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Autore: cartacciabianca    12/02/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Il viaggio




-Ma che casino!- sbottai alzandomi. –Il succo è che la mia antenata se la faceva col primo assassino di turno! Per non parlare di quello lì, com’è che si chiama? Ah, già! Quel Marhim che ha tanto l’aria gelosa attorno!- continuai a gridare. –Ma che roba! Non me lo sarei mai aspetta, pensavo che la mia trisavola avesse del buon senso, ma invece era tale e quale a sua madre! Dio quante gliene avrei dette- mi alzai stropicciandomi gli occhi. –Se solo il mio albero genealogico contenesse qualche bel maschietto orgoglioso, lì la cosa inizierebbe ad essere divertente! Avanti, Doc, non chiedo molto! Perché non controllare il fratello di Elena? Quella ragazzina mi da sui nervi! E chi è poi questo ragazzo dal nome “tutto al suo tempo”!? Perché il vecchio si ostina a tenerglielo nascosto, poverina! E sarei tanto felice di conoscere un altro membro della mia famigliola tranquilla! Caspita, il tempo vola qui fuori, è già… notte…- mi guardai attorno, ammutolendo.
C’era un tipo che mi fissava: aveva i capelli neri, corti e ricci e occhi scuri. Indossava uno smoking scuro e una cravatta rossa. Maneggiava nervosamente con una cartellina bianca stretta nel pugno, sbattendoci contro una penna bianca.
-Andrea - mi chiamò la voce di Lucy e mi voltai.
La donna era alle mie spalle, in piedi accanto a Desmond. –Alex Viego, dell’Abstergo Industries è qui per farti alcune domande- mi disse.
Io sbiancai; quel nome non mi era nuovo. Eccome se non mi era nuovo.
Alex Viego, quel nome compariva sullo screen del cellulare di mio padre quando lui era sotto la doccia ed io girovagavo per casa senza un cavolo da fare. Quel nome era sulle poste che arrivavano in banca, quel nome era sul cerca persone del mio papà, nei suoi documenti, sul suo passaporto e anche sulla sua patente. Alex Viego, Alex Viego, pensai più volte…
Ovviamente lui dovette accorgersi della mia faccia sconvolta e attonita, perché Alex mosse un passo nella mia direzione e si sedette sulla poltroncina beige. –Insisto che sia una conversazione privata- fece il ragazzo guardando Lucy e Desmond dietro di me.
Il soggetto 17 e la signorina Stilman lasciarono il laboratorio rifugiandosi tra i muri della sala conferenze. Li osservai attraverso lo spesso vetro trasparente. Si scambiarono qualche parola, poi Lucy e Desmond si sedettero al tavolo delle riunioni.
Io spostai gli occhi sul mio interlocutore, e mi accomodai di nuovo sull’Animus con le gambe a penzoloni. –Io ti conosco- bisbigliai.
Lui cominciò ad appuntare alcune cose su una griglia, ma mi domandò lo stesso –Come?-.
-Io ti conosco!- ripetei lasciando che il mio inquieto animo si gettasse su di lui. –Mio padre sembrava conoscerti! Il tuo nome era dappertutto in casa mia! Chi sei? Che cosa vuoi?- d’un tratto pensavo che fosse quel Viego la causa di tutti i miei malesseri, i miei sacrifici lì dentro, giorno dopo giorno in quel mondo virtuale di merda!
Alex mi scrutò in silenzio, poi riprese a scrivere. –Sì, conoscevo tuo padre. Gran uomo- rise.
Mi tirai sull’Animus e incrociai le gambe. –Ah sì, e cosa avevi con lui? O contro di lui…- borbottai.
Alex, come risposta, tornò in piedi e mi si avvicinò. –Non sono qui per questo, signorina Tomas. Il lavoro su di lei ha delle scadenze, che a causa degli ultimi avvenimenti sono state anticipate! Per altro, il professor Vidic mi ha appena illustrato che con la rimozione di un ricordo, sono stati cancellati molti dei nuovi checkpoint aggiuntivi e che l’analisi della sua antenata potrebbe portarti troppo fuori dai tempi!- mi gridò addosso schiacciandomi.
Mi feci più indietro. –che cosa vuol dire?- domandai abbassando il tono, sperando che lui avrebbe fatto altrettanto.
Alex lanciò la cartellina sulla poltrona e prese a massaggiarsi le tempie. –I suoi non saranno più due mesi di lavoro, ma bensì quattro, o forse cinque… e non sappiamo chi abbia potuto manomettere i suoi ricordi! D’altro canto l’uomo che ha ucciso il mio cliente è fuggito di galera poche sere fa, e la polizia lo sta cercando ovunque… mi creda, sarà un nuovo periodo orribile per tutti quanti- mi guardò, rabbioso.
Quattro mesi? Bel casino che aveva fatto Lucy… eppure, non sapevo se tenere la bocca chiusa sarebbe stata una buona cosa. Eppure sapevo che Desmond e Lucy erano buoni amici, e tradire la fiducia di entrambi sarebbe stata una cattiva cosa.
