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Autore: Schifottola    01/10/2015    2 recensioni
Kurt, nato e cresciuto a New York, vive solo con la madre, Elisabeth Calhoun, ma dopo che lei muore scopre di essere figlio di Burt Hummel, un meccanico nella cittadina di Lima in Ohio. Costretto a seguire il padre si trova catapultato in una realtà provinciale e bigotta in cui la sua omosessualità non è ben vista e crea motivo di attrito e non accettazione nella sua nuova e detestata famiglia. Un giorno incontra Blaine, un ragazzo ingestibile, spesso protagonista di episodi spiacevoli. Kurt, scoprirà che a Lima, dove la gente non fa altro che parlare, colui che ha più da dire è proprio Blaine, muto selettivo che pur non usando la parola è capace di discorsi che sanno arrivare al cuore.
Tra situazioni tragicomiche Kurt e Blaine si conoscono, stringono amicizia, si innamorano e scoprono che il passato di Lima e di Elisabeth Calhoun e la Banda, i suoi amici di gioventù, è pieno di fatti mai sopiti che influenzeranno il loro presente portando delle conseguenze sull’intera cittadina.
Genere: Commedia, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Carole Hudson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Sebastian/Thad
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Isabelle chiuse la porta di casa e, come ogni mattina degli ultimi quindici anni, si voltò verso l’uscio dell’appartamento di fronte. Solo che, come era solito succedere, non avrebbe bussato per chiamare Elisabeth e accompagnare Kurt a scuola; non ci sarebbe stato per lei e la sua migliore amica il caffè al loro bar preferito e nemmeno nessuna cena di ritrovo di casa Calhoun...
Non ci sarebbe stato più nulla di tutto quello.
Isabelle ricacciò indietro le lacrime e se ne andò all’ascensore, accompagnata solo da ricordi che in quel momento le procuravano tristezza e solitudine.
 
 
Isabelle era furiosa.
 Si era laureata con il massimo dei voti alla Columbia e poteva vantare un Master in Giornalismo e Storia della Moda, titoli conseguiti in una delle migliori università della Nazione. Da anni lavorava duramente alla redazione di Vogue, intervistando il personaggio di copertina e scrivendo articoli di punta e Anna Wintour, la direttrice, la ignorava e riversava tutte le sue attenzioni alla nuova giornalista, che aveva una preparazione inferiore alla sua e per giunta svolta in un’università statale (e non privata come la sua)in Ohio a Columbus.
Elisabeth Calhoun, questo era il nome della sua nuova collega e cocca della Wintour.
Isabelle non capiva come mai la direttrice apprezzasse tanto questa nuova giornalista. Aveva letto i suoi articoli e non erano nulla di speciale, anzi, erano pieni solo di ironia e arroganza. Come il trafiletto che aveva scritto sulla collezione di Versace primavera-estate, che aveva definito scialba e anonima e aveva aggiunto anche che era stata resa passabile solo per la scelta giusta delle modelle, donne che sarebbero state attraenti e glamour anche solo con un sacchetto della spazzatura.
Isabelle era rimasta letteralmente a bocca aperta alla lettura dell’articolo della collega e si era chiesta con quale coraggio avesse scritto tali parole su un mostro di bravura quale era lo stilista Gianni Versace.
Nella redazione molte persone non si spiegavano come Elisabeth Calhoun avesse avuto il posto vagante di giornalista alla redazione.
Per quel lavoro si erano presentati 407 giornalisti da tutta America. Lei stessa aveva delle amiche con una preparazione certamente più valida della nuova arrivata e che avevano sostenuto dei colloqui, ma che erano state scartate malamente dalla direttrice, che in quel periodo era molto nervosa per aver perso il suo braccio destro e direttore artistico, André Leon Talley, che era andato a lavorare per una rivista francese.
Per Isabel c’era qualcosa che non tornava in quella situazione.
Anna Wintour aveva assunto quella giornalista, che dopo qualche tempo si era scoperto essere incinta e che all’anulare non portava nessun anello. In redazione non era passato molto tempo che a tutti sorgesse spontanea la domanda di chi fosse il l’amante o il compagno Elisabeth Calhoun per essere giornalista di punta in un posto di pregio come quello.
Però,  per quanto lei e i colleghi avessero indagato,  non c’era stato modo di scoprire nulla sulla vita privata della nuova arrivata e chi aveva provato a chiederle direttamente qualcosa si era preso delle risposte taglienti del tipo:
Perché me lo chiedi!? Vi siete già tutti stufati a giocare a fare gli investigatori?
La tua voglia di ficcare il naso negli affari miei supera la finta cordialità che mi usate davanti prima di sparlarmi alle spalle?”
 
Isabelle non era stato affatto sorpresa che Elisabeth sapesse delle voci che circolavano su di lei e nemmeno che si fosse fatta terra bruciata attorno rimanendo completamente sola. Immaginava anche che fosse stato intenzionale che qualche suo collega si fosse fatto sentire sparlare, non era la prima volta che succedeva e nemmeno sarebbe stata l’ultima. Tutti in quella redazione erano lì dentro perché si erano fatti il culo e non certo per una raccomandazione e quindi non era stato strano che era cominciato un ‘genuino’ mobbing all’imbrogliona.
 
Isabelle però quella mattina non sapeva che avrebbe ricordato per sempre quel 28 Agosto 1995...
Era stata convocata nell’ufficio di Anna Wintour, sapeva che quella era l’occasione che aspettava per far colpo sulla donna, visto che  da qualche giorno la cocchina si era presa il congedo per maternità.
“Sei in ritardo.” Fu la prima cosa che le disse la direttrice, mentre esaminava  il menabò di uno speciale sulla storia della moda che sarebbe stato venduto con il Vogue di Ottobre.
Isabelle non si preoccupò a dire che non era affatto così, anzi che era perfino in anticipo di una decina di minuti.
“Mi scusi.” Invece disse conscia che non fosse il caso di far innervosire l’altra donna.
Anna non diede segno di aver sentito le scuse e continuò il suo meticoloso controllo della bozza segnando con un pennarello rosso quello che non le andava bene, in arancione ciò che andava migliorato, in viola quello che le piaceva, alternando il tutto con delle annotazioni.
Isabelle sentì la tensione salire in lei mentre veniva beatamente ignorata per oltre un quarto d’ora e si trovò   impreparata quando la donna, continuando il suo meticoloso controllo, le rivolse la parola.
“Mi serve che vai a  prendere l’articolo che ha preparato Elisabeth Calhoun. L’ho già avvertita che qualcuno sta arrivando a prendere i floppy disk con tutto il materiale.”
Isabelle rimase un momento imbambolata, come se avesse ricevuto uno schiaffo in piena faccia.
“Mi scusi?”
“Non farmi ripetere Wronte!” Disse impassibile la direttrice.
Isabelle avrebbe voluto mettersi a piangere sentendo la direttrice storpiare il suo cognome.
“Mi chiamo Isabelle Write, signora Wintour. E poi mi scusi perché dovrei andarci io a prendere l’articolo da Elisabeth? Sono una giornalista professionista e sto lavorando a un articolo sulla chirurgia estetica. Non può mandarci la sua assistente o qualche stagista?”
Anna, con la massima calma, chiuse i pennarelli e li poggiò sulla scrivania e poi puntò i suoi occhi verde oliva in uno sguardo gelido su di lei.
“Se sto mandando te, Wronte.-la donna calcò sul cognome sbagliato appositamente- ho le mie ragioni. So ancora quello che sto facendo. Se non credi che sia così, va bene, quella è la porta. Ricordati che non sei indispensabile e che lì fuori è pieno di giornalisti bravi e raffinati quanto te nella scrittura. Ci metto cinque minuti a trovare un sostituto per il tuo posto di lavoro.- Disse con un tono calmo. ma terribilmente austero la donna per poi riprendere i suoi pennarelli e continuare la correzione del menabò.- Puoi andare.”
Isabelle si alzò dalla sedia con le gambe tremanti e si diresse verso la porta.
“Ah! Wronte... l’articolo mi serve entro le sei!”
“Sì signora.”
“Devi andare al Morgan Stanley Children's Hospital.”
 
