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Autore: Helena Kanbara    27/09/2015    4 recensioni
[Sequel di parachute, che non è indispensabile aver letto]
[...] io ho scelto, Stiles. Ho scelto ancora. Ho scelto di seguirti quella sera di settembre alla Riserva di Beacon Hills, quando ci siamo fatti beccare da tuo padre a curiosare sulla scena di un crimine e Peter Hale ha trasformato Scott nel licantropo buono che è tutt’oggi. Ho scelto di entrare a far parte della tua vita, ho scelto di accettare la mano che mi porgevi pur senza conoscermi e ho scelto di restarti accanto fino all’ultimo. [...] Stiles, ti amo. [...] Sono innamorata di te [...]. Ho scelto fin dal primo momento – inconsapevolmente – di innamorarmi di te e questa è probabilmente l’unica cosa che non mi pentirò mai – mai – di aver fatto. [...] ti amo. Ti amo così tanto [...].
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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Da parachute: […] da partecipante all’Intercultura qual ero, mi era stato affidato un tutor che mi avrebbe spiegato tutto ciò che c’era da sapere sull’esperienza. […]
«Il mio nome è Marin Morrell: mi occuperò io di te, per quest’anno».
Il mio sorriso si estese ancor di più. Non chiedetemi perché, ma la Morrell mi aveva fatto fin da subito una buonissima impressione. Mi ispirava fiducia e autorevolezza. Sapevo fin da quel momento che con lei mi sarei trovata bene.
«Oh, quindi sarà lei il mio tutor. È grandioso».
 
kaleidoscope
 
 
5.    May
 
Non appena io ed Allison arrivammo in classe quel lunedì mattina, gli sguardi preoccupati di Scott e Stiles ci corsero addosso ed io capii subito che ci fosse qualcosa che non andava – anche se non avevo idea di cosa. Perciò mi limitai a fissarli entrambi mentre si stringevano con aria agitata attorno a Lydia e mi chiedevo cosa diavolo stesse succedendo sul serio. Questo almeno finché Scott non puntò frettolosamente alle sue spalle: allora capii tutto immediatamente.
Isaac ed Erica erano lì, dietro di loro, e avevano in viso un’aria tutt’altro che pacifica. Subito un brivido mi corse giù per la schiena, anche se cercai di nasconderlo mentre sgusciavo seduta di fianco ad Allison.
«Cosa diavolo ci fa Isaac, qui?», non potei far altro che chiederle in un sussurro.
Insomma, non era più ricercato dalla polizia? E come mai Stiles non ne sapeva nulla? O forse lo sapeva ma aveva deciso di non parlarmene?
«Non lo so», soffiò Allison, voltandosi nuovamente a controllare la situazione. «Non so nemmeno cos’abbiano in mente lui ed Erica».
Ma non è niente di buono. Questo avrebbe voluto aggiungere la Argent, ma evitò – non c’era certo bisogno di evidenziare l’ovvio ancor di più. Deglutii tesa, tanto da non prestare la benché minima attenzione alle continue frecciatine malefiche del professor Harris.
«Adesso vi unirete in gruppi per una serie di esperimenti», lo sentii pronunciare ad un certo punto, e capii subito quanto quell’idea avrebbe potuto finire per ritorcersi contro di noi.
Non sapevo cosa volessero Erica ed Isaac, ma ero sicura del fatto che dovessero restare lontani da Lydia. E sarebbe stato davvero molto difficile far sì che ciò succedesse, con Harris che poteva posizionarla a caso con uno dei due – o peggio con entrambi.
Forse fu anche per questo che nel panico improvviso da “Voglio accalappiarmi il compagno migliore” che colpì l’intera classe, subito scattai in piedi, ben decisa ad occupare il posto di fianco ad Isaac che Erica aveva lasciato vuoto per sedersi – proprio come da ordine di Harris – al fianco di Scott.
Mi confusi facilmente fra la folla di studenti quasi impazziti ed ero già a meno di un passo dal banco di Isaac quando ahimè mi sentii afferrare davvero poco dolcemente per un polso.
