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Autore: Black Hayate    01/10/2015    0 recensioni
[I Dalton ]
Avete mai pensato a come sarebbe Lucky Luke se fosse ambientato ai giorni nostri? Che lavoro farebbe il nostro cowboy solitario?
E i Dalton? Riuscirebbero a scappare dall'infame penitenziario del Nevada in cui sono rinchiusi e a soddisfare la loro sete di crimini e denaro?
Beh, se siete curiosi non vi resta che leggere.
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buondì giovani! Ho aggiornato abbastanza in fretta, avevo proprio voglia di scrivere ;) In questo momento si sta creando un po’ di tensione, ma per le rivelazioni più importanti dovrete aspettare il capitolo successivo (che comunque comincerò in breve). Ho dedicato questo capitolo solo ai Dalton, quindi nel prossimo sarà Lucky Luke ad avere una parte più consistente. Non temete comunque, ci sarà posto per entrambi nella storia! Ma vi lascio alla lettura.

 

Il crepuscolo stava incalzando, tingendo di fuoco i contorni scuri delle montagne della sierra. Jack, che era alla guida, tirò su i finestrini del pick-up: incominciava a far freddo e Averell aveva da poco iniziato a battere i denti nel sonno. Nessuno si era lamentato, comunque. Erano abituati alla rigidezza di quei monti, dato che ci avevano passato buona parte della loro infanzia. Mamma Dalton si era trasferita in quel posto per qualche anno, quando loro padre era ricercato, e ci era rimasta anche dopo la sua morte, avvenuta quasi per ironia della sorte: il buon vecchio Ned stava cercando di recuperare il suo bottino, che aveva accuratamente sigillato in una cava, ma aveva a disposizione solo della dinamite (ordigno antiquato e decisamente superato) e aveva calibrato male la disposizione dei candelotti. Il danno non era stato di per sé molto grave, ma l’uomo aveva insistito cocciutamente nel non andare in ospedale -altrimenti l’avrebbero nuovamente catturato- e le ferite erano andate in setticemia, senza alcuna possibilità di ripresa. Solo Joe aveva dei ricordi sulla morte del padre, ma erano molto vaghi e non ci pensava spesso. La mamma aveva provveduto a loro egregiamente, rendendoli fieri di essere dei criminali!

Jack si grattò la testa, cominciando a rallentare. Ormai era quasi buio e la strada era diventata una serie di tornanti con qualche raro bivio sterrato. Osservando attentamente la strada, il guidatore si rivolse al fratello maggiore:

-Joe, non ricordo la strada… era questo il sentiero?-

Joe sospirò irritato, cercando di non pensare che doveva sopportare quell’umiliazione solo perché non aveva le gambe abbastanza lunghe per raggiungere i pedali.

-Certo che no, è quello dopo- borbottò, strofinandosi gli occhi e sbadigliando vistosamente. Quella fuga aveva messo a dura prova la sua caparbietà, ma alla fine erano giunti a casa.

Jack fece un “mmmh” poco convinto. Stava per proseguire lungo la curva, quando Joe si scosse improvvisamente, facendogli cenno di fermarsi.

-Dovremo lasciare qui la macchina, per depistare gli sbirri che verranno a cercarci. Proseguiremo a piedi, tanto il terreno è secco, quindi non lasceremo impronte-

-Sei un genio, Joe!- disse Jack, anche se non sembrava così contento di farsi una fredda passeggiata al chiaro di luna.

-Dovremo svegliare Averell- aggiunse William, dando un’occhiata al fratello minore, mezzo sdraiato sul sedile posteriore.

-Per quello non c’è problema- ribatté Joe, sghignazzando. Ma Averell doveva essere proprio stanco, perché nemmeno le scosse e i calci di Joe riuscirono a svegliarlo.

-Dannazione, ci toccherà portarlo in spalla- grugnì il maggiore.

Jack e William si guardarono, alzando gli occhi al cielo. Non sarebbe stata proprio una passeggiata di salute.

 

Qualche centinaio di metri dopo e dopo diverse imprecazioni i tre fratelli svegli si fermarono per riprendere fiato.

-Ma quanto pesa Averell?! Eppure è uno stecchino!- urlò furibondo Joe, preparandosi a svegliare il fratello con ogni mezzo.

-Su, calmati, Joe- disse William col respiro corto. -Dev’essere tutto quello che mangia- Sentì lo stomaco brontolare e si rattristò. Eppure, eppure c’era qualcosa nell’aria che gli ricordava vagamente…

-POLLO ARROSTO!- gridò Averell, balzando in piedi in un istante, come resuscitato. Fece dei profondi respiri, annusando l’aria con attenzione. D’un tratto i suoi occhi si fecero lucidi e si sciolse in un sorriso sereno.

