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Autore: Midnight the mad    28/09/2015    1 recensioni
Jimmy. 20 anni, un fallito. Questo è tutto ciò che c'è da sapere di lui. Almeno fino a quando non decide di andare via dalla città dove ha sempre abitato alla ricerca di... cosa? Neanche lui lo sa.
Ma quello che trova non se lo sarebbe mai aspettato: una periferia piena di parole, una ragazza con lo stesso nome della marjuana e soprattutto una persona senza nome, senza storia, senza vita.
"– Com’è che l’hai chiamata? –
Lei sorride. – Beh, non dice a nessuno il suo nome, tutti se lo chiedono. Dopo un po’, è diventato un soprannome. La cara, stronza, vecchia Whatsername. –"
". – Tu mi guardi e vedi un mistero. Vero? Vedi qualcuno senza storia, senza vita, senza nome. E pensi: “Oh, cavolo, c’è una ragazza capace di nascondere così tanto di se stessa. Stupefacente. Mi piacerebbe tanto capire quali sono la sua vera storia, la sua vera vita, il suo vero nome.” E invece sbagli. Perché c’è una cosa che non ti è mai passata per la testa, ed è che forse non c’è nessuna storia, Jimmy. Non c’è nessuna vita, e non c’è nessun nome. Per questo non riesci a vederli. Perché non esistono. –"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Are we, we are, are we, we are the waiting unknown. 

 
Me ne sto immobile, seduto sullo schienale di una panchina, e guardo il libro che tengo sulle ginocchia. Non sono ancora sicuro di aver capito davvero cosa significa quello che ha scritto Whatsername.
Quando il virus si sarà curato da solo.” Che significa? Lei si è definita un virus. In che senso si “curerà da sola”?
E poi, Agisci per quello che conta materialmente. In che senso? Che dovrei fare?
Sospiro. E’ stato chiaro da subito che lei non intende davvero come “virus” il suo spacciare droga. Intende qualcosa di se stessa. Non credo sia malata o cose del genere, però. Se fosse così, non l’avrebbe mai messa in questi termini.
Decido che devo parlare con lei in qualche modo. Non so per dire cosa, ma ho bisogno di una spiegazione di questo.
Mi alzo. Sì, però lei col cavolo che vorrà parlare con me.
Mi incammino alla ricerca di un’idea. E anche di un bagno, già che ci sono. So che ce n’è uno costruito per essere pubblico, che è uno dei pochi in cui l’acqua corrente funziona, ed è più vicino della casa di Mary Jane.
Entro dentro e faccio quello che devo fare, poi lancio un’occhiata allo specchio. E mi blocco.
Quello che ho davanti non è il mio riflesso. Cioè, ok, non mi faccio la barba da un po’, ma sicuramente io non sono così. Il tizio che ho davanti non mi assomiglia affatto. O meglio, non saprei dire. Nonostante il disegno sia bello, ben fatto, i tratti sono indefiniti, quasi sbiaditi, come se vedessi un viso in mezzo alla nebbia. L’unica cosa che percepisco è il suo sguardo, così intenso che mi brucia sulla pelle. Deglutisco.
All’improvviso la porta del bagno si apre ed entra un ragazzo con cui non ho mai parlato. – Hai fatto? – chiede.
Io deglutisco. – Mh-mh. – mormoro, senza riuscire a staccare gli occhi dal viso nello specchio.
Il ragazzo mi guarda e scoppia a ridere. – E’ la prima volta che lo vedi, vero? – chiede. – Capita a tutti di prendersi un colpo ogni tanto. –
- Che cavolo è? – chiedo.
- Beh, è dipinto tra il vetro e la vernice argentata, probabilmente. Non saprei. E non si sa neanche chi l’abbia fatto, però direi che è venuto parecchio bene. –
- Già. – concordo, ed esco dal bagno.
Mentre cammino verso casa di Whatsername cerco di non pensare al viso nello specchio. Penso solo a cosa dirle, a cosa chiederle. Ma ho la testa completamente vuota.
Quando arrivo suono il campanello e provo a bussare, ma lei non c’è oppure sta facendo finta di non esserci. Alla fine lascio il libro davanti alla porta del suo appartamento insieme a un biglietto: E qual è il virus?
Ma non risponderà. So già che non lo farà.
Scendo le scale lentamente. Ho voglia di musica, ma non ho uno stereo né un MP3, e qui non c’è Internet, ovviamente, quindi non posso neanche scaricare musica sul telefono.
Però forse qualcosa posso fare. Ci sarà un negozio di dischi in centro, per quanto io odi l’idea di andarci. E il televisore nella sala comune ha un lettore DVD, che forse dovrebbe andare bene. Non ho più di tanti soldi, ma un CD ce lo compro.
Mi avvio a piedi, un passo alla volta, e mentre continuo ad andare avanti in mezzo alla strada penso a quanto sia cambiato in così poco tempo. Già, tempo. Da quando me ne sono andato di casa non è passato neanche un mese. Mi sforzo di non pensare a mia madre, agli altri. Per lei – per loro – sarà come se fossi morto, probabilmente. Prima mancherò a tutti, poi si abitueranno alla mia assenza e staranno meglio senza di me. Anzi, forse si sono già abituati.