Isabelle di certo non amava Elisabeth Calhoun, ma quando entrò nella camera che le era stata indica e la trovò vuota senza nessun mazzo di fiori, nastri o peluche giganti che indicassero che li ci fosse ricoverata una neo mamma le fece tristezza e pensò che fosse strano.
Guardò il mazzo di margherite gialle che aveva portato per cortesia e lo mise su un tavolino.
Uscì in corridoio e bloccò un infermiere del reparto e gli chiese dove fosse la signora Calhoun e l’uomo le sorrise gentile e disse una frase che la lasciò stupita.
“Finalmente qualcuno che è venuto a trovare la signora Calhoun! È molto importante che in momenti difficili come questo le persone care le stiano vicino.”
Non capì cosa l’uomo avesse cercato di dirle, ma sorrise come se lo avesse fatto, avvertendo un improvviso enorme peso sullo stomaco.
“Mi potrebbe indicare dove posso trovare Elisabeth?”
“Certo, mi segua.”
L’infermiere la guidò attraverso corridoi sempre più bui e cupi, incontrarono parecchie persone che avevano espressioni, stanche e tirate, fino a quando non scorsero Elisabeth.
Isabel notò subito che qualcosa in lei non andava.
La collega aveva i lunghi capelli castani legati in una treccia morbida, la pelle alabastro aveva assunto una tonalità di un pallido spettrale e gli occhi erano gonfi e fissi su quello che c’era al di là di una parete vetrata. Gli elementi più allegri di quel luogo erano la camicia da notte estiva azzurro cielo che Elisabeth indossava e il suo antico medaglione con sopra un elefante, che portava sempre al collo e che difficilmente l’aveva vista senza.
L’infermiere che l’aveva accompagnata la lasciò per tornare al lavoro.
Isabelle fece qualche passo in direzione della collega e nel suo campo visivo entrò quello che c’era dietro il vetro: due stanze, una di sterilizzazione e una di terapia intensiva dove c’era un’incubatrice in cui vi era posto un neonato addormentato e disteso sulla schiena, tutto gonfio, completamente immobile, attaccato a molte macchine che monitoravano i suoi parametri vitali.
Isabelle provò l’irrefrenabile voglia di piangere quando si accorse che dal naso del neonato usciva un sondino e dalla bocca un tubo, che era un ventilatore di respirazione artificiale. Si capiva chiaramente che il piccolo era stato operato, era pieno di cerotti che coprivano la zona toracica destra, dal pancino usciva l’ennesimo tubo e sotto, per terminare, c’era anche un piccolo  catetere.
“Pensavo che oggi pomeriggio  sul tardi venisse l’assistente di Anna e non la grande Isabelle Write, la più grande giornalista di Vogue America.” Disse Elisabeth in tono canzonatorio e con una punta di cattiveria. Isabelle si rese conto per la prima volta che quel modo di rispondere della collega non era altro che una corazza... si ricordò che i primi tempi era molto gentile e solare, anche se sempre un po’ tagliente.
 “Quando è nato o nata?”
“Maschio, si chiama Kurt ed è nato il 25.”
Era appena il 28 Agosto ed Elisabeth era andata in congedo maternità il 24, aveva lavorato praticamente al termine della gravidanza e nessuno alla redazione aveva mostrato gentilezza per la sua condizione, nemmeno lei e questo la fece vergognare.
Non sapeva che dire, se complimentarsi per il bambino o dire che fosse bello, anche se era una palese bugia. Per lei tutte le frasi di circostanza che si usavano in occasione di maternità erano delle menzogne, non le piacevano i bambini.
“Sta bene?” domandò timidamente dopo qualche minuto.
Elisabeth per la prima volta si voltò verso di lei con un’espressione di pura furia che le distorceva i bei e delicati lineamenti.
“Mio figlio sta benissimo Write. Quelle macchine le abbiamo messe solo per scenografia. Anzi se ti fermi vedrai che tra un po’ arriverà Andy Warhol a fargli un intero servizio da pubblicare su Mamma magazine.”
“Scusa io non volevo. Io, io non intendevo.”
Elisabeth la fissò con i suoi  grandi occhi azzurro cielo da gatta con palese disgusto che la fece balbettare di più ma, prima che una delle due potesse dire altro, un fischio acuto attirò pervase l’aria, veniva da una delle macchine collegate al bambino.
“OH MIO DIO! KURT! AIUTO QUALCUNO MI AIUTI!” urlò presa dal panico Elisabeth, che però aveva agito d’istinto correndo verso il corridoio dove c’erano gli infermieri, mossa inutile dato che la stanza era collegata a una centralina di allarme e il personale era stato già avvertito.
Le altre persone presenti nel reparto, probabilmente genitori di bambini ricoverati nel reparto, si girarono ad osservare la scena spaventati.
Isabelle solo in quel momento capì quale macchina si trattasse ed era l'elettrocardiografo e il monitor segnava un l’istogramma piatto.
“DOTTOR FOKER! DOTTOR FOKER, AIUTO! ”urlò Elisabeth che fissava con terrore il proprio figlio.
Isabelle vide arrivare tempestivamente di corsa un dottore altissimo, seguito da altre tre persone, entrare nella stanza e immediatamente operare attorno al neonato. Le sembrò di vedere il medico fare un iniezione al piccolo o forse aveva tolto uno dei tubi al quale era attaccato o forse addirittura il respiratore artificiale. C’era troppo movimento di fronte al piccolo per capire cosa stava succedendo.
Elisabeth era incollata al vetro  gli occhi frenetici seguivano la scena davanti a lei e un respiro agitato continuava ad alzarle il petto aritmicamente, sembrava sul punto di un attacco di panico.
Un piccolo spiraglio si fece largo nell’equipe medica e riuscì a vedere il dottore cominciare ad applicare sul bambino un massaggio cardiaco, ma lo faceva in un modo che Isabelle non aveva mai visto fare: solo con due dita, l’indice e il medio.
“Dio ti prego no. No. Ti prego! Non togliermi Kurt. Non portarmelo via come hai fatto con Charlie, mamma e papà. Ti supplico, ti supplico...” pregò piangendo la donna.
Quella frase, la stanza d’ospedale triste e vuota, la riservatezza sulla vita privata, mai che qualcuno fosse venuto a prendere la collega al lavoro e le parole dell’infermiere poco prima fecero realizzare a Isabelle che Elisabeth era completamente sola.
“LO STIAMO PERDENDO, TROPPI MINUTI! TIRATE FUORI IL DEFIBRILLATORE![1]
“MA DOTTORE IL DEFIBRILL-”
“GILL FAI COME HO DETTO!”Urlò rabbioso il medico e la donna eseguì senza più discutere.
Il fischio del macchinario continuava e Isabelle non voleva vedere che cosa stava succedendo al di là del vetro, la faceva sentire male e spaventata, non sapeva nemmeno che sui neonati il defibrillatore potesse essere usato. Notò alcune persone che allungavano il collo per cercare di capire cosa stesse succedendo e la sua attenzione venne catturata da un’infermiera all’inizio del corridoio, molto giovane e probabilmente inesperta, che non sapeva come comportarsi e se provare ad avvicinarsi a Elisabeth o meno.
“Kurt non mi lasciare, ti prego...”
 Se prima le sembrava che la sua collega fosse pallida in maniera spettrale, in quel momento era perfino peggio.
Non seppe cosa scattò dentro di lei in quel momento, ma si vicino a Elisabeth e l’afferrò per le spalle.
“LIBERA.”
 Isabelle sentì il medico urlare e poi un rumore che non aveva mai sentito, Il fischio continuava imperterrito e le ginocchia di Elisabeth inaspettatamente  cedettero e si ritrovò sul pavimento freddo, la donna fra le sue braccia piangeva e tremava.
“LIBERA.”
E ancora quel rumore strano dato forse dall’apparecchio.
“TU, RAZZA DI CRETINA, INVECE DI RIMANERE A GUARDARE FAI QUALCOSA!” urlò Isabelle all’infermiera che le stava osservando ancora incerta se intervenire.
Poi il suono cessò e sentì il medico lasciarsi andare a una parolaccia e sollevato urlare che il cuore di Kurt aveva preso a ribattere. Elisabeth le svenne fra le braccia e finalmente l’infermiera venne in suo aiuto.
Quel giorno ad Anna Wintour non arrivò nessun floppy disk con l’articolo di Elisabeth Calhoun, da parte di Isabelle Write, ma solo una telefonata che l’avvisava che lei non si sarebbe mossa dall’ospedale e la direttrice fu sorprendentemente accomodante.
Isabelle rimase al fianco di Elisabeth quel giorno e per tutta la notte. Un medico che visitò la collega le chiese di rimanerle accanto, visto il carico emotivo che la donna stava attraversando.
Il dottor Foker, dopo i dovuti accertamenti, venne a spiegare a loro, con termini  semplici, quello che era successo: Kurt  quella mattina era stato operato di Atresia Esofagea e  dopo l’intervento era stato sedato profondamente e curarizzato (una forma di paralisi muscolare farmacologica che provoca immobilità) per evitare che con qualunque movimento, anche una deglutizione, rompesse le cuciture appena fatte all’esofago.
Il medico disse ad Elisabeth che l’arresto cardiaco a cui il bambino era stato soggetto era per colpa della curarizzazione; i curari sintetici che erano stati utilizzati come previsto avevano agito sulla muscolatura volontaria con effetti paralizzanti, ma Kurt si era rivelato esserne allergico ed era andato in shock.
Il dottor Foker spiegò ad Elisabeth che il curaro sintetico era stato sostituito, dopo i test di allergia, con uno di origine vegetale, proprio per l’importanza che aveva la sedazione con l’immobilità muscolare nei primi dieci giorni dopo l’operazione.
 
Isabelle quella notte scoprì che Elisabeth aveva saputo al sesto mese di gravidanza che Kurt era affetto da Atresia Esofagea e da quando aveva avuto la notizia aveva speso il suo tempo libero a sentire tutti i pareri medici che poteva, a volte viaggiando anche in diversi Stati del Continente americano.
Il dottor John Foker lavorava al Children's Hospital di Boston ed era stato colui che l’aveva convinta di più.
Le raccontò che il direttore del Presbyterian Morgan Stanley Children's Hospital di New York era stato molto disponibile a permettere a Elisabeth di far nascere il bambino nel loro ospedale, che era tra i migliori d’America, e di invitare il dottor Foker per operare con la propria metodologia, che era innovativa nel campo dell’Atresia Esofagea.
Chiaramente l’equipe del Morgan Stanley aveva colto l’occasione per studiare sul modo di operare del medico di Boston, anche se di contro Elisabeth aveva dovuto pagare di tasca propria la trasferta dello specialista e la parcella per operare Kurt.
Isabelle chiese all’altra donna come mai avesse scelto quel medico, anziché lasciare il tutto al personale del Morgan Stanley Children's, e le fu spiegato che i bambini operati con il metodo Foker avevano uno standard di vita qualitativo molto vicino alla normalità e che, costoso o meno, la prima cosa che le interessava era la salute del figlio.
 
Isabelle il 28 Agosto 1995 giorno scoprì Elisabeth, in tutta la sua  forza e  fragilità, e mai più l’abbandonò a sé stessa.
Kurt era ancora ricoverato in terapia intensiva quando qualche giorno dopo Elisabeth fu dimessa e Isabelle si offrì di riaccompagnarla a casa per farsi almeno una doccia e cambiarsi prima di fare la notte a vegliare il figlio, ma  quando scoprì che abitava nel South Bronx, uno dei quartieri più pericolosi di tutta New York, le venne un colpo. Nessuno con un po’ di soldi abitava da quelle parti, tanto meno qualcuno messo bene  economicamente come la collega.
Espose i suoi dubbi circa il quartiere e Elisabeth la rassicurò che non era poi così male il South Bronx, anzi, elogiò il fatto che era un posto molto vivo e multiculturale, ma Isabelle avrebbe voluto sbattere la testa sul volante quando arrivarono a destinazione.
Dire che il palazzo e poi l’appartamento fossero delle catapecchie era un complimento e questo confuse non poco Isabelle sulla situazione economica della collega, che non sembrava così florida come aveva pensato.
I conti non le tornavano.
Tutti i giornalisti di Vogue erano pagati molto bene, ma non così tanto per far fronte a quello che aveva subito il bambino della sua collega e per l’ennesima volta si chiese chi fosse il misterioso padre di Kurt e se fosse stato lui a pagare le cure mediche.
 
Isabelle mise le sue domande nel fondo della mente e nei mesi successivi visse il cambiamento della vita di Elisabeth: Kurt venne spostato dopo 25 giorni di terapia intensiva al reparto di lunga degenza e in redazione nessuno osò più dubitare delle sue capacità di giornalista quando a Ottobre venne pubblicata un’inchiesta che aveva condotto per mesi su un giro di droga che coinvolgeva grandi nomi della moda e dello spettacolo, facendo tremare parecchie teste.
Elisabeth si guadagnò l’ammirazione che meritava e al contempo il dispiacere dei colleghi, che vennero a sapere che era una madre single e che il bambino che aveva partorito aveva dei problemi. Infatti nessuno le fece dei commenti le rare volte che si presentava in redazione durante la settimana per dei briefing o assegnazione, mostrando una faccia distrutta dalla stanchezza e l’abbigliamento sgualcito di chi non dormiva da moltissime ore, ma nonostante tutto non mancò mai una consegna del proprio lavoro.
Isabelle, ogni sera appena finito di lavorare, andava in ospedale a prendere Elisabeth e la portava in un ristorante vicino per farle mangiare un boccone e staccare la spina da tutta la situazione e a volte, quando la vedeva che faticava a reggersi in piedi dalla stanchezza, la trascinava a casa sua- che era più vicino all’ospedale, al lavoro e collegata meglio con i mezzi pubblici- a riposare in un vero letto.  Ogni volta che Elisabeth si fermava a dormire, Isabelle la mattina si trovava la colazione pronta e la collega che era già sparita per tornare dal figlio o fare le ricerche che le servivano per gli articoli che doveva scrivere.
Rimase basita quando un giorno Elisabeth le disse che aveva visto l’appartamento di fronte al suo appena ristrutturato in vendita e che aveva intenzione di comprarlo, spingendo che tutta la trattativa andasse velocemente e concludere il tutto prima che Kurt uscisse dall’ospedale, non voleva che subisse lo stress di un trasloco.
Isabelle fece qualche ricerca e venne a scoprire che l’appartamento era una superficie di 220 mq- più grande del suo- con quattro camere da letto, studio, soggiorno, cucina, tre bagni e un terrazzo di 25mq e veniva venduto per tre milioni e settecento mila dollari.
Isabelle fu nuovamente tormentata dalle domande su chi fosse a dare alla collega i soldi che le servivano per pagare tutto quanto, ma non si azzardò a chiedere nulla preferendo aspettare che magari un giorno la sua amica le raccontasse tutto.
Kurt venne dimesso dall’ospedale il 15 dicembre dopo ben 113 giorni di degenza e Isabelle dovette ammettere che nonostante tutto era un bambino splendido, che somigliava moltissimo alla mamma e che sorridendo in continuazione l’aveva fatta innamorare di lui. Senza che se ne era resa conto tutte e due Calhoun l’avevano conquistata e per lei erano diventati una famiglia.
 
Negli anni che vennero Elisabeth fece molte corse in ospedale con Kurt per colpa di problemi all’esofago e Isabelle le fu accanto in ogni momento difficile, ma anche nelle grandi vittorie, come la prima volta che Kurt a tre anni e mezzo assaggiò del cibo solido.
 
