Vagavo in un corridoio oscuro. Ciononostante riuscivo a distinguere
le cose intorno a me. Il posto sembrava la cripta di una chiesa
gotica, con le pareti in pietra e le volte a crociera che incombevano
su di me. Ogni tanto l’oscurità opprimente veniva intervallata da
piccole nicchie in cui rilucevano lanterne. Paradossalmente, le zone
illuminate non contribuivano a rendermi più tranquilla. Anzi,
aumentavano l’atmosfera cupa che si respirava. Inciampai su uno
scheletro riverso a terra e caddi. Ero convinta di essere seguita, ma
non c’era nessuno e non riuscivo a correre per togliermi da lì.
Incedevo con passo lento e stremato, ansimando in preda al panico. Il
mio respiro si condensava in sbuffi di vapore davanti al mio viso. Di
fronte a me, in fondo al corridoio, si materializzò una luce fioca.
Mi strinsi nel mantello nero che indossavo, tremando infreddolita.
Poggiai la mano sulla mia pancia, dove sapevo esserci il mio bambino
che (almeno speravo) riposava tranquillo. Il tocco non contribuì a
calmarmi come speravo, ma mi diede comunque la forza di andare
avanti. Raggiunsi la luce fioca in un tempo che mi sembrò infinito.
Mi ritrovai in una grande stanza illuminata dal furioso fuoco che
rombava in un enorme camino. In mezzo alla stanza, in cerchio,
stavano cinque persone avvolte da pesanti cappe nere, ognuna posta
sulla punta di un’enorme stella nera disegnata sul pavimento, con
in mano una candela nera spenta. Cercai di aguzzare la vista, e vidi
che la stella non era completa, mancava il lato orizzontale, ed era
inscritta in un cerchio. Negli spazi vuoti del pentacolo c’erano
degli strani fregi, forse delle croci.
Al centro del pentacolo
stava un fagotto coperto da un telo nero. Non ne ero sicura, ma il
fagotto sembrava muoversi e lamentarsi debolmente.
“Dove sono?”
mi rivolsi alle persone che stavano in cerchio. Nessuna
risposta.
“Cosa sta succedendo?” ancora niente. Una forza
misteriosa cominciò a spostare il telo da sopra il fagotto. Come
ipnotizzata, fissai il telo che si muoveva fino a che non rivelò il
piedino di un neonato. Scossi la testa, indietreggiando fino a
scontrarmi contro qualcosa. Mi voltai e mi ritrovai a fissare in
faccia un enorme cane nero, lo stesso che avevo visto al ristorante.
Al garrese era grande almeno quanto me. Andai quasi in
iperventilazione vedendo che la sua pelliccia era mezza mangiata da
larve. La sua carne era divorata dai vermi, ma, nonostante questo,
quella bestia era chiaramente muscolosa e possente. Sotto la pelle
erano visibili delle… cose … che si muovevano. A
intuito
si sarebbero detti scarafaggi. Qui e lì si intravedevano le ossa
della bestia. Vacillai in preda al disgusto, aumentando la presa
sulla mia pancia, quasi a proteggere mio figlio da una visione tanto
orribile.
Il cane mi fissò, poi andò con incedere solenne verso
il centro del pentacolo. Adesso il neonato era del tutto scoperto. Un
maschietto. Era così carino, così dolce e innocente… mi guardò e
sorrise, addirittura, i ciuffetti rossi sulla sua testolina
evidenziati dal fuoco del camino. Non avevo idea di chi fosse, quel
bambino, né del perché fosse lì, ma il mio istinto mi diceva che
avrei dovuto provare a prenderlo in braccio e a portarlo via da lì.
Tuttavia non riuscivo a muovermi. Vidi la bestia guardarlo e leccarsi
i baffi. In quel momento le candele in mano alle persone si accesero.
A quel punto il bambino cominciò a piangere. Nella mia testa
riecheggiava un infinito eco di “no, no, per favore, no!”. Il
cane mi fissò con aria di sfida, come a dirmi di andarmi a prendere
il bambino. Ma non riuscivo a muovermi e la bestia lo sapeva. Ero
terrorizzata, ormai avevo capito cosa stava per succedere. Non volevo
che succedesse. Per favore, no!
Sono sicura che il cane
mi sentì. Tuttavia mi ignorò e fissò il bimbo con aria famelica.
Il piccolino strillò istericamente. Fu l’ultimo suono che emise,
prima che la bestia si avventasse su di lui, sbranandolo.
Io
urlai. Urlai. E urlai.
Caddi dal letto, singhiozzando
violentemente. Poi mi ritrovai china sul water a vomitare la cena
della sera prima. Non ricordavo nemmeno come ci ero arrivata. Quando
ebbi finito, Mi sentivo gli occhi gonfi e un sapore orribile in
bocca. Mi guardai allo specchio. Lo sforzo del vomito mi aveva
riempito la faccia di puntini rossi. Sembravo un cadavere. Camminai a
passettini strascicati fino alla mia camera. Il letto matrimoniale
era vuoto. Secondo la sveglia erano le nove passate. Ma certo. Visto
il mio calo di pressione della sera prima, Alberto aveva preferito
occuparsi di Paolo, lasciandomi dormire. Me ne aveva anche parlato,
ma ero abbastanza confusa, quindi mi era passato di mente. Andai al
tavolo in cucina, lasciandomi cadere pesantemente su una sedia.
