IV
La gatta
Angelina: dedica sincera ad una prostituta
Quando non sapevamo cosa fare, io e Rob
usavamo gironzolare per il porto inventandoci nuovi modi di
imprecare.
Avevamo due categorie: la bestemmia più
ridanciana e l'insulto più malevolo – conformemente ai nostri
caratteri, io eccellevo nella prima, Rob nella seconda.
Il porto era uno scalo commerciale, e
per questo era un formicaio di vita da mane a sera: se ci si fosse
annoiati in città, sarebbe bastato andare ai moli e guardarsi
intorno, ci si poteva passare il pomeriggio tanto era eterogenea
l'umanità che vi bazzicava.
Lo scalo rappresentava la salvezza per
quel paesone, ma anche la radice di tutti i mali che vi albergavano.
Messina era come un'operaia: per
portare il pane a casa si rovinava la salute.
Io e Rob andavamo lì per guardare i
marinai e, sebbene né io né lui lo avessimo mai detto apertamente,
volevamo imparare da loro a diventare dei veri uomini - tali ci
sembravano -, poiché avevano i tricipiti allenati e tatuati e
ululavano le bestemmie più colorite, mentre noi, per partorire
scempiaggini del genere, dovevamo starci a pensare un pomeriggio
intero.
Ridevamo anche dietro alle prostitute,
le prendevamo in giro da lontano.
Un giorno Rob decise di regalare alla
puttana più brutta del porto, per deriderla, una rosa bianca,
accompagnando il dono con una filastrocca apparentemente dolce, che
aveva un osceno finale a sorpresa. Ricette un ceffone che gli ruppe
tutti i capillari del lato sinistro della faccia.
A me le prostitute facevano uno strano
effetto; ma dovrei esprimermi meglio: tutto ciò che riguardava il
sesso mi faceva uno strano effetto.
Ero, per quanto precocemente, nell'età
delle scoperte e, se da una parte ne ridevo sguaiatamente con i miei
amici, comportandomi da uomo vissuto, tutto quello esercitava in me
un inspiegabile sortilegio.
Rob diceva di essere andato già a
puttane una volta.
“Con quelle vecchie lì? E come ti si
rizza davanti ad una vecchia?!”, chiesi, un po' deridendolo e un
po' seriamente interessato alla faccenda.
Mi disse che, se uno aveva qualche
soldo in più da spendere, c'erano quelle giovani, poco più grandi
di noi.
Costavano tanto perché erano quelle
che piacevano anche ai vecchi nobili, ma lui ne aveva qualcuna per
amica e riusciva a cavarsela con poco.
Mi disse anche che ce n'era una andata
con lui per amore. “E chi è?”, “Mi ha lasciato.”
“Ma chi è?”
“Non te lo dico, non voglio che la
conosci, sono geloso.”
***
Un giorno decise che era anche il mio
turno, perché non poteva parlare di quelle cose con uno che, in
pratica, non ne sapeva nulla.
“Guarda che non c'ho soldi!”
“Offro io!”
A parte i suoi mille difetti, c'era da
dire che la spacconeria di Rob aveva anche un che di galante.
“E i soldi dove li hai, tu?” “Non
ho soldi, ma un sacco di gente che mi deve un favore”, disse con
aria di superiorità.
Quel giorno entrai anche io nel novero
di quelli che gli dovevano un favore, e più avanti capii che, ad
accettare la sua offerta, avevo fatto un patto con il diavolo.
Una sera lo dicemmo a Blanca e mi
guardò con occhi vuoti. Ero già in ansia e mi sentii ancora peggio.
Non mi parlò per una settimana, e, non
gliel'ho mai detto, lei fu il motivo per cui, con quella puttana, in
realtà non ci feci mai nulla.
Quando Rob mi portò dalla prostituta –
una ragazzona simpatica e corpulenta che doveva avere solo un paio
d'anni più di me e si faceva chiamare Angelina -, dopo un primo
tentativo di provare eccitazione nei suoi confronti, la pregai di
lasciare perdere e di non dire nulla a Rob.
Lei, chiaramente, accettò di buon
grado: aveva estinto il debito nei suoi confronti senza fare nulla e
le stavo simpatico.
Per assicurarmi il suo silenzio, la
settimana dopo le regalai un bel fazzoletto viola che avevo rubato ad
una vecchia signora.
Fu felice e non mi tradì mai.
In suo onore ho chiamato Angelina una
gattina bianca che gironzolava per il Santuario e veniva sempre a
chiedermi da mangiare, miagolando davanti alla Casa di Cancer.
Sì, perché i gatti arrivano dove non
riescono i combattenti. Angelina era una pioniera.
A Blanca tutto quello non lo dissi mai,
ma ben presto avrebbe capito che ero vergine, dato che la prima
scopata me la feci con lei, che, a quanto scoprii con un certo
disappunto, non lo era più.
Per ripicca nei miei confronti, poco
tempo dopo era andata con un tizio a caso, con il quale si era poi
trovata bene ed era rimasta per qualche tempo.
Nel frattempo però avrebbe voluto
sempre e solo me, mi disse.
“Ma tu eri sempre a fare il braccio
di Rob.”
Non le risposi niente ma mi mangiai le
mani.