«Non ci provare nemmeno». Non ebbi nemmeno bisogno di voltarmi a guardare Stiles per capire che appartenesse proprio a lui quel tono di voce scocciato ed infastidito.
Sospirai sconfitta, voltandomi a guardarlo subito dopo aver visto il posto di Isaac riempirsi. Per quel giro avevo perso la mia occasione. Sconsolata, presi posto di fianco a Stiles. Non avevo la minima voglia di sorbirmi un’altra delle sue prediche, eppure sapevo che di lì a poco me ne avrebbe riservata una.
«Qualunque cosa succeda, sta’ lontana da Isaac. E da Erica», ordinò, cercando i miei occhi scuri nonostante quanto provassi a sfuggirgli. «Harry, mi hai capito?».
Aveva alzato la voce molto più di quanto mi sarei aspettata e non potei far altro che sobbalzare sotto il suo tono, mentre mi voltavo di scatto a cercare il viso di Stiles.
«Cosa vogliono da Lydia?», pigolai, confusa e spaventata a dir poco.
«Derek crede che sia lei il kanima. Isaac ed Erica hanno il compito di provare ad immobilizzarla», spiegò Stiles, fingendosi comunque indaffarato col progetto assegnatoci da Harris mentre io al contrario ero incapace di muovere anche solo mezzo muscolo. «Se il veleno non fa effetto, allora è lei».
«Ma–». La mia replica mi rimase bloccata in gola a causa di Harris, togliendomi il respiro e facendomi sentire proprio come se stessi all’improvviso soffocando sotto lo sguardo chiarissimo del mio professore di chimica.
«Mi dispiace, piccioncini», soffiò, osservando me e Stiles l’uno di fianco all’altra pochi secondi prima di riportare gli occhi nei miei. «Carter, tu con Lahey».
Non appena il prof finì di parlare, Stiles s’irrigidì al mio fianco e una sua mano corse nuovamente a stringermi il polso. Uno dei suoi incubi peggiori si era appena avverato, ma io proprio non potevo dire altrettanto. Volevo parlare con Isaac e paradossalmente, Harris aveva appena esaudito il mio desiderio. Mi feci lontana da Stiles con un’ultima occhiata dispiaciuta, poi presi velocemente il posto del compagno di Isaac. Sentivo gli occhi di Stiles incendiarmi la schiena, ma non importava quanto si sarebbe preoccupato per me: sapevo badare a me stessa e potevo aiutarli a proteggere Lydia; volevo che lo capisse anche lui.
«I-Isaac», balbettai quando gli fui al fianco, cercando di non farmi intimidire troppo dalla sua figura ora così spaventosa. Non potevo credere che fosse cambiato così tanto – anche lui; che un morso fosse bastato a renderlo ciò che non era affatto. «Non farlo».
Isaac si voltò subito verso di me, piantandomi gli occhi azzurrissimi sul viso. Il suo sguardo mi mise a dir poco in imbarazzo, tanto che provai il forte impulso di interrompere quel contatto visivo tanto invadente. Lo sentivo quasi come se volesse guardarmi dentro e non andava bene: non potevo scoprirmi così tanto.
«Non fare cosa, Harriet?», mi chiese in un sussurro, facendosi molto più vicino a me di quanto sarei riuscita a sopportare.
Tanto che indietreggiai d’istinto, muovendomi sull’alto sgabello del laboratorio di chimica col cuore che mi batteva ormai a mille. Ero sicura che Isaac potesse sentirlo distintamente e che si compiacque dell’effetto che mi stava facendo, perché lo vidi nascondere malamente un sorrisino soddisfatto. Il che mi fece infuriare all’improvviso. Chi diavolo si credeva di essere? Non gli avrei permesso di prendersi gioco della sottoscritta!
«Lo sai che Lydia non è colpevole», sputai quasi, sostenendo il suo sguardo senza più paura e facendo scorta di tutto il coraggio che m’era rimasto. Dovevo mostrarmi forte, senza più vacillare. Non potevo dargli quell’ennesima soddisfazione. «Proprio come non lo eri tu per la morte di tuo padre».
