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Autore: A lexie s    30/09/2015    5 recensioni
[CaptainSwan Au]
Dal primo capitolo: Gli sguardi di tutti puntati su di lei, sorrisi dipinti sui volti dei presenti ed occhi pieni di commozione. Non sapeva che espressione avesse, la sua sicurezza non tradiva alcun tipo di agitazione nonostante agitata lo fosse parecchio.
Un paio di occhi azzurri si distinsero in quella massa di persone che la fissavano. Due occhi azzurri come il mare, un mare caldo, un mare d’estate quando il sole riscalda la pelle e le onde s’infrangono piano sulla battigia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never gonna be alone

Capitolo 8

“Abbiamo la pizza, lattine di birra e torta al cioccolato” disse Ruby, irrompendo rumorosamente nella stanza dell’amica. Con le mani teneva la scatola della pizza cercando di far stare in equilibrio il piatto con la torta posto sopra questa mentre si avviava con una busta piena di lattine sospesa al braccio.
“Sembra perfetto” urlò la bionda.
Uscì dal bagno con indosso dei pantaloni neri ed una larga maglia da uomo che sicuramente non apparteneva a lei mentre si tamponava i capelli con un asciugamano, faceva ancora abbastanza caldo da poterli tenere in quel modo senza doverli necessariamente asciugare con il phon.
Ruby non disse nulla sul suo abbigliamento, Killian le aveva chiesto di starle vicino e le lo faceva – lo avrebbe fatto in ogni caso – limitandosi a lasciarle i suoi spazi ed aspettando che fosse lei a parlarle di cosa non andava.
“Sto morendo di fame” Emma si sedette sul letto a gambe incrociate, afferrando un enorme pezzo di pizza mentre Ruby stava già addentando il suo.
Poi la vide mentre afferrava il telefono agitata come una ragazzina alla prima cotta, masticare velocemente e deglutire rumorosamente prima di strisciare il dito sulla cornetta verde e rispondere in maniera agitata seppur cercando di nasconderlo.
Poco dopo era vicino alla finestra tutta sorrisi e sospiri. Emma udì parole veloci scivolare via come gocce su una lastra di vetro, prima lentamente e poi in un colpo non vi erano già più.
“Certo, ci vediamo domani” la sentì mormorare, adesso più rilassata segno che la conversazione si stesse concludendo. Tornò sul letto con un gran sorriso che cercò di celare malamente perché gli occhi brillanti la tradivano.
“Un nuovo spasimante?” Chiese Emma pensando che forse era stata troppo preoccupata della sua vita privata per chiedere all’amica se anche lei avesse qualcosa da dirle.
Ruby alzò le spalle, voleva minimizzare per non farla sentire male ed era tipico di lei. Un attimo prima era una macchina animata dall’irrefrenabile desiderio di riempire qualsiasi silenzio con una miriade di parole, l’attimo dopo era la persona comprensiva, troppo attenta ai sentimenti ed incapace di gioire per qualcosa che poteva rievocare il suo dolore.
“Sai che puoi dirmelo, no? Anche se le cose con Killian non vanno bene, non significa che tu non possa parlarmi di ciò che ti rende felice.” Le accarezzò la mano dolcemente, cercando con un sorriso rassicurante di infonderle calore. Le importava di lei.
“Non quando ciò che mi rende felice fa soffrire te” asserì la mora, prendendo un altro boccone di pizza e pensando di aver messo fine alla discussione.
“Non mi fa soffrire” sorrise brevemente, prese una lattina di birra e l’aprì per berne un sorso, “sono felice che tu sia felice. Sei la mia migliore amica ed io voglio poter credere che quest’uomo ti meriti abbastanza ma a giudicare dal tuo sorriso direi che lo fa.” La prese in giro, e nonostante Ruby non fosse il tipo di ragazza da imbarazzo facile, quella volta arrossì leggermente perché quello che sentiva in quel momento non era mai stato così vero.
“Si chiama Victor e lavora in ospedale, è un dottore.” Confessò e poi si lasciò andare davvero, raccontando di come l’avesse conquistata e di come la facesse sentire bene ogni giorno.
Emma sorrise tante volte nell’arco di quella serata, vedere la sua amica così coinvolta in una storia non era una cosa usuale e non solo a causa della distanza ma proprio perché non era mai stata così contenta ed entusiasta di qualcuno.
Così si perse ad ascoltare il fantastico idillio di un nuovo amore che sboccia, con la mente ricordò perfino di quanto lei stessa aveva cominciato a provare quelle emozioni tanti anni addietro e di come queste fossero maturate e si fossero rafforzate con gli anni al contrario di quanto raccontavano le vecchie coppie sull’affievolirsi dell’amore. Ed era vero che una buona parte dei gesti che compivano erano ormai abitudine ma era bello certe volte non aver bisogno di parlare per capirsi, o completare semplicemente le azioni o i gesti dell’altro spontaneamente e non aveva nulla a che fare con la monotonia, sapeva semplicemente di rassicurazione e casa. Quello che non sentiva in quel momento.
Questi pensieri non le impedirono di partecipare attivamente alla discussione, ponendo domande su come l’amica si sentisse e ridendo con lei, ed era bello condividere quei momenti e trovarla così sinceramente felice.
“Sai Emma, io penso che le cose con Killian si risolveranno” la stranì ad un certo punto con quella rivelazione. L’espressione della bionda cambiò repentinamente seppur volesse mantenere una certa compostezza non poteva evitare al suo cuore di accelerare e alle sue mani di sudare. Ed i suoi occhi, beh, quelli la tradivano sicuramente.
“Ormai non sono più sicura di nulla a riguardo” sospirò pesantemente.
“Non so cosa sia successo, ma lui ti ama. Si vede da lontano un miglio quanto ti ami, confesso che non ho mai capito come qualcuno potesse amarsi così intensamente come voi due, le cose si sistemeranno. Fidati, deve succedere.” Sistemò lentamente un pezzo di torta al cioccolato e passò il piatto all’amica.
“Lo spero tanto. Ti devo chiedere scusa Ruby, io avevo dimenticato cosa significasse avere un’amica fino a quando non sono arrivata qui, quello che abbiamo adesso non lo perderemo più anche se le cose dovessero aggiustarsi ed io me ne andassi. Ci saremo sempre l’una per l’altra.” Lasciò il piatto da una parte e si buttò di slancio tra le braccia dell’amica che l’accolse felice e sinceramente commossa.
“Emma Swan che dice cose dolci. Siamo sicure che il mondo stia ruotando nel senso giusto, vero?” La prese in giro mentre le accarezzava i capelli, suscitandole una risata tra i singhiozzi.
“Fa qualcosa per te oltre che per lui e va a riprendertelo” l’ammonì bonariamente stringendola un po’ più forte, “ed adesso mangiamo questa delizia” concluse, porgendole nuovamente la torta e vedendola sorridere tra le lacrime. Gli occhi rossi però erano un po’ più sicuri.
Avrebbe davvero dovuto fare così, forse quello di Ruby era un buon consiglio. Nonostante non avesse voluto che partisse con lui, magari gli faceva comunque piacere vederla lì. L’aveva rincorsa talmente tanto negli anni, che forse toccava a lei adesso fare lo stesso, muovere un passo verso di lui, correre alla sua porta.
“Forse lo farò” annuì velocemente, asciugandosi le ultime lacrime con il dorso della mano e prendendo una forchettata di torta. Mamma mia, era davvero una delizia. L’assaporò con una nuova convinzione, se lo sarebbe ripreso.
 