-È quello della mamma- sussurrò ai fratelli. Prese Joe e se lo caricò in spalla, cominciando a correre gioiosamente verso una stradina che nessuno aveva notato. -Ahh, mettimi giù, Averell!- borbottò Joe, a metà tra l’imbarazzato e l’infastidito. -Sai almeno dove stai andando?-

-Certo Joe, non riconosci la nostra casetta?- domandò Averell, indicando una piccola baita sopra una collina, invisibile fino a qualche istante prima, fiocamente illuminata dalla luce della luna. Joe sorrise raggiante e accarezzò la testa del fratello.

-A volte mi colpisci davvero, Averell-

Il fratellino sorrise di rimando e urlò verso il fondo della stradina:

-William, Jack! È pronto in tavolaaaa!-

La porticina della baita si aprì e da essa uscì una piccola signora, che sembrava volutamente più anziana di quanto non fosse. Squadrò l’orizzonte con un cipiglio arcigno, ma alla vista del figliol prodigo si emozionò.

-Averell! Piccolo mio, sapevo che avresti avuto fame, così ho preparato una cosa che ti piace!- disse ma’ Dalton, abbracciando il ragazzone in una stretta soffocante, alla quale lui non si oppose. Joe si divincolò dalle spalle del fratello, incrociando le braccia e facendo una smorfia scontenta.

-Ma’, ci sono anch’io- ricordò burberamente.

La donna alzò la testa e acchiappò il figlio per il collo.

-Il mio Joe!-

Forse avrebbe fatto meglio a stare zitto.

In breve arrivarono anche William e Jack e si unirono al goffo abbraccio di famiglia, al quale Joe stava cercando a tutti i costi di sottrarsi. Riuscì a divincolarsi e, spazzolandosi l’uniforme da carcerato, guardò lo strambo quadretto con un’espressione tra il commosso e il disgustato. Dopodiché si rese conto di una cosa.

-Mamma, come facevi a sapere che saremmo arrivati?-

La signora si districò dalle braccia dei figli e fece l’occhiolino al figlio maggiore, assumendo subito dopo un’espressione severa.

-Di questo vi parlerò dopo che avrete mangiato! Entrate, altrimenti si raffredda-

-Evviva!- gridò Averell, catapultandosi nella piccola casa.

 

La cena fu un’autentica abbuffata: era da un giorno intero che non mettevano praticamente nulla sotto i denti (a parte Averell, che aveva preso le scatolette di carne dagli indiani) e dopo il pasto il clima nella baita era un’insonnolita soddisfazione. Joe però era inquieto: come mai la mamma sapeva che erano usciti dal carcere? Nella baita non c’era la TV. E poi gli sbirri sapevano dove abitava, quindi avrebbero dovuto trovare un nascondiglio tra le montagne.

La madre lo guardò, abbozzando un mezzo sorriso: -Sei proprio come tuo padre. Che cosa ti frulla in testa?-  chiese con tranquillità.

Joe si abbracciò le ginocchia sulla sedia e cominciò a dondolare, riflettendo.

-Ti ha avvisato qualcuno del nostro arrivo, vero mamma?- domandò a bassa voce, per non disturbare il sonnecchiare dei fratelli. Jack comunque aprì un occhio e diede una leggera gomitata al gemello per farlo ascoltare.

La signora annuì divertita, ma anticipò i dubbi del figlio. -Non devi preoccuparti, Joe, non mi ha contattato nessun poliziotto. Però…- e abbassò la voce -…c’è qualcuno che si è interessato a voi e mi ha tenuta informata dei vostri spostamenti-. Joe strabuzzò gli occhi e si accigliò.

-E come facciamo a sapere di poterci fidare?- chiese con sospetto alla madre. Lei chiuse gli occhi e sorrise con dolcezza.

-Ho assoluta fiducia in questa persona- ribatté in tono sicuro. Joe cominciò a ringhiare sordamente, stringendo i pugni.

-Insomma, chi diavolo è?-

-Ci avrete a che fare domani. Mi ha detto che avete un computer: userà quello per contattarvi. Ha detto che dovete “scaricare un programma”, ma non so che cosa significhi-

William si avvicinò, sbadigliando rumorosamente. -Ti ha detto che programma era?- La donna aggrottò le sopracciglia e cominciò a rovistare nelle tasche dell’ampio vestito. Ne trasse fuori un piccolo pezzo di carta, con scritto a lettere stentate una sigla: “Tor”. William la osservò stupito, accarezzandosi il mento con interesse. Jack lo guardò di sottecchi e poi gli chiese:

-Perché quella faccia?-

William si strinse nelle spalle, sempre più stupito.

-Questo è un programma per entrare nel deep web, una parte di internet nascosta dai motori di ricerca normali. Tecnicamente qui si possono anche contattare degli hacker professionisti o dei sicari- rispose al fratello. Nella sua voce si riusciva a percepire una punta di eccitazione. -Ho sempre voluto farlo, ma in penitenziario non c’era la rete- aggiunse a bassa voce.