Mi ridussi ad annuire, con la verità che mi scalava la gola ogni secondo che trascorrevo davanti a quell’uomo.
Alex cercò nelle tasche della giacca, e dopo poco ne trasse un foglio. Me lo porse.
-Riconosce qualcuno di questi nomi?- mi chiese.
Era una lista compatta di almeno una dozzina di persone. Lessi i primi in cima:
-Bessotti, Serch, Trust, Falchioni, Crew… ma chi sono? E cosa c’entrano con me?- gli restituii la lista, e Alex se la rimise nella giacca.
-Per ora nulla, ma in futuro potrebbe ricordarsi di loro allo stesso modo di come si è ricordata di me, signorina Tomas- sorrise maligno.
Lo guardai torva, sospettosa. – mi piacerebbe saperne di più- parlottai più a me stessa, di fatti Alex non mi rispose.
Afferrò la cartellina, l’aprì e cominciò sull’immediato il questionario.
Furono una decina di domande lunghe e strazianti.
Il signor Viego, negli interessi dell’azienda, doveva accertarsi delle mie condizioni fisiche e mentali, così la maggior parte delle richieste furono problemi matematici delle elementari.
Solo verso la fine, la conversazione si fece più accesa, e l’argomento cadde sull’ “isolamento dal resto del mondo”.
-Io non sono sola- gli risposi tranquilla. –Desmond mi basta e avanza- aggiunsi cercando di dare ilarità al tono. In fondo, sapevo cos’era successo tra me e Desmond soprattutto negli ultimi tempi… ehehe… risi tra me e me.
Quando finimmo, non mi sentivo neppure le forse per trascinarmi nella mia stanza da letto. Rimasi seduta sull’Animus fin quando Alex non si alzò e andò a chiamare Lucy e Desmond nella sala accanto.
-Abbiamo finito- disse il ragazzo.
-Tornerà la prossima settimana?- domandò Lucy accompagnandolo all’uscita del laboratorio, e i due scomparvero nei corridoi bianchi dell’Abstergo.
Desmond mi si avvicinò, notando la mia faccia assonnata e sconvolta. –Tutto bene?- mi chiese aggrottando le sopracciglia.
In principio non risposi. Chissà se per pigrizia o forse perché stavo dormendo ad occhi aperti, ma Desmond mi pizzicò la spalla. –Ahio!- feci risvegliandomi dalla mia convalescenza.
-Ah, ecco, stavo cominciando a preoccuparmi- rise lui.
-Ha fatto anche a te questa roba?-.
Il ragazzo annuì. –Sembra che qualcuno abbia capito che non siamo ratti da laboratorio. Ma resta lo stesso pubblicità per non far incazzare i media, che sicuramente ce l’avranno con l’azienda per tutti quei morti che il progetto Animus ha comportato!- alzò le spalle.
Io scesi dalla macchina e mossi i primi passi verso la camera. –Scusa se sta sera non ti filo, ma non mi reggo in piedi- gli dissi, e la porta della stanza si richiuse dietro di me.

L’alba sorgeva: chiara, maestosa ma lenta, e la valle si riappropriò dei suo colori.
Elena si alzò che aveva un gran torcicollo, e muovere la testa alla sua sinistra le dava un dolore immondo! Maledisse il giorno in cui si sarebbe addormentata di nuovo tra quegli scomodi cuscini colorati.
Si affacciò alle vetrate, cercando di tenere rilassati i muscoli della schiena, o una nuova fitta l’avrebbe sorpresa. –Ci mancava…- borbottò mentre gli occhi le brillavano dei raggi del sole bianchi che vi si specchiavano.
Quella mattina avrebbe dovuto affrontare una pesante cavalcata fino ad Acri, e quel piccolo handicap l’avrebbe rallentata in tutte le sue azioni, innervosendo anche il suo maestro…
Non riuscì a non pensare agli avvenimenti della sera prima, anzi, di poche ore prima.
Altair si era fidato di loro, si disse andando verso la sua stanza per cambiarsi. Nella sua mente si susseguivano le immagini, le emozioni, e un brivido le salì lungo la schiena.
Si vestì in fretta, non volendo farsi trovare impreparata da Adha, che a breve avrebbe fatto la sua comparsa.
Elena si armò di tutto punto, stringendo al meglio i lacci degli stivali e dei guanti. Fissò saldatemene le cinghie con il triangolino di metallo, infilando la spada corta nel fodero sulla sua schiena; raggruppò tutti i pugnali da lancio sistemandoli uno ad uno nei rispettivi astucci, si allacciò la spada al fianco e, in fine, nascose la collana di sua madre sotto la stoffa della veste.
Uscì dalla stanza, e tornò a guardare il cielo azzurro, magnifico.