Quando arrivo in centro inizia a piovere. Una pioggia sottile, gocciolante. Io la ignoro e trovo il negozio di dischi. E’ completamente vuoto a parte l’uomo alla cassa che mi guarda entrare senza parlare. A differenza di tutti gli altri in questa città non sembra spaventato. Solo... stanco. Quando entro non sembra stupirsi, non saluta. Mi osserva e basta per un secondo, poi torna con gli occhi al libro che sta leggendo.
Io mi dirigo verso gli espositori. C’è musica nuova e cose che scarto subito perché non vanno bene per come sto oggi. Poi vedo un disco che mi attira. La copertina non è particolarmente bella – tre uomini seduti su un vecchio divano marrone e una donna seduta a terra – ma per qualche motivo io non voglio qualcosa con una copertina bella. Voglio qualcosa che vada bene per questo momento.
Guardo meglio. E’ dei Cranberries. Non li conosco se non per una canzone, Zombie, che per altro in questo CD c’è. Quindi dovrebbe essere carino, almeno.
Non ho voglia di restare qui più di tanto, perciò lo prendo e mi giro. Solo che mi ritrovo faccia a faccia con il venditore.
- Cranberries. – dice.
- Già. –
- Pensavo che non li ascoltasse più nessuno. –
Silenzio.
- Sì, d’accordo, non hai voglia di parlare con me. – sospira. – Dopotutto se qualcuno viene qui in cerca di musica è esattamente perché non ha voglia di parole, no? – Mi prende il CD di mano e si dirige verso la cassa.
Io resto di sasso. – Io le vorrei delle parole. – mi esce. – Solo che nessuno vuole darmene. E quindi ho bisogno di qualcosa per occupare il silenzio. Tutto qui. –
Lui sembra stupito quasi quanto me. – Capisco. – dice alla fine. – E che parole vorresti ascoltare? –
- Vorrei... una storia. – mormoro mentre lui batte lo scontrino.
- Una storia in particolare? –
- Sì. La storia di una persona. –
- E perché vuoi quella storia? –
Silenzio. Non so se devo rispondergli. Non so cosa rispondergli.
- Faccio domande strane, vero? – chiede, con un sorriso stanco.
- Che ci fa lei qui? –
Mi guarda, e io so che ha capito. Cosa ci fa in questa città una persona così?
Sorride di nuovo. – Beh, io sono qui nel caso qualcuno abbia voglia di riempire del silenzio o di coprire del rumore. Altrimenti come farebbero le persone? – aggiunge, quasi ironico.
- Ma che gliene frega delle persone? – mi esce. – Qui sono tutti così... –
- ...morti. – conclude, al posto mio. – Ma... tu sei sicuro che davvero... – Si interrompe. Scuote piano la testa. – Niente. Lascia perdere. –
- Perché? L’ultima cosa di cui ho bisogno è un’altra storia a metà. – Sono quasi arrabbiato. Perché tutti questi misteri? Che senso ha?
Lui abbassa lo sguardo. – Sì che ne hai bisogno. – risponde. – O meglio, sicuramente non hai bisogno di una storia intera. Vivi la tua vita, ragazzino. Vivila finché c’è. Le storie vengono dopo. –
- Ma io le voglio adesso! – sbotto.
- No, tu vuoi tutto adesso! – ribatte lui, a tono. – Voi... voi giovani siete tutti così. Volete tutto e lo volete subito. Beh, sapete una cosa? State sprecando la vostra cazzo di vita ad aspettare, e quando ottenete qualcosa iniziate semplicemente ad aspettare la cosa successiva. E sai, neanche poi si cambia. L’unica differenza è che alla fine non sai più cosa aspettarti, aspetti solo che cambi un cazzo di qualcosa! – Stringe i pugni. Mi guarda. – Io aspetto solo che cambi un cazzo di qualcosa. Ma non dovrebbe essere così, porca miseria. Dovreste aprire gli occhi e basta e godervi il mondo finché c’è, perché credimi, se ne va più in fretta di quanto tu possa immaginare. –
- E perché tu non lo fai? –
- Perché io non ce l’ho, un mondo. Ma tu sì. –
- Porca troia, ma siete tutti senza qualcosa? – ringhio. – Lei non ha niente. Niente. Ma non è possibile che non abbia un cazzo di nome, almeno! E adesso tu – sono passato dal “lei” al “tu” quasi senza pensarci. - ...tu vuoi dirmi che non hai niente neanche tu? Ma mi prendete in giro? –
Alle mie parole l’uomo si irrigidisce. – Whatsername. – sussurra.
Io lo guardo. – Tu... tu la conosci? –
Batte le palpebre. Per un secondo mi sembra che abbia gli occhi lucidi. – La conoscevo. – sussurra. – Ma adesso non lo so più neanch’io chi è. –
Dopo non parla più, e nemmeno io. Prendo il disco ed esco sotto la pioggia, pieno di domande e con un vuoto nello stomaco. Ma forse una risposta ce l’ho.
“Magari non lo sa neanche lei, chi è. Per questo non ha un nome.”
  
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