Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: lilJEyre    28/09/2015    1 recensioni
A volte la bellezza sta nel ghiaccio del Nord, nel mare della Norvegia, negli occhi dolci di chi non conosciamo e che mai ci vedranno. In un cielo che non conosciamo, ma che impariamo ad amare.
A volte la vita è dura, ma trova sempre il modo di farsi perdonare.
A volte abbiamo solo bisogno di amare e di essere amati.
(...) Le sue mani scesero sul mio collo, sulle spalle, facendomi venire la pelle d’oca sulla nuca. Poi, ancora, scesero nell’ incavo del mio collo, sulle orecchie e infine tra i capelli.
L’unico rumore percettibile era lo scoppiettio del fuoco, accompagnato dal il mio respiro corto.
Uno strano calore s’irradiò dal centro del mio petto in tutte le parti del mio corpo, facendo vibrare ogni mia terminazione nervosa. Affondò il viso fra i miei capelli ed inspirò.
«Il profumo di lavanda è anche il mio preferito.» mormorò allontanandosi.
Le fiamme del camino ballavano e si riflettevano nei suoi occhi vitrei. (...)
(...) Le sopracciglia erano unite in una linea retta, le labbra dischiuse. Pensai che se la mitologia scandinava fosse stata reale, Thor, figlio di Odino, avrebbe avuto il suo volto.
«Grazie…»
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo quattro

 

 

 

    Lascia che il getto d’acqua calda mi sciogliesse i muscoli tesi, lasciai che con essa scivolassero via anche tutte le preoccupazioni, le paure, i pensieri. Cosa voleva? Ero stata chiara nei mesi precedenti. Desideravo che sparisse dalla mia vita. Quella telefonata, alla quale non avevo risposto, mi aveva fatto gelare il sangue nelle vene, mi aveva fatto venire la pelle d’oca.
    Presi il flacone di balsamo e mi soffermai a guardare la lavanda disegnata sull’etichetta. Con la mente tornai inevitabilmente alla notte precedente, quando Alexander aveva notato il profumo del mio balsamo. Sorrisi a quel ricordo e provai un fremito ripensando al suo viso vicino al mio. Scossi il capo, come a ridestarmi, e mi passai una piccola quantità di balsamo sui lunghi capelli. Li pettinai lentamente e mi ritrovai a pensare ad Alexander, alle sue mani fra i miei capelli.
    Sbuffai, irritata dai miei stessi pensieri. Mi sciacquai i capelli ed uscii dalla doccia, avvolgendomi nel grande asciugamano bianco che sapeva di pulito.
    Mi asciugai velocemente i capelli, lasciandoli ribelli e vaporosi. Quando uscii dal bagno per andare a vestirmi in camera trasalii.
    «Dio, Linn!» esclamai passandomi una mano fra i capelli. «Bussa la prossima volta. Mi farai morire d’infarto.»
    Linn era seduta sul letto, gambe incrociate mentre vagliava le boccettine di smalto all’interno di un cofanetto. «Ho bussato. Ma eri sotto la doccia. Rosso?» chiese mostrandomi una boccettina.
    Annuii. Sorrise e saltò giù dal letto, dirigendosi verso il piccolo scrittoio sotto la finestra.
    «Ha più chiamato?» chiese mentre si applicava lo smalto sulle unghie.
    Scossi il capo. «No. Spero non lo rifaccia.»
    «Vedrai che è stato solo un momento.»
    Annuii. «Che razza di uomo stavo per sposare, Linn? Mi ha…» la voce mi si ruppe e mi sfiorai le braccia, lì dove i lividi oramai erano spariti.
    Linn chiuse la boccetta e si sedette accanto a me, sul letto. «Un uomo orribile. Ora è finita. Ora hai la possibilità di una nuova vita, tesoro.»
    «Non ti sembra un po’ presto?» chiesi poggiando la tempia sulla sua spalla.
    «Non ho detto che inizierà domani. Che prima o poi guarderai avanti. E’ sarà bellissimo.»
    Sorrisi e le circondai le spalle con le braccia.
    «Ho notato un certo… feeling fra te e Alex…»
    «Linn… non ho intenzione di parlare di qualsiasi idea sbagliata tu ti sia fatta» dissi con voce ferma alzandomi dal letto e dirigendomi verso l’armadio.
    «Non fare la difficile. Notavo solo che gli sei particolarmente simpatica.»
    Afferrai la biancheria intima e mi voltai a guardarla. «Non abbiamo parlato molto.»
    Lei sorrise. «Fidati, sei l’unica persona al di fuori della famiglia con cui non abbia parlato esclusivamente di lavoro. Da quando è tornato da Boston… è diverso.» sospirò.
    Inclinai il capo di lato. «Cosa gli è successo?»
    «Un incidente. Per questo ha perso quasi totalmente la vista. E’ degenerativa. Presto non vedrà nemmeno le ombre», la sua voce era pari ad un sussurro. «E’ il fratello che non ho mai avuto, Iris. Non merita tutto questo.»
    Posai la biancheria su una sedia accanto al letto e l’abbracciai. Non dissi nulla. Solo… l’abbraccia e potei avvertire il dolore nel suo respiro pesante. Muta rabbia mai espressa.
    «Non cambiare discorso.»
    Sospirai. «Vado a vestirmi.»
    «Non finisce qui signorina», Linn mi puntò l’indice contro mentre i dirigeva verso la porta.
    «Non ti sento!» esclami chiudendomi la porta del bagno alle spalle.
    Diamine.



