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Autore: Jailer    27/09/2015    3 recensioni
Il passato di Manigoldo, dalla prima volta in cui vide un'anima al suo incontro con Sage, da Messina ad Atene, passando per la solitudine, i sogni, il fato, la morte, l'amore.
La giovinezza del discolo destinato a diventare l'uomo che incatenò Thanatos è un valzer tra piccoli e grandi drammi, vissuti sempre con la leggerezza e l'ironia che lo contraddistinguono.
E anche l'incredulità per ciò che il fato scelse di riservargli.
"Ancora non ho capito quale concatenazione di fatti mi abbia portato alle soglie della Quarta Casa, né che cosa ci faccia io qui.
Come per ogni cosa, però, ne prendo atto.
A volte prendo in giro la mia armatura: mi ci siedo davanti a gambe incrociate, e le chiedo: “Ma a te, chi ti ha voluta?”
Penso che lei mi sorrida in qualche modo, ma non so che espressione sia, se di benevolenza o di beffa.
Le sorrido anche io, di gratitudine o imbarazzo. Ma non posso fare a meno di pensare quanto cara mi sia costata."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer Manigoldo, Cancer Sage, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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III

La tierra donde cae el Sol


Restai con la ghenga del Rosso poco più di dodici mesi: un pezzo di vita breve, ma memorabile.
Ho già detto di avere i problemi a dormire in posti chiusi: nello stanzone adibito a dormitorio in cui dormiva una parte del gruppo, tra il caldo soffocante dei primi tempi – i primi mesi d’inverno, in cui l’aria non gelava completamente -, la polvere e l’ansia, ho avuto più attacchi d’asma che in tutto il resto della mia vita.
Era un inferno per me, per quelli che volevano dormire, incuranti della mia sorte, e per quei pochi che si preoccupavano che io morissi.
Tra questi, oltre a Blanca, c’erano altri due ragazzini con cui avevo stretto amicizia - o una relazione del genere.
Il Gamba era uno spilungone magro magro che era scappato dall’orfanotrofio poco prima del mio arrivo, e Rob O’Neill, una lingera con la faccia da santo.

Dopo un paio settimana di crisi sistematiche, anche due volte a notte, il Rosso mi lasciò a dormire nello stanzone principale dello scantinato, quello in cui di giorno stavano tutti.
Faceva più freddo, ma essendo estremamente ampio, riuscii finalmente a passare notti tranquille. A volte il Gamba e Blanca venivano giù a farmi compagnia nelle sere di vento, quando nessuno di noi riusciva a dormire.
Mangiavo abbastanza e avevo ricominciato a prendere peso, dopo qualche mese l’asma si affievolì tanto da non rappresentare un problema particolare.

Il lavoro consisteva nel rubacchiare a destra e sinistra, al mercato e nelle tasche delle persone vestite un po’ meglio. Poi si portava tutto al Rosso, e lui portava le cose più preziose da qualcun altro. Per noi teneva le cose che servivano a campare.
Quelle ragazze ben vestite si prostituivano.
Blanca no, perché sembrava un maschio, diceva. E non si capiva se la cosa le desse sollievo o la mettesse incredibilmente in crisi.

Rob aveva fatto del rubare una vera e propria arte: aveva un tocco così leggero e una presenza tanto discreta che sapeva starti seduto vicino, parlarti amichevolmente e rubarti il cibo dal piatto. Mentre lo guardavi.
Mio padre veniva dall’Inghilterra, a Londra il furto è maestria!”, vantava.
Dicevano che una volta avesse provato – e fosse riuscito - a fregare qualcosa anche al Rosso. Solo che poi quello lo aveva preso da parte e chiuso in una stanza con sé.
Rob non aveva mangiato per una settimana e non aveva mai più guardato il Rosso dritto negli occhi.

Fatta eccezione che con il capo, egli aveva un perenne sorrisetto sardonico sul viso.
Quella pelle lattea, gli occhi cilestrini e il ciuffetto biondo che scendeva in mezzo alla fronte gli davano un aspetto così innocente da far venire naturale l’impulso di fargli del male.
Mentivano: se qualcuno avesse veramente a fargli qualcosa, poi lui si sarebbe vendicato. Ed era cattivo.