***
 
L’appartamento profumava di lei quella mattina, l’odore di lavanda si diffuse nella stanza inebriando le narici di Killian ed inducendolo ad aprire gli occhi, solo allora capì di avere il naso immerso in una chioma bionda ed il pensiero della sera precedente irruppe prepotentemente tra i suoi ricordi.
Quanto le era mancata, i suoi occhi, i suoi abbracci, le parole che le sfuggivano in preda al desiderio. Il suo farsi piccola tra le sue braccia forti prima di addormentarsi e l’incastrarsi insieme per poi risvegliarsi accaldati ma felici. La quotidianità.
Non la viveva da troppo tempo. Voleva alzarsi e prepararle la colazione com’era solito fare ma aveva paura, paura che lasciando quel letto anche lei sarebbe svanita. Quindi decise di rimanere ancora un po’, gustandosi il calore del suo corpo, il colore sulle sue guance e quella rilassatezza che lo induceva a credere che fosse felice anche nel sonno.
La mano ancora intrecciata a quella della donna era comodamente adagiata sul petto di quest’ultima che si alzava ed abbassava ritmicamente seguendo il corso del suo respiro regolare. Killian rimase affascinato da quel movimento, e concentrandosi sul battito del suo cuore si rilassò, sembrava quasi una ninna nanna che lo invitava a riprendere il sonno perché tutto era reale ed al nuovo risveglio sarebbe rimasta comunque per lui.
 
