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Autore: Wendy96    28/09/2015    1 recensioni
C'è chi paragona l'amore all'amicizia considerandoli quasi dei pari, come fossero un'unica entità.
Perché no? Certo, si possono confondere, ma credetemi se vi dico che questi si trovano su due universi paralleli, due strisce di terra tenute insieme soltanto da un ponte che solo gli amici più intrepidi, quegli amanti sventurati legati ad una persona accanto a loro da sempre, tentano di attraversare fianco a fianco.
E Darcy aspetta su quel ponte da tutta la vita; avanza silenziosa lungo la via in cui amore e amicizia si fondono certa di essersi lasciata tutto alle spalle, di essere finalmente riuscita a dimenticare LUI.
Ma sarà proprio vero che il tempo cura le ferite e lenisce ogni pena di un cuore innamorato? E se quel fulmine a ciel sereno che ha squarciato le sue giornate felici fosse la scintilla capace di riunire due anime rimaste distanti troppo a lungo?
Nulla accade per caso, e Darcy lo capirà prima ancora che possa realizzarlo.
Questa è la storia di un'amicizia e una novità che cambierà per sempre due vite parallele.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una volta entrati in Holmes Chapel, imboccai subito la strada che conduceva verso casa di Harry, quindi fuori città.
«Dove stai andando?»
«Ti riporto a casa, no?» risposi con ovvietà sollevando le spalle.
«Sbaglio o forse ho detto che sarei stato sempre con te?»
«E lo stai facendo!»
«Andiamo da te, Gray.»
«Cosa?!»
Inchiodai con l’auto in mezzo alla strada (ma tanto chi volete che ci fosse in giro in quel buco di città alle 3 di notte?). «Hai forse intenzione di stare con me in quel modo? Intendo sempre sempre?» Aggrottai la fronte e lo guardai con aria confusa, ero del tutto incredula che ci fosse quella possibilità.
«Ti starò addosso per evitare che tu faccia stronzate. Ora gira a destra» imperò.
Mi scappò da ridere: avevo rincontrato Harry appena due giorni prima e avevamo già passato tutto il tempo possibile insieme, sapeva della mia gravidanza, aveva fatto a botte per la sottoscritta e ora si stava trasferendo da me per aiutarmi. Questo sì che è un vero amico.
Fermai l’auto davanti al vialetto di casa, presi le scarpe ancora abbandonate sotto al mio sedile e mi diressi verso casa a testa bassa. Non guardai Harry in volto forse perché una parte di me dubitava che fosse tutto reale.
«Oddio, Harry!» esclamai portandomi le mani sulla bocca una volta dopo aver acceso la luce all’ingresso e essermi voltata a guardarlo.
«Che c’è? Hai dimenticato qualcosa? Non torniamo a prenderlo, sappilo.»
«La tua faccia!»
Lo trascinai poco più avanti lungo al corridoio fino all’ampio specchio da parete in ottone. Jason l’aveva conciato peggio di quanto pensassi: lo zigono era piuttosto gonfio al punto da costringerlo a tenere l’occhio lievemente chiuso, sul sopracciglio sovrastante si era formato un piccolo taglio dal quale era sceso giusto un rivolo di sangue ora secco sulla sua tempia e il labbro inferiore, spaccato, era rosso e gonfio.
«Si vede tanto che non sono bravo a fare a botte, eh?» commentò distendendo l’angolo sinistro delle labbra in un sorrisino sghembo.
«Hai voluto fare l’eroe, te le sei prese, e non negarlo perché ti abbiamo visto tutti steso a terra con il ginocchio di Jason sul petto, però ora ridi. Io non ti capisco, Styles» dissi alzando gli occhi al cielo. «Possibile che con i tuoi amici non abbiate mai litigato al punto da mettervi le mani addosso?» aggiunsi dirigendomi verso la cucina.
«Ogni tanto facciamo la lotta, ma nulla di più. Siamo una band tranquilla che risolve i problemi con razionalità.»