    Quella sera, per cena, indossai un vestito di leggera lana blu. Mi spazzolai i capelli, che mi ricaddero sulle spalle in onde morbide. Rimasi a fisare la mia immagine allo specchio del bagno.
    Ripensai alle parole di Linn su Alxander. Alla sua riservatezza, alla sua poco loquacità, dovuta probabilmente alla sua condizione, all’incidente che gli aveva cambiato la vita. Mi chiesi come fosse stato prima dall’incidente. Come potessero essere istuoi occhi mentre guardavano qualcosa di meraviglioso, o qualcosa di inaspettato. Mi chiesi cosa avrei letto nei suoi, al nostro primo incontro.
    Sospirai. Cosa stavo facendo?
    Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi passai del burro di cacao sulle labbra secche. Quando uscii dalla camera bussai a quella di Linn. Rimasi qualche istante davanti al legno scuro, prima che la porta fosse spalancata. Alzai gli occhi, ma non incontrai il viso il Linn.
    «Alexander» soffiai. «Ho… sbagliato camera?» chiesi sbirciando dentro.
    Lui scosse il capo. «No. Linn si sta vestendo in bagno. Entra.» disse facendo una passo indietro e scostandosi di lato.
    Entrai e riconobbi il disordine di Linn. Sorrisi e mi sedetti sul letto, accanto a lui.
    «Caotica come sempre» osservai.
    Lui fece un risolino. «Sì, da adolescente dividevo con lei la camera, quando tornavo in Norvegia. Ricordo che non eravamo d’accordo su nulla.»   
    Mi resi conto che Linn non mi aveva mai raccontato nulla sulla sua famiglia. Provai una fitta di dispiacere.
    «Vivo con lei da un paio di mesi e non ho ancora imparato a capire il posto giusto degli utensili in cucina.»
    Lui corrugò appena la fronte e voltò il capo nella mia direzione. Si sporse vero di me ed il profumo di pino silvestre mi invase i polmoni, dandomi alla testa. Allungò la mano sinistra, sfiorandomi il corpo con l’interno della spalla destra. Sentii una morsa allo stomaco. Con le dita della grande mano accese l’abajour sul comodino accanto al letto.
    «Ora va meglio» disse guardando nella direzione del mio viso.
    Sorrisi, chinando imbarazzata il capo. Consapevole che non potesse vedere il rossore sulle mie gote.
    «Credevo che Linn vivesse da sola.»
    Deglutii. «Beh, sì, sono da lei mentre cerco un appartamento tutto mio.»
    Non sembrò molto soddisfatto della risposta, come se volesse sapere di più, ma fui felice di non ricevere domande a cui, in quel momento, non mi andava di rispondere.
    «Non mi hai detto quanti anni hai, Iris.»
    «Ventisei.»
    Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’alto, illuminando il suo volto. Si passò una mano sui corti capelli color del grano.
    Aprì la bocca per dire qualcosa, ma in quel momento la porta del bagno si aprii e Linn si bloccò sulla porta quando ci vide.
    «Ah, sei qui» disse rivolta verso me.
    Arrossii.
    Alexander si mosse irrequieto sul letto.
    «Muoio di fame. Andiamo di sotto?» suggerì alzandosi in piedi.
    Guardai Linn che fece spallucce ed insieme di dirigemmo al piano di sotto.
    Mentre percorrevamo il corridoio per andare al piano inferiore sentii il mio cellulare squillare.
    Mi immobilizzai e Linn mi guardò. Poi mi ricordai che mia madre avrebbe dovuto chiamarmi entro dieci minuti e ne erano già passati venti.
    Sorrisi. «Mia madre doveva richiamarmi!» esclamai voltandomi e dirigendomi in camera. Non guardai nemmeno il nome sul display del cellulare, risposi entusiasta di sentire mia madre.
    «Mamma?» risposi voltandomi verso la porta.
    «Iris, amore mio…»
    Sgranai gli occhi e sentii un brivido freddo attraversarmi la schiena. Sentii la pelle d’oca sulla nuca.
    «Richard. Non devi chiamarmi più. Mai più.»
    «Scusami, amore, scusami… io posso cambiare. E’ stato solo un momento, io non sono così, lo sai.»


