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Autore: Red Wind    27/09/2015    2 recensioni
Nell'Antico Egitto le divinità erano parte integrante della vita quotidiana: a loro si offriva tutto ciò che serve alle persone comuni. Ma gli dei non sono persone comuni, così come i protagonisti di questa storia.
Una ragazza insicura che ancora deve scoprire le sue potenzialità.
Un dio generato dall'odio e dal desiderio di vendetta apposta per uccidere.
Una rivoltosa dal passato travagliato.
Un ragazzo in grado di leggere nel cuore delle persone.
Amicizia, dolore, amore, paura, guerra e magia.
“Secondo la leggenda, l'Egitto era governato in origine da Osiride e da Iside, sua sorella e sposa. Il fratello Seth, geloso dei due, uccise Osiride, fece a pezzi il cadavere e ne occultò le membra in luoghi diversi. Iside, trasformatasi in nibbio, raccolse e ricompose le membra del marito e gli reinfuse la vita. Osiride divenne Signore dell'oltretomba ed ebbe un figlio: Horo, il dio dalla testa di falco. Quest'ultimo, dopo aver combattuto a lungo contro Seth, riuscì a sconfiggerlo e a diventare re dell'Egitto.”
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Aegyptus'
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Di come si concluse la missione di Sinuhe
o
Non si piange sul sangue versato

Nella sua mente il piano era chiaro: passare la giornata lavorando normalmente per non destare sospetti e l'indomani agire, ma come poteva lasciarsi sfuggire un'occasione del genere? Era stata mandata a fare una commissione e ora si stava addentrando nella reggia. Camminava per i corridoi labirintici, oltrepassando le porte di infinite sale dorate, con il vassoio in mano. Come sempre aveva con sé la spada, sulle spalle, invisibile sotto il vestito. No, non poteva sprecare un'occasione del genere. Portò la cena ai nobili, cercando di farsi notare il meno possibile, poi cominciò a vagare all'interno del palazzo, seguendo le più preziose ricchezze, alla ricerca delle stanze del faraone. Il suo cuore batteva dannatamente forte, impedendole di sentire eventuali passi avvicinarsi. Si ostinava a pensare che fosse soltanto eccitazione, ma c'era anche paura, soprattutto paura. Un portone immenso le si parò davanti svoltato un angolo. Non c'era dubbio: quella doveva essere la stanza del trono. Provò a spingere i ricchi battenti dorati, nella speranza che il re fosse solo, ma si rivelarono chiusi. Sicuramente quella stanza colossale aveva altre entrate, non le restava che aggirarla. Incontrò alcune guardie, ma per fortuna, in quella folla di servi che si aggiravano abitualmente per la dimora reale, non la notarono. Infine scovò una porticina che, secondo i suoi calcoli, doveva portare proprio nella stanza del trono, dove, le avevano detto, passava le giornate il faraone. Ci si infilò in fretta, mentre, come sempre prima di una missione, la sua mente si svuotava di tutti i pensieri, rendendola del tutto simile ad una macchina letale. La sala ipostila che le si aprì davanti era immersa nella penombra. La rivoltosa non riusciva a scorgere la parete di fondo e le file di colonne gemelle si perdevano in quel buio denso. Il trono spiccava poco più avanti, rivolto verso l'entrata principale. Dalla sua posizione, Sinuhe riusciva a scorgere la testa di colui che vi sedeva. Si avvicinò cauta con il passo felpato guadagnato dopo anni di addestramento. Sguainò lentamente la spada, ogni nervo all'erta, ogni muscolo contratto. Con movimento rapido che fece appena sibilare la sua lama, poggiò il filo della lama alla gola del faraone, da dietro, in modo che non la potesse vedere in faccia.
-Non ti muovere o sei morto- sussurrò con rabbia al suo orecchio, mentre si rammaricava nel constatare che la sua voce tremava più di quanto credesse.