«Fate la lotta… sei regredito, piccolino.»
«Ammettilo, non sono stato tanto male.»
«Okay, sei stato bravino. Apprezzo moltissimo il gesto, nessuno aveva fatto una cosa del genere per me, Jay è… difficile da stendere.»
«Sinceramente non so cosa mi sia preso, quando mi hai raccontato quello che ha fatto non ci ho più visto. Non che ora ci veda molto dall’occhio destro, ma ne è valsa la pena.»
Non ero mai stata la classica donna che lecca le ferite al proprio ragazzo dopo una rissa, quando capitava che Jason ne venisse implicato ne usciva sempre illeso, non sapevo cosa fare per aiutare Harry in quel momento.
Aprii il frigo e trovai, nascosta dietro il resto della mia spesa, una bistecca che non saprei dire da quanto fosse là dentro, ma non aveva proprio il solito odore di carne al sangue di prima scelta quando la tirai fuori dalla confezione.
«Tieni, magari funziona.» Gli feci posto su una sedia e gli sbattei la fettina di carne sull’occhio.
«Puzza» commentò con una smorfia.
«Lo so, ma tienila lì e non fare il bambino, grande eroe. Vuoi un po’ di thè?»
«Perché no.»
Mettendo nel bollitore l’acqua, riempii anche un bicchiere al quale aggiunsi un paio di cucchiai di aceto per medicare le varie ferite in assenza di disinfettanti veri.
«Stingi i denti» lo avvertii.
«Perc… cazzo!» Quasi urlò quando gli premetti un fazzoletto impregnato di soluzione sulle labbra.
«Ecco perché… Se stai fermo farò in frettissima, prometto.»
Continuò a lamentarsi, ma almeno lo fece in silenzio dandomi la possibilità di finire il mio lavoro.
«Fatto. E speriamo solo di non aver peggiorato la situazione.»
«E che mia madre non lo scopra. A volte sa essere troppo… apprensiva.»
«Sei comunque il suo bambino, Anne è fatta così» dissi togliendo il bollitore dai fornelli.
«Mi hai detto che sai di essere incinta da quasi tre mesi, ma non mi hai detto come lo hai scoperto» disse quando gli passai una tazza di semplice thè English breakfast.
«Non mi sono più arrivate, ogni singolo odore m’infastidiva e ancora ora la mattina mi sveglio con la nausea, ho fatto due più due e ho scoperti di avere una pagnotta nel forno. Come vuoi che l’abbia scoperto?»
«Grazie, Sherlock, ma intendevo, non so, sapere se è successo qualcosa, come ti sei sentita.»
Riflettei qualche istante. In effetti non ci avevo mai ripensato, da quando lo avevo scoperto sembrava essere passata un’eternità.
Ricordando tutto quello che era capitato in quella strana giornata mi sfuggì un risolino.
«Sai, ora che ci penso è piuttosto divertente. Ero a casa con Mel quando, facendo i conti, mi sono resa conto di avere un ritardo di due settimane. Ci siamo messe occhialoni, cappellini da baseball con la visiera il più in basso possibile, dei vestiti larghi e siamo andate a una di quelle macchinette fuori da una farmacia in un paese vicino per prendere tre test di gravidanza, tutto con molta calma, come se si trattasse di un banale raffreddore.»
«Tre?!» s’intromise nel racconto.
«Non si è mai abbastanza sicuri. Li ho fatti in tre ore diverse senza mai leggere il risultato, li facevo e poi li mettevo nella scatolina del primo e li nascondevo in modo che a nessuna delle due venisse la tentazione di andare a dare un’occhiata.»
«Come hai fatto fare tutta quella pipì?»
«Ho bevuto non sai quanti litri d’acqua. Ora vuoi stare zitto così finisco di raccontare?»
«Chiudo la bocca, per quanto mia sia possibile farlo» disse alludendo al labbro dolorante.