La vista mozzafiato, lo strapiombo, il lago, i colombi sui tetti che facevano quel piacevole: gruuuu, gruuuu… tutto quello le sarebbe mancato, e in sé sentiva già un gran senso di nostalgia. Andarsene, però, era l’unico modo per occupare la ragione con qualcosa che non fosse il volto di Rhami. Si sentiva in dovere di chiarire le cose con il ragazzo, ma non ne avrebbe trovato la forza. Se si fosse avvicinata di nuovo a lui per dirle che dovevano dimenticare quello che era successo, Elena temeva che le sarebbero balzate addosso ancora una volta le stesse insicurezze, paure, voglie che l’avevano fatta scivolare tra le braccia dell’assassino. No, si disse, non poteva rischiare quello che aveva passato sua madre. Elena era lì per riscattare il nome della sua famiglia, e se le cose sarebbero peggiorate, come Alice, avrebbe dovuto lasciare la confraternita… e lei non voleva. In quel luogo aveva scoperto la sua nuova vita, gli amici e i nemici. Marhim era suo amico, un suo grande amico. Elika l’aveva consolata nel momento del bisogno, e Altair aveva tuttora molto da insegnarle.  L’unico fondamentale motivo che la mandava avanti giorno dopo giorno, tuttavia, era che non poteva certo abbandonare la ricerca di suo fratello così!
Come da lei previsto, Adha non tardò ad arrivare.
La sua tunica lunga e bianca, dai ricami sanguinei, strusciava sulle tegole del pavimento e la donna si teneva i lembi del vestito con grazia. Le sorrise venendole accanto, ma Elena si ritrasse.
-Scusa, vorrei solo fare alla svelta- disse seria la ragazza.
Adha non disse nulla, si limitò ad annuire e l’accompagnò giù per le scale.
Il corridoio delle camere degli Angeli era avvolto nel buio, e i loro passi sbattevano tra le strette pareti.
Elena la seguì fino nella sala mensa, dove fece una colazione veloce tutta sola.
A quell’ora le donne che giravano per la fortezza erano poche, e si spostavano come fantasmi, in un silenzio spaventoso.
Dopo aver finito il pasto, Adha le venne accanto. –Devo avvertire il Maestro che siete in procinto di partire. Se hai tanta fretta, perché non vai a buttare tu giù dal letto il tuo insegnante?-.
Elena sobbalzò.
La donna lasciò la sala mensa, ed Elena rimase seduta al tavolo con il piatto vuoto davanti. E così, pensò, il suo maestro d’armi non si era ancora svegliato? Buffo, anzi, assurdo.
Elena seguì i consigli di Adha, ma si fermò a metà strada.
Dov’era la sua stanza? insomma, dov’è che riposava Altair? Sicuramente non assieme agli altri Angeli, vicino agli appartamenti delle Dee, forse altrove.
La ragazza vagò per tutti i piani della rocca forte, fin quando, per un solo istante, il suo sguardo non si posò su una figura che avanzava in un corridoi buio.
Elena seguì Fredrik quasi di corsa e, dopo averlo raggiunto, si schiarì la voce.
L’assassino si voltò. Aveva il viso scoperto, e la maggior parte del suo equipaggiamento l’aveva lasciato altrove. –Elena- fece proferendo un piccolo inchino.
La ragazza andò subito al sodo, evitando gli occhi verdi dell’uomo. –Adha mi manda a chiamare il mio maestro, ma non ho idea di dove sia. Potreste indicarmi la strada?- disse d’un fiato.
Fredrik le indicò una galleria tra la pietra che aveva sbocco su un cortile che Elena non aveva mai notato. –è la via più corta- le disse guardandola. –c’è un cortile, sali al primo piano. Primo corridoio a destra poi te la trovi davanti, è la stanza in fondo. Non credo comunque che stia ancora dormendo- rise l’assassino.
Elena si strinse nelle spalle. –Grazie- mormorò e si avviò.
Il chiostro mostrava una giovane fontana di marmo bianco nel centro, dalla quale sfavillava acqua cristallina. C’erano delle strette scalette di pietra che costeggiavano la parete fino a due, tre piani sopra, ed Elena seguì le indicazioni dell’Angelo e individuò il corridoio dettatole.
Lo percorse tutto quanto, fino a che davanti a lei non si prostrò un porta a doppia anta, cui uno dei due battenti era socchiuso. Elena si strinse in quel piccolo spazio ed entrò nella stanza.
Una camera sobria, di pocho arredo. Maree di libri ammucchiati a terra e sullo scrittoio di mogano; pergamene, cartine geografiche e geopolitiche.
Le tende erano ripiegate ai lati delle ampie vetrate che affacciavano su un vasto altopiano alle spalle della fortezza. L’erba verde andava a diradarsi nelle prossimità dello strapiombo roccioso.
C’era un soppalco che copriva gran parte del soffitto.
Il disordine e l’ordine si alternavano dovunque Elena puntasse lo sguardo: c’erano dei vestiti buttati sopra una cassapanca, semplici e di poco conto. Un armadio a parete spalancato mostrava le diverse divise impilate tra le mensole.
