Capitolo
quattro
Lascia che
il
getto d’acqua calda mi sciogliesse i muscoli tesi, lasciai
che con essa
scivolassero via anche tutte le preoccupazioni, le paure, i pensieri.
Cosa
voleva? Ero stata chiara nei mesi precedenti. Desideravo che sparisse
dalla mia
vita. Quella telefonata, alla quale non avevo risposto, mi aveva fatto
gelare
il sangue nelle vene, mi aveva fatto venire la pelle d’oca.
Presi il flacone di balsamo e mi soffermai a guardare la lavanda
disegnata
sull’etichetta. Con la mente tornai inevitabilmente alla
notte precedente,
quando Alexander aveva notato il profumo del mio balsamo. Sorrisi a
quel
ricordo e provai un fremito ripensando al suo viso vicino al mio.
Scossi il
capo, come a ridestarmi, e mi passai una piccola quantità di
balsamo sui lunghi
capelli. Li pettinai lentamente e mi ritrovai a pensare ad Alexander,
alle sue
mani fra i miei capelli.
Sbuffai, irritata dai miei stessi pensieri. Mi sciacquai i capelli ed
uscii
dalla doccia, avvolgendomi nel grande asciugamano bianco che sapeva di
pulito.
Mi asciugai velocemente i capelli, lasciandoli ribelli e vaporosi.
Quando uscii
dal bagno per andare a vestirmi in camera trasalii.
«Dio, Linn!» esclamai passandomi una mano fra i
capelli. «Bussa la prossima
volta. Mi farai morire d’infarto.»
Linn era seduta sul letto, gambe incrociate mentre vagliava le
boccettine di
smalto all’interno di un cofanetto. «Ho bussato. Ma
eri sotto la doccia.
Rosso?» chiese mostrandomi una boccettina.
Annuii. Sorrise e saltò giù dal letto,
dirigendosi verso il piccolo scrittoio
sotto la finestra.
«Ha più chiamato?» chiese mentre si
applicava lo smalto sulle unghie.
Scossi il capo. «No. Spero non lo rifaccia.»
«Vedrai che è stato solo un momento.»
Annuii. «Che razza di uomo stavo per sposare, Linn? Mi
ha…» la voce mi si ruppe
e mi sfiorai le braccia, lì dove i lividi oramai erano
spariti.
Linn chiuse la boccetta e si sedette accanto a me, sul letto.
«Un uomo
orribile. Ora è finita. Ora hai la possibilità di
una nuova vita, tesoro.»
«Non ti sembra un po’ presto?» chiesi
poggiando la tempia sulla sua spalla.
«Non ho detto che inizierà domani. Che prima o poi
guarderai avanti. E’ sarà
bellissimo.»
Sorrisi e le circondai le spalle con le braccia.
«Ho notato un certo… feeling fra te e
Alex…»
«Linn… non ho intenzione di parlare di qualsiasi
idea sbagliata tu ti sia fatta»
dissi con voce ferma alzandomi dal letto e dirigendomi verso
l’armadio.
«Non fare la difficile. Notavo solo che gli sei
particolarmente simpatica.»
Afferrai la biancheria intima e mi voltai a guardarla. «Non
abbiamo parlato
molto.»
Lei sorrise. «Fidati, sei l’unica persona al di
fuori della famiglia con cui
non abbia parlato esclusivamente di lavoro. Da quando è
tornato da Boston… è
diverso.» sospirò.
Inclinai il capo di lato. «Cosa gli è
successo?»
«Un incidente. Per questo ha perso quasi totalmente la vista.
E’ degenerativa.
Presto non vedrà nemmeno le ombre», la sua voce
era pari ad un sussurro. «E’ il
fratello che non ho mai avuto, Iris. Non merita tutto questo.»
Posai la biancheria su una sedia accanto al letto e
l’abbracciai. Non dissi
nulla. Solo… l’abbraccia e potei avvertire il
dolore nel suo respiro pesante.
Muta rabbia mai espressa.
«Non cambiare discorso.»
Sospirai. «Vado a vestirmi.»
«Non finisce qui signorina», Linn mi
puntò l’indice contro mentre i dirigeva
verso la porta.
«Non ti sento!» esclami chiudendomi la porta del
bagno alle spalle.
Diamine.
Quella sera, per cena, indossai un vestito di leggera lana blu. Mi
spazzolai i
capelli, che mi ricaddero sulle spalle in onde morbide. Rimasi a fisare
la mia
immagine allo specchio del bagno.
