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Autore: Malanova    22/09/2015    0 recensioni
Come non detto... HO MODIFICATO LEGGERMENTE LA STORIA!
Ebbene si... perennemente insoddisfatta, ho deciso di fare altre piccole modifiche e cercare di migliorare la storia ed il suo contenuto, grazie anche all'aiuto di Felinala che, con la pazienza di una santa, mi aiuta con la grammatica e mi da qualche spunto XP.
Questa storia narra di Piccolo, figlio del Grande Mago che tenne sotto il suo giogo il mondo per oltre trecento anni, e di Lyrica, la bellissima e alquanto misteriosa fanciulla apparsa dal nulla costretta a prestare servizio alla Famiglia Demoniaca in cambio della sua vita. Sperando di non aver creato un ulteriore pasticcio, vi auguro buona lettura!
P.S. La storia segue la trama dell'opera di Toriyama... se ci sono spazi vuoti vuol dire che la storia è rimasta inalterata
P.P.S Dedico questa storia ad una ragazza molto speciale, di cui non ricordo il nickname (Malanova sei una cretina) che leggeva questa storia, anni fa, ad un gruppo di ragazzini molto speciali... Perdonatemi se vi ho fatto aspettare, non vi ho dimenticati, spero che questa revisione vi piaccia perché grazie a voi che c'è ancora!
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati alcuni giorni da quell’incontro e Piccolo rimuginava ancora su quella strana bambina dagli occhi dorati che aveva incontrato sulle spiagge di quell’isola lontana, chiedendosi chi potesse essere. Conosceva tutti i bambini che abitavano nella zona, poiché era sua abitudine sorvolare per i cieli di quell’isola nelle ore più disparate, attento a non esser visto dal popolo, però lei non l’aveva mai notata prima. Che venisse da un altro continente? In un primo momento era stato tentato di consultare l’enorme libro dei censimenti, dove erano trascritti a mano dal demone Pianoforte, il servitore dalle fattezze di pterodattilo, il più vecchio e saggio dei demoni creati da suo padre, il nome di tutti gli abitanti del mondo, che annualmente veniva modificato a seconda delle nascite e delle morti, rinunciandoci quando si ricordò che con esso non erano allegate foto. Non sembrava neanche la figlia di uno di quei criminali che depredavano l’arcipelago, la postura che aveva assunto nonostante fosse in piedi sulla cima di uno scoglio era senz’altro frutto di mesi di educazione di portamento… Mmh… Beh, da come si era comportata, poteva benissimo esserlo: i boss della malavita che suo padre invitava a corte erano fissati con il galateo. Doveva convincersi che non l’avrebbe mai più rivista e che era da stupidi rimuginarci ancora.

In quella fredda mattina lui e suo padre, un demone mastodontico alto più di due metri dal volto solcato dalle rughe, stavano giocando a Shogi nell’immensa sala del trono, una stanza assai spartana rivestita di marmo blu notte, che la rendeva cupa e lugubre anche nelle ore diurne, con solo due enormi troni di pietra bianca e un piccolo tavolino di ossa di dinosauro a formare la mobilia. Ad un certo punto, mentre Piccolo stava sollevando la pedina del Drago blu che lo avrebbe messo in una posizione di vantaggio, delle urla echeggiarono nella sala. Entrambi i demoni sollevarono la testa dalla scacchiera e il Grande Mago ringhiò, infastidito “Cos’è tutto questo baccano?”. Si mise in ascolto e le estremità delle orecchie appuntite si mossero leggermente “Mmh… Sta succedendo qualcosa in giardino…” borbottò alla fine, seccato “Forse un altro di quegli umani imbecilli che si è messo in testa di farmi fuori…”. Si alzò dal trono e, insieme al figlio, si diresse verso uno dei balconi posti nei quattro punti cardinali della stanza, costruiti in quella maniera affinché il Re potesse osservare tutto ciò che circondava il King Castle.