Elena mosse alcuni passi avanti, quando un urlo acutissimo la costrinse a coprirsi le orecchie.
Il grido cessò, e la ragazza si guardò attorno spaventata.
C’era un magnifico falco, che zampettava sulla scrivania fissandola con rabbia. Il becco ricurvo e le piume brillanti di un argento vivo, artigli appuntiti che sembravano graffiare il legno dello scrittoio. Portava un cappuccio sulla testolina scattante, e una mantellina nera che gli copriva le piume del dorso; la coda lunga e piumata, colorata delle più sgargianti sfumature di grigio.
L’animale saltellò su e giù tra i libri e le pergamene, dilatò le ali un paio di volte e le sbatté mentre il suo petto chiaro si gonfiava, ed un nuovo grido squassò il silenzio della stanza.
Elena si avventò sul pollo e provò a farlo tacere, ma l’uccello si librò in aria e perse alcune delle piume quando Elena provò ad acchiapparlo per la coda. La bestiola si rifugiò sull’alto di una delle librerie e la squadrò con i suoi occhi, che non erano altro che pozzi scuri senza fine.
Chissà come ci era entrato quel tacchino lì dentro! Pensò la ragazza fissando la creatura con insistenza.
Il falco planò sulla scrivania e tornò a zampettare tra i libri, ed Elena si ridusse ad osservarlo divertita.
Muoveva la testa a scatti, voltandosi e rivoltandosi in più momenti sempre dalle stesse parti. Gli artigli ticchettavano sul mogano lasciando solchi invisibili.
-Rashida Hadiya Rania Wafa, via dal tavolo!- sbottò una voce alle sue spalle, ed Elena si voltò.
Il falco spiccò il volo e sparì nel buio del soppalco con un gemito.
Altair era in piedi davanti a lei e controllava che l’animale non lasciasse il suo nascondiglio, nel quale si era ficcato quando il suo padrone l’aveva sgridato.
Altair la sorpassò e si piegò sulla scrivania, verificò che gli artigli dell’uccello non avessero fatto troppi danni. –Che ci fai qui?- le chiese senza guardarla.
Elena si mosse indietro, forse non era ben accetta in quella camera, ma Fredrik l’aveva indirizzata lì senza problemi. –Io…- balbettò.
Il suo maestro si girò a la squadrò dai piedi alla punta dei capelli. –Una risposta?- la interrogò seccato.
Elena prese fiato. –Adha mi aveva mandata a chiamarvi, ho solo fatto quello che mi ha chiesto di… insomma- esitò. –scusate, maestro, se sono entrata senza il vostro permesso…-.
Altair la contemplò allungo senza dire nulla, poi emise un fischio acuto e il falchetto venne giù dal soppalco.
Altair gli accarezzò il becco quando la bestiola gli si artigliò al guanto destro, quello senza le placche di metallo. Affettuoso, l’animale strusciò il proprio muso contro il suo mento. –Sono contento che abbiate fatto conoscenza- disse l’assassino, e anche gli occhi della piumata si spostarono su di lei. Elena rabbrividì.
-È vostro?- interpellò la ragazza indicando la bestiola.
-Se non fosse per lei- cominciò Altair –oggi non indosserei queste vesti-.
Il falco continuava ad appiattire la sua testolina sul mento dell’uomo, come i gatti quando si attaccano e non si scollano più alle gambe di una persona. Elena provò serenità nel ammirare quella scena.
-Mi ha fatto prendere un colpo, mi ringhiava contro- si lamentò lei.
Altair soffocò una risata. –è normale, è addestrata apposta- la informò.
-Una lei?- mormorò stupita la ragazza, avvicinandosi al suo maestro.
L’assassino annuì, accarezzando le fini zampette della falchetta. –Rashida per la sua scaltrezza, la sua furbizia e la sua intelligenza. Hadiya perché mi è stata donata da un vecchio amico… Rania, poiché osserva dall’alto e mi guida verso il giusto. Wafa è la sua fedeltà al mio braccio e alla mia carne. Io la chiamo semplicemente Rashy- Altair le sorrise.
Elena non se ne stupì. Tutti quei nomi che il suo mentore aveva elencato corrispondevano agli atteggiamenti della sua piccola spalla, fatale quanto gracile. –Rashy- ripeté allungando una mano.
L’uccella scattò in avanti gridando e quasi le staccò un dito.
Elena indietreggiò spaurita.
-Ci si comporta così con gli ospiti, eh? Saggia e intelligente quando le va’- rise l’assassino. –Perdonala, è piuttosto nervosa ultimamente-.
Elena osservò il falco zampettare fin sulla spalla dell’uomo, e di seguito cominciò a beccargli il cappuccio, come a volerglielo sfilare via.
-Dunque, siamo pronti a partire- concluse l’assassino.
Elena annuì. –Per quanto mi riguarda, sì, maestro- abbassò il capo.
-Aspettami nel cortile, ho delle ultime faccende da sbrigare- le disse, ed Elena si avviò fuori dalla stanza con passo svelto.