Ripensai alle parole di Linn su Alxander. Alla sua riservatezza, alla
sua poco
loquacità, dovuta probabilmente alla sua condizione,
all’incidente che gli
aveva cambiato la vita. Mi chiesi come fosse stato prima
dall’incidente. Come
potessero essere istuoi occhi mentre guardavano qualcosa di
meraviglioso, o
qualcosa di inaspettato. Mi chiesi cosa avrei letto nei suoi, al nostro
primo
incontro.
Sospirai. Cosa stavo facendo?
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi passai
del burro di
cacao sulle labbra secche. Quando uscii dalla camera bussai a quella di
Linn.
Rimasi qualche istante davanti al legno scuro, prima che la porta fosse
spalancata. Alzai gli occhi, ma non incontrai il viso il Linn.
«Alexander» soffiai. «Ho…
sbagliato camera?» chiesi sbirciando dentro.
Lui scosse il capo. «No. Linn si sta vestendo in bagno.
Entra.» disse facendo
una passo indietro e scostandosi di lato.
Entrai e riconobbi il disordine di Linn. Sorrisi e mi sedetti sul
letto,
accanto a lui.
«Caotica come sempre» osservai.
Lui fece un risolino. «Sì, da adolescente dividevo
con lei la camera, quando
tornavo in Norvegia. Ricordo che non eravamo d’accordo su
nulla.»
Mi resi conto che Linn non mi aveva mai raccontato nulla sulla sua
famiglia.
Provai una fitta di dispiacere.
«Vivo con lei da un paio di mesi e non ho ancora imparato a
capire il posto
giusto degli utensili in cucina.»
Lui corrugò appena la fronte e voltò il capo
nella mia direzione. Si sporse
vero di me ed il profumo di pino silvestre mi invase i polmoni, dandomi
alla
testa. Allungò la mano sinistra, sfiorandomi il corpo con
l’interno della
spalla destra. Sentii una morsa allo stomaco. Con le dita della grande
mano
accese l’abajour sul comodino accanto al letto.
«Ora va meglio» disse guardando nella direzione del
mio viso.
Sorrisi, chinando imbarazzata il capo. Consapevole che non potesse
vedere il
rossore sulle mie gote.
«Credevo che Linn vivesse da sola.»
Deglutii. «Beh, sì, sono da lei mentre cerco un
appartamento tutto mio.»
Non sembrò molto soddisfatto della risposta, come se volesse
sapere di più, ma
fui felice di non ricevere domande a cui, in quel momento, non mi
andava di
rispondere.
«Non mi hai detto quanti anni hai, Iris.»
«Ventisei.»
Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’alto,
illuminando il suo volto. Si
passò una mano sui corti capelli color del grano.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma in quel momento la porta
del bagno si aprii
e Linn si bloccò sulla porta quando ci vide.
«Ah, sei qui» disse rivolta verso me.
Arrossii.
Alexander si mosse irrequieto sul letto.
«Muoio di fame. Andiamo di sotto?»
suggerì alzandosi in piedi.
Guardai Linn che fece spallucce ed insieme di dirigemmo al piano di
sotto.
Mentre percorrevamo il corridoio per andare al piano inferiore sentii
il mio
cellulare squillare.
Mi immobilizzai e Linn mi guardò. Poi mi ricordai che mia
madre avrebbe dovuto
chiamarmi entro dieci minuti e ne erano già passati venti.
Sorrisi. «Mia madre doveva richiamarmi!» esclamai
voltandomi e dirigendomi in
camera. Non guardai nemmeno il nome sul display del cellulare, risposi
entusiasta di sentire mia madre.
«Mamma?» risposi voltandomi verso la porta.
«Iris, amore mio…»
Sgranai gli occhi e sentii un brivido freddo attraversarmi la schiena.
Sentii
la pelle d’oca sulla nuca.
«Richard. Non devi chiamarmi più. Mai
più.»
«Scusami, amore, scusami… io posso cambiare.
E’ stato solo un momento, io non
sono così, lo sai.»
«Iris, svegliati,
andiamo…»
Sentii scuotermi con forza. Aprii gli occhi e alla fioca luce della
camera da
letto vidi Richard inginocchiato accanto al letto.
«Rick, che ora?» chiesi assonnata guardando la
radiosveglia. Segnava le tre del
mattino.
«Cosa? Chiesi poggiandomi su un gomito e corrugando la
fronte. «Ho la sveglia
fra due ore.»