Speravo che puntare sulla compassione avrebbe dato i suoi frutti, ma Isaac era sul serio cambiato tanto quanto temevo. Lo vidi restare totalmente impassibile di fronte alla menzione del padre: addirittura scrollò le spalle come se niente fosse e prese a giocare con una delle ampolle posizionate di fronte a noi. Inutile dire che non ci stessimo dedicando per niente al progetto di Harris, ma ovviamente avevamo entrambi cose molto più importanti alle quali pensare.
«Non si tratta proprio della stessa cosa, credo».
«È esattamente la stessa cosa. Lydia è solo una ragazzina. Lo siamo tutti».
A quel punto, gli occhi di Isaac tornarono subito nei miei. E di nuovo l’intensità di quelle iridi azzurre mi fece vacillare, per quanto odiassi la cosa da morire.
«È una ragazzina che, molto probabilmente, quando vuole si trasforma in una lucertola mannara e va in giro ad uccidere gente. Dobbiamo solo fare una piccola prova per accertarci che Lydia sia sul serio tanto innocente quanto credi. Non la uccideremo, Harriet. Per ora».
L’improvviso ding della campanella di Harris mi fece sobbalzare, spezzandomi il respiro in gola ed impedendomi ancora una volta di replicare a quanto mi era stato detto. Rimasi per molto più tempo del lecito con gli occhi sgranati fissi in quelli di Isaac, convinta sempre più di non essere riuscita a risolvere niente per quanto lo volessi. Mi aveva detto che non avrebbero ucciso Lydia… Per ora.
Riuscii a scivolare via da quel banco solo quando Stiles mi raggiunse, sfiorandomi lievemente la spalla e riportandomi finalmente alla realtà. Cercai di sorridergli grata, ma ero così tanto immobilizzata dalla paura che non ebbi nemmeno il coraggio di guardarlo in viso mentre correvo quasi verso uno dei pochi banchi vuoti dell’aula. Sapevo che le mie speranze fossero più che vane, ma nel profondo desideravo di poter restare sola per almeno quel giro. Quando lo sgabello di fianco a me si riempì, quindi, non potei far altro che trattenere un sospiro sconfitto.
«Oh», mormorai, incapace di aggiungere qualcos’altro di più intelligente nel momento in cui mi ritrovai di fianco nientemeno che il ragazzo che aveva parlato con Allison pochi giorni prima, complimentandosi con lei per l’abito nero che avrebbe indossato al funerale di sua zia Kate. «Sei tu», aggiunsi, sentendomi ancora più stupida per quella battuta senz’altro inopportuna.
Il ragazzo annuì, poi mi fissò a lungo coi suoi intensi occhi verde mela.
«Non credo che abbiamo avuto già occasione di presentarci», mormorò infine, facendosi vicino a me tanto che fui subito costretta a porgergli una mano.
«Sono Harriet».
«Matt», ricambiò la mia stretta, poco prima di ritirarsi al suo posto come desideravo, «Conosci mio fratello, vero?».
Ancora lievemente scombussolata da tutto quello che stava succedendo, mi voltai a cercare il viso pallido di Matt con le sopracciglia aggrottate. Suo fratello?
«Scusami, non ti seguo», sussurrai infine, sospirando mentre fingevo di interessarmi ai rimproveri di Harris.
«Vi ho visti insieme alla partita di lacrosse! Ma forse mi sono semplicemente sbagliato», spiegò Matt, e il suo parlarmi della partita di lacrosse fece illuminare una spia di pericolo nella mia mente. «Fai finta che non ti abbia detto…».
Lo interruppi prima che potesse finire. Speravo di sbagliarmi – anche se ne dubitavo – ma non potevo permettergli di cambiare argomento finché non avessi scoperto la verità.
«Aspetta», gli ordinai frettolosamente, correndo a stringergli in maniera del tutto involontaria un braccio tra le dita. «Come si chiama tuo fratello?».
«Victor». Il silenzio nel quale mi rinchiusi, con gli occhi sgranati e la bocca all’improvviso prosciugata, diede a Matt il permesso di portare avanti quella conversazione come se niente fosse. «Allora, lo conosci?».