Sperava tanto che Altair le concedesse altro tempo prima della partenza: abbastanza da poter salutare i più cari, ma non troppo da poter incontrare i suoi nemici.
Percorse la strada che aveva fatto a venire e raggiunse il cortile interno dove vi erano le guardie di pattuglia e gli arcieri sulle mura. Il campo di addestramento era vuoto e silenzioso, e soffiava un tenue venticello fresco che sollevava le polveri del terreno.
Elena girò più volte lo sguardo, si aspettava di trovare Marhim magari lì ad aspettarla come faceva di solito, ma nulla: tutti gli assassini sembravano esserci volatilizzati.
Così Elena corse nella sala del Maestro e si fermò trattenendo il fiato davanti alla scrivania cui era seduto il vecchio Tharidl.
-Buon giorno a te, Elena- fece continuando a scrivere su un’antica pergamena.
-Maestro- Elena proferì un lieve inchino. –Sto cercando Marhim, volevo parlare lui prima della mia partenza- lo infornò.
Il vecchio intinse il pennino nell’inchiostro. –Credo che non lo troverai da nessuna parte se non ad Alhepo. Marhim è partito stamani per raggiungere suo fratello-.
Elena tacque, ammutolita.
La prima domanda fu perché? Marhim era sembrato così triste di doversi ritrovare solo a Masyaf senza né lei né suo fratello. Le aveva persino confessato che non si sarebbe riunito ad Halef perché l’omicidio non lo affascinava più di tanto, perché non voleva crescere di rango, perché si ostinava a stare piegato sui libri piuttosto che andare a caccia della nomina di Angelo.
Elena si chiese se il motivo della sua partenza fosse stato influenzato dai comportamenti di Rhami la sera prima. Elena ricordava bene come lui e Marhim tenevano sempre alta cresta l’uno contro l’altro, e ancora quella mattina Elena aveva chiara l’immagine del suo caro amico che stringeva i denti nel vederla ballare con l’assassino suo avversario… avversario? Avversario in cosa, poi…
-Non ha voluto darmi alcuna spiegazione se non ammettere di avere delle capacità da sfruttare- aggiunse Tharidl muovendo il polso in una calligrafia retta e ordinata. – si è alzato che era ancora buio, ed io aveva del lavoro da terminare prima di oggi, così non ho dato peso alle sue parole. Ho forse sbagliato in questo, Elena? Avrei dovuto chiedergli di più affinché nella tua mente non volassero altri dubbi?- le domandò premuroso.
Elena scosse la testa. –No, non ce ne sarebbe stato bisogno- mormorò abbassando lo sguardo.
-Ottimo, puoi aspettare qui il tempo necessario perché il tuo maestro finisca i suoi preparativi. Vieni, siediti accanto a me- le disse indicando lo sgabello al suo fianco.
Elena vi si sedette lentamente, guardando circospetta gli scritti che Tharidl era intento nel maneggiare. Alcuni vecchi tomi polverosi e la cartina di Masyaf ornavano il suo scrittoio, riducendo lo spazio godibile ad una persona sola.
Elena si strinse più al suo posto, lasciando spazio sufficiente a Tharidl per gesticolare coi gomiti nel cambiare pergamena dopo pergamena.
Il suo arabo era impeccabile, una scrittura sempre regolare e rettilinea.
Allungando la vista, Elena riuscì a tradurne alcuni frammenti, ma parevano tanto profezie e testi apocalittici di cui, come Marhim le aveva detto, la biblioteca era piena.
Forse, seduta lì vicino al gran Maestro, trascorse un’oretta piena, fin quando sulle scale non comparve la figura possente del suo mentore.
Elena scattò in piedi, e mosse dei passi verso di lui.
Altair si fermò nel centro della stanza, di fronte a Tharidl che si alzò e lo guardò fiero. –è tutto pronto?- chiese il vecchio.
L’assassino annuì, lanciando una fugace occhiata alla ragazza.
-Sono stato informato dal rafik di Acri, che Corrado sa della vostra venuta-.
Ecco una pessima notizia, la brutta novella di inizio incarico, si disse Elena curvando le spalle. –non ci voleva- parlottò.
Altair assunse un’espressione confusa. –Come è possibile? La spia è sotto strette catene nelle segrete, non aveva modo di lasciare la fortezza- commentò.
Elena pensò allora a Jarhéd, chiuso in chissà quale buia cella puzzolente, oppresso da continue torture.
-Jarhéd è stato sottratto dalle sue pene questa notte, quando è arrivato il messaggio- continuò il Maestro. –Egli non è l’uomo che cercavamo, che in tutto questo lasso di tempo ha avuto modo di andare e venire d Acri senza che qualcuno se n’accorgesse- Tharidl ratteneva bene la collera, nascondendo la paura che il traditore girasse ancora per la fortezza, e così era.
L’assassino si avvicinò ad Elena. –Dobbiamo posticipare la partenza?- domandò.