«Una volta fatto anche l’ultimo, ci siamo sedute entrambe sul pavimento del bagno e li abbiamo finalmente guardati: tutti positivi. Non sai la mia reazione! Ho iniziato a piangere come una disperata, non sapevo cosa fare, cosa dire, cosa sarebbe successo, e non so cosa avrei fatto se Melanie non fosse stata insieme a me. Mi ha aiutata a ritrovare il sorriso pensando che avrei condiviso quell’esperienza con il ragazzo che amavo.
Ho subito prenotato una visita ginecologia per il giorno dopo, poi sono andata dai miei per informarli. Erano del tutto spiazzati, si sono limitati a chiedermi se fossi felice e mi hanno assicurato che avrebbero appoggiato ogni mia decisione anche se lo shock mi ha causato il rinnego della parola da parte di mio padre per qualche tempo. Infine mi è toccato dirlo a Jason e, beh, non credo che ci sia bisogno di spiegare, hai visto abbastanza.»
«Ti ha trattata tanto male?»
«Mi ha dato della puttana sostenendo che fosse impossibile che fosse lui il padre, che in quegli anni di me non gliene fosse fregato un cazzo e che non ero un suo problema, proprio come ha ribadito al Coco Shore poco fa…»
«Quel bastardo, avrei dovuto suonargliele più forte!»
«Non mi sembra che tu sia stato proprio il vincitore della rissa.»
«È solo perché ci hanno separati. Vedrai se non si sentirà un merda quando si guarderà allo specchio, l’ho fatto nero!»
«Ah, perché tu sei molto carino in versione Rocky Balboa…»
«Perché? Non sono sexy anche così?»
 Salì in piedi sulla sedia sotto di lui mettendosi ad urlare il mio nome imitando Silvester Stallone nella celebre scena del film facendomi ridere così tanto che fui costretta a correre in bagno per evitare di farmela addosso.
Vivere con Harry? Se fosse stato sempre così allora era l’inizio della fine, la mia.
                     
«Perché non parli?»
«Perché non ho niente da dire.»
«Non è forse perché sei agitata?» alluse indicandomi con lo sguardo la mano con la quale picchiettavo ritmicamente le unghie sul tavolino in metallo di quel bar in una piccola città lontana dal nostro paesino.
Non ero solo agitata, peggio! Avrei voluto scappare urlando!
«È solo che… non so cosa aspettarmi! In tre mesi questa è la prima volta» riposi timidamente abbassando lo sguardo.
«Ehi, andrà tutto bene, è solo un’ecografia» disse appoggiando la mano sulla mia obbligando a fermare il mio ticchettio nervoso.
«Sì, andrà tutto bene.» Il suo sorriso riuscì a far calare parte della crescente ansia che mi pesava sulle spalle dal momento in cui eravamo usciti di casa. «Me la prendi un’altra brioches?»
«Ma ne hai già mangiate due!»
«Non c’è due senza tre. Ti prego.» Feci il labbro tremulo certa che avrebbe ceduto.
«Va bene, ma poi non prendertela con me se ti nascerà un bambino di 15 kg» disse alzandosi.
«Al cioccolato, eh!» gli urlai mentre varcava la porta del bar.
La prima ecografia, e lui ci sarebbe stato. Avevo sempre rimandato per paura e perché l’idea di affrontarla da sola non era molto rassicurante, però Harry mi aveva completamente convinta ad accettare tutto quello che mi era successo, poi dovevo decidermi a fare questo benedetto primo controllo, per quanto ne sapevo io dentro potevo avere un bambino come quattro, oppure un piccolo mutante con sei braccia e un occhio solo, era ora che mi decidessi a guardare in faccia quel esserino!
«Eccola, piccola, però mangiala mentre andiamo, non vorrai arrivare in ritardo» disse Harry passandomi la brioches coperta da un tovagliolino con il nome del bar scritto sopra.
«Sto morendo di fame!» La addentai avidamente alzandomi in piedi. «Dov’è l’ospedale?» biascicai masticando.