Mamma Dalton fece un cenno affermativo col capo, come se avesse capito tutto.

-Vedrete, è una persona piena di risorse. Ma non pensateci adesso: dovete riposarvi. Inoltre domani mattina dovrete cercare un nascondiglio da queste parti, sono certa che qualcuno della polizia verrà a cercarvi- disse velocemente la signora. -Quindi adesso filate a nanna!- I fratelli non se lo fecero ripetere due volte e salirono al piano di sopra, dove si trovavano le loro camere. Quando erano molto piccoli ma’ Dalton era riuscita a farli stare tutti in un solo grande letto matrimoniale, ma crescendo era stato necessario separarli: Joe con Averell in una stanza, i due gemelli in un’altra. Dandosi la buonanotte, Joe pensò che domani sarebbe stata una giornata ugualmente impegnativa alle precedenti, ma l’atmosfera di casa lo rendeva più fiducioso.

 

La mattina dopo mamma Dalton svegliò i suoi quattro figlioli all’alba, a suon di mestolate su una padella.

-Fate colazione in fretta, sento puzza di straniero nell’aria- sibilò, spingendoli giù dalle scale, in direzione di mucchi di bacon sfrigolante e uova fritte. I fratelli consumarono in fretta il pasto, dopodiché la madre prese da parte Joe, addestrandolo a dovere.

-Salite fino alla prima parete rocciosa, poi proseguite verso destra. Dopo un miglio circa dovreste trovare l’entrata di una miniera in disuso. È un posto sicuro, ci troverete già qualche provvista, anche se non dovrebbero servire: verrò a cercarvi io quando la casa sarà nuovamente sicura- gli disse, abbracciandolo con forza. Joe ricambiò con qualche timida pacca sulla spalla, rispondendole di non preoccuparsi. Dopotutto non per nulla erano i suoi figli!

-Bene. E adesso sciò! Non voglio vedere nulla in questa casa che faccia pensare che voi siate stati qui!-

-William, prendi quell’aggeggio- disse al gemello più alto, indicandogli il portatile. -E tu, Averell, ricordati i calzini di ricambio!-

Senza tante cerimonie, cacciò i figli fuori dalla porta del retro, indicando loro la direzione da seguire.

Proprio in quel momento, il campanello suonò.

 

I Dalton passarono il resto della giornata nella piccola cava che aveva indicato loro la madre. Solo nel tardo pomeriggio la signora Dalton andò a recuperarli, ed Averell aveva già fatto fuori da solo metà delle provviste che avevano trovato. Entrando nella miniera, la donna sbuffò, sistemandosi la cuffia che le era caduta nella foga di salire.

-Quel Lucky Luke si è voluto fermare pure per pranzo, accidenti a lui!-

Il corpo di Joe subì una scossa istantanea. L’uomo si voltò lentamente, digrignando i denti con ferocia.

-Hai detto Luck… Lucky… Lucky Lu…- Non riusciva proprio a pronunciare il quello stupido nome che lo faceva sembrare un dannato cowboy. Joe e William lo presero con gentilezza per le braccia, cercando di calmarlo. Mamma Dalton alzò gli occhi al cielo, proseguendo:

-Comunque adesso è andato via, quindi potete tornare. Non dovrebbe mancare molto alla chiamata-

Madre e figli scesero di corsa dal sentiero di montagna, rincorrendo il sole che stava calando. Una volta giunti a casa, William si collegò al WiFi (paradossalmente mamma Dalton aveva un computer e un modem, ma non una televisione. Peraltro non l’aveva mai usato, anche se era un regalo dei figli) e scaricò Tor. La schermata di accesso non era nulla di eccezionale e William stava giusto capendo che altro avrebbe dovuto fare, quando sullo schermo apparve l’immagine di un minuscolo telefono, con accanto la scritta lampeggiante “Chiamata anonima”.

-Dev’essere lei! Forza, rispondi!- lo esortò mamma Dalton, raggiante.

William diede un’occhiata a Joe e cliccò sul telefono, trattenendo il fiato.

Si udì un lieve fruscio nelle casse del computer, seguito da un piccolo “bip”.

-Buonasera, signori- disse una bassa e musicale voce femminile.

 

Solite informazioni di servizio (ogni volta metto qualcosina di nuovo e non so se voi sappiate bene di cosa sto parlando xD):

-Il deep web esiste veramente e uno dei modi per accedervi è proprio scaricando Tor. Io non l’ho mai fatto, anche se sarei curiosa, e comunque quello che avverrà di seguito sul computer di William è abbastanza frutto di fantasia. Comunque ecco il link per saperne di più: https://it.wikipedia.org/wiki/Web_sommerso

 

   
 
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