Tharidl fece di no con la testa. –Non è saggio. Corrado avrà modo di tornare a Masyaf con un numero sempre crescente di soldati, poiché egli si appresta a far accrescere i suoi seguaci, sottoponendoli agli stessi duri servizi militari che amava gestire suo padre Gulielmo. Non possiamo permettere, inoltre, che il Frutto resti nelle sue mani troppo allungo. Molti Templari vivono ancora, e sono disposti a tutto pur di assaporarne il potere- Tharidl cominciò a camminare avanti e indietro. –No, quello che è stato deciso sarà fatto e portato a termine con il massimo del giudizio e della cautela. Mi riferisco ad entrambi: non sottovalutate questo incarico. Ho scelto voi perché so di potermi affidare…- gli occhi del vecchio si posarono su di lei, ed Elena indietreggiò di pochissimo.
Altair abbassò il capo, in segno di saluto.
-Che il Signore vi assista…- sospirò Tharidl osservandoli allontanarsi.
Elena seguì il suo maestro come un’ombra attraverso le strade mute di Masyaf.
C’erano delle guardie di pattuglia, e molte delle bancarelle della piazza erano in allestimento.
Una volta alle porte della città, Altair montò su quel magnifico esemplare bianco che era il suo cavallo, accorciò le redini e sistemò le staffe.
Elena si trovò ad indugiare davanti alla sella del suo destriero. Era nero, bellissimo, dal manto lucido. Aveva una stellina bianca sulla fronte, occhi scuri e muscoli pulsanti pronti alla corsa più straziante. Eppure, provò un senso di paura, ansia nell’infilare il piede nella staffa e nel tirarsi su.
Si ricordò di quel sogno una delle sue prime notti nella fortezza. Di quando all’ingresso per Acri un arciere di Corrado aveva… ucciso il suo (all’epoca) ignoto maestro.
-C’è qualcosa che non va?- chiese Altair accostandosi alla ragazza.
Elena scosse la testa, e per rallegrarsi gli chiese: -Chi baderà alla tua falchetta?-.
L’assassino allungò le labbra in un sorriso e si portò due dita alla bocca. Fischiò con un’intensità incredibile e, di tutta risposta, un grido squillante si levò nell’aria fredda della valle.
Rashy, una macchia indistinta tra le nuvole, comparve sopra le loro teste; svolazzava ad alta quota puntando dritta verso sud come ad indicarli il cammino.
Altair partì al galoppo, ed Elena spronò il cavallo subito dietro di lui.

Il tragitto pretendeva almeno due giorni di cavallo per raggiungere i primi posti di blocco crociati, e qualche altra oretta per arrivare alle porte di Acri.
Impiegarono tutta la mattinata per raggiungere il bivio che portava a destra ad Acri, e a sinistra verso Damasco.
Erano fermi davanti alla lapide di pietra con le indicazioni. I cavalli brucavano da qualche minuto, mentre silenziosi Elena e il suo maestro tacevano ognuno coi propri pensieri.
-Chissà da che parte dobbiamo andare…- canticchiò la ragazza.
Altair le lanciò un’occhiataccia. –Seguire la costa potrebbe essere rischioso. Se Corrado sa di noi, avrà moltiplicato gli avamposti e raddoppiato le pattuglie. Tanto meglio impiegare qualche giorno in più ma arrivare a destinazione con tutti i pugnali da lancio, non trovi?- le chiese.
Elena alzò le spalle. –Per me è uguale- borbottò.
L’assassino le mollò una pacca sulla testa, ed Elena sobbalzò. –Che ho detto?!- lo guardò stupita.
Altair mantenne la sua compostezza. –Sappi che non ti consento di tenere la mente altrove! Devi partecipare attivamente se pretendi di imparare qualcosa! Non stare ad aspettare che sia io a darti indicazioni, pigra!- la canzonò.
La ragazza ci pensò alcuni istanti. –Va bene, avete ragione! Seguire la costa non se ne parla! Va bene, va bene! Siete contento, maestro?- ovviamente assunse un tono prepotente, e Altair la colpì di nuovo.
Lei trattenne il gemito, guardando da un’altra parte.
-Se è successo qualcosa che ti rende così poco agibile devi dirmelo ora, o potresti farci ammazzare!- ruggì a denti stretti.
Elena si voltò. –Nulla, maestro. È il nervoso dell’azione che mi rende così… nervosa- sbottò, cercando di evitare lo sguardo severo di lui. O meglio, di nascondere la grossa bugia.
Quanto le dispiaceva per Marhim, più che altro…
Altair annuì poco convinto, e colpì i fianchi del cavallo. –Stammi vicina, anche i saraceni non scherzano…- si avviarono al trotto su per la collina, proseguendo ai lati della strada.
In prossimità dei posti di blocco delle guardie, rallentavano fino ad essere davvero scambiati per monaci, ma appena cento metri avanti, si avvantaggiavano al galoppo fino al blocco successivo.
