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Autore: Jailer    29/09/2015    3 recensioni
Il passato di Manigoldo, dalla prima volta in cui vide un'anima al suo incontro con Sage, da Messina ad Atene, passando per la solitudine, i sogni, il fato, la morte, l'amore.
La giovinezza del discolo destinato a diventare l'uomo che incatenò Thanatos è un valzer tra piccoli e grandi drammi, vissuti sempre con la leggerezza e l'ironia che lo contraddistinguono.
E anche l'incredulità per ciò che il fato scelse di riservargli.
"Ancora non ho capito quale concatenazione di fatti mi abbia portato alle soglie della Quarta Casa, né che cosa ci faccia io qui.
Come per ogni cosa, però, ne prendo atto.
A volte prendo in giro la mia armatura: mi ci siedo davanti a gambe incrociate, e le chiedo: “Ma a te, chi ti ha voluta?”
Penso che lei mi sorrida in qualche modo, ma non so che espressione sia, se di benevolenza o di beffa.
Le sorrido anche io, di gratitudine o imbarazzo. Ma non posso fare a meno di pensare quanto cara mi sia costata."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer Manigoldo, Cancer Sage, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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IV
La gatta Angelina: dedica sincera ad una prostituta


Quando non sapevamo cosa fare, io e Rob usavamo gironzolare per il porto inventandoci nuovi modi di imprecare.
Avevamo due categorie: la bestemmia più ridanciana e l'insulto più malevolo – conformemente ai nostri caratteri, io eccellevo nella prima, Rob nella seconda.
Il porto era uno scalo commerciale, e per questo era un formicaio di vita da mane a sera: se ci si fosse annoiati in città, sarebbe bastato andare ai moli e guardarsi intorno, ci si poteva passare il pomeriggio tanto era eterogenea l'umanità che vi bazzicava.
Lo scalo rappresentava la salvezza per quel paesone, ma anche la radice di tutti i mali che vi albergavano.
Messina era come un'operaia: per portare il pane a casa si rovinava la salute.
Io e Rob andavamo lì per guardare i marinai e, sebbene né io né lui lo avessimo mai detto apertamente, volevamo imparare da loro a diventare dei veri uomini - tali ci sembravano -, poiché avevano i tricipiti allenati e tatuati e ululavano le bestemmie più colorite, mentre noi, per partorire scempiaggini del genere, dovevamo starci a pensare un pomeriggio intero.
Ridevamo anche dietro alle prostitute, le prendevamo in giro da lontano.
Un giorno Rob decise di regalare alla puttana più brutta del porto, per deriderla, una rosa bianca, accompagnando il dono con una filastrocca apparentemente dolce, che aveva un osceno finale a sorpresa. Ricette un ceffone che gli ruppe tutti i capillari del lato sinistro della faccia.


A me le prostitute facevano uno strano effetto; ma dovrei esprimermi meglio: tutto ciò che riguardava il sesso mi faceva uno strano effetto.
Ero, per quanto precocemente, nell'età delle scoperte e, se da una parte ne ridevo sguaiatamente con i miei amici, comportandomi da uomo vissuto, tutto quello esercitava in me un inspiegabile sortilegio.
Rob diceva di essere andato già a puttane una volta.
“Con quelle vecchie lì? E come ti si rizza davanti ad una vecchia?!”, chiesi, un po' deridendolo e un po' seriamente interessato alla faccenda.
Mi disse che, se uno aveva qualche soldo in più da spendere, c'erano quelle giovani, poco più grandi di noi.
Costavano tanto perché erano quelle che piacevano anche ai vecchi nobili, ma lui ne aveva qualcuna per amica e riusciva a cavarsela con poco.
Mi disse anche che ce n'era una andata con lui per amore. “E chi è?”, “Mi ha lasciato.”
“Ma chi è?”
“Non te lo dico, non voglio che la conosci, sono geloso.”


***

Un giorno decise che era anche il mio turno, perché non poteva parlare di quelle cose con uno che, in pratica, non ne sapeva nulla.
“Guarda che non c'ho soldi!”
“Offro io!”
A parte i suoi mille difetti, c'era da dire che la spacconeria di Rob aveva anche un che di galante.
“E i soldi dove li hai, tu?” “Non ho soldi, ma un sacco di gente che mi deve un favore”, disse con aria di superiorità.
Quel giorno entrai anche io nel novero di quelli che gli dovevano un favore, e più avanti capii che, ad accettare la sua offerta, avevo fatto un patto con il diavolo.

Una sera lo dicemmo a Blanca e mi guardò con occhi vuoti. Ero già in ansia e mi sentii ancora peggio.
Non mi parlò per una settimana, e, non gliel'ho mai detto, lei fu il motivo per cui, con quella puttana, in realtà non ci feci mai nulla.

Quando Rob mi portò dalla prostituta – una ragazzona simpatica e corpulenta che doveva avere solo un paio d'anni più di me e si faceva chiamare Angelina -, dopo un primo tentativo di provare eccitazione nei suoi confronti, la pregai di lasciare perdere e di non dire nulla a Rob.
Lei, chiaramente, accettò di buon grado: aveva estinto il debito nei suoi confronti senza fare nulla e le stavo simpatico.
Per assicurarmi il suo silenzio, la settimana dopo le regalai un bel fazzoletto viola che avevo rubato ad una vecchia signora.
Fu felice e non mi tradì mai.
In suo onore ho chiamato Angelina una gattina bianca che gironzolava per il Santuario e veniva sempre a chiedermi da mangiare, miagolando davanti alla Casa di Cancer.
Sì, perché i gatti arrivano dove non riescono i combattenti. Angelina era una pioniera.