Anna Wintour si accorse del loro affiatamento e le accoppiò e lei divenne responsabile dei menabò ed Elisabeth sua seconda e braccio destro.
Poi venne il tempo che Elisabeth si fidò completamente di lei e le raccontò ogni cosa e trovò le risposte a interrogativi che per anni avevano ballato nella sua mente. Seppe che il padre di Kurt era un semplice meccanico dell’ Ohio, che non sapeva nemmeno dell’esistenza del bambino; seppe da dove venivano tutti soldi di Elisabeth: l’incidente dove avevano perso la vita i suoi genitori, Charlie e il restante grazie alla vendita della casa di famiglia a Lima, senza contare l’eredità dei beni dei Calhoun.
 Elisabeth le disse che quei soldi, anche se l’avevano resa vergognosamente ricca, puzzavano di morte delle persone che aveva amato di più e per questo, per tanti anni, non era riuscita a toccarli facendo affidamento solo sulle sue forze. Ma poi era arrivato Kurt e gli era stata diagnosticata l’Atresia e lei si era promessa che quei fondi li avrebbe usati per far vivere suo figlio e farlo star bene e così aveva fatto.
Le raccontò di Lima, della Banda e di quanto le mancassero i suoi amici.
Le raccontò dei suoi due grandi amori, Luis Lopez e Burt Hummel.
Le confessò le sue colpe verso Burt e le colpe che l’uomo aveva verso di lei.
Le confessò di quanto ancora amasse Luis e di come nel suo cuore fosse sempre presente.
Le raccontò di Charlie e di quanto ogni giorno le mancasse terribilmente.
Le descrisse ciò che era successo a Lima, poi a Columbus e infine dei primi tempi nell’ostile New York.
 Isabelle quando seppe ogni cosa amò di più la sua amica e fu solo felice per lei quando altre persone entrarono nella sua vita, disposte a starle vicino nonostante le difficoltà che a volte insorgevano con Kurt. Provò ammirazione per Etienne Smythe, che in ogni modo amò Elisabeth e che divenne una figura paterna per Kurt.
Sperò che l’uomo divenisse il nuovo amore della vita dell’amica ma così non fu. Etienne non era Luis e nessuno lo sarebbe mai stato per Elisabeth.
 
Isabelle sospirò e si sforzò di avviarsi al lavoro, aveva delle scadenze, ma il dolore era troppo fresco.
Non era passato neanche un mese dalla morte di Liz.
Un mese da quando tutto era cambiato...
Il 5 Ottobre Kurt aveva bussato frenetico e agitato alla porta di casa sua, Elisabeth quella notte non era rientrata e il telefono risultava staccato. Ricordò con dolore i giorni d’angoscia delle ricerche della polizia e della speranza di tutti di ricevere notizie positive fino alla mattina del 7 Ottobre, quando era suonato il campanello e sulla soglia di casa sua era apparso l’ispettore Timothy  Stone- ormai da qualche anno, con il fratello Christian, grande amico di Elisabeth - che chiedeva a Kurt di seguirlo in obitorio per confermare l’identità di un cadavere di una donna senza documenti, investita sulle strisce pedonali da un ubriaco nella notte del 4 ottobre. Isabelle sapeva che Tim aveva riconosciuto Elisabeth, ma non c’era stato modo di poter sottrarre Kurt da quel dolore, era la procedura...
Il 9 ottobre fu ritrovata la borsa di Elisabeth, un barbone dopo l’incidente l’aveva rubata per i documenti e i soldi.
Isabelle nei giorni successivi aveva chiesto solo l’affidamento temporaneo, non aveva  fatto fatica di fare le carte per chiedere l’adozione Kurt, come le aveva fatte speranzoso Etienne, perché lei era a conoscenza del contenuto del testamento e sapeva che Burt Hummel, una volta scoperto di avere un figlio, lo avrebbe portato a Lima con lui.
 
Kurt scese le scale sbadigliando, Bob lo aveva svegliato alle quattro del mattino perché voleva uscire da camera sua; era saltato sul letto e lo aveva svegliato abbaiando e leccandolo, dopo che la sera prima aveva fatto di tutto per stargli il più attaccato possibile.
Si ripromise di chiedere a Finn di stare dietro al proprio cane.
Il ragazzo sentì la pendola del soggiorno rombare i rintocchi delle ore, erano le cinque della mattina.
Non riuscendo a riaddormentarsi aveva deciso di riprendere le sue vecchie abitudini e quindi si era messo in tenuta sportiva per andare a correre. Doveva in un qualche modo cercare di rimettere in sesto la sua vita, non sarebbe tornato a vivere a New York prima della fine del liceo, ma questo non gli impediva di tenersi in forma e di continuare con recitazione, danza e canto.
La sera prima aveva sentito Sebastian e Thad che lo avevano spronato a non mollare il proprio sogno e percorso. Belle parole le loro, ma aveva tre grossi problemi:
1)non aveva un manager che potesse trovargli degli ingaggi teatrali, sua madre con lui si occupavano di visionare le offerte per la sua carriera.
2)Burt. L’uomo doveva dargli la sua autorizzazione, ma gli aveva fatto capire chiaramente come la pensava sulla sua scelta nel settore dello spettacolo. Se non riusciva a risolvere questo, il primo problema non si poneva nemmeno.
3) Il terzo problema era che lui era confinato a Lima, una cittadina che non aveva sbocchi lavorativi nel suo campo.
In poche parole era fottuto.
 
Kurt rimase sorpreso quando dalla cucina sentì dei rumori e si domandò chi fosse sveglio a quell’ora, onestamente sperava che fosse Carole.
Spostò silenziosamente la porta aspettandosi di vedere qualcuno che armeggiava ai fornelli o che fosse seduto al tavolo della cucina a fare colazione, ma invece non c’era nessuno.
Un rumore attirò la sua attenzione e spostò lo sguardo verso il basso dove c’era una credenza e rimase stordito dalla scena che gli si parò davanti: un procione adulto che fra le zampine teneva un pacco di patatine al formaggio. Rimase ad ammirare l’animale mettere un braccino dentro il sacchetto e tirare fuori un po’ di patatine per sé con le quali si riempiva la bocca e poi ripeteva la stessa azione, ma solo che le offriva a Bob, che scodinzolante stava seduto di fianco al procione, accettando con entusiasmo quello che gli veniva generosamente offerto.
“Ok, forse non è solo colpa di Finn se sei un cane ciccione.”
I due animali sentendolo parlare si girarono verso di lui. Bob gli venne incontro festoso, mentre il procione imperturbabile mise la zampina nel sacchetto e gli offrì una manciata di patatine.
“No grazie! … Ok, la telenovela di Limarwood ha appena toccato il suo punto più basso… Io non sto davvero rifiutando delle patatine offerte da un procione. ”
 
 
 
Blaine si svegliò di soprassalto. Portò una mano al petto per riprendere il respiro e di calmare il battito del suo cuore, staccando la maglietta che gli si era appiccicata addosso dal sudore freddo,  cercando di ignorare il collo e la testa che gli pulsavano violentemente, ma era impossibile. Prese l’antidolorifico che aveva sul comodino, che gli avevano prescritto all’ospedale dopo l’incidente, e bevve una lunga sorsata d’acqua.
Gli capitava spesso di avere incubi spaventosi sul giorno della morte di sua madre. Sogni bui dove entrava in casa e vedeva il corpo di sua madre, ma non il suo volto, distesa a terra coperta di sangue e lui che urlava e correva da lei. Le sue mani si coprivano del liquido rosso, poi il rumore di uno sparo e l’ultima cosa che vedeva era il corpo di sua mamma avvicinarsi e a quel punto si svegliava.
Quella volta però il sogno era stato diverso... lui correva e  la porta veniva aperta, ma non da lui ed entrava in casa ridendo e chiamando“mamma”.
Il soggiorno era in penombra e scorgeva sua madre in un lago di sangue ancora viva, ma che stava morendo. Negli occhi le leggeva il terrore e la vedeva che cercava di dirgli qualcosa.
Una sensazione di paura si faceva largo in lui e corse per aiutarla. Voleva chiudere la ferita, ma non ci riusciva, poi sentiva un rumore. C’era qualcuno, ma non aveva paura per quello e non si voltò, voleva dire qualcosa però non fece in tempo che un rombo di uno sparo riempì le sue orecchie, poi il corpo di sua madre si avvicinava e tutto diveniva nero.
Mark, il suo psicoterapeuta che lo aveva in cura da anni, lo aveva avvertito che quando sarebbe stato pronto o qualcosa lo avesse stimolato a farlo avrebbe ricordato qualcosa di quel giorno attraverso sogni o flash back.
Istintivamente si toccò il cerotto sopra la testa. Lui sapeva che quelli erano veri ricordi e non un prodotto della sua immaginazione. Sapeva che non era ancora tutto, che c’era qualcos’altro e che forse lì, in quei ricordi, c’era l’assassino... una persona che forse conosceva...
Blaine dopo quel sogno e una crisi di pianto, non riusciva a stare fermo.
Il primo istinto che aveva avuto era stato di andare a svegliare Cooper o suo padre e raccontargli tutto. Ogni dettaglio era importante, ma erano solo le quattro e quaranta del mattino e non era giusto svegliarli. Anche se ricordava qualcosa in più, non era abbastanza per cambiare la situazione e non era neanche utile all’investigatore privato che suo padre da anni pagava per cercare l’assassino di sua madre.
Prese il quaderno dove scriveva sempre per comunicare con gli altri e annotò quello che aveva sognato per paura che l’incubo/ricordo gli sfuggisse via e dettagli importanti andassero perduti, ma non era quello il caso: tutto sembrava marchiato a fuoco nella sua mente.
L’adrenalina però scorreva in lui e non ce la faceva a restare chiuso in casa. Così si vestì, si mise la giacca e la sciarpa e uscì fuori, non dimenticando il suo quaderno per annotare qualunque cosa gli fosse venuta in mente.
Staccò l’allarme alla casa e subito le sbarre alle finestre vennero ritirate così come vennero sbloccate la porte d’ingresso e della cucina sul retro.
Uscì nel freddo della mattina. Era ancora buio fuori, ma non aveva più il colore denso della notte e il cielo cominciava a tendere al viola, segno che l’alba era vicina.
Camminò per una mezzoretta nella stradina che affacciava al limite del bosco, cercando di spingere la sua memoria a ricordare altri elementi, ma non gli venne in mente nient’altro.
Guardò l’orologio che segnava le cinque trentasette, il cielo ormai si era tinto dei colori dell’alba.
Decise di rientrare in casa e di fare colazione, anche se non sentiva appetito, e magari di mettersi a guardare la tv.
Era quasi arrivato al vialetto di casa sua, quando la sua attenzione venne attratta da un rumore proveniente dalla abitazione dei dirimpettai, gli Hummel.
“Io mi domando, ma quando avete fatto questa associazione per delinquere vi siete scelti per il peso? No, dico, signorina peserai sui dieci chili! No, non voglio patatine, grazie!”
Blaine rimase a bocca aperta quando vide Kurt in tenuta sportiva, vestito con una grande felpa viola  che gli arrivava a metà coscia e dei leggins neri sportivi che gli fasciavano le gambe sorprendentemente muscolose, che teneva in una mano il guinzaglio di un agitatissimo Bob e con l’altra aveva in braccio un grosso procione, che stringeva un pacco di patatine.
Blaine non aveva ricordi di aver mai visto nessuno portare a passeggio il cane, se non forse quando era cucciolo, ma era sicuro di averlo sempre visto girare nel giardino del retro della casa e Finn ripulirlo ogni due o tre settimane.
“Bob basta tirare fi-”Kurt non riuscì a finire la frase che il procione gli ficcò una patatina in bocca, che lui sputò immediatamente.
Blaine scoppiò a ridere e Kurt si girò sorpreso, ma poi venne tirato da Bob che festante gli venne incontro.
“Non tirare!”disse Kurt riprendendo il controllo del cane , mentre il procione gli si aggrappò addosso.
“Che schifo, staccati! potresti avere le pulci!- si lamentò Kurt per poi parlare con lui -Ciao Blaine.” e schivando ancora una volta il procione, che a tradimento cercava d’imboccarlo.
Blaine indicò il procione e fece un’espressione interrogativa.
“L’ho trovata stamattina in cucina, stava razziando la dispensa. Deve essere entrata dalla porticina del cane.”
Kurt notò lo sguardo stranito del vicino.
“Quando l’ho afferrata ho controllato di che sesso fosse ed è femmina. Almeno credo che lo sia. Sai non le ho visto quello.” Concluse arrossendo.
Blaine ridacchiò e Kurt pensò che l’altro avesse una bella espressione mentre era divertito,  ma poi riccio indicò Bob e il guinzaglio di nuovo con il viso di una domanda muta.
“Dopo che ho sistemato il casino che ha combinato questa signorina qui in cucina... No grazie!- Kurt evitò  l’ennesima patatina offerta dal procione e Blaine rise divertito- Ho provato a prenderla, anche se ammetto che avevo un po’ paura che mi mordesse o che fosse un po’ più selvatica, invece mi è  quasi venuta in braccio da sola. Lei e il pacco di patatine ora vorrei li restituire alla natura, anche se ormai di naturale non hanno più nulla.”
Blaine ridacchiò al sarcasmo dell’altro.
“Insomma ero pronto a uscire con lei in braccio e Bob ha iniziato ad abbaiare e a uggiolare che voleva venire via con me. Io ho provato a lasciarlo in casa, ma avevo paura che svegliasse qualcuno e venisse fuori una storiaccia perché sono uscito così presto. Allora ho preso il guinzaglio e ho deciso di provare a portarlo a correre.”
‘Questo cane sa correre?’
“Il problema è che non so se Bob riuscirà a correre con me per i chilometri che vorrei fare.”
‘Ah quindi tu pensi che questo cane possa correre... davvero ottimista! Io tutte le volte che l’ho visto era spalmato sul terreno a russare. ’
Blaine fece un movimento di assenso con la testa e poi gli fece cenno come a chiedergli di potersi avvicinare e toccare il procione e Kurt ci mise un attimo a capire cosa volesse.
“Si prova, però attento.” 
Blaine si avvicinò entusiasta con le braccia spalancate(tenendo in una mano il taccuino) e Kurt ebbe paura che la prima reazione del procione fosse mostrargli i denti e soffiare, ma invece questo assunse la medesima posizione e saltò per andargli in braccio e stringerlo.
“Alla faccia della bestia selvatica. E tu non fare quella faccia compiaciuta.”
‘Non c’è essere vivente che possa resistermi.’
Blaine sorrise divertito e strinse il mammifero tra le braccia sotto lo sguardo sgomentato di Kurt che con voce acuta disse:
“Guarda che potrebbe avere le pulci o, peggio, le zecche!”
‘Bene e io poi le passo a tutta la squadra di football... dov’è Finn?Lui sarà il primo, visto che è il capitano... oneri e onori.’
“Non te ne frega niente, vero?”
‘Non chiedere. Non ti svelerò mai il mio piano.’
Quello che i due ragazzi non si aspettavano era che l’animale si staccò da Blaine per tornare in braccio a Kurt, che spaventato iniziò a saltellare cercando di staccarselo di dosso.
“No, no, aiuto. Aiuto!”
Le preziose patatine che il procione aveva con se gli caddero dalle mani e Bob si avventò rapido sui resti.
‘Ma allora sai correre palletta! … diavolo amico, sembri Finn quando entra in mensa. Mangi pure nella stessa maniera.’
Il procione dalle braccia di Kurt saltò per terra e corse verso la foresta, ma l’unico rumore che si poté avvertire fu Bob sventrare il sacchetto di patatine ormai vuoto e leccarlo con impegno e dedizione.
Kurt tentò di regolarizzare il battito del suo cuore e fissò Blaine che invece era scoppiato a ridere.
“Finiscila non è divertente!”
 Blaine rise più forte e Kurt sentì le guance diventargli rosse. Odiava che la sua pelle si arrossasse così facilmente.
“Senti, io non so te ma avrei fame e, dato che non sono ancora riuscito a far colazione e non conosco la città, che ne dici di guidarmi se te la offro?”
Blaine colse l’ironia nella voce del ragazzo nel definire Lima una città, ma sorrise felice e prese il suo taccuino per rispondergli.
-Conosco un posto che fa delle colazioni da leccarsi i baffi e il proprietario sarà felice di conoscerti! A piedi saranno 20 minuti.-
 