Le vie tortuose del Regno erano sempre le stesse: stopparono in diversi villaggi contadini per far abbeverare i cavalli, si guardavano attorno da spie e roba varia e riprendevano il viaggio con una regolarità costante.
Al calar della notte Altair la condusse in un bosco di ulivi stretto tra due crepacci; galoppavano lentamente sul selciato tra gli arbusti e le pietre.
-Dove stiamo andando?- domandò lei.
Il sole andava scomparendo oltre le montagne, la luce mancava già quando Altair arrestò il suo destriero tirando le redini.
Elena lo seguì in silenzio, perché il suo maestro svoltò in un insenatura strettissima tra la roccia senza dirle nulla.
I cavalli quasi toccavano coi fianchi, perché le pareti andavano a stringersi poco a poco. Elena alzò lo sguardo, e vide che il cielo notturno già brillava delle prime stelle.
La galleria cominciò ad incupirsi man a mano che avanzavano al passo, ed Elena credé di sapere dove Altair la stava conducendo.
Ce n’erano un po’ ovunque nel regno, e fungevano da piccoli ritrovi e punti di raccolta, nonché alloggi durante i lunghi viaggi.
Dimore buie e ben celate agli occhi indiscreti che mandavano avanti una propria gestione. Forse era stato Marhim a parlargliene, oppure Elika quando Elena le aveva chiesto di come si sarebbero svolti i suoi addestramenti, non ricordava con precisione.
In un luogo dove la roccia si allargava in uno piazzo irregolare, sorgeva una casupola di grossi mattoni di pietra. Dal comignolo fuoriusciva del fumo, e fuori dalle quattro mura erano appesi stendardi ben riconoscibili: il simbolo della setta di Masyaf.
Rashy, la falchetta del suo maestro, planò sulla piazza e si appollaiò sul tetto piatto della costruzione, guardandoli dall’alto.
C’era una palizzata cui erano legati alcuni cavalli, ed Elena e Altair lasciarono lì i propri avviandosi all’interno della costruzione.
Pareva una normale locanda, con un lungo bancone di legno, qualche botte di vino in fondo e una donna che puliva i pochi tavoli vuoti. Nel compenso, una gran confusione veniva da un gruppo di pochi uomini in bianco stretti in un angolo. Ce n’era uno seduto sul tavolo, un altro con il seggio al contrario e un terzo in piedi che giocava a freccette con i pugnali da lancio. I tre scherzavano e ridevano, ma nel voltarsi tacquero a guardarli.
Elena si strinse nell’ombra del cappuccio come se in quel momento fosse l’unico luogo sicuro nel mondo. Chissà se era lei argomento di tanto improvviso mutismo, oppure gli assassini avevano colto il suo maestro di nuovo in missione.
La donna li si avvicinò, andando dietro il bancone. –Maestro Altair- fece un leggero inchino.
L’assassino andò dritto al sodo. –è nuova, e vorrei che avesse una stanza unica-.
La donna volse un’occhiata curiosa su di lei, ed Elena si voltò di lato
–Non sono sicura di potervi accontentare, ma controllerò lo stesso- la custode della dimora si allontanò in fondo alla stanza e guardò in un cassetto sotto il banco. Tornò indietro stringendo tra le mani delle chiavi. –Siete fortunati- fece lasciandole cadere nella mano dell’uomo. –sono le ultime due- aggiunse la donna.
Altair l’accompagnò fino al piano superiore della Dimora, dove si apriva un piccolo corridoio buio con poche camere. Si fermò sull’uscio di una porta e l’aprì.
Il soffitto era basso, non c’era neppure una finestra. Un tappeto ricamato e qualche cuscino su cui stendersi… cuscini! Ripeté, cuscini!
Ancora le doleva il collo, e le avrebbe dovuto dormire su dei cuscini! Fece rabbiosa dentro di sé.
-Domani mattina saremo di nuovo in viaggio prima dell’alba. Se ti viene fame, la strada non è complicata fino al piano di sotto- le disse, e il suo maestro si allontanò sparendo nella stanza accanto.
Elena cominciò a spogliarsi del pesante armamentario che le pesava sulla schiena. A partire dalla spada corta, slacciando i lacci di cuoio che le stringevano il petto. Poi lasciò cadere a terra il fodero con tutta la spada. In fine, attorno alla vita, si permise di tenere solo la pezza rossa, adagiando in un angolo la spessa cintura di cuoio con tutti i pugnali.
La fame la prese all’improvviso, dopo essersi calata il cappuccio sulle spalle per il caldo.
Lasciò la camera e si allungò al livello inferiore.
Gli assassini erano ancora lì, come Elena li aveva visti pochi minuti prima.
Fuori dalle piccole vetrate si stagliava il cielo stellato e il buio della notte, che per metà avvolgeva l’interno del locale.
Elena si avvicinò al bancone. –Scusa- fece.
La donna, piegata sotto il livello del tavolo, si alzò con i capelli spettinati. –Sì?- chiese.
Elena si sentiva osservata. –Mi chiedevo se potevo avere qualcosa, ecco, qualcosa da mangiare-.