«Cammina.»
Mi prese la mano e mi fece strada.
Lungo la strada molte ragazzine si voltavano a guardarci, ma solo poche si avvicinarono per chiedere a Harry una foto o un autografo, e mi sorprese il fatto che non negasse nulla a nessuna di loro, anzi, se poteva ci scambiava anche due chiacchiere.
Aveva tenuto i piedi per terra, per fortuna.
«Salve, siamo qui per un’ecografia» disse Harry una volta raggiunto il punto informazioni nella sala all’ingresso dell’ospedale.
«Primo piano. Seguite le frecce gialle a terra e dovreste raggiungere un corridoio. Dovete andare in ostetricia» rispose con tono seccato l’infermiere brizzolato quasi senza staccare gli occhi dal computer davanti a lui.
«Grazie.»
Seguimmo le sue indicazioni alla lettera e poco dopo raggiungemmo un corridoio ben più lungo di quanto mi aspettassi dove, davanti alla porta che brandiva il cartello con scritto “Ecography”, sedute su una fila di seggiole vermiglie attaccate alla parete attendevano in silenzio due donne molto più incinte di me con i rispettivi mariti, fidanzati, compagni o qualunque cose fossero.
“È davvero questo che mi aspetta?” pensai lanciando una veloce occhiata alla donna più vicina a me: il viso, dai tratti ammorbiditi dalla gravidanza che la rendevano ancora più bella e radiosa di quanto non fosse già, era illuminato da un sorriso molto dolce forse legato al gesto dell’uomo accanto a lei che le aveva appena lasciato una tenera carezza sul ventre pieno.
Che scema, io sarò una fantastica ragazza rotonda come una palla che tutti si volteranno a guardare perché giovane, incinta e sola…”
«Te l’immagini quando anche tu sarai così?» mi sussurrò all’orecchio il mio vicino distraendomi dai miei pensieri, «Già non sei molto alta, così sembrerai una pallina!» mi sbeffeggiò.
«Che stronzo!» ribattei cacciandogli un pugno sulla spalla accennando un sorriso. «Sono incinta e suscettibile, bell’amico che sei.»
«Saresti carina anche così.»
«Carina?!»
«Una bella mammina, contenta?»
«Passabile» risposi incrociando le braccia al petto e riportando lo sguardo davanti a me.
«Chi è il prossimo?» domandò una donna dai capelli biondi acconciati in una crocchia sulla nuca facendo capolino dalla porta.
Entrambe le donne sedute si voltarono a guardarci con un sorriso.
«Le signore sono…»
«No, noi siamo qui per altro, l’ecografia e vostra» m’interruppe la donna accanto a me.
«O-okay, grazie.» Mi alzai in piedi e mi addentrai nella stanzetta scura con Harry pochi passi dietro di me.
«Facce giovani, vedo» ci accolse la donna bionda chiudendosi la porta alle spalle. «Piacere, sono la dottoressa Waither.»
«Darcy Gray.» Le tesi la mano stringendo la sua gelida.
«In che periodo sei, Darcy? Te lo ricordi?»
«Se non sbaglio 8+2» dissi titubante.
«Questa è la prima, eh? Sei agitata?»
«No.»
«Sì che lo è, ma le piace fare la dura» s’intromise Harry cingendomi le spalle con un braccio. Mi sentii avvampare.
“Perché queste battutine non te le tieni mai per te, Styles?!”
«Non ce n’è bisogno» disse la Waither con un risolino. «Vedrai che sarà questione di un attimo. Sdraiati sul lettino.»
Mi avvicinai al lettino color grigio ghiaccio e mi ci stesi sopra dopo un respiro profondo. Harry, in piedi accanto a me, mi sorrise e non rifiutò la mia mano che si strinse alla sua così forte che quasi gliela piegai a metà.
«Il gel è un po’ freddo, ma non è poi così terribile.»