 
Kurt dopo quella passeggiata sapeva che era impossibile solo pensare di  andare a correre con Bob.
La camminata verso il locale era stata una battaglia e non si sentiva più le braccia per colpa del cane che, o non era abituato a stare al guinzaglio o più probabilmente- secondo lui- perché non lo conosceva, se ne era approfittato per tirare come un dannato, mentre Blaine aveva riso a crepapelle tutto il tempo.
Kurt  davanti alla tavola calda lesse l’insegna, Flame, e pensò che fosse più da locale da ballo, ma non gli importava più di tanto.
Necessitava urgentemente di mangiare, sentiva lo stomaco cominciare a farsi acido ed era stanco.
Blaine fu molto gentile e gli aprì la porta come un vero cavaliere e Kurt la prima sensazione che ebbe del locale fu di calore e le pareti tutte di colori vivaci e diversi  gli fecero molta allegria, come i moltissimi oggetti appesi. Nella parete più vicina vide addirittura una locandina incorniciata di Indiana Jones e l’ultima crociata firmata da Harrison Ford e Sean Connery e anche una maglietta della squadra di basket dei Bulls con il numero 23 appartenente a Michel Jordan con il suo autografo.
I tavoli e le sedie del locale erano diversi l’uno dall’altro, non c’era nulla di uguale all’altro.
In cassa vide una donna con i capelli biondo cenere, molto formosa con un abito che le stava dipinto addosso e che in quel momento si stava truccando, fissando con aria critica in uno specchio.
Blaine prese posto proprio sotto il poster di Indiana Jones e Kurt si sedette di fronte, trascinando Bob che annusava tutto con molto interesse.
“Ciao sono Hunter, il vostro cameriere.- Kurt osservò il bel ragazzo biondo che con aria sbrigativa li stava versando nel bicchieri dell’acqua fresca, qualcosa in lui gli suggeriva che non era il caso farlo arrabbiare.- ecco i vostri menù. Torno fra poco.”
Blaine prima che il ragazzo andasse via lo afferrò per il braccio.
“Che vuoi Blaine?”
Kurt non fu troppo stupito a scoprire che i due si conoscevano e osservò il cameriere, che guardava con un sopracciglio alzato Anderson che velocemente stava scrivendo qualcosa sul proprio taccuino.
-Chiamami tuo padre, per favore.-
“Perché?”domandò Hunter con una punta di irritazione.
-Perché devo parlare con lui.-
“Va bene, ma guai a te se è una cosa lunga! Sta lavorando e io tra poco lascio perché devo andare a scuola. Tu oggi vieni?”
Blaine con l’indice fece segno di no.
“Però trovi il tempo per venire qui a fare colazione.”
-Se non lo hai notato ho un collare e ho avuto un incidente!
“Chi a Lima non  sa che sei stato investito da Burt Hummel? Si dice pure che non gli hanno ritirato la patente perché un cretino, di cui non faccio il nome ma lo sto guardando in questo preciso momento, stava rincorrendo un gatto e gli ha tagliato la strada.”
Kurt non sapeva se quel Hunter gli piacesse o meno, il solo guardarlo gli faceva venire voglia di chiedere scusa,  anche se non aveva fatto nulla.
-Non stavo rincorrendo un gatto, ma cercavo di prendere un gattino perché non finisse investito sotto qualche auto!-
“E invece ci sei finito sotto te...beh ragazzi, torno dopo a prendere le ordinazioni.”
Blaine afferrò Hunter per la manica e gli indicò la cucina.
“Si è chiamerò mio padre, ora lasciami andare Blaine.”
Kurt fissò Hunter sparire e poi Blaine mettergli davanti il suo taccuino.
-Hunter può essere un po’ burbero ma è un bravissimo ragazzo.-
Kurt sorrise  quando lesse quelle parole e poi fissò Blaine che sembrava rassegnato al comportamento del cameriere nei suoi confronti.
“Rincorri gattini per salvarli finendo poi investito; abbracci, come se fosse il tuo migliore amico, il procione che ha svaligiato la credenza di casa Hummel  e giustifichi i modi burberi di quel ragazzo nei tuoi confronti, perché io non pensi male di lui... Sei un ragazzo buono e ammetto che mi incuriosisci Blaine. Mi fai simpatia e mi piacerebbe conoscerti meglio e magari diventare amici.”
Blaine fissò il ragazzo di fronte a sé. Era la prima volta che qualcuno glielo diceva in modo totalmente disinteressato. A scuola le ragazze glielo dicevano perché avevano una cotta per lui, attratte dall’idea di essere le sue salvatrici e di vivere una storia d’amore tragica.
Lo Scandals era un’ altra storia. Il fine di andare in quel locale era solo per trovare qualcuno con cui scopare in un bagno o in un auto e quindi le parole che venivano dette prima erano vuote e solo per riempiere il tempo. Si era sentito con qualcuno sconosciuto allo Scandals per un altro paio di incontri, ma sempre a fine sessuale e nulla di più.
Sapeva bene che nessuno voleva conoscere davvero un ragazzo muto e entrare nella sfera dei suoi problemi.
 
Kurt vedendo lo sguardo stranito dell’altro ragazzo sentì le guance arrossarsi e una punta di amarezza farsi strada in lui.
“Guarda che non ci sto provando con te, intendevo davvero quello che ho detto senza secondi fini. Quind-”
Kurt venne bloccato da Blaine che aveva scritto sul proprio quaderno a lettere cubitali.
-STOP.-
Sul serio Stop scritto in quel modo? Stai forse urlando contro di me, signor Anderson?”
Blaine alzò gli occhi al cielo e ridacchiò.
-Non posso?-
“No.”disse Kurt con un sorrisetto divertito.
Blaine prese a scrivere furiosamente sul proprio quaderno, ma in quel momento arrivò Hunter.
“Mio padre arriva subito, finisce di cucinare l’ordinazione del tavolo 10. Voi almeno avete aperto il menù e scelto cosa volete per colazione?”
“Hunter comportati bene con i clienti!” l’ammonì la donna alla cassa, che in quel momento si stava mettendo a leggere una rivista scandalistica dopo che aveva appena finito di truccarsi.
Il cameriere fissò trucemente la donna prima di girarsi verso di loro con quello che credeva fosse un sorriso cordiale, ma che era solo una smorfia. A Kurt venne ancora più voglia di chiedergli scusa e promettergli che avrebbe addirittura imparato a memoria quel dannato menù pur di farlo felice.
“Se ci dai ancora un paio di minuti prometto che ordiniamo.”
Hunter se ne andò sbuffando e Blaine invece orgoglioso gli mostrò il taccuino con quello che doveva leggere.
 
-Lo avevo capito che non ci provavi con me, anche se nessuno te ne farebbe una colpa. Sono bellissimo, detto fra noi. Ero solo rimasto sorpreso. Tu sei la prima persona che vuole conoscermi. Qui a Lima in genere mi conoscono tutti e nessuno, tranne Santana e Brittany, però è davvero interessato ad avere una amicizia con me.-
Kurt lesse il messaggio, però era stato scritto di fretta ed ebbe un po’ di difficoltà a capire la calligrafia dell’altro ragazzo.
“Sei modesto a definirti bellissimo.- disse in maniera canzonatoria e Blaine lo ricambiò con un sorretto arrogante.- Però scusa se mi intrometto, ma quando sono venuto a casa tua a vedere se stavi bene c’erano parecchie persone che erano venuti a trovarti... non sono tuoi amici? ”
-Sono i miei compagni di Glee club. Non sono miei amici, quasi tutte le ragazze poi ci hanno provato o ci provano con me.-
Kurt fissò stranito Blaine, chiedendosi come diavolo faceva a stare in un glee club se nemmeno cantava. Il riccio intuendo la sua confusione si affrettò a scrivere:
-Al glee io accompagno con il  pianoforte o la chitarra chi canta e nelle competizioni canore sto sullo sfondo. Sai,  solo per far numero e ballare le coreografie.-
 
Olegh si pulì le mani sul grembiule e andò  verso  il tavolo dove era seduto Blaine. Suo figlio gli aveva detto che il ragazzo aveva espresso il desiderio di parlargli.
Pensò che fosse strano.
Certo, non che il piccolo degli Anderson dopo quello che gli era successo brillasse per normalità...
Olegh cercò di scacciare il pensiero della piccola Melanie, quel giorno non aveva voglia di intristirsi, gli era bastato la notte prima Luis che aveva avuto un crollo...
Non voleva pensare e non voleva sentire su di sé colpe, che forse avevano tutti quelli della Banda, per aver lasciato che la loro amicizia si sgretolasse, rendendoli adulti sciocchi ed egoisti.
 