Avrei dovuto rispondergli e lo sapevo. Ma non ne ero in grado, e quasi sorrisi riconoscente ad Harris quando – con l’ennesima scampanellata – affermò che fosse giunto il tempo di un altro scambio di coppia. Scappai da Matt e dall’intera classe con passi concitati e il fiato corto, mentre ancora sentivo la domanda del fratello di Victor rimbombarmi in testa. «Lo conosci?». Purtroppo sì
 
Lydia sta andando dalla Morrell per una consulenza. Fatti trovare lì molto CASUALMENTE, se puoi. Spero tu stia bene.
Lessi il messaggio di Stiles così tante volte da non riuscire a tenere più il conto, con un sorriso soddisfatto che mi piegava le labbra sempre più ad ogni rilettura. “Spero tu stia bene” mi aveva scritto, e già solo da quelle parole potevo capire quanto fosse preoccupato per me – ancora. Sapevo che fosse una cosa stupida ed infantile, ma puntualmente non potevo che essere felice di come Stiles si preoccupasse sempre per me, anche se alle volte me lo meritavo davvero troppo poco.
Scossi la testa, grata di potermi distrarre dal mio vagabondaggio fitto di pensieri cupi e decisa a dedicarmi al compito che mi aveva affidato Stiles mentre mi dirigevo a passi spediti verso l’ufficio della professoressa Morrell. Leggere il suo nome sul display del mio cellulare aveva illuminato una lampadina nella mia mente: giacché Lydia era lì, avrei potuto approfittarne per parlarle. Due piccioni con una fava.
Fu solo quando finalmente giunsi alla meta che mi resi conto di aver corso decisamente troppo, nemmeno stessi scappando da una valanga di problemi che avrebbe finito poi per sommergermi e togliermi il respiro. Avevo il fiato corto e i capelli scompigliati, ma nel non individuare da nessuna parte la graziosa figura di Lydia Martin proprio non riuscii a tranquillizzarmi subito come avevo sperato di fare. Mi aggirai invece con passi pesanti nella sala d’attesa dello studio, finché non decisi di fronteggiare la porta d’ingresso dell’ufficio e la vidi attraverso il vetro. Lydia sedeva di fronte a Marin Morrell e mentre quest’ultima le mostrava dei fogli, aveva in viso l’aria più scocciata di sempre. Dovetti trattenere una risatina di fronte a quella scena, mentre liberavo un sospiro sollevato all’improvvisa consapevolezza che Lydia stava bene ed era al sicuro.
Decisi che l’avrei aspettata finché non fosse uscita, per poi inventarmi qualcosa che avrebbe giustificato il mio seguirla in ogni dove per il resto di quella stressante giornata. Stavo ancora pensando ad una scusa fattibile quando la voce di Lydia m’inchiodò sul posto, facendomi sobbalzare sulla sedia che avevo occupato alcuni minuti prima, innervosita dal mio stesso vagare per l’intera sala d’attesa.
«Cosa ci fai tu qui?», mi domandò, ed io subito smisi di torturarmi le unghie come facevo sempre quand’ero persa nei miei pensieri per cercare i suoi occhi verdi.
Vidi Lydia scrutarmi con un’aria un tantino disturbata, mentre incrociava le braccia al petto e faceva scontrare la punta dei suoi stivaletti in pelle sulla moquette della sala.
«E-Ehi», mormorai, con la voce quasi tremante mentre cercavo di sostenere il suo sguardo. Alle volte Lydia Martin mi metteva ancora i brividi. «Com’è andata?».
«Solito», scrollò le spalle, infossando poi le mani nelle tasche della giacca, «Mi hai seguita?».
«NO!», quasi esplosi, «Devo parlare anch’io con la Morrell. Mi aspetti?».
«Se non ci metti un’eternità».
