il gioco fomentando il conte, inserendo anch’esso particolari sull’accaduto e ironizzando sulla sua inadeguatezza durante lo scontro.
Nel frattempo Juliette esplorava con lo sguardo la sala, cercando Lobov in base a come le era stato descritto. Valenoff in ogni caso le avrebbe fatto un cenno perché lei fosse sicura di adescare la persona giusta.
Lo individuò presso una finestra, o almeno vide una persona che corrispondeva alla descrizione.
Valenoff , ancora impegnato nelle frivola conversazione con Balto e i suoi invitati, si interruppe e si era rivolse a Juliette:
“Vieni mia cara, andiamo a bere qualcosa. Marchese, penso che questo uccellino abbia bisogno di bagnarsi il becco, signori, è stato un piacere” Accennò un cortese inchino e prese il braccio della ragazza, conducendola verso il tavolo delle bevande. Mentre camminavano le sussurrò all’orecchio.
“ Lobov è vicino alla finestra, l’hai riconosciuto? E’ vestito di grigio scuro e porta una fusciacca color ocra, camicia bianca e immancabile catena d’oro e rubini alla tasca.“
“Si, l’ho visto” Sussurrò lei in risposta.
***
 
Erwin era stremato, ma come al solito faticava a prendere sonno. Stava giocando con la vita delle persone e stava giocando pesante. Ne era perfettamente cosciente, ma doveva credere in ciò che stava facendo, non poteva vacillare.
Doveva raccogliere informazioni e poter contare su prove tangibili. Purtroppo non poteva farlo in prima persona, aveva dovuto coinvolgere qualcuno che fosse insospettabile, qualcuno talmente fuori da dinamiche politiche, militari ed economiche da avere l’incoscienza di esporsi a un tale pericolo. Qualcuno così affascinante da rendere la propria fragilità un arma di cui nessun soldato disponeva.
Doveva ridare vigore e credibilità all’ Armata Ricognitiva. I suoi uomini morivano a decine in ogni sortita e aveva bisogno di rimpiazzarli fisicamente. Non solo. Cercava dei miti da dare in pasto alla gente. Aveva bisogno di un campione. Per questo aveva manovrato perché quei tre ragazzi accettassero l’arruolamento.
Il loro capo in particolar modo aveva doti davvero eccezionali. Doveva tentare, per quanto disumani fossero i suoi metodi.
In fondo, cercava di convincersi, quelli erano criminali, in fondo, Juliette era una puttana…
 A chi lo stava raccontando? Combatteva in nome di qualcosa che andava perdendo ogni volta che agiva. Un gioco crudele. Più credeva nell’umanità più perdeva la propria.
Non sapeva dare un nome a che tipo di mostro stesse diventando, sapeva solo che era giusto agire così. Non avrebbe avuto rimpianti.
Lo stomaco gli si contrasse dolorosamente. Si raggomitolò sullo scomodo materasso, aspettando che la fitta di dolore passasse. Quando si rilassò un sussurro gli scivolò fra le labbra, prima di perdere coscienza : “ Juliette, non morire …”
***
La ragazza si avvicinò alla finestra, i suoi passi lenti, misurati, i passi di chi vuole farsi notare. Il suo sguardo era perso oltre Lobov, come avesse scorto qualcuno sulla terrazza e volesse raggiungerlo. Aveva in mano due calici di vino ambrato.
Passando vicino al ricco borghese, fece in modo di urtarlo quasi impercettibilmente, tanto da far vacillare lievemente i bicchieri e far scivolare una goccia fuori dal cristallo sull’abito del malcapitato.
“Oh! Sono desolata signore, ….”
Lobov tentò di mantenere un contegno, ma con tono infastidito redarguì la ragazza :
“ Madame, faccia attenzione…”
La ragazza si mostrò sollecita e petulante.