Gli si strappò un sorriso quando vide la testa disordinata di ricci scuri del piccolo degli Andeson con un cerotto bianco che spiccava in mezzo ad essi e il collare, che rendeva la sua postura rigida. Fece un respiro profondo preparandosi per Blaine, nel quale, per il colore della sua pelle e quello dei suoi occhi, rivedeva la piccola Mel.
 Olegh era conscio che solo chi lo conosceva bene sapeva che dietro la sua corazza si nascondeva un uomo molto sensibile, che si commuoveva per la più piccola delle cose; era per quel lato che sua moglie si era innamorata di lui.
“Allora Blaine, che succede? Ti avverto, se vuoi una delle mie reliquie la risposta è no!”
Blaine rise e fece segno di no con l’indice e poi indicò al cuoco il ragazzo che aveva seduto a fianco.
 
“La mattina era fra le mie braccia e appena la sera improvvisamente è diventato parte del mio passato!”
“Eli...”
“Ha cambiato la mia vita e tutti i miei obiettivi. L'amore che provavo era così forte che mi ha resa cieca... Lo amavo così tanto Olegh.”
“Lo so Eli, però devi reagire.”
“Non puoi capire, non puoi! Dio vorrei solo dormire e non svegliarmi più.”
 
 
Kurt ridacchiò del tono che il padrone aveva usato per ‘difendere i suoi tesori’ da Blaine che rise divertito e poi lo indicò all’uomo che si voltò verso di lui e si bloccò, divenendo pallido e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Kurt non era preparato a trovarsi fra le braccia dell’uomo ed ad essere stretto in un modo così disperato.
“Sei il ritratto di Eli.Tua madre era una donna eccezionale. ”
Molte persone gli avevano detto frasi simili il giorno del funerale di sua madre, ma nessuno di loro le aveva dette con lo stesso sentimento e onestà di quello sconosciuto.
“Scusami- disse l’uomo staccandosi e asciugandosi gli occhi e mettendo su un sorriso imbarazzato- che sciocco, non mi sono nemmeno presentato. Mi chiamo Olegh Clarinton e un tempo sono stato uno dei migliori amici di tua madre. Prima che lei se ne andasse da Lima.”
 Kurt fissò sorpreso per un secondo l’uomo e poi Blaine, che gli fece un sorriso incoraggiante.
“Io, non so che dire... Mi chiamo Kurt Calhoun, ora Hummel, e credo di non aver mai sentito parlare di lei, signore.”
“Puoi chiamarmi Olegh…- rise l’uomo -  E sappi che non sono sorpreso che non hai sentito parlare di me o di noi. Elisabeth era scappata e non aveva motivo di darti informazioni di qui. E poi non voleva nemmeno che nessuno dei suoi amici avesse sulle spalle il segreto della tua nascita, ma credo che soprattutto non voleva caricarti il peso di una storia dove tutti in un modo o nell’altro hanno sbagliato qualcosa.”
Kurt fissò l’uomo di fronte a sé e scosse la testa.
“Le cose che dici per me non hanno senso. Intanto per cominciare io non so nemmeno come fra i miei genitori è finita e perché mia madre decise di non dire nulla a Burt di me, anche se ho dei sospetti.”
“Perché non hai chiesto a tuo padre perché fra loro è finita?” chiese sinceramente sorpreso Olegh.
Anche Blaine rimase sorpreso e pensò che se fosse stato al posto di Kurt quella sarebbe stata la prima domanda che avrebbe posto a suo padre.
“Perché mia madre è la mia eroina e non riesco a sopportare quando qualcuno vorrebbe parlarmi di lei per infangarla. So che lei in questa situazione ha delle colpe e forse sono immaturo per non voler sentire qualcosa che potrebbe sporcare la sua memoria... ma lei è la mia mamma e io voglio ricordarla per sempre come la vedevo io.”
Blaine sentì smuoversi qualcosa dentro di lui dopo l’affermazione piena di sentimento di Kurt. Vide il lato del ragazzo ancora bisognoso del proprio genitore e sentì una sorta di empatia nei suoi confronti.
 
“Papà voglio la mamma!”
“Mi dispiace Blaine.”
“Voglio solo la mia mamma. Papà riportami la mia mamma.”
 
Olegh sorrise dolcemente alle parole del ragazzo, ed era stupito per la considerazione che Kurt aveva della madre e diede uno sguardo verso suo figlio che invece trattava lui e sua moglie come se fosse superiore e si domandò che stima avesse davvero di loro.
“Io e tutti gli altri amici stretti di tua madre ci siamo arrabbiati con lei per essersene andata così senza avvertirci.- Disse improvvisamente Olegh con un sorriso.- ma se mai fosse tornata a spiegarci i suoi motivi e quello che aveva fatto, probabilmente sarei stato suo complice.”
Kurt si trovò a sorridere all’espressione furba dell’uomo, ma presto la sua attenzione fu catturata da Blaine che faceva dei gesti.
“Che c’è tipo?” chiese Olegh.
Blaine sbuffò e poi prese a scrivere nel suo squadernino e lo mostrò.
-Mostragli la parete.-
“Piccola carogna sei un genio!” esclamò Olegh, mentre Kurt osservava divertito Blaine scrivere:
-Se vuoi chiamarmi in modo diverso dal mio nome devi usare qualcosa come sommo o divino o eccellenza...-
“Smettila pulce! Io l’unica a cui mi rivolgo in quel modo è la mia bellissima metà, Sophie.”
Sophie, sentitasi chiamata in causa, alzò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo e guardò sorridente il gruppo che aveva attirato un po’ l’attenzione dei clienti.
“Mi hai chiamato, tesoro?”
“Amore guarda chi c’è qui!”
Olegh aveva indicato entusiasta Kurt e Sophie si alzò di scatto e, per quanto le permisero i tacchi alti, corse e lo abbracciò stretto.
Kurt non aveva mai trovato attraente il seno femminile e in quel momento che stava venendo soffocato dal pesante davanzale della donna ancora meno.
Bob, che fino a quel momento era rimasto tranquillo, prese ad abbaiare non sapendo bene se doveva essere festante o difendere Kurt.
Che schifo! –pensò Blaine a fianco, contemplando la scena-Però è sempre meglio morire soffocato dalle angurie di Sophie che dai limoni di Tina.
Blaine si scrollò un brivido, ma prima che potesse intervenire ci pensò Hunter che si avvicinò svelto urlando:
“Mamma mollalo! Non abbiamo bisogno di una denuncia per molestie su minore o, peggio, tentato omicidio!”
“Non essere tragico.” Sbuffò Olegh.
“Tragico?- Hunter riuscì a liberare Kurt tra le risate dei clienti, che ormai seguivano la scena come se fossero ad uno spettacolo – è rosso e senza fiato. Lo stava soffocando.”
“Kurt fammi vedere il cavallo dei pantaloni.”
“Papà!”
“Oh tesoro, sei troppo buono.” Ridacchiò Sophie.
“Perché?-chiese Kurt confuso.- Buono Bob, basta abbaiare.”
Il cane dopo le parole di Kurt si sedette tranquillo, sempre con la lingua a penzoloni guardandosi in giro.
Principiante! Blaine Junior regge un’ora anche con le dovute attenzioni!
“Non è sporco lì sotto e non ha avuto nemmeno alzate- constatò Olegh- Sophie cara, erano davvero le tue tette che lo stavano soffocando.”
“È quello che ho detto io!” ringhiò Hunter allontanandosi per tornare a servire ai tavoli, lasciando Kurt rosso dall’imbarazzo per aver finalmente capito quello che Olegh intendeva.
“Scusa cucciolo, ma le mie signorine a volte sono prepotenti.” Si scusò Sophie guardandolo con un sorriso.
“Non è niente.”
Blaine ridacchiò divertito, attirando l’attenzione della donna che lo squadrò soffermandosi sui cerotti.
“Burt ti ha fatto un bel lavoro. Ah se dovesse venire qui gli sputo nel piatto, promesso.”
“Tesoro.”
“Ma Olegh, guardalo! Ci devi sputare anche tu.”
Anch’io voglio partecipare allo sputo-party per Burt! Anzi, io piscerò nella sua birra alla spina.
“Kurt è suo figlio.” Evidenziò il cuoco alla moglie che assunse un sorriso confidenziale e materno.
“A te non sputeremo mai nel piatto.”
Kurt doveva ammettere che cominciava a divertirsi in quel discorso assurdo, che di certo non avrebbe mai riferito a Burt.
“Mamma dei clienti devono pagare!-urlò Huter vicino alla cassa- e io tra poco devo andare a scuola!”
“Arrivo!-Sophie si sistemò i seni e poi abbracciò con delicatezza Kurt e Blaine - ricorda che qui puoi mangiare tranquillo, a te non sputiamo nel piatto.”
“Ok.”
Quando la donna se ne andò, Olegh mise una mano sulla spalla di entrambi i ragazzi e fece un cenno del capo.
“Kurt vieni che ti mostro una cosa.”
Blaine e Kurt - ovviamente trascinando Bob - seguirono il cuoco che li portò nell’angolo più tranquillo del locale, quello più distante dalle vetrate, e puntò la mano su una parete con delle fotografie.
“Ecco a te la Banda...”
 Kurt si ricordò che Richard Anderson glie l’aveva nominata la Banda, ma davanti a quelle immagini cominciava a capire che era qualcosa di davvero importante nella vita di sua madre che lui non conosceva.
Si avvicinò al muro e si sentì investito da una moltitudine di emozioni, vedendo una ventina di fotografie, quasi tutte di gruppo, in cui c’era sua madre giovane come non l’aveva mai vista.
“Quella è mia mamma da bambina?”
“Sì.” Rispose sorridente Olegh.
Kurt fissò un gruppo di ragazzini forse a malapena dodicenni, che guardavano l’obbiettivo con aria divertita e sua madre era in mezzo con delle ridicole trecce, che si appoggiava con il gomito sulla spalla di un ragazzino mulatto gracilino che invece la guardava sorridendo, l’unico che ignorava la macchina fotografica.
In un’altra foto sua madre, che era sicuramente una studentessa delle superiori, con gli stessi ragazzi stavano seduti su una coperta in riva ad un lago a fare un picnic. Lei era seduta accanto a quello che era stato il bambino mulatto, che era diventato un ragazzo piazzato e muscoloso, e lo guardava sorridente... Quel viso cominciava a dirgli qualcosa.
In un'altra foto sua madre era seduta in un tavolo di una cucina con gli altri ragazzi e in mezzo c’erano due signori anziani dai tratti etnici marcati e la donna teneva in mano un vassoio pieno di quello che Kurt era certo essere tazze di cioccolata calda con panna, granella di nocciole e biscotti Oreo. Il mulatto e sua madre baciavano entrambi le guance dell’anziana, mentre l’uomo guardava con affetto il gruppo di ragazzi.  
Nella successiva immagine c’erano sua madre in spalla al ragazzo mulatto e in quella dopo erano di nuovo solo loro due; di nuovo in riva al lago, ma dopo aver fatto il bagno. Entrambi avevano i capelli bagnati e si stavano asciugando nello stesso asciugamano ed erano abbracciati.
Kurt, soprattutto nelle ultime due foto, era rimasto colpito dallo sguardo di sua madre. Lo conosceva quello sguardo, anche se non glie lo aveva mai visto così intenso per nessuno.
“Ma quel ragazzo è il dottor Lopez?”
“Sì.”
“È stato fidanzato con mia mamma?” chiese Kurt voltandosi a guardare Olegh, che si era fatto serio.
“È successo molto prima che tua mamma e tuo padre si sposassero.”
E bravo Luis! Tu sì che sapevi dove mettere il tuo wustel affumicato!’
 “Per questo che Burt è ostile con il dottor Lopez?”
“Kurt, la situazione tra Luis e Burt non la so tutta nemmeno io. Questo è davvero qualcosa che devi chiedere ai diretti interessati,  se vuoi avere informazioni precise.”
Kurt si grattò la fronte sentendo una strana sensazione.
Quando era arrivato a Lima non pensava di scoprire qualcosa del genere su sua madre, se non il motivo per cui non gli aveva mai detto di Burt. 
“Però se mi chiedi come è nata la Banda o chi sono le persone nelle foto, io posso rispondere, sai?” disse Olegh tornando a sorridere.
 “Ok, allora chi sono le persone nelle foto?”
Io lo so! Io lo so!’
“Ovviamente io! Vedi qui ero senza barba -l’uomo indicò il proprio volto in una foto di gruppo, che era la stampa più grande di tutte.- l’armadio a quattro ante a fianco a me è Jackson Zizes, poi abbiamo Luis Lopez, tua madre e questo è Aron Puckerman... suo figlio Noah è amico di Finn.”
Kurt annuì.
“È il ragazzo con la cresta?”
“Lo hai già incontrato?”
“Sì, per pochi minuti.”
“E l’ultima ragazza chi è?”
Olegh sorrise in maniera più dolce e si spostò ad un'altra foto e la indicò.
“Questa è Melanie, era la mamma di Blaine Cooper. Lei, oltre Luis, era la migliore amica di tua mamma.”
Kurt fissò un’immagine di sua madre adolescente abbracciata stretta a Melanie, entrambe ridevano felici e spensierate. Pensò che fossero entrambe bellissime. Fu distolto dai suoi pensieri da Blaine che gli toccò una spalla.
“Che c’è?”
Blaine indicò la foto e poi loro due e sorrise; un sorriso dolce, diverso da quello che gli aveva visto fino a quel momento.
Le nostre mamme.’
“Loro e noi siamo qui...” disse Kurt sorridendo a sua volta, ma poi rimase disorientato quando Blaine aprì le braccia e di nuovo indicò la fotografia.
“Vuoi fare un remake?” chiese Olegh e il ragazzo annuì e poi strinse Kurt che cominciò a protestare quando cominciò ad essere stritolato e scosso come un barattolo.
“Ehi! Così mi fai male!”
Avanti ridi! Fai sto remake! Non rovinare il momento.’
“Smettila!”
“Blaine lascialo che gli fai male e ti fai male!”
 