Riservai un sorriso vago a Lydia, felice del fatto che non avessi dovuto insistere per trattenerla lì con me. Mentre mi dirigevo verso l’ufficio della nostra professoressa di francese con lunghi passi pesanti, l’osservai che prendeva posto su una delle tante sedie nella sala d’attesa e cominciava ad arricciarsi una ciocca di capelli attorno all’indice con aria annoiatissima. Ma più mi avvicinavo alla Morrell e meno pensavo a Lydia, finché – di fronte al legno della porta d’ingresso – l’immagine della Martin venne completamente spazzata via dalla mia mente per essere sostituita da un forte nervosismo. Volevo davvero parlare con la mia tutor? E per dirle cosa, esattamente? Non ebbi nemmeno tempo di pensarci né di scappare come avrei voluto fare in realtà che già avevo – quasi senza rendermene conto – annunciato la mia presenza con un paio di colpi sul legno ed oltrepassato la porta sotto invito di Marin.
«Harriet!», mi disse proprio lei non appena mi riconobbe, riservandomi un grande e bellissimo sorriso. «Accomodati pure».
Di nuovo feci come mi diceva, prendendo posto di fronte a lei mentre cercavo di non evitare troppo il suo caldo sguardo marrone. Ma solo quando la Morrell mi rivolse di nuovo parola capii di non poter più fuggire.
«Ho bisogno di parlarle», mormorai quindi, torturando l’orlo della mia felpa mentre non osavo distogliere gli occhi dal viso della mia prof.
«Sono qui per questo», mi rassicurò subito lei, sempre sorridendo. «Solo vorrei capire in che veste. Professoressa, psicologa, tua tutor?».
Mi mossi a disagio sulla sedia, deglutendo rumorosamente mentre mi chiedevo quante altre personalità avesse la Morrell oltre alle tre che mi aveva appena elencato. Sapevo per certo che ne avesse almeno un’altra e non aspettai più a dirglielo: subito scoprii le mie carte.
«Vorrei che mi parlasse come amica di mio nonno».
Per quanto fosse brava a non farsi scalfire mai da nulla, quella volta anche Marin dovette piegarsi all’immensa sorpresa che l’aveva colta. L’osservai boccheggiare per qualche attimo, mentre cercavo di capire cosa volessi sentire o veder succedere. Non ne avevo idea.
«L’hai saputo, quindi», mormorò infine la professoressa, lasciando che annuissi per darle una conferma della quale non aveva poi così bisogno.
«Me l’ha detto lui».
«E cosa vuoi che aggiunga?». Non aveva intenzione di aprirsi.
Scrollai le spalle.
«Non lo so. Mi dica lei se c’è qualcos’altro da aggiungere. Qualcos’altro che non so».
Perché era proprio quello che temevo di più: i segreti. Temevo ce ne fossero molti altri e avevo bisogno di risposte, prima che queste mi venissero gettate addosso nel mio momento di maggior debolezza, cogliendomi impreparata e lasciandomi ferita e scandalizzata – com’era già successo. Non so se Marin colse il mio terrore, fatto sta che non fece nulla per farlo diminuire. Al contrario, col suo “lavarsi le mani” non fece altro che spaventarmi ancor di più.
«Non è compito mio parlarti di cose che non mi riguardano, Harriet. Ho organizzato il corso di Intercultura per riportarti qui a Beacon Hills e ho fatto in modo che alla fine ci fossero alte probabilità che venissi scelta proprio tu, perché me l’aveva chiesto Thomas. Ci conosciamo da un sacco di tempo e non dico mai di no agli amici».
Quella era una storia che avevo già sentito e non avevo intenzione di ascoltarla nuovamente. Volevo sapere di più.
«Quindi non l’ha fatto anche lei per un suo tornaconto?», chiesi, quasi provocandola perché volevo che si scoprisse.
Ma ancora una volta Marin Morrell non cedette. La vidi trattenere un sorrisino mentre scuoteva la testa con aria divertita per poi prepararsi a rispondermi nuovamente.
«Senz’offesa, Harriet, ma non vedo cosa potrei guadagnare dalla tua presenza qui», mormorò. «L’ho fatto per poter aiutare la tua famiglia. Loro hanno bisogno di te».