Il balcone verso cui il Re era diretto, quello posto a sud, si affacciava anche su una parte dei giardini reali dove il tiranno aveva fatto impiantare alberi da frutto di vario tipo, che provenivano da ogni angolo del mondo. In quella stagione alcuni aranci e mandarini avevano raggiunto la perfetta maturazione e rilasciavano nell’aria un profumo invitante. Non era insolito in quella stagione che qualche abitante della Città Centrale, vinto dalla fame, avesse l’ardire di scavalcare le spesse mura dell’edificio e provasse a rubare qualche frutto, ma i guardiani demoniaci li avevano puntualmente fatti fuori non appena raggiungevano il cornicione. Di norma, riuscivano a farlo senza far troppo rumore. Per cui il sovrano si sorprese non poco quando assistette a quella scena.

Tamburello, uno dei più forti demoni creati dal Grande Mago, che aveva le fattezze e la pelle di un rettile antropomorfo munito di due grosse ali da pipistrello, stava inseguendo insieme a due inservienti umani una bambina. Quando uno di loro riusciva ad acciuffarla, ella urlava, tirava calci, graffiava e mordeva finché non riusciva a liberarsi.

Piccolo la riconobbe subito: nonostante ora l’elegante vestito fosse sporco e strappato in più punti tanto da poter intravvedere la pelle nivea sotto di essi ed i capelli erano unti e arruffati, era lei! La mocciosa della spiaggia! Furente, strinse tra le quattro dita la pedina del gioco che si era dimenticato di riporre sulla scacchiera, rischiando di sbriciolarla. Che cosa ci faceva nel suo giardino?

Il Grande Mago, invece, era quasi divertito da quella scena e chiese, con tono abbastanza alto da farsi sentire “Tamburello, che cosa abbiamo qui? Sembra un cucciolo di lince da come si dibatte… oppure è una piccola gazzella? E perché nessuno di voi riesce a prenderla?”. A quelle parole, tutti si fermarono. La bambina aveva gli occhi che scintillavano e il fiatone. Tamburello si inchinò profondamente e prese parola “Mio Re! Ho trovato questa piccola peste intenta a rubare delle arance dai vostri alberi…”. Cercò di afferrare la ragazzina ma ella schivò la sua presa e gridò “Mifletset smerig! Allontana quelle luride mani squamose da me!” e gli tirò un calcio agli stinchi, colpendolo con forza non comune per una bambina “Tu… Piccola bastarda!” urlò il demone, furioso. Con una mano riuscì ad afferrarle la testa con l’intento di farla sbattere a terra ma lei, pronta, poggiò le mani sull’erba e, stando in equilibrio su di esse, sollevò le gambe e gli tirò un altro calcio che lo colpì dietro le ginocchia, così che il mostro cadde al suo posto.

Il sovrano si mise a ridere di gusto “Ah, ah, ah! Incredibile! Tamburello che viene messo sotto da una mocciosa che puzza ancora di latte!” esclamò. Poi si librò in aria, scavalcò il cornicione, e si calò lentamente giù, fino a che non atterrò davanti alla piccola intrusa. Il viso scarno e rugoso sfoggiava un sorrisetto inquietante, che si allargò di più quando vide i servitori umani ritrarsi, terrorizzati e con le teste chine, mentre lei era rimasta dritta e perfettamente immobile, guardandolo con diffidenza e malcelato odio “In quanto a te… i tuoi genitori non ti hanno insegnato che davanti al Re del mondo ci si inchina?” “Da dove provengo io…” rispose la bambina senza scomporsi “Ci si inchina solo al cospetto degli Dei e della Morte”. Il Grande Mago si mise a ridacchiare. Aveva coraggio, la pulce. Si avvicinò di più a quella minuscola creatura che, a differenza di tutti, non arretrò di un solo passo né abbassò lo sguardo “Perché rubavi le mie arance?” “Perché ho fame e non sono l’unica in questa terra a patirla” rispose lei con furore. Allargo le braccia e aggiunse “Al di fuori di queste mura il vostro popolo è in costante sofferenza: la siccità che ha colpito le terre sud-ovest tre mesi fa ha decimato il raccolto e prosciugato i pozzi cittadini. I briganti fanno da padroni e rubano di tutto, spezzando le ossa e l’animo di coloro che provano a difendersi! In più i demone come il moccio volante qui…” indicò Tamburello, che intanto si era rialzato e la fissava con uno sguardo omicida, con la gamba colpita un po’ sollevata “Se vedono qualcuno infrangere il coprifuoco anche per il più insignificante dei motivi, lo torturano e lo ammazzano senza alcuna pietà!”. Poi puntò il dito contro il Grande Mago. I suoi occhi brillavano come due sfere elettriche e concluse, sprezzante “E voi ve ne state rinchiuso dentro al vostro castello, fregandovene di tutto ciò che vi circonda! Come potete considerarvi un sovrano?!?”.