Oh!... Blaine Junior ha appena sentito la presenza di Katrina... Bwuahaha Katrina come sono bastardo! Chiamare l’armamentario di qualcuno con nomi femminili è proprio da stronzi!
“Mollami!”
IL REMAKE! FORZA STRONZO, FAI STO CAZZO DI REMAKE! GOOGLE DICE CHE SEI UN ATTORE, DOVRESTI ESSERE CAPACE.
“Lascialo ti fai male.”
“Basta!”
Kurt finalmente fu mollato quando Blaine fece un movimento che gli fece male al collo e lo bloccò.
“Ti sta bene.” Disse Olegh ridacchiando e Blaine sbuffò.
“Sì, ti sta bene!”
Zitto Katrina!’
Blaine iniziò una gara di sguardi con un ignaro Kurt che si rivolse ad Olegh:
“Che vuol dire migliore amica, oltre Luis? Non eravate tutti amici?”
Nessuno riesce a battere la potenza del mio sguardo.
“Certo che lo eravamo, mi sono espresso male. Volevo dire che tua madre, oltre Melanie, non aveva amiche femmine. Solo noi della Banda.”
“Perché?” chiese Kurt sempre più disorientato e Olegh si grattò la fronte guardando il locale, non c’erano clienti nuovi da servire o qualcosa che Hunter non potesse gestire in breve.
“Sediamoci qui.”
Olegh si sedette nel tavolo sotto le foto e lo stesso fecero i due ragazzi e Bob che si distese sotto il tavolo e si mise a dormire come aveva fatto da quando si erano spostati in quel punto del locale.
“Conosci la storia della famiglia Calhoun?”
“No mamma non me ne ha quasi parlato, tranne raccontandomi qualche episodio di quando era piccola e che i miei nonni sono morti in un incidente d’auto.”
“Direi che ti ha raccontato lo stretto indispensabile. Sai Kurt la storia dei Calhoun è particolare. Si dice che un giorno, all’inizio del 1900, si trasferirono a Lima e non furono accolti benissimo.”
“Che stranezza.” Commentò ironico il ragazzo.
Antenati di Lima bastardi... piselli microscopici e tettine avvizzite!
“Sai, i Calhoun erano una famiglia circense e-“
“Famiglia circense?”domandò incredulo Kurt.
“Beh si, Circense e si diceva avesse girato in tutto il mondo e gli abitanti di Lima non si spiegavano come mai fossero venuti proprio a vivere qui in maniera definitiva. Nessuno era convinto che persone del genere si sarebbero mai trasferiti in una cittadina piccola come questa a meno che non avessero qualcosa da nascondere o qualcuno da cui scappare.”
“Praticamente sono partite le malelingue.”
“No- Olegh si pizzicò il naso pensando- all’inizio la gente ipotizzò mille motivi, ma poi, dopo una ventina d’anni, partì la malalingua che generò una diceria che dura ancora oggi.”
Kurt e Blaine inconsciamente si erano sporti in avanti entrambi, completamente presi da quella storia.
“Che diceria?”
Io so cosa si sono inventati quei pisellini primordiali.
“Che fossero maledetti.”
“Cosa!?” Kurt fissò incredulo Olegh che si stava accarezzando la barba in maniera pensierosa.
“Hai sentito bene.”
“E la gente ci credeva?”
“Molti ancora oggi.”
“Ma andiamo!” esclamò indignato Kurt e Blaine scrisse sul suo block note.
- Quel cretino di Israel, il giornalista della scuola, ha fatto un articolo in cui ne parla.-
“Fantastico e chi sarebbe questo Istrael?”
-Un deficiente che sta a scuola, che scrive solo perché sa farlo e non gli importa nulla di nessuno se non di far notizia.-
“L’imbecillità non ha limiti! Quindi tutti a scuola sanno questo di me?”
-Sanno quello e che sei fratello di Finn e figlio di Burt, la gloria locale del football. Qui non c’è stato nessuno meglio di lui. Io però sono intergalattico.-
“Che onore.”
Olegh finì di leggere il post di Blaine e poi scosse la testa.
“Pulce saresti il migliore se la smettessi di atterrare i tuoi compagni di squadra.”
-NO!-
“Almeno non farlo nelle partite di campionato.” Lo rimproverò Olegh e Blaine scrisse rapido:
-Non è che perdiamo per una mia azione.-
Il cuoco si voltò verso Kurt e gli raccontò:
“Nell’ultima partita che hanno giocato i Titans, Blaine durante un intervallo ha atterrato Finn e Puck.”
“E perché non ti hanno ancora sbattuto fuori dalla squadra?”
-Perché sono il più forte!-
“Perché non c’è nessun altro in grado di fare il Kicker.” Spiegò Olegh.
“In tutta la scuola?” chiese Kurt.
“In tutta la scuola-affermò l’uomo- comunque, tornando al discorso precedente, i Calhoun portarono una ventata di colore alla cittadina e se vedrai le foto storiche, anche se sono in bianco e nero, te ne renderai conto. Però portarono anche un diversivo in un posto dove tutto andava sempre nella stessa maniera e quindi era scontato che gli fosse affibbiato qualcosa.”
“E quale maledizione avrebbero i Calhoun?” chiese Kurt.
“Morire prima della vecchiaia. Non c’è stato un Calhoun che sia vissuto più dei 50 anni e tutti per morti improvvise.”
“Questo è ancora più assurdo! Io non credo a queste cose. Voglio dire... dal 1929 abbiamo avuto la Depressione  che ha portato povertà e malattie! Poi il resto saranno casi.”
“Con la morte di tua madre è tornata in auge, visto l’articolo...”
“Mia madre è morta per un incidente e non per una stupida maledizione!” disse Kurt irritato e Olegh annuì.
“Lo penso anche io, però è proprio la maledizione che in parte ha permesso la nascita della Banda.”
“Cioè?”  chiese Kurt distraendosi dalla sua rabbia.
“Vedi ragazzo, io e tutti quella della Banda siamo nati tutti tra il 1965-66 e siamo stati bambini e adolescenti tra gli anni ‘70 e ‘80. Quello è stato un periodo molto caldo in America, soprattutto nelle realtà piccole e in quelle profondamente bianche come Lima in pieno Midwest.”
Che schifo.
“Si, ma questo che c’entra con la Banda e la maledizione?”
“Ci sto arrivando.- sorrise Olegh leggendo l’impazienza e la curiosità sul volto di Kurt e Blaine- Dovete sapere che Lima, come quasi dappertutto, era divisa. In città ci viveva la popolazione bianca che aveva tutto quello che occorreva e poi c’era un piccolo ghetto in cui vivevano  le minoranze: neri, asiatici, meticci, mulatti e latini, che  si arrangiavano alla bene e meglio. Il ghetto di Lima era Lima Heights Adjacent, che ora è solo un altro quartiere della città che però continua ad essere abitato specialmente dalle minoranze.
Da quelle parti c’è un bel vedere… quello di rimpetto a Santana è un tale figo...’
“ Tenete conto che negli anni ’60 e 70 i bianchi erano 90%.”
Blaine sbuffò e scrisse:
-Ora sono 86% della popolazione di Lima.-
“Vero.”
“Davvero!?” chiese Kurt e Olegh annuì.
“Per te sarà strano abituato ad New York in una società decisamente multietnica-sorrise comprensivo Olegh- ma qui è così.”
Blaine di nuovo scrisse nel suo quaderno e poi lo mostrò a Kurt.
-A scuola sono tutti bianchi tranne una quindicina di ragazzi neri, cinque o sei asiatici, due latini e poi ci siamo io e Santana che siamo un meticcio e una mulatta latina... e poi ci sarai tu, lo sfigato con la maledizione.’
“Non è divertente.”
 