A quelle ultime quattro parole fui io, invece, a cedere. Mollai la presa e distolsi lo sguardo dalla professoressa come già volevo fare da tempo, guardandomi intorno finché i miei occhi corsero al vetro della porta d’ingresso dell’ufficio e una felpa a righe grigie e nere catturò tutta la mia attenzione. Era Stiles.
Smisi immediatamente di torturarmi l’interno guancia e scattai in piedi, mentre salutavo frettolosamente la Morrell e quasi correvo fuori, sperando di non essermi sbagliata. Avevo bisogno che Stiles fosse lì e nemmeno sapevo bene perché.
Scoprii che le mie richieste fossero state – grazie a Dio – esaudite quando lo vidi intento a supplicare Lydia, la quale alla fine decise di cedere alle sue preghiere e lasciò che lui la trascinasse verso chissà dove. Riuscii a fermarli per un soffio.
«Dove andate?».
Lydia fu la prima a darmi le attenzioni che cercavo.
«In biblioteca, a quanto pare», borbottò, alzando gli occhi al cielo.
«Vengo con voi».
Ci provai. Ma scoprii presto che Stiles avesse, ancora una volta, piani ben diversi per la sottoscritta.
«No, resta qui. Sta arrivando Allison», mi disse, e mi bastò guardarlo negli occhi per capire che nemmeno quella volta avrei potuto dirgli di no.
Quindi lo lasciai andare: lo vidi che conduceva una scocciata Lydia per i corridoi della Beacon Hills High School e desiderai stupidamente che al contrario potesse essere rimasto lì con me mentre aspettavo Allison, completamente da sola. Avevo all’improvviso un forte bisogno di parlare con qualcuno. E avevo sperato inutilmente che quel qualcuno potesse essere Stiles.
 
«Che cosa fai?».
Stiles mi sembrò all’improvviso così tanto preoccupato che subito, non appena lo sentii parlare, smisi di osservare Derek e il resto del suo branco attraverso il vetro che fino a quel momento ci eravamo contesi, entrambi ben decisi a tenere costantemente d’occhio la situazione. Sapevo non ce l’avesse con me – non avevo fatto nulla – perciò mi limitai a cercare la figura di Allison. La trovai ancora accanto a noi, che tratteneva lacrime e stringeva tra le mani tremanti il proprio cellulare. Mi si strinse immediatamente il cuore a quella vista.
«Credo…», cominciò a spiegare, ma la sua voce tremolante si perse immediatamente nel vuoto. «Devo chiamare mio padre».
Stiles si animò immediatamente.
«Ma se ti trova qui, Scott–».
Allison nemmeno lo lasciò finire.
«Lo so. Ma cosa dovremmo fare? Non sono qui per spaventarci!», pigolò, esausta mentre puntava nuovamente all’esterno di casa McCall.
Subito dopo scuola ci eravamo tutti – compresi Jackson e Lydia – rifugiati lì, ma Derek e i suoi beta ci avevano trovati in un batter d’occhio. Di nuovo li osservai attraverso il vetro della porta d’ingresso: non si erano mossi dal vialetto, erano lì per uccidere Lydia – che aveva fallito il test – e lo sapevamo bene tutti.
«Non le faranno del male», mi sentii quasi in dovere di dire, mentre tornavo dritta per cercare lo sguardo terrorizzato di Allison. «Ora vado lì fuori e gli parlo».
Avevo già una mano sulla maniglia ed ero ben decisa a portare avanti il mio piano – ancora ero convinta che le mie parole potessero sul serio servire a qualcosa, che Derek mi avrebbe dato ascolto quando invece non aveva voluto accontentare nemmeno Scott – quando una mano di Stiles corse nuovamente a stringermi il polso.
«Sei impazzita?», mi chiese, impedendomi di muovermi e costringendomi al contrario ad indietreggiare, facendomi così lontana dalla porta e dal mio obbiettivo che dovetti trattenere un urlo di frustrazione.
«Ho bisogno di parlargli, Stiles». Mi riferivo a Derek, ovviamente, ed ero così sincera che penso lo capirono tutti subito.
Ma Stiles non cedette.