As strong as you were, tender you go, 
I'm watching you breathing, for the last time.
A song for your heart, but when it is quiet,
 I know what it means and I'll carry you home.
 
Il secondo risveglio di quella mattina non era stato affatto come il precedente. C’era sempre quel fantastico odore sul suo cuscino e la sensazione di pace che comportava, ma non sentiva più la consistenza del suo corpo sotto la sua mano ed aprendo gli occhi di scatto si rese conto del motivo. Il letto era vuoto.
Le coperte sfatte si trovavano raggomitolate in un angolo e dei suoi vestiti non vi era traccia, come se non fosse mai stata lì. Solo una cosa tradiva quell’apparente assenza.
Un biglietto ripiegato sul comodino e scritto con una calligrafia disordinata e veloce, solo tre semplici parole: non succederà più.
Non ci poteva credere. Non era quello che si era aspettato e decisamente non era quello che voleva.
Non aveva mai voluto essere l’altro perché era sempre stato lui, solamente lui, e non era pronto a sentirsi in quel modo. Usato, triste, spento, non amato e non degno d’amore.
Avevano sempre fatto l’amore con lei, mai del sesso. Era sempre amore, struggente, passionale, emotivo, doloroso, confortevole, ma lo era sempre stato. La notte precedente forse era andata diversamente per lei, forse lo considerava soltanto qualcuno da scoparsi perché il fidanzato non l’appagava abbastanza. Qualcuno da una sola volta, quando lui voleva essere qualcuno da tutta la vita.
 
***
 
Tutto sembrava muoversi a rallentatore ed era strano che ogni volta che entrasse in aeroporto le capitasse di sentirsi così spossata. L’ultima volta che vi aveva messo piede la gente sembrava muoversi freneticamente mentre lei non sapeva esattamente cosa fare invece adesso che lo sapeva, tutto procedeva con una lentezza estenuante. Dopo una fila immensa riuscì ad eseguire tutti i controlli utili all’imbarco e finalmente dopo qualche minuto si ritrovò sull’aereo che l’avrebbe riportata a casa. Da lui.
Aveva paura, un’incredibile paura di suscitare una reazione opposta da quella che desiderava. Magari le avrebbe inveito contro, intimandole di tornare a Storybrooke e ricordandole di non averla voluta lì qualche giorno addietro. Il fatto che quello fosse un volo serale e che non aveva nemmeno un posto dove andare, non giovava di certo ai suoi nervi anzi la rendeva ancora più inquieta e spaventata.
Era convinta, però, della sua scelta. Voleva semplicemente fargli capire che lo avrebbe rincorso o aspettato se questo voleva dire riaverlo. Ed anche se non l’avesse voluta lì, lei voleva comunque essere nelle vicinanze ed avere la possibilità di dimostrargli che ci teneva veramente, che aveva commesso tanti errori ma era pronta a combattere per averlo nuovamente e sperava che lui lasciasse aperta la porta per farla entrare nel suo piccolo mondo, così da ricreare il loro piccolo mondo.
Quando atterrò, il cielo era ormai scuro ma il luogo le era familiare come l’ultima volta che vi era stata ed il dolore riaffiorò lentamente. Erano cambiate così tante cose in pochi mesi, Killian sapeva la verità e la sua coscienza era più leggera, ma c’era ancora un velato dolore che sembrava una patina di pellicola trasparente che l’allontanava dal mondo facendole sentire in modo attutito ciò che la circondava.
Aveva salutato Ruby qualche ora prima, lei le aveva dato una certa forza nel compiere quel passo, le aveva promesso di chiamarla non appena arrivata e così fece. La conversazione fu breve e coincisa, quella le aveva augurato buona fortuna e l’aveva rassicurata nuovamente sull’entità dei sentimenti dell’uomo. Emma aveva annuito poco convinta dall’altra capo, preoccupata che i suoi sentimenti non bastassero a risanare il dolore che gli aveva fatto provare non solo nell’ultimo mese ma nel corso di tutto l’anno precedente.
Era il momento della verità però, e se doveva strappare via quel cerotto e lasciare sanguinare la ferita lo avrebbe fatto velocemente con un colpo secco.
Prese uno dei taxi che si trovava già fuori dall’aeroporto e gli diede indicazioni affinché la portasse a casa di Killian.
“Non riuscivo a stare senza vederti” smielato e troppo banale.
“Ti prego non sbattermi la porta in faccia” troppo patetico e da disperata. “Tu sei disperata, Emma” la sua coscienza parlava per lei ormai, nonostante lo fosse non poteva realmente dirgli una cosa del genere.
Non riusciva proprio a trovare una frase decente con la quale cominciare, era partita così in fretta che non aveva avuto nemmeno il tempo di prepararsi un discorso, qualcosa da dirgli.
Aveva fatto la valigia ed era andata a parlare con Graham perché aveva pur sempre preso un impegno e non le andava di lasciare tutto così senza comunicargli nulla.
Lui si era dimostrato comprensivo, d’altronde sapeva cosa significasse fare pazzie per amore e se si era trasferito a Storybrooke era proprio per quello. L’aveva rassicurata e le aveva raccomandato di seguire comunque un corso a Phoenix, così avrebbe comunque potuto avere una strada da seguire nel caso non fosse riuscita nel suo proposito. Lei lo aveva ringraziato ed era scappata via con Ruby al seguito per salutarla prima di andare all’aeroporto. 
Mentre pensava a cosa dire vide la solita Bakery dove spesso si fermavano a fare colazione o dove andavano la sera per lasciarsi andare a qualche peccato di gola al sapore di cioccolato.
“Si fermi un attimo, compro una cosa e torno” comunicò al tassista, aprendo lo sportello senza nemmeno aspettare una sua eventuale risposta.
Quel posto era così familiare, stile francese, piccole poltroncine in vimini ed eleganti tavolini in ferro battuto. La luce tenue conferiva un’aria di relax ed intimità, mentre nell’ala destra vi erano tutti gli espositori contenenti diverse delizie:  cupcakes, brownies, muffins, torte intere e a fette, apple pie, cheesecake, panini.
 