Blaine ghignò divertito e Kurt scosse la testa e tornò a parlare con Olegh.
“E poi?”
“I Calhoun erano la bizzarria della comunità bianca ed Elisabeth era evitata e presa in giro da tutti i bambini per la maledizione e la storia dalla sua famiglia.”
“In pratica era l’argomento più divertente.”
“Esatto Kurt, ma un giorno non lo è più stato... almeno per un po’.- il cuoco sorrise –Come saprete negli anni ‘60 le minoranze, soprattutto i neri,hanno cominciato a spingere per i pari diritti.”
“Questa è storia.”
Blaine annuì concorde alle parole di Kurt.
“Beh nel 1976 a Lima i bambini di minoranze erano pochissimi e Luis era tra quelli. I genitori di Luis, e tutti i suoi parenti, erano sempre stati alle dipendenze delle famiglie bianche. Onestamente i genitori di Luis crearono un po’ di scalpore quando chiesero di sposarsi, ma le autorità locali glie lo vietarono.
“Che cretinata e perché poi?”
“Erano un latino  e una nera, le razze diverse non potevano sposarsi.”
“Che schifo!”
“Lo so, ma una volta era diverso. Infatti i genitori di Luis dovettero aspettare a sposarsi fino agli anni ‘70 quando questo tabù fu tolto. Tornando a noi, l’altro scandalo dei Lopez fu di mandare il figlio alla scuola pubblica dei bianchi. Mayo Lopez era una persona bravissima che voleva solo che il figlio avesse quello che lui, un semplice autista e tutto fare per le famiglie bianche, non aveva potuto avere. Luis in realtà  aveva fatto le elementari nel ghetto e poi si era spostato.”
“Quindi dalle medie.”
“Esatto-annuì Olegh- io frequentavo un'altra scuola rispetto a quella di Luis, ma anche da me era arrivata la l’indignazione che questo chicos sudaca per di più mezzo negro frequentasse la scuola dei bianchi.”
“Ovviamente il dottor Lopez avrà subito bullismo e discriminazioni. ” disse con profondo disgusto Kurt.
“Sì ovvio.”
Luis prometto che troverò i piselli mosci che ti hanno bullato e ti vendicherò!’
“Ma è qui il punto- disse con un sorriso il cuoco- Luis stava per subire per l’ennesima volta bullismo quando Elisabeth si è messa in mezzo facendo finire tutti dal preside.”
“Davvero?” il sorriso di Kurt si allargò e Olegh annuì con forza.
“Oh sì! Quel giorno alla scuola sono stati chiamati i genitori di tutti ed è scoppiato un casino. Il preside per quietare gli animi e non creare scandali provò a dare la colpa tutta a Luis e i Lopez per non perdere il lavoro stavano per accettare quella bugia.”
“Perché avrebbero dovuto perdere il lavoro?”
“Perché, nonostante fosse la legge a legalizzarlo, i Lopez erano dei semplici inservienti che si erano permessi di mandare il figlio nelle scuole dei padroni.”
“Ma siamo nella metà degli anni ‘70!”
“Questa è Lima, una cittadina dello sperduto Midwest! Qui va tutto a rilento, soprattutto le cose che non piacciono come all’epoca i diritti razziali. Le rivoluzioni si fanno a piccoli passi e non a falcate, purtroppo.”
O i diritti degli omosessuali ora...
Kurt sentì acuirsi la mancanza che provava per la sua vecchia vita e ringraziava sua madre di averlo tenuto lontano da Lima e da Burt per tutti quegli anni. Inoltre, sentendo quella storia, stava apprezzando sempre di più il dottor Lopez a dispetto di suo padre...
“E cosa è successo poi? Ci sono state ripercussioni? I Lopez hanno lasciato che la colpa finisse tutta su Luis?”
“Calmo Kurt , ora ci arrivo. Dunque...-Olegh riprese nella sua testa il filo del discorso e poi proseguì- I Lopez stavano per piegare la testa, ma i Calhoun li difesero. I tuoi nonni fecero lo stesso che aveva fatto tua madre: si opposero a quella ingiustizia e ovviamente non finì bene. Luis ed Elisabeth presero la colpa, i bulli la fecero franca e i Lopez persero il loro lavoro presso la famiglia bianca a cui prestavano servizio e lo stesso successe ai nonni paterni di Luis, quelli materni erano già morti.”
“Ma è ingiusto!”
Vecchio dammi i nomi così vado a tagliare i loro piselli. Sfigati!
Olegh sorrise vedendo le espressioni furiose sui due ragazzi.
“Calmi, quello che non vi ho detto  è che quella fu la più grande fortuna per i Lopez. ”
Kurt e Blaine guardarono confusi l’uomo.
“Ma hai detto-”
“Lo so Kurt, ma dopo che la storia venne a galla i Lopez furono licenziati e i Calhoun, appena lo scoprirono, li assunsero loro, tutti quanti. Questo fece incazzare tutta la società bianca di Lima.”
“Davvero?”
“Sì.”
Tutti e tre sorrisero complici e poi Olegh lo fece con più dolcezza.
“Il giorno dopo quell’episodio, quindi in città non era ancora esplosa la bomba, Elisabeth cominciò a seguire Luis dappertutto. Lei diceva che lo faceva per difenderlo dai bulli, sosteneva anche di avere anche i bicipiti più grossi di quelli di Luis. Ed era vero.”
Kurt scoppiò a ridere e lo stesso fece Blaine e il cuoco proseguì.
“In realtà Luis sapeva che Elisabeth aveva un disperato bisogno di amici e lui era stato l’unico che non l’aveva scacciata per colpa del suo cognome e della sua storia.- Kurt sentì una profonda tristezza a quella nuova scoperta su sua madre- presto però cominciarono a girare e giocare sempre insieme e la gente prese a chiamarli gli Inseparabili. Sai, con il fatto che i Lopez al completo erano alle dipendenze dei Calhoun loro due passavano i giorni interi insieme.”
“Mamma non me lo ha mai detto. Non sapevo nulla di tutto ciò.”
“Certo, non era mica scema! Se somigli a tua madre tanto quanto penso sapeva perfettamente che solo una mezza informazione ti avrebbe fatto arrivare a Lima per sapere tutto.”
Kurt pensò che quella affermazione era vera, ma non ebbe tempo di ragionare che Olegh proseguì.
“Gli inseparabili poi conobbero Aron Puckerman e Melanie Penpeng e devo dire che anche questo è un incontro emozionante.”
Blaine si trovò improvvisamente molto più interessato sentendo il nome di sua madre e con un gesto della mano esortò Olegh a continuare.
“Luis dopo la scuola aiutava anche lui in casa Calhoun ma solo per piccole faccende... come aiutare sua nonna a cucinare o delle commissioni in città e ovviamente Elisabeth gli era sempre a fianco. Un giorno tornando da una commissione hanno visto una rissa. Gli ci volle qualche secondo a capire che un ragazzino le stava prendendo per difendere una sua amica che era stata insultata per il suo aspetto orientale.”
Blaine scrisse rapido.
-Quei bastardi stavano facendo razzismo a mia mamma?-
“Si, ma zio Aron la stava difendendo.” Rispose Olegh.
Voglio anche il loro indirizzo!
“E poi?” chiese Kurt.
“E poi Elisabeth e Luis sono intervenuti ed è scoppiata una rissa ancora più grande e alla fine l’hanno avuta vinta i nostri eroi. Ovviamente il tutto è stato coronato da una rifugiata a tutta gambe a casa Calhoun.-Olegh rise divertito- Abigail e Byron Calhoun, i tuoi nonni materni Kurt, quando si sono visti arrivare questi quattro ragazzini con gli abiti sgualciti e pieni di graffi ... beh... li hanno premiati. ”
“Premiati?” chiese Kurt.
“Sì con la meravigliosa cioccolata di nonna Lopez.- Olegh chiuse gli occhi sognante.- Cioccolata calda con panna, granella di nocciole e Oreo sbriciolati.”
“Ma questa è la cioccolata che mi faceva sempre mia mamma! Ed è...” Kurt improvvisamente si ricordò che il dottor Lopez quando lo aveva conosciuto all’ospedale glie l’aveva fatta anche lui... era stato quello che lo aveva fatto crollare.
“Quella era la ricetta di nonna Lopez e tua madre ne andava ghiotta.”
Kurt annuì cominciandosi a sentire un po’ provato da quelle rivelazioni.
“Infine io ero amico e nemico con Jackson e un giorno lui mi stava rincorrendo e incontrammo gli Inseparabili e Aron e Melanie . Onestamente noi sei non centravamo niente uno con l’altro, ma Elisabeth una  volta, nella cucina di casa Calhoun, prese  sette stuzzicadenti e li sparpagliò sul tavolo- Olegh nel presente prese sette stuzzicadenti e anche lui fece lo stesso...
 
 
“Allie lo sai che se mia nonna ti vede fare così si arrabbia. Odia gli sprechi!” disse Luis con rimprovero, ma a rispondere fu Aron:
“Basta che non glie lo dici, scemo!”
“Scemo sarai tu, cretino.”
“Cretino e scemo- ridacchiò Jackson- è la tua descrizione Aron.”
Melanie abbracciò Aron e poi con voce piccata disse:
“Per me siete tutti dei microcefali.”
“Per me siete tutti degli scorreggioni.”aggiunse Olegh divertito.
“Ragazzi sono seria!- li ammonì Elisabeth- tornate a guardare qui!”
Il gruppo tornò a fissare la bambina che mostrò uno stuzzicadenti con aria solenne e lo ruppe a metà.
“Ognuno di noi se è da solo è debole e si spezza facilmente. Ma...- Elisabeth radunò gli altri sei stuzzicadenti e li prese in mano- se siamo insieme, spezzarci è più difficile. Perché in insieme facciamo resistenza.”
Tutti i bambini osservano l’amica con aria seria.
“Stai proponendo di essere un gruppo?-chiese Jackson.-Ma non lo siamo già?”
“No, non lo siamo.-Elisabeth scosse la testa energicamente- ora siamo amici, ma non un gruppo.”
“Allora diventiamolo.” Disse Olegh con una scrollata di spalle.
“Veramente pensavo più ad una banda, visto che siamo amici.” spiegò Elisabeth.
“Io sono d’accordo.” Annuì Luis e Olegh elettrizzato disse:
“Allora dobbiamo decidere un nome.”
“Io ci chiamerei Banda – sbuffò Melanie- tanto i nomi più fighi sono già stati usati e poi così tutti si ricorderanno di noi.”
“Credo che Mel abbia ragione.- Aron sorrise e poi guardando gli altri con voce cospiratoria  aggiunse-  La Banda!”
 
 
“Quel pomeriggio Elisabeth mise insieme noi sei perdenti facendoci diventare dei vincenti. Con la Banda ognuno guardava le spalle degli altri e reagivamo se  Luis veniva chiamato sudaca mezzo negro, o Melanie schifosa meticcia, o Jackson grassone, o Aron il perdente, o Elisabeth la maledetta. Ovviamente non si bloccarono subito le prese in giro, ma col tempo sì. Anzi la gente di Lima presto cominciò a conoscere le nostre imprese. ”
Kurt e Blaine erano divertiti, sentendo quasi invidia di non aver vissuto quel passato.
“Ma come Banda avevate anche la base segreta?”
“Ovvio che sì Kurt! La base segreta era alla villa Vecchia Quercia, la casa dei Calhoun. In realtà era il top. Quella casa era al limitare di Lima Heights, nessuno delle persone in città veniva a cercarci lì e poi l’aria che si respirava in quella casa era bellissima.-Olegh sorrise.- Devi sapere che i tuoi nonni erano davvero anticonvenzionali, non gli importava un fico secco del bigottismo di Lima. E, secondo me, era anche per questo che tutti li tenevano a distanza e spesso hanno cercato di mettergli i bastoni fra le ruote.”
“Che vuol dire?” chiese Kurt.
“Vedi i tuoi nonni spesso si erano trovati a litigare con gli altri cittadini. Per non parlare il casino che fece l’aver assunto i Lopez. Diciamo che i più razzisti lo presero come un affronto. Infatti, dopo un mese dall’assunzione a villa Vecchia Quercia, i Lopez si trovarono la loro casa al ghetto bruciata. Ovviamente la denuncia dell’episodio non servì a nulla. Ma sai cosa hanno fatto i tuoi nonni?”
“No.” Kurt scosse la testa ipnotizzato, sentendo la testa sempre più piena di pensieri.
“Li hanno presi in casa con loro. Vecchia Quercia era come tutte le case vecchie che avevano le stanze per la servitù, anche se i  Calhoun mangiavano a tavola e parlavano da amici con i Lopez.”
“Quindi mia mamma ha vissuto con il dottor Lopez?”
“Oh sì. Hanno abitato insieme molti anni.”
Se Joe Manganiello rimanesse senza casa lo ospiterei nella mia stanza, nel mio letto,  e lo renderei subito il signor Anderson...
Kurt improvvisamente si sentì arrabbiato con sua mamma per avergli tenuto nascosto tutte quelle cose e lo stesso sentì per Burt e gli Hummel per non avergliele dette e per aver saputo solo criticare i Lopez.
“Kurt stai bene?”
Kurt avvertì la voce preoccupata di Olegh e poi sentì Blaine dargli qualche colpetto.
“Sto bene... ma la villa Vecchia Quercia non è dove abito con Burt, vero?”
“Non lo è.”
“Esiste ancora questa casa?”
“Sì, ora è la casa di Luis.”
Ecco perché il nome mi suonava famigliare...”
Kurt fece una faccia stranita e Olegh spiegò:
“Non so bene i fatti della casa, ma cosa ti ha detto tua madre sulla morte dei tuoi nonni?”
“Mi ha detto che sono morti in un incidente quando aveva diciotto anni. È vero?”
“Sì lo è. Quello che forse non ti ha detto che in macchina c’erano anche i genitori di Luis. Tua madre e Luis da quel giorno vennero cresciuti da nonno Lopez, che all’epoca era già vedovo.. .”
“Papà c’è da lavorare. Muoviti!”
Urlò Hunter improvvisamente interrompendoli.
“Arrivo subito”
Olegh sorrise ai due ragazzi.
“Mi dispiace ma il dovere mi chiama, ma se volete un giorno potrei continuare a raccontarvi qualche vecchia storia sulle vostre mamme.”
“Sarebbe fantastico.” Disse con un sorriso Kurt.
-Ci puoi contare pisellone!-
Kurt fissò quello che aveva scritto il ragazzo con gli occhi sbarrati.
Olegh rise e allungò il pugno verso Blaine.
“Tra piselloni ci si riconosce.”
 