    «Iris, svegliati, andiamo…»
    Sentii scuotermi con forza. Aprii gli occhi e alla fioca luce della camera da letto vidi Richard inginocchiato accanto al letto.
    «Rick, che ora?» chiesi assonnata guardando la radiosveglia. Segnava le tre del mattino.
    «Cosa? Chiesi poggiandomi su un gomito e corrugando la fronte. «Ho la sveglia fra due ore.»
    «Dai, piccola, andiamo..» biascicò sbottonandosi la camicia con una mano, mentre l’altra si insinuava nella scollatura della mia canotta.
    «Rick… sei ubriaco» soffiai sentendo forte odore di whisky. «Sta fermo. Vieni a dormire» dissi allontanandogli la mano e accarezzandogli i capelli.
    Lui tentò di baciarmi e inizialmente risposi, ma quando la sua mano si intrufolo ancora una volta nella mia canotta con forza e violenza, lo allontanai.
    «Basta, Richard, vieni a letto» lo ammonii.
    Lui rimase qualche secondo immobile, gli occhi scuri, neri come il cielo notturno, puntati nei miei, Dopo alcuni secondi annuì e si lasciò cadere accanto a me. Indossava ancora le scarpe.


    «Devi dimenticarmi, Richard. Basta. Non ti voglio più nella mia vita. Basta» sibilai.
    «Iris, Iris!» urlò lui, ma non gli diedi il tempo di dire altro perché riagganciai e tolsi la suoneria.
    Andai al piano inferiore, lasciando il telefono, vibrante, sul letto.



    Affondai la forchetta in un pezzo di waffle, ricoperto di crema al cioccolato. Chiusi gli occhi gustando sulla lingua e sul palato il dolce sapore di quel dolce così semplice.
    «Linn,» esordii, «i tuoi waffle non si smentiscono mai.»
    Lei rise, «lo so, lo so.»
    «Mi sono mancati da morire», disse Alexander chiudendo gli occhi e masticando lentamente. Emise un suono gutturale, dischiudendo appena le labbra e facendo ricadere la testa all’indietro.
    Mi inumidii le labbra e deglutii.
    Distolsi lo sguardo, fissando il televisore. Dopo cena avevamo optato per una serata tranquilla, nel grande soggiorno dei Karlsen. La storia infinita, per un revival anni ’80.  “Lo guardavamo sempre da bambini!” aveva esclamato Linn ad Alexander, “ti prego, guardiamolo!”. Lui non poté che accettare.
    «Ti sono mancati più i miei waffle che io.»
    «Oh, non essere cattiva con i miei waffle. No, piccoli, non ascoltatela» disse portandosi alla bocca un altro pezzo.
    Risi, coprendomi la bocca la mano. Sul volto di Alexander si dipinse un sorriso sghembo, di quelli che ti colorano il viso. Si voltò nella mia direzione, alla sua sinistra, poiché eravamo entrambi seduti sul divano. Avevo le gambe poggiate lateralmente sul divano. Sapevo che non poteva vedermi. Fissai il suo volto e provai una fitta di dispiacere e delusione. Avrei voluto poter tuffarmi nei suoi occhi, in quelle pozze di acqua di mare; avrei voluto legger qualcosa nei suoi occhi. Invece, erano chiari sipari, che non mi permettevano di vedere il teatro dell’anima.
    Linn si schiarì a voce, «vado a prendere dell’acqua. Ne volete un po’?»
    Entrambi annuimmo.
    Sentii il viso avvamparmi sotto gli occhi di Linn.
    Tra noi calò il silenzio, il fuoco scoppiettava e la tv trasmetteva il film, che però non ascoltavo. Sentivo l’attenzione di Alexander su di me, nonostante guardasse dritto, verso la televisione.
    «Quanto hai detto che ti fermi?»
    «Due settimane.»
    Sorrise. «Sono molti giorni.»
    Feci schioccare la lingua. «Sei già stanco di avermi intorno?» dissi con finto tono ferito.
    Si inumidì il labbro inferiore, poi si voltò appena verso di me, in modo tale che vedessi solo tre quarti del suo viso. Alzò poi lo sguardo su un punto indefinito. «Come potrei, Iris?»
    Il mio respiro… si spezzò, come un rametto calpestato da un cervo, nel bosco primaverile.

 

 

    Chiedo scusa a colore che seguono la mia storia per l’enorme ritardo di questo capitolo. Purtroppo con l’università ed il trasferimento ho avuto poco tempo per dedicarmi a questo sito, con mio grande rammarico.
    Vi ringrazio di cuore, perché se state leggendo queste mie parole vuol dire che siete arrivati alla fine di questo capitolo, e nel bene o nel male, per me è importante.

    Vi saluto e vi abbraccio, con la speranza che il capitolo sia stato di vostro gradimento.

    A presto,
    Rose.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: lilJEyre