***
 
“Due cupcakes e due muffins da mangiare qui, mentre due pezzi di torta e qualche brownies da portar via”. Avevano scoperto quel piccolo paradiso soltanto da qualche giorno, ma non erano mai potuti andare per colpa di diversi inconvenienti che si erano protratti quella settimana. Adesso Killian sembrava volerlo svaligiare di ogni dolce disponibile ed Emma non poteva far altro che ridacchiare vedendo il suo entusiasmo mentre indicava con l’indice tutti i dolci che da lì a poco avrebbero mangiato.
Si sedettero in un tavolino poco distante e dopo qualche secondo quattro piattini perfettamente intagliati e colmi di delizie vennero piazzati di fronte ai loro volti.
“Ecco qui, le altre cose potete passare a prenderle dalla cassa prima di uscire” disse gentilmente una simpatica ragazza sulla trentina con un marcato accento straniero.
“Va bene, grazie.” Rispose Emma, mettendosi davanti il piatto con il cupcake al cioccolato bianco e fondente che aveva da subito attirato la sua attenzione. Killian rise sotto i baffi nel vederla così allegra solo per del cioccolato, ma sapeva quanto fosse golosa ed aveva ordinato tutto quel cibo proprio per questo. Adorava guardarla mentre mangiava di cuore, arrivando persino a macchiarsi il naso con la crema al cacao. Era completamente diversa dalle altre ragazze, attente a mangiare insalata e cose prive di grassi. Lei viveva e sapeva apprezzare ciò che aveva, ed era dolce e testarda, forte e fragile insieme, e l’amava. Dio quanto l’amava.
“Smettila di fissarmi e mangia” lo ammonì, lo aveva beccato mentre si lasciava andare a quelle mute riflessioni. Sorrise, il suo sorriso da furfante, ed abbassò lo sguardo sul suo piatto per provare quelle pietanze.
“Non avremo preso troppe cose?” Chiese lei, addentò l’ultimo pezzo di cupcake e si ripulì le labbra con un tovagliolino. Lui la guardava completamente rapito dai quei movimenti che reputava buffi e sexy contemporaneamente, come poteva esistere qualcuno che riuscisse a fare una cosa del genere? Sembrare sexy pulendosi con un semplice tovagliolino e poi farlo ridere perché aveva scordato di passarlo anche sul naso.
“Anche qui” disse, catturando quella crema e portandosela alle labbra, “e no, non abbiamo esagerato perché so quanto tu sia golosa” la prese in giro.
Sorrise.
 