Non credo di aver mai conosciuto una persona capace di tali e gratuite crudeltà come Rob.
Dicevano che fosse diventato così per colpa di un padre alcolizzato. La leggenda narra che fosse stato buono come il pane una volta.
Rob era stato colui che aveva deciso che io mi sarei chiamato Manigoldo. Perché era un nome tosto, mi stava bene addosso.
Se non fossi abituato a farmi chiamare Rob, ti darei il mio nome e mi prenderei il tuo.
Pure quello si sarebbe fregato, il bastardo.


Il Gamba era un individuo totalmente diverso. Era altissimo, malaticcio per esser cresciuto troppo, troppo in fretta, con quei capelli bruni e sempre sugli occhi, dei quali invece non ho idea di quale fosse il colore.
Era un buon amico, silenzioso, anche se a volte petulante.
Aveva un perenne senso di colpa addosso che gli avvelenava il sangue senza motivo. Aveva la mia età ma sembrava incredibilmente vecchio con quel modo di fare composto e pacato.
Non l’ho mai stimato abbastanza, sebbene fosse di gran lunga migliore di Rob.
Subiva le prese in giro da parte di tutti gli altri tre.
Blanca era la più cattiva di tutti nei suoi confronti, ma solo perché era l’unico su cui potesse accanirsi pure lei.
Lui alzava le spalle: era forte in maniera così discreta da risultare insopportabile.
Era la sua maniera di essere aristocratico.
Gamba faceva il palo, di solito.
Poi andava per conto suo a rubare nelle librerie, ma lo faceva in buona fede: riportava sempre il libro preso dopo uno o due mesi. Per ricordarsi del negozio a cui appartenevano strusciava con il dito sporco su un angolo della prima pagina. A seconda di quale angolo fosse, lui sapeva dove riportarlo.
A volte li prestava a me, con l’imperativo di non rovinarli. Ero arrivato ad ordinargli dei libri precisi, avevamo gusti simili, assecondava le mie richieste, altre volte facevo scegliere lui.
Un’unica condizione: i volumi dovevano essere sottili, chiaramente. Bisognava nasconderli sotto la giacca, altrimenti non poteva farla sotto al libraio, se gli passava davanti con strane escrescenze.


***

I giorni passarono veloci, passarono in strada, tra la confusione, la polvere e il rischio di essere sempre schiacciati dalle carrozze che correvano, correvano tutti il giorno. E chissà dove andavano, così eternamente di fretta, mi chiedevo.
Eravamo sguaiati, fuori luogo, beffardi - piccoli adulti rovinati dalla vita.
Oserei dire che rischiavamo di essere felici.
In realtà devo dire, per quel che mi riguarda, che ero perennemente lacerato da una strana malinconia, una tristezza soffocante, che mi prendeva alla sera nei vicoli in cui baluginavano le fiaccole, o quando mi trovavo in mezzo ad una folla particolarmente densa.
Non so cosa mi mancasse, dato che non ricordavo praticamente niente (recuperai infatti qualche pezzo di memoria solo con gli anni).

Pensavo: farfalle. Ma non ne vedevo.
I ritagli di cielo sopra la città era così risicati che ogni volta che guardavo in alto non riuscivo a provare né pace né deferenza.
Non mi sono mai più liberato di quella sensazione.


***


Quando si preparava ad allungare le mani nelle tasche della gente, Blanca si calcava il cappello in testa con tale forza e concentrazione che sembrava volesse infilarcisi tutta dentro.
Era un rito che le aveva fatto perdere qualche capello. Aveva la frangetta un po’ diradata per le continue frizioni con la flanella.

Non diventi invisibile a schiacciarti il cappello in fronte”, la stuzzicai, “solo calva.”
Non diventi furbo a guardare cosa faccio io, resti solo senza cena.”
Tutto così: lei perdeva veramente i capelli e io restavo senza cena solo a volte.


Una sera eravamo seduti in silenzio su un attracco del molo, Blanca dava le spalle al mare, in favore dei monti. Il buio stava risalendo il cielo a partire da lì.
Alle nostre spalle, bassa sull’orizzonte, Venere.
Mi piaceva quella stella: di notte, fra le altre, mi sembrava a malapena riconoscibile per la sua luce verdina, ma alla sera e al mattino – quando la chiamano Lucifero - era sempre la regina. Quando gli altri astri cedevano il passo al Sole, lei rimaneva lì e si prendeva la sua meritata gloria.
Pensando all’alba mi nacque quella curiosità: “Ma tu, tu da dove vieni?”, le chiesi.