“ Mi permetta di rimediare … “ trasse un candido fazzolettino dal corsetto e lo umettò leggermente con le labbra, accostandolo poi alla candida camicia ormai oltraggiata di Lobov. Quel gesto infantile e così poco convenzionale nell’alta società, quella premura un po’ goffa ma spontanea, colpirono nel segno. Qualcosa nell’espressione rigida e sdegnata dell’uomo cambiò. Sul suo viso passò una punta di imbarazzo. Non era tipo da commuoversi per comportamenti infantili, eppure quella ragazza lo aveva colpito.
“ Lasci stare madame, ci penserà la servitù … posso chiederle il suo nome? Non credo di averla mai vista a Stohess, ma in effetti io non frequento assiduamente gli eventi mondani”
“Il mio nome è Juliette Valenoff. Vengo dal distretto di Nedlay. Sono in visita a Stohess e alloggio presso mio cugino Vasilij.”
“ Valenoff… E’ un nome che mi giunge nuovo, suo cugino si occupa di commercio in città? “
“ Vasilij si è affacciato da poco sul panorama commerciale di Stohess. Devo ammettere che fino a adesso si è limitato a godere del ricco patrimonio di famiglia, è un uomo vivace a cui piace vivere e  coltivare molti interessi. Solo ultimamente si è interessato al panorama mondano e agli affari, la mia famiglia ha colto l’occasione per mandarmi qualche tempo presso di lui perché mi accompagnasse nel mio, seppur tardivo, ingresso in società.”
“Il distretto di Nedlay non offre vita mondana?”
Chiese Lobov, incuriosito.
“ Nedlay è sicuramente un distretto tranquillo e lì la vita socio politica non ferve particolarmente, ma nel mio caso particolare ciò che mi ha tenuta lontana dalla vita di società è stato il cagionevole stato di salute che ha caratterizzato la mia infanzia e prima adolescenza. Pare che adesso io mi sia ristabilita e secondo il parere dei medici cambiare aria avrebbe dovuto giovarmi alquanto, così eccomi qui.”
“ Sarei curioso di conoscere suo cugino; se, come mi dice, è nuovo ai meccanismi che muovono il mercato, potrei avere per lui qualche buon consiglio. Il mio nome è Nicholas Lobov, ho una certa influenza sui traffici commerciali di questa città”.
Juliette colse la palla al balzo. Fino ad ora le sembrava di essersi comportata bene. Leggera e innocente, una donna di cui doveva rimanere solo il profumo e una sensazione di lieve insoddisfazione che avrebbe portato a cercarla ancora.
“ Stavo giusto portando da bere a mio cugino prima di combinare questo disastro”
Arricciò il naso e le labbra in una smorfia di imbarazzo, i grandi occhi color castagna che chiedevano ancora scusa.
Lobov accennò un sorriso spontaneo. Non era una cosa usuale da parte sua.
“ Conducetemi dunque da lui. Fa sempre piacere incontrare persone intraprendenti. Il mondo del commercio è un mare tempestoso.”
“Con piacere” Rispose Juliette.
Valenoff la stava osservando dalla terrazza, dal fondo della quale aveva seguito la conversazione tra lei e Lobov con apprensione.
Li vide dirigersi verso di lui. Brava Juliette…
“ Vasilij, questo è il signor Nicholas Lobov, che sbadatamente ho urtato mentre ti stavo portando da bere, fortunatamente si è mostrato una persona gentile e di spirito, sollevandomi dalla mortificazione che mi aveva fatta preda di se”
Una risata cristallina accompagnò queste parole.
“Onorato, signor Lobov, frequento da poco l’ambiente del commercio, ma ho già sentito molto parlare di voi”
I due gentiluomini si strinsero la mano.
“ Diciamo che ormai sono un veterano, l’età e l’esperienza aiutano molto nel campo degli affari, lei è ancora giovane, avrà tempo per fare pratica”
La conversazione prese vita, alimentata dalla curiosità di Lobov e dal suo interesse nel condizionare Valenoff e fargli capire con eleganza che chiunque volesse agire nella rete commerciale della città doveva stare alle sue regole.