L'uomo non rispose, né fece alcun movimento. Non un sussulto, non un fremito, non un segno d'assenso. Sinuhe fu pervasa dal terrore per un attimo. Perché non aveva paura? Perché non tremava sotto la sua spada? Perché non temeva la sua vendetta?
Strinse di più l'elsa della spada, cambiando istantaneamente i suoi piani. Non avrebbe accettato che dopo anni di preparazione per quel momento, il faraone morisse senza neanche conoscere il nome del suo assassino, quasi senza accorgersene e senza implorare pietà. Con un balzo si portò di fronte al nemico e fu allora che lo vide. Il sangue. Macchiava il petto del faraone come un fiore scarlatto nato dalle sue carni, facendo risaltare ancora di più il pallore del suo volto. Era morto prima che lei arrivasse, una pugnalata al petto. Come aveva potuto essere così stupida da non accorgersene?
Dopo qualche secondo passato a maledirsi, si riscosse, pensando che se l'avessero trovata lì l'avrebbero incolpata senza pensarci due volte. Tornò da dove era venuta, camminando a passo svelto.
Il cuore che batteva impazzito le martellava nelle tempie. Aveva fallito. Non aveva più un obbiettivo, senza neanche aver raggiunto il precedente, perché il suo obbiettivo era semplicemente morto prima che lei ci arrivasse. Non sapeva che cosa fare. Il faraone era morto e non avrebbe più fatto del male a nessuno, ma la cosa non la consolava per niente. Chi poteva essere stato a fare una cosa simile e restare impunito? Vagò quasi correndo per la città, alla ricerca di una risposta. Si ritrovava improvvisamente vuota, come se fosse nata in quel momento e non avesse ancora avuto tempo di costruirsi una vita. Era una sensazione orribile, che i bambini erano troppo ignari per provare.
Ad un certo punto si ritrovò davanti alla base dei rivoltosi. Si ricordò che la sua vita esisteva ancora: lei era una ribelle e in quell'edificio i compagni la stavano aspettando. Jamila e Nakht la stavano aspettando. Cosa avrebbe detto loro? Ai compagni di viaggio senz'altro la verità, ma agli insorti? Prese un profondo respiro e decise: tutti avrebbero pensato che fosse stata lei ad uccidere il faraone. Entrò e subito le chiesero notizie. Disse che ci era riuscita: era fatta. Tentò di recitare la parte della persona soddisfatta e vendicativa, strinse i pugni lungo i fianchi per nascondere il tremito delle mani. Mentre gli uomini gioivano e si congratulavano, Dedet la richiamò, chiedendole di parlarle da sola.
-Raccontami come è andata- chiese serio, una volta che furono soli in una stanza.
Sembrava che, contrariamente ai suoi compagni, non fosse stato contagiato dall'allegria.
-L'ho ucciso- ribatté secca Sinuhe, che si sentiva già sotto accusa.
-Voglio i dettagli-
Allo sguardo scioccato della ragazza Dedet si affrettò a chiarire.
-E' importante sapere con esattezza come sono andate le cose per capire quanto tempo abbiamo prima che se ne accorgano e di conseguenza prima che suo figlio torni in Egitto-
Sinuhe non aveva ben chiare le dinamiche politiche che avrebbero seguito l'assassinio: non le interessava. Calmandosi un po', si convinse a raccontare una storia plausibile.
-Era sul trono quando sono arrivata, nella stanza non c'era nessuno...-
L'altro la interruppe.
-Come sarebbe che non c'era nessuno? Le sue guardie non erano presenti?-
Sinuhe, riflettendoci, si accorse di quanto quel particolare stonasse.
-Non ne ho idea, non c'era nessuno. Comunque gli sono piombata alle spalle e l'ho pugnalato al petto-
-Perché? Se eri alle sue spalle...-
-Volevo che mi vedesse in faccia e che io vedessi lui- si giustificò Sinuhe sorridendo.
A Dedet gelò il sangue delle vene. Non conosceva molto bene la ragazza e dal modo in cui si era comportata con lui non poteva che dedurre che fosse spietata e pericolosa.
Il rivoltoso annuì, poi la congedò con un gesto della mano.