Non sapevo molto di lei.
Blanca restò ancora in silenzio per un istante, poi tese il dito verso nord-ovest, un ovest lontanissimo, e lo mosse lentamente in direzione est, avvicinandolo piano piano a se stessa.
Aveva un’espressione indecifrabile.

Vieni da lontano?"
Rifletté un ultimo istante: “Dalla Spagna”, rispose senza calore, concentrandosi sul lavoro di un pescatore dal viso sporco, che sistemava le reti.
Tuttavia, quando cominciò a parlare, non riuscì a fermarsi: “O almeno da lì viene la mia gente. Io non sono sicura di esserci mai stata. Non la ricordo affatto, eppure per me è davvero la patria a cui tornare.
Capii dal suo racconto – lei non lo disse esplicitamente – che era nata tra i gitani, gli zingari spagnoli.
Era cresciuta girovaga sui loro carri colorati, era sopravvissuta danzando: aveva ballato in ogni piazza per guadagnare soldi e in ogni vicolo per dimenticare la fame.
Aveva indossato le loro gonne lunghe e colorate, con i sonagli attaccati, suonato il tamburello e portato i capelli lunghi.
Confesso che questa immagine di lei mi fece un certo effetto. Se ne accorse, e si calcò meglio il cappello verde sugli occhi.
Il suo primo ricordo erano le coste scoscese e avare – di una bellezza amara e folgorante - del mar Ligure, il vento tremendo che tirava nei caruggi di Genova, un vecchio sdentato a cui aveva fatto l’inchino dalla cima di una
creuza.
Era stata con una carovana fino in Calabria, poi il suo racconto si interruppe bruscamente e seppi solo che, da sola, aveva attraversato lo Stretto.

Ho vissuto qui per sei mesi, altrettanto sola, ed è stata dura.
Un giorno ho cercato di mettere le mani nelle tasche di Rosso.”

A quel punto sorrise, e percepii un terribile tarlo rodermi dentro.
Non ho più parlato direttamente con il Rosso dopo il giorno del mio arrivo, eppure la sua presenza gravava sempre su di noi come un temporale: egli era il nostro salvatore e il nostro terrore. Blanca lo venerava.

Mi ha beccato subito”, continuò: “Un gatto non può fregare una volpe, è stata la prima cosa che mi ha detto.
Mi ha bloccato per il polso. Avrebbe potuto fare qualunque cosa volesse: chiamare la vigilanza o farsi giustizia da solo, tanto qui nessuno protesta per la vita di quelli come noi.
Mi ha detto solo che ero stata brava, mi avrebbe lasciato stare se avessi continuato a fare quello che stavo facendo, ma per lui.
Mi ha salvato la vita.”

Tuttavia, voleva tornare in Spagna - come fosse sicura di voler tornare in un posto in cui non era sicura di essere mai nemmeno stata, proprio non lo so.
Non aveva un cuore gitano, lei voleva un posto in cui tornare e fermarsi, ed era una sognatrice.

So che questa non è casa mia e che quello è l’unico luogo possibile in tutta la Terra.”

La Spagna dei giorni che non tramontano mai, del sole eterno e delle notti giovani; dei fieri cavalli bianchi, delle ballerine di flamenco in abito rosso – volta la carta, un toro squarcia la muleta.
La Spagna lontana, nello spazio e nel tempo, ma non irraggiungibile, l’irresistibile richiamo del sangue.


Quando?”
Quando Rosso non avrà più bisogno di me.”
Quando non sarà più una ragione sufficiente per restare,
pensai.

Aveva percorso a ritroso la strada del sole, da ovest ad est. Ora voleva seguire la giusta linea, tramontare ad ovest, e quando lo disse aveva i brividi.

Ricordo bene la sagoma delle sue spallucce, quella sera. Al lobo destro aveva un anellino dorato, una ciocca le scappava dal cappello.
Io continuavo a guardare Venere, ma ben presto non riuscii più a trovarla – si era fatta tarda sera.
Chissà a cosa pensai quel giorno. L’avrei portata ovunque pur di non lasciarla al Rosso.
L’avrei portata ovunque purché restasse con me, lo giuro.

Ironia della sorte, Blanca finì a tramontare ancora più ad est.






   
 
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