A Blanca tutto quello non lo dissi mai, ma ben presto avrebbe capito che ero vergine, dato che la prima scopata me la feci con lei, che, a quanto scoprii con un certo disappunto, non lo era più.
Per ripicca nei miei confronti, poco tempo dopo era andata con un tizio a caso, con il quale si era poi trovata bene ed era rimasta per qualche tempo.
Nel frattempo però avrebbe voluto sempre e solo me, mi disse.
“Ma tu eri sempre a fare il braccio di Rob.”
Non le risposi niente ma mi mangiai le mani.


***


Io non so quando iniziò la mia storia con lei. Mi avvicinai a Blanca lentamente.
In un solo anno, il rapporto con lei mutò come muta il rapporto tra uomo e donna nell’arco di un’intera vita.

Fu lei che mi insegnò ad avere la mano leggera e a scomparire nell’ombra di un vicolo. Talvolta, in quei momenti, mi si stringeva talmente forte accanto da farmi sentire le budella tutte fuori posto.
Volevo stringerla a mia volta, ma non aveva senso. E poi non la sopportavo.
O no?

È una sensazione che non mi è mai più capitata, è come un qualcosa che fai molto naturalmente ma non capisci razionalmente.
Malgrado questo, appena ne avevo l’occasione la deridevo con tutta la cattiveria che potessi tirarmi fuori: perché era una femmina, perché sembrava un maschio, lo facevo quando sbagliava e, soprattutto, quando faceva le cose meglio di me.
Lei non era meno fetente, ma il più delle volte si fermava ad una glaciale indifferenza. Talora ad uno sguardo più cupo del solito con delle lacrime che le restavano aggrappate alle ciglia.

Blanca, un bocciolo sul ramo del peccato, quello mai sbocciato, bruciato da un freddo tardivo.
Fu la pena da scontare prima ancora di aver commesso l’errore.
Oserei definirla persino il mio grande amore – quello mai confessato.
L’occasione perduta e il bivio capitale della mia vita.
Ma come tutto, nella mia vita, va preso con estrema leggerezza e una risata.
In sua memoria posso elevare una pinta di birra, non posare un fiore su una tomba, perché lei non avrebbe voluto fermarsi a certi ritualismi.

Ricordo che una notte d'inverno si addormentò nella mia branda perché aveva freddo a stare da sola. Mi strinse la mano e me la avvicinai al petto.
Non ci baciammo, ma avremmo voluto farlo entrambi – quella tensione insoddisfatta fu la sensazione più particolare e bella che abbia mai condiviso con un essere umano.


Ricordo bene il nostro primo bacio, ma non come ci arrivammo.
Eravamo in una piazzetta desolata e pieno di fango, una mattina in cui aveva appena finito di piovere.
L'aria era umidissima e tutta la città invasa da un grigiore invernale; un gabbiano rideva di noi da un tetto.
Fu lei a prendere l'iniziativa, mi prese dal colletto. Fu un bacio orribile, fu il primo e non sapevo dove mettere le mani – sul serio, dovrebbero fare un regolamento per spiegare ai novizi dove debbano stare queste due stupide appendici così importanti.
Blanca era strana: sempre così maschile, ma tra le mie braccia (mai, in pubblico) non era che una bambina.
Mi tirava una gomitata nello stomaco per poi darmi un bacio; dandomi una carezza mi riempiva la faccia di fango.
E io la adoravo, perché non voleva stare su un piedistallo, come mi sembrava fosse per tutte le altre donne. Perché era imprevedibile – un'onda -, perché era acqua viva ma bruciava di una malinconia a cui nemmeno lei sapeva dare un nome.
La adoravo perché non era bella ma era mia, senza mai perdere la propria libertà.
Non ci siamo mai detti ti amo, né ci siamo mai apertamente riferiti alla reciproca attrazione tra noi due.
Abbiamo passato quel poco tempo a respirare a pieni polmoni quello che potevamo darci a vicenda, senza farci troppe domande.
Non guardavamo verso un futuro comune perché non lo vedevamo né ci interessava, a malapena ci fissavamo negli occhi. Il nostro sguardo contemplava lo stesso cielo, eravamo sempre con il naso all'insù.
Un giorno le dissi delle anime, lei tacque e poi rise.
“Non mi credi?”
“Ti credo perché sei tu, ma non riesco a crederti per lo stesso motivo.”
All'epoca mi arrabbiai per la mancata fiducia.
Oggi capisco, ancora di più, che mi conosceva più di chiunque altro.

Se ora vedessi ragazzini di quell'età fare quello che facevamo noi, non potrei che reputarli buffi, troppo giovani. Ma noi vivevamo in un mondo del tutto slegato dal tempo, dalle età.
Eravamo cresciuti in fretta, eravamo ancora stupidi ma una vita da adulti, o quasi, non poteva che essere l'unica possibilità.

Passai al fianco di Blanca gli ultimi mesi con gli altri ladruncoli del Rosso.
I fatti che mi condussero dall'Italia in Grecia furono così stupidi, così impossibili da rischiare di farmi credere che sia stata la Cloth a volere proprio me, che esista il fato, che Blanca dovesse morire per forza.

Non le perdonai mai il cappotto, ma, d'altra parte, non ce ne fu nemmeno il tempo.
Ma adesso è presto per parlare di tutto questo, dopotutto vi sto ancora raccontando degli anni della gloria.
All’inizio fu la mia guida e, per quanto la trovassi insopportabile - e faceva di tutto per risultarlo -, dovetti aggrapparmi a lei – altra cosa che non le perdonerò mai.

   
 
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