“Un po’ freddo?! È congelato!” pensai imprecando dentro quando la dottoressa spalmò una spruzzata gel azzurrino sulla pancia.
«Siete giovani, vi spaventa l’idea di diventare genitori?» domandò per spezzare la tensione cominciando a setacciarmi il ventre con uno strumento bianco.
«No, possiamo farcela» rispose fulmineo Harry.
«Lui non è il padre» precisai.
«Beh, l’importante che ci sia amore.» Si accorse di aver parlato troppo quando mi vide arrossire e Harry trattenne a stento una risata. «Scusate, mi rimangio tutto. Ora, guardando il monitor alla vostra sinistra, potrete vedere il piccolino che cresce qui dentro.»
Credo che solo una donna nella mia stessa condizione possa capire ciò che provai nel preciso istante che il mio sguardo incrociò la sagoma chiara di quel fagiolo un po’ sfocato al centro del monitor.
«Guarda, Darcy! Guardalo!» esclamò Harry forse ancora più entusiasta di me.
«Harry, è…»
«Volete sentire il battito cardiaco?» propose la dottoressa sorridendo alla nostra reazione.
«Sì!» rispondemmo in coro.
Ancora oggi chiudendo gli occhi e concentrandomi a fondo posso sentire netto nelle mie orecchie il flebile suono prodotto dal battere del suo cuore così incredibilmente rapido. Mi sembrò una melodia che si è incisa nei miei ricordi come fosse la mia canzone preferita.
Finita la visita ci stampò due piccole foto in bianco e nero di quella prima ecografia e ci congedò fissandoci un altro appuntamento a due mesi di distanza e mi riempì di regolamenti e una lista di alimenti, vitamine e ferro da assumere perché il mio piccolo fagiolo crescesse nel modo migliore.
Quando varcammo la porta d’uscita dell’ospedale trovandoci sotto al sole sulla piazza lì davanti, mi girai verso Harry e gli buttai le braccia al collo stringendolo in un abbraccio che ricambiò e scoppiammo a ridere.
«Io non ci credo! L’hai visto? No, dico, l’hai visto?! È bellissimo!» esplosi.
«Come la mamma. Non vedo l’ora che nasca!» disse asciugandomi la piccola lacrima di gioia sfuggita al mio controllo che correva lenta lungo la mia guancia.
Mi prese in braccio compiendo una serie di giri su se stesso. Nulla ci avrebbe più potuto togliere il sorriso quella mattina.
 
«E questa la attacchiamo al frigo.» Harry prese una calamita e attaccò la foto dell’ecografia sul frigorifero in acciaio.
«E segniamo tutte le date da ricordare. Quand’è la prossima ecografia?»
«Il 15 Novembre. Il parto è previsto per…»
«Il termine è previsto intorno al 7 Marzo»
Presi in mano il calendario appeso alla parete e segnai con una X rossa entrambe le date.
«Darcy, io non posso restare sempre qui, presto dovrò tornare a Londra…»
“Ed ecco il castello di cristallo che va in frantumi…”
Mi sembrava amareggiato nel dirlo, però era giusto affrontare quel discorso, sapevamo entrambi che prima o poi sarebbe tornato nel suo mondo di cui non facevo parte.
«Lo so, ma non preoccuparti, hai già fatto molto.»
«E lasciami finire! Voglio che tu venga a stare da me.»
Rimasi a bocca aperta.  «Cosa?! Harry no, io… non posso, non puoi, non è giusto.»    
«Certo che posso, e non te lo sto chiedendo, te lo impongo. Tra due settimane ti porto a Londra con me, Day.»
Quella giornata non poteva essere più felice di così.
«Questo povero bambino crescerà disturbato, me lo sento.» Alzai gli occhi al soffitto fingendomi affranta.
«Lo devo prendere per un sì?»
Iniziai a canticchiare “God save the Queen”, allusione al fatto che presto io e la cara Elisabeth II avremmo condiviso la stessa città.
  
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