«Dovrai fartelo passare. Non ti darò letteralmente in pasto ai lupi», borbottò, prima di voltarsi velocemente a fronteggiare Allison. «Ecco cosa faremo invece. Tu sparerai ad uno di loro».
Lo sguardo color cioccolato della Argent non poté fare a meno di riempirsi subito di incredulità. I miei occhi scuri corsero invece alla balestra che ancora Allison stringeva tra le dita. Stiles voleva che la usasse. E anche se odiavo ammetterlo persino a me stessa, la sua era un’idea niente male.
«Non pensano che reagiremo. Se uno di loro viene colpito, se ne andranno di sicuro. Dai, spara», aggiunse, avvalorando la sua tesi tanto da riuscire quasi a convincere Allison.
«A chi?», le sentii chiedere, mentre ritornava ad osservare il branco attraverso il vetro.
Stiles sembrò pensarci un po’ su, poi la imitò – subito seguito da me. «A Derek. Spara a lui. Possibilmente in testa».
Subito strinsi tra le dita il merletto delle tendine di casa McCall, irritata a dir poco. Ma prima ancora che potessi intervenire, ci pensò Allison a bocciare quella stupida idea.
«Se Scott ha afferrato una freccia, ci riuscirà anche Derek», obiettò, in tutta sincerità.
Tanto che Stiles non poté far altro che sventolare bandiera bianca. «D’accordo, spara ad uno degli altri tre».
«Erica». Non ebbi bisogno di pensarci su nemmeno per un attimo. Quel nome abbandonò le mie labbra subito, con così tanta facilità che quasi mi sorpresi di me stessa. Avrei voluto che Allison colpisse proprio lei, ma il mio lieve sussurro si perse nell’agitazione di ciò che successe subito dopo.
«Vuoi dire “uno degli altri due”», mormorò Allison, e la vidi aggrottare le sopracciglia mentre ancora ispezionava il buio della strada su cui era posizionata casa McCall.
Stiles scosse la testa.
«Voglio dire tre».
Non ci pensai su due volte. Tornai ad osservare l’esterno alla velocità della luce e ciò che vidi mi fece all’improvviso gelare il sangue nelle vene. Due beta. C’erano solo due beta al fianco di Derek. Erica e Boyd.
«Dov’è Isaac?», chiesi infine, la voce resa tremolante dalla paura di una risposta che già credevo di conoscere troppo bene.
Una risposta che arrivò solo pochissimi millesimi di secondi dopo, quando uno spostamento d’aria improvviso mi fece rabbrividire mentre sentivo Allison trattenere un urlo di terrore e provare inutilmente a difendersi dalla figura trasformata di Isaac Lahey.
Mi voltai ad osservarli così velocemente da sentirmi la testa girare ed ebbi appena il tempo di vedere Allison che cadeva al suolo disarmata prima di rendermi conto che Isaac stesse puntando proprio a me. Ancora non so bene come diavolo ci riuscii, ma gli sfuggii. Semplicemente scivolai lontana dalla sua presa e corsi più veloce che potevo verso le scale, senza badare alla paura che mi attanagliava tutti i muscoli nella speranza di immobilizzarli per sempre o alla preoccupazione per Stiles e ciò che Isaac avrebbe potuto fargli mentre io fuggivo. Cercai di non pensare a niente e semplicemente corsi verso il piano di sopra, dove sapevo che avrei trovato Jackson e Lydia – erano loro che andavano protetti in quel momento, al resto avrei potuto pensare dopo.
Ma non avevo fatto i conti con la nuova forza di Isaac, che subito dopo aver messo al tappeto anche Stiles mi raggiunse a metà della scalinata e mi afferrò una caviglia tanto forte da farmi gemere di dolore mentre lo sentivo distintamente trascinarmi indietro, finché non persi l’equilibrio e caddi di peso, battendo la testa su uno degli scalini tanto forte da credere di vedere addirittura le stelle.
L’ultima cosa che vidi poco prima che tutto diventasse nero e mi lasciassi andare all’immensa stanchezza che mi aveva colta all’improvviso furono gli anfibi neri di Isaac, che scavalcava il mio corpo come se fosse nient’altro che una vecchia bambola di pezza e saliva al piano di sopra indisturbato.