«Dai, piccola, andiamo..» biascicò
sbottonandosi la camicia con una mano,
mentre l’altra si insinuava nella scollatura della mia
canotta.
«Rick… sei ubriaco» soffiai sentendo
forte odore di whisky. «Sta fermo. Vieni a
dormire» dissi allontanandogli la mano e accarezzandogli i
capelli.
Lui tentò di baciarmi e inizialmente risposi, ma quando la
sua mano si
intrufolo ancora una volta nella mia canotta con forza e violenza, lo
allontanai.
«Basta, Richard, vieni a letto» lo ammonii.
Lui rimase qualche secondo immobile, gli occhi scuri, neri come il
cielo
notturno, puntati nei miei, Dopo alcuni secondi annuì e si
lasciò cadere
accanto a me. Indossava ancora le scarpe.
«Devi dimenticarmi, Richard. Basta. Non ti voglio
più nella mia vita.
Basta» sibilai.
«Iris, Iris!» urlò lui, ma non gli diedi
il tempo di dire altro perché
riagganciai e tolsi la suoneria.
Andai al piano inferiore, lasciando il telefono, vibrante, sul letto.
Affondai la
forchetta in un pezzo di waffle, ricoperto di crema al cioccolato.
Chiusi gli
occhi gustando sulla lingua e sul palato il dolce sapore di quel dolce
così
semplice.
«Linn,» esordii, «i tuoi waffle non si
smentiscono mai.»
Lei rise, «lo so, lo so.»
«Mi sono mancati da morire», disse Alexander
chiudendo gli occhi e masticando
lentamente. Emise un suono gutturale, dischiudendo appena le labbra e
facendo
ricadere la testa all’indietro.
Mi inumidii le labbra e deglutii.
Distolsi lo sguardo, fissando il televisore. Dopo cena avevamo optato
per una
serata tranquilla, nel grande soggiorno dei Karlsen. La storia infinita, per un revival anni
’80. “Lo guardavamo sempre da
bambini!” aveva esclamato Linn ad Alexander, “ti
prego, guardiamolo!”. Lui non poté che accettare.
«Ti sono mancati più i miei waffle che
io.»
«Oh, non essere cattiva con i miei waffle. No, piccoli, non
ascoltatela» disse
portandosi alla bocca un altro pezzo.
Risi, coprendomi la bocca la mano. Sul volto di Alexander si dipinse un
sorriso
sghembo, di quelli che ti colorano il viso. Si voltò nella
mia direzione, alla
sua sinistra, poiché eravamo entrambi seduti sul divano.
Avevo le gambe
poggiate lateralmente sul divano. Sapevo che non poteva vedermi. Fissai
il suo
volto e provai una fitta di dispiacere e delusione. Avrei voluto poter
tuffarmi
nei suoi occhi, in quelle pozze di acqua di mare; avrei voluto legger
qualcosa
nei suoi occhi. Invece, erano chiari sipari, che non mi permettevano di
vedere
il teatro dell’anima.
Linn si schiarì a voce, «vado a prendere
dell’acqua. Ne volete un po’?»
Entrambi annuimmo.
Sentii il viso avvamparmi sotto gli occhi di Linn.
Tra noi calò il silenzio, il fuoco scoppiettava e la tv
trasmetteva il film,
che però non ascoltavo. Sentivo l’attenzione di
Alexander su di me, nonostante
guardasse dritto, verso la televisione.
«Quanto hai detto che ti fermi?»
«Due settimane.»
Sorrise. «Sono molti giorni.»
Feci schioccare la lingua. «Sei già stanco di
avermi intorno?» dissi con finto
tono ferito.
Si inumidì il labbro inferiore, poi si voltò
appena verso di me, in modo tale
che vedessi solo tre quarti del suo viso. Alzò poi lo
sguardo su un punto
indefinito. «Come potrei, Iris?»
Il mio respiro… si spezzò, come un rametto
calpestato da un cervo, nel bosco
primaverile.
Chiedo
scusa a colore che seguono la mia storia per l’enorme
ritardo di questo capitolo. Purtroppo con
l’università ed il trasferimento ho
avuto poco tempo per dedicarmi a questo sito, con mio grande rammarico.
Vi ringrazio di cuore, perché se state leggendo queste mie
parole vuol dire che
siete arrivati alla fine di questo capitolo, e nel bene o nel male, per
me è
importante.
Vi saluto e vi abbraccio, con la speranza che il capitolo sia stato di
vostro
gradimento.
A presto,
Rose.