Juliette assisteva al dialogo, intervenendo talvolta con qualche domanda e interpretando egregiamente il ruolo di ragazza borghese bene educata ma curiosa, anche se poco avvezza ai giochi di potere.
La breccia che Lei e Vasilij stavano cercando di aprire nell’animo di Nicholas Lobov pareva far già intravedere i primi spiragli di luce e i due cominciavano a prendere coraggio e comportarsi in maniera sempre più disinvolta.
“ Perché non invita sua cugina a ballare, non credo sia venuta qui solo per sentire le nostre noiose conversazioni da commercianti” Lobov fece un ampio cenno con la mano verso la pista da ballo.
“ Lei ha perfettamente ragione signor Lobov” disse ridendo Valenoff. “ Si dimostra più scaltro di me anche in tema di donne, oltre che di commercio ed io imperdonabilmente disattento” L’uomo si voltò verso Juliette “ Mia cara, vogliate perdonarmi, mi concedete questo ballo? “ la ragazza sorrise “ Ma certo mio caro. Grazie signor Lobov,  molto gentile da parte sua preoccuparsi per me, ma non mi stavo affatto annoiando, anche se ammetto che ho voglia di ballare.”
Valenoff condusse Juliette al centro della sala e i due si unirono alle danze.
Una Varsovienne. Juliette si concentrò raccogliendo tutto quello che la signora Cornelia le aveva rapidamente insegnato.
Sperò di ricordare tutto. Valenoff la guardò intensamente negli occhi e le sussurrò
 “ Tranquilla, ti porto io”.
Juliette amava la danza, anche se non aveva mai avuto modo di coltivarla. Quando era ragazzina, al suo paese, veniva organizzata in estate una manifestazione durante la quale i ragazzi  che sapevano suonare uno strumento e conoscevano qualche melodia popolare permettevano alla gente di rallegrarsi con qualche ballo rustico in piazza. Lei era sempre la prima a lanciarsi nelle danze e maestra nel trascinare i suoi amici. Ricordava il suo fratellino al lato della piazza che batteva le manine ridendo.
Non era niente di paragonabile all’eleganza dei balli ai quali era avvezza la società borghese:
adesso, sotto le luci dei grandi lampadari, sotto gli stucchi, e gli affreschi del soffitto, in mezzo ai rasi dorati delle tende alle finestre, Juliette doveva riuscire a mostrare nuovamente quella grazia e quella disinvoltura.
Chiuse gli occhi. Valenoff le cinse la vita. Inspirò profondamente aria e musica. Entrarono in lei come miele versato in un ruscello, e fu come essere quell’acqua, fluida tra le braccia solide di Vasilij che la facevano volteggiare mentre il suo vestito si apriva come una corolla intorno a lei.
I colori della stanza si confusero intorno, la tensione svanì. In quel momento provò pura gioia.
Nicholas Lobov respirò quella gioia.
Non fu la bellezza o la grazia, cose banali e scontate in certi ambienti. Quella carica vitale, quella gioia selvatica che Juliette emanava avevano piantato un seme tenace nella sua mente.
***
Per Fabiola era stata una notte impegnativa. Aveva dovuto accantonare l’idea di indagare sulla situazione di Juliette e questo l’aveva innervosita non poco.
Era stata più brusca del suo solito e qualche cliente si era anche lamentato, procurandole una ramanzina da parte della signora Cornelia.
Quando Juliette venne riaccompagnata dalla carrozza di Valenoff  al Giardino delle Rose, la casa era immersa nel sonno. Solo Genevieve e la cuoca erano in piedi.
Fabiola ormai sognava da un po’. Sognava di volteggiare tra i palazzi di Trost e di raggiungere le finestre di una grande, ricca e illuminata sala da ballo.
Il pomeriggio seguente la signora Cornelia comunicò a juliette che Valenoff  aveva richiesto la sua compagnia per il pomeriggio del giorno successivo.
 L’avrebbe accompagnato presso l’abitazione del noto Nicholas Lobov.
Era andata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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