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Autore: Lothiriel    06/03/2005    4 recensioni
L’idea di questo breve racconto mi è venuta leggendo il “De Bello Gallico” (in italiano, ovviamente!)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nei quartieri d’inverno, i soldati attendono pazientemente la fine della cattiva stagione

Nei quartieri d’inverno, i soldati attendono pazientemente la fine della cattiva stagione. La sera scende presto, e la neve cade ininterrotta, turbinando nell’aria fredda.

Nel mio alloggio, alla luce fioca di una candela, passo in rassegna le incerte mappe di questa regione. Silenzioso come sempre, il giovane Fulvio entra e va a sedersi per terra accanto al fuoco, fissandomi con i suoi imperscrutabili occhi grigi. Poi, con la sua voce pacata: “Perché il grande Cesare non va a dormire, invece di pensare ai piani della battaglia? Fuori la neve è alta, e i soldati non possono ancora combattere”.

Non posso fare a meno di sorprendermi ogni volta per la sua perfetta padronanza del latino, seppure la sua pronuncia sia aspra e irregolare, con il ruvido accento che è proprio della sua lingua. In meno di due anni ha appreso, oltre al latino, un numero davvero incredibile di dialetti gallici, ed è il più valido dei miei interpreti. Fulvio non è che un soprannome datogli dai miei soldati, per via dei suoi capelli di un indefinibile biondo rossastro1. Il suo vero nome è assolutamente impronunciabile per noi Romani, e lui ha accettato con perfetta indifferenza di essere chiamato con questo nuovo nome.

Dice di essere nato nella lontana Hibernia2, e di essere stato fatto prigioniero in giovane età dai Britanni. Durante la mia campagna in Britannia, si è unito a noi, fuggendo dal popolo che lo teneva come schiavo. Oltre che per la sua abilità di soldato, si è subito distinto per la sua pronta intelligenza e la facilità con cui apprendeva le lingue. Mi è stato molto utile in più di un’occasione. La sua curiosità per gli usi e i costumi del popolo romano mi ha costretto a volte a racconti interminabili. In cambio a volte mi parla della sua terra, che dalle sue descrizioni sembra essere piuttosto simile alla Britannia, e molto diversa da Roma.

Per me sembra avere una particolare devozione, e spesso è solito rivolgersi a me chiamandomi Giulio, cosa che gli ho proibito di fare di fronte ai miei ufficiali. A volte, mentre dormo, viene ad accovacciarsi ai miei piedi, e pare un cane che faccia la guardia al suo padrone.

Ormai sono solito considerarlo come un amico fidato, ed anche i miei uomini hanno imparato a confidare nella sua conoscenza della natura, oltre che dell’arte della guerra. E’ in grado di prevedere l’arrivo di una tempesta solo guardando le nuvole e il vento.

Ma conserva la sua indipendenza, e va e viene per l’accampamento come vuole. Non permette a nessuno di avvicinarglisi troppo, e obbedisce solo ai miei diretti ordini.

Eppure a volte dal suo sguardo sornione ho l’impressione che si stia segretamente burlando di me. Molto spesso, guardando i suoi lineamenti forse troppo delicati per un barbaro, e l’esilità della sua corporatura, mi è venuto il sospetto che non sia un ragazzo, come asserisce, ma una giovane donna. Vero è che fra i Britanni e le altre genti con loro confinanti le donne sono in grado di combattere alla pari degli uomini, e spesso scendono in battaglia al loro fianco.

Se interrogato in proposito, Fulvio si limita a ridere. E rimane in silenzio, mentre nei suoi occhi scintillanti mi pare di scorgere un sorriso.

 

 

 

 

1 Il nome latino Fulvius ha la stessa radice dell’aggettivo fulvus, che significa appunto “rossastro, giallo scuro”

2 Si tratta dell’Irlanda

  
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