 
Ripresi conoscenza dopo quelle che mi parvero immediatamente delle ore. Sentivo la testa pulsare così tanto – ancora – che nonostante quanto fossi confusa e frastornata, mi ricordai subito perfettamente di cosa mi era capitato. Isaac. Quel nome risuonò nella mia mente come un ringhio, mentre digrignavo i denti con aria infastidita e cercavo inutilmente di muovermi. Ero ancora malamente gettata a terra, la testa dolorante e una guancia incollata allo scalino che avevo colpito nella mia violenta caduta. Per un attimo credetti che non mi sarei rialzata mai più, ma subito scacciai via quel pensiero: non era il momento adatto per essere debole.
Raccolsi quanta più forza possibile nelle braccia, mettendomi seduta su uno degli scalini più in basso dopo immensi sforzi. Mi portai una mano alla testa velocemente, quasi sospirando dal sollievo quando riportando le dita di fronte ai miei occhi le trovai immacolate. Per un attimo avevo temuto di essermela rotta: il dolore era così tanto da rendermi sia la vista che i pensieri annebbiati. Ma a quanto pareva non stavo sanguinando, dunque nel peggiore dei casi mi sarei beccata nient’altro che un bel bernoccolo. Di nuovo decisi che non fosse quello il momento più giusto per pensarci.
Mi guardai attorno velocemente, mentre un nuovo senso di paura correva a stringermi le viscere mentre mi rendevo conto di essere – almeno all’apparenza – completamente sola. Non c’era più traccia di Stiles né di Allison, perlomeno non lì. Allora i miei occhi corsero subito al piano di sopra. Era lì che dovevo andare e lo capii pienamente quando un paio di voci mi riempirono le orecchie: una delle due apparteneva ad Erica. Erano tutti ancora lì.
Mi misi in piedi con non pochi sforzi, arrancando sugli scalini mentre mi tenevo ben stretta al corrimano in legno. Ma quando giunsi alla fine di quella rincorsa trovai di fronte ai miei occhi una scena abbastanza inaspettata.
Erica Reyes era a terra, immobilizzata, mentre Allison si prendeva gioco di lei chinata alla sua altezza.
«Credevo fossi una veggente», sentii che le sussurrava all’orecchio, e quell’ultima parola mi ghiacciò il sangue nelle vene così tanto che quando Allison individuò la mia figura sulla soglia della camera di Scott, ancora ero nient’altro che un’imperturbabile statua di sale.
La consapevolezza di doverle dire tutto su chi ero sul serio mi aveva completamente e improvvisamente immobilizzata.
«A proposito di veggenti, Als…», incominciai, pregando chiunque fosse in ascolto affinché potesse darmi tutta la forza che mi serviva per portare avanti quel discorso nel modo giusto.
 
 
 
 
I wish you’d stop running away from your problems
and run to me instead.
 
 
 
 
Ringraziamenti
Grazie a Spotify e alla playlist Epic Classical che è tipo il Paradiso e mi ha aiutata tantissimo durante la stesura delle prime scene di questo capitolo, ma soprattutto grazie ai The story so far che mi sono ritornati in mente quando verso la fine ero come al solito in preda alla disperazione da: “Che cavolo di canzone inserisco stavolta?”. La
May che dà il titolo al capitolo e che è citata alla fine appartiene a loro.
 
Note
Il Courier New sarà utilizzato sempre e solo per gli SMS, ammesso e non concesso che ce ne saranno degli altri.
Questo capitolo mi convince davvero molto poco, ma era proprio necessario che lo scrivessi perché da come avrete potuto leggere voi stessi, parecchi nodi vengono al pettine e scopriamo sempre nuove cose. Harry confronta la Morrell, Victor ha finalmente un motivo ben più che valido per essere parte di questa avventura e finalmente anche Allison scoprirà tutta la verità! A proposito di questo: succederà nella prima scena del capitolo nuovo, nel quale tra l’altro farà la sua apparizione un’altra delle nostre “vecchie” conoscenze.
Chi pensate che possa essere?
   
 
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