***
 
Il brontolare del suo stomaco fu così rumoroso da risvegliarla dallo stato di torpore nella quale era caduta abbandonandosi ai pensieri.
“Emma, non ti fai vedere da queste parti da un bel po’.” Si avviò verso il bancone, dove una simpatica Ella la salutava gioiosamente.
“Non sono stata in città” si perse ad osservare tutti gli espositori fino a quando trovò quello che cercava.
“Non ti vedo dal matrimonio, dimmi vi è piaciuta la torta?” Ella aveva personalmente disegnato e realizzato la torta per il matrimonio. Avrebbe preferito realizzarla per un altro matrimonio dato che adorava quando i due ragazzi mangiavano nella sua piccola Bakery, erano sempre allegri, pronti a prendersi in giro e sembravano così innamorati, tanto che si era sorpresa quando non si erano più presentati da lei ed ancora di più quando lei le aveva commissionato la torta per il matrimonio con un altro.
“Ehm, nessun matrimonio ma sono sicura che la torta sia piaciuta moltissimo a chi l’ha mangiata.” Non sapeva perché avesse chiesto a lei di fare quella torta, quel luogo del resto non l’aveva mai condiviso con Neal, non era mai stato loro e lei non amava andarci nemmeno da sola ormai.
“Puoi darmi due cupcakes al cioccolato bianco con crema di fondente” erano quasi secoli che non ne mangiava uno e le erano mancati in un certo senso.
La ragazza sorrise radiosa riconoscendo ciò che erano soliti prendere, ma non disse nulla. Si limitò a porgerle la scatola, “omaggio della casa e non accetto repliche”.
Emma la ringraziò calorosamente e le promise che sarebbe ritornata al più presto perché nessun altro posto era come quello.
Raggiunse nuovamente il taxi e dopo qualche minuto era sotto l’appartamento di Killian.
Pagò e scese.
Le sue mani erano così sudate e la sue labbra così secche che non era sicura di riuscire a suonare tantomeno a parlare, figurarsi dire qualcosa di sensato.
La porta blu si spalancò e lei ringraziò mentalmente per il fatto che non avrebbe dovuto suonare al campanello esterno, almeno così aveva la possibilità di rimanere sul pianerottolo.
Il ragazzo che uscì le tenne la porta per permetterle di passare e lei lo ringraziò cortesemente prima di correre su per le scale.
Salì al secondo piano, si asciugò freneticamente la mano sui Jeans sgualciti prima di bussare alla porta. Nessun rumore proveniva dall’interno, accostò l’orecchio al legno ma nulla. Sembrava essere vuota, forse non era a casa o peggio si era trasferito per non essere trovato.
<< Calma Emma, stai impazzendo. >> Si ripeté a bassa voce, prese il cellulare tra le mani e fissò il suo numero sullo schermo indecisa se chiamarlo, mandargli un messaggio o non fare completamente nulla ed aspettarlo lì.
Dopo cinque minuti a contemplarlo in cerca di una soluzione, optò per l’ultima opzione e si sedette sulle scale appoggiando la testa al muro.
 