-Prestò saprò dirti quando si terrà la rivolta- aggiunse.
Mentre la ragazza usciva dalla stanza, i principali dirigenti del movimento entrarono per iniziare quello che poteva definirsi un consiglio di guerra.
Sinuhe tornò nella stanza dove si trovavano i suoi compagni di viaggio, che, sentita la notizia, attendevano il racconto della diretta interessata.
-Com'è andata?- domandò infatti Jamila, ancor prima che la ragazza potesse richiudersi la porta alle spalle.
La rivoltosa si sedette sul suo giaciglio, senza rispondere.
-Allora?- insistette Jamila, evidentemente preoccupata.
-Non l'ho ucciso!- sbraitò Sinuhe, evidentemente infuriata e, a uno sguardo più attento, sotto shock.
Jamila sorrise: allora l'amica le aveva dato retta. Quando se ne accorse, Sinuhe sembrò adirarsi ancora di più.
-E' quello che speravi, non è vero?- il disprezzo nella sua voce colpì Jamila come un pugno allo stomaco -Non credere che sia stata una mia scelta! Era già morto quando sono arrivata!-
Solo allora i due capirono veramente la situazione, rimanendo stupiti da qualcosa che non si sarebbero mai immaginati.
-Chi potrebbe essere stato?- chiese Nakht, pensieroso, quando l'attimo di gelo che era piombato nella stanza si fu sciolto.
-Non ne ho idea, ma intendo scoprirlo presto!- rispose la rivoltosa, gli occhi fiammeggianti.
-E' morto, non capisco perché tu sia tanto di cattivo umore!- commentò Nakht, scocciato.
Due sguardi si alzarono su di lui: quello comprensivo di Jamila, che ben sapeva quanto una simile uscita fosse infelice, e quello sempre più adirato e quasi incredulo di Sinuhe.
-Era la mia missione! Avrei dovuto portarla a termine io, era la mia vendetta e mi hanno soffiato il trofeo da sotto il naso!- urlò, alzatasi in piedi -Voi non potete capire queste cose, non potete capire me!- concluse, uscendo dalla stanza a passi svelti.
Si ritirò dove avrebbe potuto restare sola, lasciando che il silenzio calasse tra Jamila e Nakht.
-Non era mia intenzione...- si giustificò il ragazzo.
-Lo so. Lo sa anche lei, immagino. In realtà sospetto che avrebbe reagito così qualunque cosa avessimo detto- lo interruppe la cuoca, amareggiata.
-Forse... dovresti andare a parlarle- suggerì Nakht -Pare che tu sia l'unica a cui dà ascolto-
-Si è visto, infatti- rispose ironica Jamila -E comunque in questo momento non farebbe che urlarmi contro. Vuole stare sola. La sua vita è spezzata-
-Che cosa intendi?-
-Il suo obiettivo, raggiunto o meno, non esiste più. Dovrà incominciare da capo, appena avrà il coraggio di accettarlo-
-Immagino che non sarà facile- concluse grave il ragazzo.



Sinuhe non ricordava di aver passato un momento così difficile da quando si era unita ai rivoltosi. Aveva utilizzato le ultime briciole di autocontrollo per chiedere una stanza singola ed eclissarsi con la scusa di doversi riposare prima della rivolta. Da quel momento era stata appoggiata contro la porta, seduta a terra, a rimuginare sull'accaduto.
Non riusciva a capacitarsi che fosse successa una cosa del genere. Aveva messo in conto di rischiare la vita in quella missione e perfino di fallire, ma in quel caso sarebbe stata tutta colpa sua. Trovando il faraone già morto, invece, non aveva avuto neanche la possibilità di tentare. Era convinta che in caso contrario avrebbe portato a termine la missione, ma non poteva esserne certa. Cos'aveva fatto in fondo? Niente, niente che sarebbe stato ricordato, niente di utile.