Il Re la schiaffeggiò senza usare troppa forza ma quell’abbastanza da farle voltare la testa da una parte e la guancia colpita diventare rossa. La bambina fece una piccola esclamazione di dolore ma tirò su di nuovo la testa e lo guardò con odio. Vedeva le lacrime inumidirle gli occhi e un rivolo di sangue uscirle dal naso e dalla bocca ma ella non dette segno di cedimento. Il Grande Mago si accorse di provar simpatia per quella marmocchia “Sei una piccola insolente ma devo ammettere che hai del fegato a parlarmi ed a guardarmi in questo modo… Sai che intendo fare? Per premiarti del tuo coraggio e del tuo ardore non ti farò uccidere dai miei demoni come faccio di solito con gli altri intrusi, ma sarò io stesso a darti il colpo di grazia…”. La afferrò per un braccio così velocemente che ella non fece tempo a scansarsi. Poi si chinò su di lei e le accarezzò il viso, la guancia colpita, in un gesto quasi dolce “Se avessi avuto una figlia avrei voluto che fosse come te…” le sussurrò in un orecchio, in modo impercettibile, che sentì solo lei le parole. Poi posizionò la mano libera a pochi centimetri dal naso e fece scaturire l’energia sul suo palmo, che si illuminò di luce viola e produsse delle piccole scariche elettriche. I capelli corvini si gonfiarono per l’elettricità statica e la bambina chiuse gli occhi e strinse i pugni, preparandosi al colpo fatale. Fu allora che si udì una voce gridare “Fermatevi!”.

L’aria smise di crepitare ed ella si voltò verso il palazzo reale, sorpresa. Solo allora si era accorta che, ad osservare la scena da un balcone, c’era anche quell’arrogante bambino incontrato sulla spiaggia.

Il sovrano fu sorpreso dal comportamento del figlio. Non gli aveva mai detto di fermarsi durante un esecuzione, anzi, certe volte l’aveva anche incoraggiato. Piccolo lo raggiunse e disse “Padre, non uccidetela. E’ da tempo che sto cercando uno schiavo personale da utilizzare per i miei allenamenti…”. Le diede un’occhiata fugace ed aggiunse “… E lei mi sembra adatta a questo scopo…” “Questa volta non posso esaudire il tuo desiderio, Junior…” sospirò il genitore “Questa ragazzina si è insinuata nel nostro castello con l’intento di derubarci e, di questo ne sono certo, che avrebbe tentato anche di ucciderci se solo ci avesse pensato…”. La guardò in tralice “Bambini come lei, figlio mio, possono rivelarsi una vera seccatura…”. Piccolo incrociò le braccia e ribatté “State tranquillo, padre, non ho intenzione di essere indulgente con questa piccola stracciona: se non starà al passo con i miei allenamenti potete star pur certo che ella morirà di fatica nel giro di pochi giorni…”. Il Grande Mago sospirò, senza riuscire però a nascondere un sorriso. Non sapeva dir di no al suo figlio prediletto. “E sia” borbottò egli scuotendo la testa. Tornò a prestare la sua attenzione alla bambina “Sei una bimba molto fortunata”. Le afferrò il mento e le alzò la testa, fino a quando il nero dei suoi occhi non si incrociò con l’oro dei suoi “Però ti avverto: se mio figlio dovesse pronunciare anche solo una parola contro di te andrai a fare compagnia agli angeli…”.