La ragazza, di poco più grande di lei, le sorrise. –Certo- si voltò, aprì una mensola e ne trasse una forma di formaggio. Con un coltello ne taglio alcuni pezzetti e li porse ad Elena.
-Grazie- disse l’assassina cominciando a sgranocchiare.
La donna le versò dell’acqua in un bicchiere di legno e, continuando a sorriderle, prese a pulire tra gli scaffali con un vecchio straccio umido.
Quando una figura imponente comparve al suo fianco, Elena sobbalzò e il pezzo di formaggio le volò via di mano, rotolando sul bancone.
L’assassino la scrutava con gli occhi celati sotto il cappuccio, ed Elena cercò di tornare a mangiare tranquilla, ma era inevitabile che cominciasse a sudare freddo.
Nonostante Elena fosse oggetto di diversi interessi, in quegli ultimi giorni, l’assassino si riduceva a guardarla mangiare, senza dire o fare nulla se non lanciare uno sguardo ogni tanto.
Eppure Elena ne era infastidita, così, d’un tratto si voltò verso l’uomo: -hai qualche problema?!- gli gridò.
Il ragazzo non si scompose, anzi, si allungò verso di lei, che invece di ritrarsi rimase immobile. –Allora?- balbettò ancora.
Che strano… pensò Elena quando l’assassino tornò dai suoi compagni. Una buffa sensazione, come un presagio, una piccola previsione di un futuro che era comparso per metà. Era stata la vicinanza a quell’assassino a farla sentire così, con una specie di estasi interna che non avrebbe saputo spiegare a parole. Il suo corpo era tornato rilassato, ma lo era sempre stato mentre quel curioso moccioso la fissava. Chissà che cosa aveva visto in lei di tanto… interessante.
Elena si alzò, avviandosi di nuovo nella sua stanza.
Lanciò un’occhiata alla camera del suo maestro e, notando la porta chiusa, proseguì per la sua.

La mattina seguente Elena era già in piedi quando, aprendo la porta, si trovò di fronte ad Altair. Gli porse le chiavi della stanza e, già pronta e armata, si avviò sulle scale.
Altair, sorpreso di averla trovata già sveglia, la seguì dopo poco.
Il salone della Dimora era avvolto dalle ombre del primissimo crepuscolo. I tavoli vuoti, il bancone pulito e il silenzio di tomba.
Altair lasciò le chiavi delle stanze nel cassetto dove la donna le aveva prelevate al loro arrivo; poi frugò nella dispensa e trovò due belle mele verdi; fatta la colazione, lasciarono quel luogo.
Rashy, appollaiata sulla roccia e stretta nella sua mantellina nera che le teneva caldo, spalancò le ali e planò fino sulla spalla del suo maestro, infilzando la veste con gli artigli.
Montarono in sella, attraversarono la stretta via nel crepaccio e ripartirono al galoppo una volta raggiunto il boschetto di ulivi.
Di lì in poi galopparono per colline e montagne, raggiungendo punti altissimi e poi scendendo nuovamente a valle, mentre il paesaggio cambiava dallo stupefacente al magnifico.
L’orizzonte… non esisteva l’orizzonte! Da quelle altitudini il panorama stanziava per leghe infinite quante erano i numeri! Dense nuvole coloravano il cielo ad ovest, mentre il firmamento sopra di loro era di un azzurro impeccabile.
Naturalmente loro puntavano verso la città della pioggia eterna: Acri.
Ci fu un momento cui ad Elena parve di vedere la linea dell’oceano, ma fu un istante in cui era comparsa una sottilissima (è dir poco) strisciolina bluastra.
Villaggi e campagne, boschi e praterie, campi e vecchie rovine, chiese e castelli.
Durante la giornata fecero tappa poche ed essenziali volte.
Proseguirono al passo, perché si trovavano nei pressi dei territori della Città Santa, e attirare l’attenzione da quelle parti era sconsigliato.
Quando furono abbastanza lontani dagli accampamenti di massa, scattarono nuovamente al galoppo.
La notte successiva la trascorsero in una Dimora degli assassini simile alla precedente, ma collocata nel bel mezzo di alcune rovine bizantine. Erano resti di colonne e pareti sopraffate dai rampicanti.
La Dimora era ben nascosta alla vista: scavata nel terreno, e loro furono gli unici assassini che vi sostarono per quell’arco di tempo.
Il giorno seguente la fortuna li arrise, come le disse Altair, perché Gulielmo sembrava aver impiegato gran parte dei suoi uomini ai posti di blocco che affacciavano sulla costa.
Di fatti, nel passare accanto ad alcune abitazione controllate da una torre crociata, notarono ben pochi movimenti militari e li fu facile passare senza essere riconosciuti.
Il viaggio proseguì più liscio del previsto. Fronteggiarsi con delle guardie non rientrava certo nei suoi ideali di marcia, ma Elena si trovò costretta a sospettare che fosse piuttosto strano.
   
 
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