Oltre alla rabbia che il ricordo dell'accaduto le provocava, c'era l'angoscioso pensiero del futuro. Anzi, del presente. Che cosa avrebbe fatto? Detestava il capo dei rivoltosi e desiderava allontanarsi da lui il prima possibile. Inoltre, una volta portata a termine la rivolta, la posizione dei rivoltosi sarebbe cambiata, non sarebbe più esisto il gruppo degli insorti così come esisteva allora, in quanto non ci sarebbe stato più bisogno di una ribellione. Non vedeva il suo futuro ancora con loro. C'erano poi Jamila, Horus e Nakht, con tutto ciò che questo comportava. Anche in questo caso la prospettiva non la entusiasmava. Per via dello sconforto che già la pervadeva, ebbe quasi paura all'idea di intraprendere quella via: sapeva di essere un'ottima combattente, ma quando si trattava di magia e poteri sovrannaturali non aveva neanche idea di cosa aspettarsi. La causa, poi, non toccava più di tanto e, se avesse combattuto, lo avrebbe fatto per necessità.
Il futuro, quindi, le appariva come uno spazio ampio inutilizzato, senza uno scopo. Proprio come le aveva predetto Jamila, ora la sua vita non aveva più senso. Era convinta che se avesse portato a termina la sua missione le cose sarebbero state diverse, ma non aveva modo di sperimentarlo. Stava andando alla deriva, in balia di un destino più grande di lei, o almeno questa era la sua impressione in quel momento. Come sempre in lei, il sentimento che dominava era la rabbia, non solo per la beffa della sorte, ma anche per il fatto di dover dare ragione a Jamila. La rabbia, che non sapeva su chi rivolgere se non su se stessa, la consumava mentre le ore passavano.
Restò a rimuginare e a tormentarsi fino a sera, finché non si addormentò con la mente ancora turbata. Quando si risvegliò, dopo una notte di sogni inquieti e indefiniti, un nuovo pensiero si fece strada nella sua mente. Si rese conto di non essersi sostanzialmente mossa da quell'angolo, di non aver reagito. Era soltanto restata lì a piagnucolare, abbattuta, sconfitta da se stessa, incapace di andare avanti. Aveva ceduto a tutto quello che in passato aveva combattuto con successo e aveva gettato la maschera di forza che si era costruita in tutti quegli anni. Non importava se nessuno aveva visto la sua debolezza, era lei stessa che non poteva accettarlo. Si stava comportando da stupida, e lo sapeva. La vergogna si fece strada tra gli altri sentimenti burrascosi che l'agitavano. Non era nulla di quello che avrebbe voluto essere e nulla di quello che, forse, era stata. Era soltanto una ragazzina inutile e debole. Si odiava per questo, ma allo stesso tempo era incapace di riscuotersi. Ci pensava, si ripeteva che a quel punto l'unica cosa da fare era partecipare alla rivolta così come aveva programmato di fare. Combattere. Era sempre stato il modo migliore di incanalare i sentimenti che la disturbavano.
L'idea di uscire da quel suo rifugio, però, era inarrivabile. Era certa che chiunque avrebbe letto sul suo volto la sua debolezza. Era certa che non ci fosse modo di tornare a essere la ragazza forte e risoluta di un tempo. Dopo un comportamento del genere avrebbe potuto soltanto continuare a nascondersi come stava facendo. Non era stata capace di reagire come una vera guerriera: non poteva continuare a fingere di esserlo, non ne aveva la forza.
Più passava il tempo, peggio si sentiva. Contava i minuti sprecati a piagnucolare in quella stanzetta, mentre altri minuti si aggiungevano a quelli. Ogni minuto era una prova in più della sua debolezza, eppure non sapeva che altro fare se non continuare a commiserarsi. Cominciò a chiedersi se non sarebbe impazzita.



 

Il cantuccio dell'autrice
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo e che vi abbia sorpreso almeno un po' ^^
Ho messo più introspezioni qui che in tutto il resto della storia lol (un po' di autoironia ci vuole xD).
Fatemi sapere come vi è sembrato :)
A presto!
Red Wind

 
   
 
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