“Ehi! Perché mi hai salvata?” domandò la bambina a Piccolo, appena furono da soli. Il bambino demoniaco l’aveva condotta in un altro giardino, dove lui era solito allenarsi. Esso era una perfetta riproduzione di una zona desertica posta tra la Città dell’Ovest e la Città del Sud, con tanto di alberi e fiumi. La ragazzina era stata accuratamente pulita e vestita con abiti nuovi, una tunica sportiva sempre di foggia asiatica che variava dal rosso per la maglia e il rosa per i pantaloni con l’orlo nero. I piedi però erano rimasti nudi, rispondendo alle polemiche delle servitrici con un “Dalle mie parti ci si mette le scarpe solo quando fa freddo e c’e la neve” “Mfh! Non credevo che tu fossi sorda...” rispose l’altro, seccato, riscaldandosi i muscoli delle gambe. Le diede un’occhiata truce e aggiunse “Ho notato che conosci qualche nozione base delle arti marziali ed avevo proprio bisogno di qualcuno con cui allenarmi che fosse più o meno della mia altezza…”. Si mise in posizione d’attacco e ringhiò “Avanti… Fatti sotto!”. Lei socchiuse gli occhi “Come ti chiami?” “Cosa?!?” esclamò il bambino, scioccato. “Se devo stare qui dovrò conoscere il tuo nome…” “E’ assurdo… Tutti quanti lo sanno! Non c’è uomo, vecchio, donna o bambino che non tremino di paura al mio cospetto!”. Vedendo che lei continuava a fissarlo Piccolo mostrò i denti aguzzi, fece un ironico inchino e si presentò “Sono Piccolo Junior, figlio del Grande Mago Piccolo, futuro re del mondo!”. Subito dopo, scattò verso la sua direzione e le tirò un calcio ma la bambina riuscì a schivarlo facilmente, facendo un passo indietro.

Iniziarono a combattere, o meglio… Piccolo continuava a sferrare pugni e calci mentre lei schivava e parava. “E tu? Chi diavolo sei?” domandò il bambino sferrandole un calcio diretto alla testa ma che ella parò con un braccio “Che cosa ti importa? Per voi gli schiavi non posseggono un nome!”. Lui arrossì leggermente. Le sferrò un pugno diretto allo stomaco ma l’altra si scansò con facilità. E questa volta reagì. Allungò la gamba, toccandogli con un piede la caviglia, e la ritirò con forza facendogli uno sgambetto. Piccolo iniziò a cadere in avanti. La piccola corvina sorrise trionfante e abbassò la guardia. Fu un grave errore.

Dimostrandosi all’altezza della fama di suo padre, Piccolo non si fece cogliere impreparato: con un braccio le cinse il collo e la fece cadere insieme a lui. La bambina cercò di toglierselo di dosso ma Piccolo era molto più esperto nel combattimento corpo a corpo così le prese agilmente il braccio e glielo torse dietro la schiena. La corvina urlò delle proteste, a cui venne risposta con una serie di ghigni e con un ordine “Dimmi il tuo nome!”. Per tutta risposta lei fece un verso rabbioso e gli tirò una gomitata con il braccio libero, colpendolo con forza allo stomaco. Lui incassò il colpo senza, però, riuscire a trattenere un gemito di dolore. Furioso le torse ancora di più il braccio, facendola squittire, e ripeté, ringhiando “Dimmi il tuo stupido nome!”. La bambina gli tirò un’altra gomitata ma vedendo che il bambino non mollava rantolò “Va bene… te lo dico… ma lasciami andare, mi stai facendo male!”. Lui obbedì e incrociò le braccia, come faceva spesso il padre, con un sorrisetto vittorioso dipinto sulle labbra. La bambina gli lanciò un’occhiata carica di disprezzo e borbottò “Il mio nome è Lyrica”. Si prese il polso e iniziò a massaggiarselo “Solo Lyrica”.

  
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