Buon
Dio, che sogno orribile! Lo sapevo, era solo un incubo, ma sembrava
così reale… Speravo fosse una piccola
intossicazione ad
avermelo provocato. Per buona misura, avrei tolto i dolci dalla mia
alimentazione. E avrei cercato di contenermi ulteriormente, nel
mangiare, anche se, per quello, avrei dovuto consultare il dottor
Righi. Non volevo rischiare di mettermi a seguire una dieta
sconsiderata e far nascere il mio cucciolo denutrito. Ma intanto,
magari, quel libro di racconti dell’orrore di Ambrose Bierce
avrebbe atteso il parto, prima di essere terminato. Così, giusto per
ulteriore precauzione.
In verità, per chissà quale motivo, non
ero così sicura che la cosa avrebbe aiutato granché. Ma un
tentativo lo potevo fare.
Il mio cellulare squillò,
distogliendomi dai miei cupi pensieri. Era mio padre.
“Ciao,
papà!” risposi “Come mai a casa?”
“Ciao Mel. Sono appena
stato dal medico per la gastroscopia.” Qualcosa non andava. Perché
quel tono così serio?
“Cosa succede, papà?”
“Pare che
ci sia qualcosa che non funziona.”
“Che cosa?” sentii il mio
stomaco farsi di piombo.
“Non si sa ancora nulla, mi
consegneranno i risultati la settimana prossima. Ma potrebbe essere
qualcosa di più serio di un semplice mal di stomaco.”
Restai in
silenzio ad assimilare la notizia.
“Mel?”
“Potrebbe
essere una semplice ulcera, no?” mormorai, speranzosa.
“Può
darsi, tesoro mio, può darsi.” Non mi sembrava molto convinto.
“Cerca di stare serena, d’accordo? Non so neanche perché ti ho
chiamato, alla fine. Dopotutto non ho notizie certe della cosa,
magari è una sciocchezza.”
Annuii, anche se sapevo che non
poteva vedermi. “Riguardati, papà, d’accordo?”
“Certo,
tesoro. Anche tu. Non ti sento molto tranquilla.”
“Oh, nulla
di che, ho solo avuto una notte alquanto agitata.”
“D’accordo,
allora. Riposati, va bene? Ne hai bisogno.”
“Certo, papà. Un
bacio.”
“Un bacio, tesoro.”
Appoggiai il telefono sul tavolo, poi mi alzai per prepararmi una tisana, cercando di non pensare a niente.
Angolo
autrice: Eccomi qua! Spero che, finora, il mio racconto vi stia
piacendo! Qualora voleste lasciare recensioni, sappiate che saranno
molto gradite!
Ringrazio
Knetgummi e La Luna Nera, che hanno messo questa storia tra le
seguite. Ringrazio sempre La Luna Nera, che ha recensito regolarmente
la storia. Ringrazio anche Vale The Wolf/The Killer per la recensione
che ha rilasciato all’inizio di questo parto della mia fantasia.
Un
grazie va anche a Namary, che, conoscendomi personalmente, recensisce
le storie direttamente alla fonte!
Dunque,
per quanto riguarda questo capitolo, volevo chiarire un paio di
cose.
Innanzitutto
un piccolo glossario: il garrese, per chi non lo sapesse, è il punto
più alto della schiena di un animale a quattro zampe (non dove
inizia il collo, sia chiaro).
Poi,
non sono un’esperta di simbologia satanica, ho semplicemente
sfruttato la superstizione cristiana per descrivere quel simbolo (le
croci che Mel vede nel suo sogno, sono croci da interpretarsi come
rovesciate). Tra l’altro, giusto per togliere un po’ di
pregiudizi, in realtà il pentacolo non è
un simbolo malefico. Ha varie funzioni, ma per lo più è un simbolo
di protezione. Infatti ho fatto in modo che il pentacolo fosse
incompleto per rispetto alla sacralità del simbolo (oltre al fatto
che, secondo le superstizioni cristiane più radicate, i simboli
incompleti sono legati a Satana).
Ciò
non toglie che i pazzi posso prendere i simboli e usarli a loro
piacimento, dissacrando loro e traviando i loro seguaci (il nazismo
con la svastica ne è un esempio lampante, visto che la svastica è
il simbolo orientale del sole).
Scusate
la piccola lezioncina.
Dunque,
da quello che potete intuire, le cose adesso cominciano a mettersi
male per Mel. Già quest’incubo non è stato facile da descrivere
(niente spoiler), da adesso in poi le cose andranno peggiorando.
Ecco
a voi il simbolo nell’incubo di Mel. Abbiate pazienza, l’ho
buttato giù abbastanza in fretta. Fatemi sapere se riuscite a
visualizzarlo, per favore.