 
 
Kurt salutò Blaine con un sorriso sulle labbra, anche se dentro era agitato. Tutte quelle notizie lo avevano destabilizzato. Non immaginava quella mattina di scoprire così tante verità.
Sentiva un po’ di rabbia verso Burt per non avergli detto nulla su tutto quello e per aver trovato solo le parole per lasciar intravedere il suo astio verso i Lopez.
L’unica cosa certa che c’era in quel momento nella sua testa era che voleva capire qualcosa di quella “matassa” di eventi e scoprire quello che non sapeva.  Per questo appena uscito dal Flame aveva preso la decisione di affrontare Burt e scoprire cosa fosse successo tra lui e la sua mamma, anche se questo voleva dire sentire qualcosa che non gli piaceva...
L’unica nota positiva era che era grato a Blaine, lo aveva tranquillizzato. Il ragazzo vedendolo silenzioso doveva aver capito il suo stato d’animo agitato e finché tornavano a casa lo aveva invitato a vedere nel pomeriggio  con lui e suo fratello un cartone Disney, per sdebitarsi dell’invito a colazione, che tra l’altro era stata offerta da Olegh, e lui aveva accettato di buongrado.
 
Kurt quando imboccò la via di casa si trovò ad essere quasi trascinato da Bob e ci dovette mettere parecchia forza per fargli tenere il suo passo. Lui non era un esperto di cani e nemmeno di collari, ma doveva ammettere che la collarina di Bob non gli piaceva per nulla, sembrava strozzarlo. Ma era il cane di Finn e quindi non spettava a lui dare un giudizio su quello.
Appena entrato in casa le sue narici furono invase da un odore invitante di pancetta, salsicce e uova e le sue orecchie captarono il chiacchiericcio rilassato di Burt e Carole.
Tolse il guinzaglio a Bob che continuò ancora a seguirlo festante, ma entrato in cucina gli si parò davanti la scena di una famiglia unita e felice e lui si sentì terribilmente fuori posto.
Il primo a notarlo fu Burt, che immediatamente lanciò uno sguardo stranito al suo abbigliamento, e gli chiese:
“Buon giorno Kurt, stai andando a correre?”
“In verità sarei appena tornato, anche se Bob ha reso impossibile perfino provare.”
“Sei uscito col mio cane?”domandò arrabbiato Finn.
“Erano le cinque e quaranta del mattino e appena provavo a uscire Bob cominciava a piangere, che dovevo fare? Questo cane continua a seguirmi e non gli ho dato nemmeno confidenza.”ribatté nervoso Kurt, stando ben attento a non citare il procione.
“Chiedere forse il permesso prima di uscire la mattina? Non mi piace che vai in giro così presto. E non dovevi nemmeno portare fuori Bob, è il cane di Finn.”lo ammonì severamente Burt.
“Ora tenermi in forma è un crimine? È una mia abitudine correre la mattina presto prima di andare a scuola! Non intendo cambiare! E chiedo scusa per il cane Finn, mi dispiace, non succederà più.”
“Che sia meglio!”ribatté il Quarterback.
“Ma uscire così presto? Preferirei che andassi a correre quando torni da scuola.”
“Assoluta no. Io ho le mie abitudini e non intenzione di cambiarle. La mattina faccio colazione, corro dieci chilometri, torno e faccio la doccia e prima di andare a scuola faccio una seconda colazione. Inoltre, sappi che il pomeriggio, ho intenzione di frequentare qualche club, scuola di danza, poi fare i compiti, mangiare e andare a dormire presto.” Disse in maniera risoluta il ragazzo al padre che lo fissò accigliato.
“Kurt, non so come gestivi le cose con Elisabeth, ma questa è casa mia e di Carole e ci sono delle regole da rispettare. Prima fra tutte è che se vuoi fare qualcosa ne dobbiamo essere informati!”
Kurt fissò Burt con rabbia.
Non gli era piaciuto il tono che aveva usato per parlare di sua madre, quasi volesse sottintendere che lei non gli avesse mai dato delle regole.
“Esattamente come facevo con mamma. Niente di straordinario, mi sembra.” rispose in maniera piccata il ragazzo.
“Allora, se non c’è niente di straordinario, perché non lo hai fatto!? Se ti fosse successo qualcosa noi non saremmo stati in grado di aiutarti.” lo incalzò severamente Carole e Finn provò una gioia maligna a vedere l’altro ragazzo rimproverato.
“Perché voi invece non mi avete detto come vi siete messi insieme? O come mai Burt lasciò Elisabeth?” chiese indispettito Kurt in direzione di Carole, che sbiancò di colpo a quelle domande.
“Chi te lo ha detto?”chiese immediatamente Burt con tono brusco.
“Ancora nessuno, ma ho i miei sospetti. Allora chi è che mi vuole raccontare come è nata la relazione fra voi due?”
Burt sospirò, non era preparato a raccontare questa storia a Kurt. Il ragazzo era ancora troppo dalla parte della madre.
Il meccanico si scambiò uno sguardo con sua moglie e capì che anche lei stava pensando la stessa cosa.
“Kurt vieni a sederti e promettimi di ascoltare fino alla fine.” 
 
Finn era rabbioso, non sopportava Kurt.
Quel ragazzino come si permetteva di arrabbiarsi perché loro padre si era messo con sua madre!? Come si permetteva di portare a passeggio il suo cane!
Finn chiuse l’acqua della doccia e se ne andò all’armadietto a vestirsi per andare in classe. Aveva sperato che gli allenamenti mattutini lo aiutassero a smaltire la rabbia, ma non era stato così.
Si infilò la maglia quando sentì un tocco sulla spalla.
“Ehi Hummel!”
“Ciao Dave.” Lui e Dave Karofsky non erano propriamente amici, ma si rispettavano e andavano abbastanza d’accordo.
“Oggi hai spaccato agli allenamenti.”
Finn vide il compagno di squadra alzare la mano e si scambiarono un cinque.
“Infatti Finn, oggi mi sei venuto addosso duro.- rise Puck, che aveva l’armadietto alle loro spalle- se eri un altro ti avrei preso a pugni e poi dopo scuola ti avrei buttato nel cassonetto.”
“Non lo faresti mai a me.”
“Certo che no, amico.”
Puck e Finn si scambiarono una stretta di mano e con Dave cominciarono a chiacchierare, finendo di vestirsi.
 “Allora Hummel com’è tuo fratello? È un po’ come tuo padre, Burt la leggenda?”
Finn sbuffò, quel giorno quella domanda era l’ultima che voleva sentirsi porre.
 
 
Santana aprì il suo armadietto, prese i libri per la prima ora di lezione e guardò un paio di vecchi post-it pieni di note scritte che le servivano per ricordarsi le cose importanti da fare. Lesse attentamente e vide che non si era scordata nulla. Guardò i post-it di un altro colore, che era quelli che dedicava a Brittany e Blaine, e vide che anche li le note erano state tutte svolte.
Sospirò sollevata.
Con la storia di Blaine quel fine settimana, aggiunta al solito onere di badare a sua nonna, era stata parecchio distratta. Era un miracolo che non si era dimenticata qualcosa.
Guardò l’orologio e vide che mancavano ancora dieci minuti alla campanella, poteva prendersela con calma per andare in classe cercando di evitare le stupidaggini di Puck, le battutacce provocatorie di Lauren e i vaneggiamenti religiosi di Quinn.
Semplice di solito, ma non quella mattina. Di solito c’era Blaine a creare scompiglio .
“Che palle.”
Stava per chiudere l’armadietto quando sentì la voce di Dave Karofsky, uno dei più grandi idioti e provocatori della scuola. Ogni volta che Blaine lo caricava ci godeva enormemente.
“Sai Azimio cosa ha detto Finn del suo fratellastro?”
“Cosa?”
“Ha detto, usando parole sue, che è un fottuto frocio.”
“Davvero?”
“Te lo giuro sulla mia auto.”
“Una checca, che schifo. Niente di buono poteva uscire dalla discendenza Calhoun. Povero Hummel.”
Santana si voltò a guardare i due ragazzi allontanarsi, che continuavano a ridere e confabulare sottovoce. Era certa che da quella scena non sarebbe venuto fuori nulla di buono, non ci voleva un genio a capire che presto sarebbe successo un mezzo casino.
“Finnocenza, sei un tale idiota! Hai una ciabatta peggio di quella della Berry.” mormorò sbattendo la porta dell’armadietto.
Sentiva il sangue pomparle a mille per la rabbia, in quel momento voleva solo trovare Finn e picchiarlo come meritava.
Tutti a scuola sapevano il bullismo che aveva subito Chandler per aver detto apertamente di essere gay. E tutti sapevano che gli aguzzini di Chandler erano ancora a scuola trionfi del loro operato, compresi Azimio e Karofsky.
Santana pensò che Finn aveva incasinato ancora di più la vita di Kurt e si trovò disgustata dall’egoismo del quarterback.
Gli occhi della latina si fermarono sulla figura di Brittany e sentì un senso di angoscia farsi largo nel suo petto, ma sorrise quando l’altra la salutò e venne verso di lei a passo svelto.
“Ehi Charlie!”
“Britt, per l’ennesima volta, non chiamarmi con il mio secondo nome.”
“Ma San, è carino.”
“Se lo dici tu.”
“Certo che lo dico io, Charlie.”
“Dai, andiamo...”
Santana prese per il mignolo Brittany e cominciò a condurla in classe, meditando su quello che aveva appena sentito e sull’idiozia di Finn.
 
 
 
L’angolino della tazza di caffè…
 
Che dire di questo capitolo? Beh sicuramente qui ci vengono svelate moltissime cose, come ad esempio come mai Elisabeth fosse così ricca e come è nata l’amicizia fra lei ed Isabelle…
Ci sono state due Guest Star in questo capitolo, Anna Wintour e il dottor Foker, spero di averli resi al meglio, io ci ho provato a voi l’ardua sentenza.
Sicuramente avrete notato che la storia ha iniziato a complicare la matassa con Blaine che sembra stia iniziando a ricordare, Kurt comincia a scoprire il passato di sua madre e Finn che ha spiattellato l’orientamento sessuale di Kurt a Karofsky, senza contare Santana…
Vi posso già dire che nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle!
 
Ecco la mia pagina Fb  dove troverete notizie sull’aggiornamento della storia:
 
https://www.facebook.com/pages/Schifottola/598579906836059
 
Un bacione e a presto
 

[1] Il defibrillatore normalmente non viene usato sui neonati ne  nei bambini piccoli, solo in rarissimi casi ed è un apparecchio appositamente studiato con frequenze basse da impostare manualmente. Se a un bambino si blocca il cuore, la prassi vuole che venga applicato per prima cosa il massaggio cardiaco.
   
 
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