 
Quella giornata di lavoro era stata parecchio stressante e si era protratta più del dovuto, tutti quegli esami richiedevano tempo, tempo per farli, per analizzarli e trascrivere i risultati, e questo comportava il non avere avuto orari decenti nell’ultima settimana. Non che avesse bisogno di tempo per stare a casa, anzi più impiegava la mente in altro e meno pensava alla sua situazione ed era decisamente una cosa buona. Solo quando tornava a casa ed era tutto così vuoto e silenzioso, si sentiva male e cercava di riempire quei momenti con televisione e musica, qualcuno che parlasse ma non sembrava funzionare il più delle volte.
Si trascinò privo di qualsiasi voglia su per le scale, fino a quando arrivato nel suo pianerottolo una testa bionda appoggiata sul muro e decisamente addormentata fece fare un salto al suo cuore che si lanciò in una corsa frenetica che non riusciva mai a controllare.
Si avvicinò piano, cercando di fare un po’di rumore perché si svegliasse da sola non dando a lui l’ingrato compito di chiamarla ma quella sembrava profondamente addormentata e dalle marcate occhiaie che aveva sotto gli occhi sembrava che avesse parecchio bisogno di dormire.
Le tolse la scatola che aveva adagiata sulle ginocchia e l’aprì rivelandone il contenuto e sorridendo dolcemente di fronte a quella visione. Aprì la porta ed adagiò tutto sul ripiano mentre tornava da lei e la sollevava dolcemente facendo leva sulle ginocchia.
Entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle con un piede, Emma mugugnò nel sonno e sorrise inconsapevolmente e la sua mano si mosse a causa di qualche riflesso involontario vicino al suo petto e lei si strinse a lui come se quello fosse il posto in cui volesse stare.
Un brivido percorse la schiena di Killian mentre tutto quello accadeva sotto ai suoi occhi, e non aveva cuore di spostare la mano da lì, così rimase immobile per qualche secondo senza sapere bene cosa fare.
I suoi piedi si mossero da soli verso la camera da letto, le tolse delicatamente la giacca e poi la coprì con una coperta. Andò a farsi una doccia calda per cercare di calmarsi e di ragionare lucidamente.
 
Quella posizione era fin troppo comoda per Emma, aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno spaesata. I pensieri sulla sera precedente riaffiorarono poco dopo, si trovava in un letto e non più sul pianerottolo dove ricordava di trovarsi l’ultima volta che era stata sveglia e cosciente. Ciò che la sorprese fu il tranquillo e costante respiro della persona al suo fianco. Il cielo era ancora buio e lui dormiva profondamente. Non aveva deciso di tenerla lontana o di dormire sul divano ma si era semplicemente sdraiato vicino a lei.
Si era ritrovata mille volte in quella situazione, adorava guardarlo dormire e poi addormentarsi stretta a lui ma questo accadeva prima, non pensava che quella serata si sarebbe conclusa in quel modo.
Le aveva persino tolto la giacca e l’aveva coperta affinché non sentisse freddo.
Si avvicinò lentamente per non svegliarlo e per non spezzare quel momento perfetto e si strinse a lui cercando di non provocare movimenti bruschi. La sua testa adagiata all’altezza del cuore, alzò gli occhi verso di lui e poté giurare che quello che c’era in quel momento sul suo volto addormentato fosse un sorriso.
As strong as you were, tender you go, 
I'm watching you breathing, for the last time.
A song for your heart, but when it is quiet,
 I know what it means and I'll carry you home.
 
I raggi del sole che penetravano dalla finestra rendevano la stanza fin troppo luminosa e questo la ridestò dal suo sonno tranquillo. Si voltò leggermente e stirò una mano sul letto in cerca del corpo caldo che aveva condiviso quella notte con lei. I ricordi di qualche ora prima irruppero nella sua testa, era stato così bello trovarsi lì e semplicemente dormire con lui.
Aprì gli occhi ancora impastati dal sonno e ci mise un po’ per mettere a fuoco la stanza, tutto era perfettamente ordinato eccetto che per il letto, si voltò verso la radiosveglia che segnava le 10:00 del mattino. Si guardò intorno in cerca di una traccia, un rumore, qualcosa che segnalasse la sua presenza ma la casa era perfettamente silenziosa.
Solo sul comodino vi era un Cupcake, probabilmente quello che aveva portato lei la sera prima. Avrebbe voluto mangiarli insieme a lui e non da sola, ma aveva sprecato tutto addormentandosi come una stupida sul pianerottolo, senza avere la possibilità di parlargli, senza poter constatare dalla sua reazione se gli facesse piacere o meno che lei fosse lì.
Aveva dormito con lui ma non sapeva se quella fosse una semplice cortesia dettata dal non volerla lasciare fuori o se lui avesse realmente avuto il piacere di farlo. Adesso che ci pensava non sapeva proprio nulla.
Afferrò il dolcetto e si accorse che sotto c’era un pezzettino di carta ripiegato e scritto con una perfetta calligrafia: Devo andare a lavoro, dormi pure quanto vuoi, ci vediamo a pranzo.
 
 
 
 
 

 
  
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