***
Io non so quando iniziò la mia storia
con lei. Mi
avvicinai a Blanca lentamente.
In un solo anno, il rapporto con lei
mutò come muta il rapporto tra uomo e donna nell’arco di un’intera
vita.
Fu lei che mi insegnò ad avere la mano
leggera e a scomparire nell’ombra di un vicolo. Talvolta, in quei
momenti, mi si stringeva talmente forte accanto da farmi sentire le
budella tutte fuori posto.
Volevo stringerla a mia volta, ma non
aveva senso. E poi non la sopportavo.
O no?
È una sensazione che non mi è mai più
capitata, è come un qualcosa che fai molto naturalmente ma non
capisci razionalmente.
Malgrado questo, appena ne avevo
l’occasione la deridevo con tutta la cattiveria che potessi tirarmi
fuori: perché era una femmina, perché sembrava un maschio, lo
facevo quando sbagliava e, soprattutto, quando faceva le cose meglio
di me.
Lei non era meno fetente, ma il più
delle volte si fermava ad una glaciale indifferenza. Talora ad uno
sguardo più cupo del solito con delle lacrime che le restavano
aggrappate alle ciglia.
Blanca, un bocciolo sul ramo del
peccato, quello mai sbocciato, bruciato da un freddo tardivo.
Fu la pena da scontare prima ancora di
aver commesso l’errore.
Oserei definirla persino il mio grande
amore – quello mai confessato.
L’occasione perduta e il bivio
capitale della mia vita.
Ma come tutto, nella mia vita, va preso
con estrema leggerezza e una risata.
In sua memoria posso elevare una pinta
di birra, non posare un fiore su una tomba, perché lei non avrebbe
voluto fermarsi a certi ritualismi.
Ricordo che una notte d'inverno si
addormentò nella mia branda perché aveva freddo a stare da sola. Mi
strinse la mano e me la avvicinai al petto.
Non ci baciammo, ma avremmo voluto
farlo entrambi – quella tensione insoddisfatta fu la sensazione più
particolare e bella che abbia mai condiviso con un essere umano.
Ricordo bene il nostro primo bacio, ma
non come ci arrivammo.
Eravamo in una piazzetta desolata e
pieno di fango, una mattina in cui aveva appena finito di piovere.
L'aria era umidissima e tutta la città
invasa da un grigiore invernale; un gabbiano rideva di noi da un
tetto.
Fu lei a prendere l'iniziativa, mi
prese dal colletto. Fu un bacio orribile, fu il primo e non sapevo
dove mettere le mani – sul serio, dovrebbero fare un regolamento
per spiegare ai novizi dove debbano stare queste due stupide
appendici così importanti.
Blanca era strana: sempre così
maschile, ma tra le mie braccia (mai, in pubblico) non era che una
bambina.
Mi tirava una gomitata nello stomaco
per poi darmi un bacio; dandomi una carezza mi riempiva la faccia di
fango.
E io la adoravo, perché non voleva
stare su un piedistallo, come mi sembrava fosse per tutte le altre
donne. Perché era imprevedibile – un'onda -, perché era acqua
viva ma bruciava di una malinconia a cui nemmeno lei sapeva dare un
nome.
La adoravo perché non era bella ma era
mia, senza mai perdere la propria libertà.
Non ci siamo mai detti ti amo, né ci
siamo mai apertamente riferiti alla reciproca attrazione tra noi due.
Abbiamo passato quel poco tempo a
respirare a pieni polmoni quello che potevamo darci a vicenda, senza
farci troppe domande.
Non guardavamo verso un futuro comune
perché non lo vedevamo né ci interessava, a malapena ci fissavamo
negli occhi. Il nostro sguardo contemplava lo stesso cielo, eravamo
sempre con il naso all'insù.
Un giorno le dissi delle anime, lei
tacque e poi rise.
“Non mi credi?”
“Ti credo perché sei tu, ma non
riesco a crederti per lo stesso motivo.”
All'epoca mi arrabbiai per la mancata
fiducia.
Oggi capisco, ancora di più, che mi
conosceva più di chiunque altro.
Se ora vedessi ragazzini di quell'età
fare quello che facevamo noi, non potrei che reputarli buffi, troppo
giovani. Ma noi vivevamo in un mondo del tutto slegato dal tempo,
dalle età.
Eravamo cresciuti in fretta, eravamo
ancora stupidi ma una vita da adulti, o quasi, non poteva che essere
l'unica possibilità.
Passai al fianco di Blanca gli ultimi
mesi con gli altri ladruncoli del Rosso.
I fatti che mi condussero dall'Italia
in Grecia furono così stupidi, così impossibili da rischiare di
farmi credere che sia stata la Cloth a volere proprio me, che esista
il fato, che Blanca dovesse morire per forza.
Non le perdonai mai il cappotto, ma,
d'altra parte, non ce ne fu nemmeno il tempo.
Ma adesso è presto per parlare di
tutto questo, dopotutto vi sto ancora raccontando degli anni della
gloria.
All’inizio fu la mia guida e, per
quanto la trovassi insopportabile - e faceva di tutto per risultarlo
-, dovetti aggrapparmi a lei – altra cosa che non le perdonerò
mai.