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Autore: chiara_raose    02/10/2015    1 recensioni
1° premio al concorso Holy ship [ Hetalia + Free contest ] _ AU!Ib _ "Esistono momenti dove accadono cose che la logica non sa spiegare e altri dove la risposta arriva da sola. Gilbert è morto, eppure succede qualcosa di inatteso ed inspiegabile, almeno fin quando..."
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Sorpresa
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo Primo


« Mi piace molto questo »
Le iridi ametista si alzarono per un momento sulla ragazza al proprio fianco e che ora gli stava indicando un quadro. Fu innegabile confermare, per quanto potesse intendersene, che il paesaggio dipinto era degno di un sogno. Sorrise appena, ascoltando già la voce della ragazza allontanarsi. La seguì con lo sguardo, seppur senza fiatare al momento. Era entusiasta che Feliciano avesse esposto i propri disegni ed era impaziente da tempo di poterli vedere. Ne osservò la schiena, coperta dai lunghi capelli castani e ne ricordò, per un momento, il corpo rivestito dalla stoffa bianca, durante il loro matrimonio. Il ricordo svanì rapidamente, nel momento in cui percepì un dito puntellargli la spalla, riportandolo alla realtà con un colpo di tosse. Voltandosi, notò la figura del ragazzo, autore di quei bellissimi disegni.
« Ciao pà »
Era sempre stato abituato a chiamarlo in quel modo, da quando lui ed Elizabeta avevano deciso di prendersi cura di lui.
« Come va con... lei? » Il suo fare quasi ammiccante lo lasciò un momento perplesso
« Va come sempre -rispose senza tanti problemi- Siamo riusciti a mantenere un rapporto d'amicizia »
« Ne sono felice »
Il sorriso altrui, ampio e solare, contagiò anche le proprie labbra. Allegro come sempre, pronto a sollevare chiunque. « Allora? Ti piace la mostra? »
« Moltissimo, anche se non me ne intendo molto »
« Lo so, lo so! Ma ho preparato una cosa che sono sicuro apprezzerai »
Il modo in cui il rosso gli aveva detto quelle ultime parole, affiancando una mano alle labbra, lo incuriosì non poco. Non ebbe, però, tempo di reagire, guidato dalla mano altrui che stringeva la propria. I corridoi della mostra iniziarono a correre veloci attorno a lui, quadri di persone, dipinti di paesaggi, colori astratti e sculture degni delle opere marmoree più conosciute. Solo uno, ad un certo punto, attirò la sua attenzione, provocandogli un tuffo al cuore, a riconoscere quel volto, quel candore.
« Questo ti piace? »
Domandò il ragazzo mentre lui non riusciva a schiodare più gli occhi da quella tela. La cornice scura contrastava con la parete e col quadro stesso, evidenziandone il pallore, la freschezza quasi raggelante. Una serie di elementi circondavano una figura che ricordava anche fin troppo bene. I suoi capelli chiari, chiarissimi, si confondevano con lo sfondo e, con uno sguardo pieno di promesse, lo osservava, capace di dargli l'impressione di esser visto, in qualunque posizione si trovasse. Il loro stesso colore, unica punta rossa sull'intero dipinto monocromatico, sapevano diventare ipnotici, come solo nella realtà ricordava esser possibile. Per parecchio si ritrovò incapace di spiccicare una singola parola, con la volontà crescente di toccare quel dipinto e capire se fosse vero.
« è... molto bello » ammise dopo una lieve esitazione, sapendo benissimo, anche senza guardarlo, che il giovane stava sorridendo, al proprio fianco.
« Sapevo che ti sarebbe piaciuto »
« Come mai hai... »
« Dipinto lui? » lo anticipò, portando le iridi violacee a specchiarsi in quelle dorate dell'altro. Sorrideva. Grato, felice, quasi commosso dalla reazione che stava osservando, sul viso di quello che, pur non biologicamente, considerava come un padre. « Per ricordarlo »
Roderich non riuscì a capire subito, corrugando la fronte e voltandosi verso il quadro, verso quegli occhi che continuavano a fissarlo, incatenarlo; come se la protezione delle lenti non esistesse più, come se una sola macchia di colore potesse esser capace di trapassare qualsiasi barriera.
« Manca a tutti noi » continuò Feliciano, a bassa voce ed osservando il quadro a sua volta a metà tra un ambiente innevato oppure coperto di nuvole e nebbia. « E immagino che, anche lui, sia triste di non poterci più vedere. Però, si dice che una persona muoia quando si smette di ricordarla. Ora che è lì, tutti possono vederlo, tutti possono ricordarlo. »
« Sei una persona molto dolce... »
« Lo so » affermò Feliciano, tornando a guardare il padre, pur restando con le mani giunte dietro la schiena e le braccia tese. Il sorriso non morì un solo istante sul volto altrui, mentre Roderich gli dedicò un rapido sguardo.
« Ho preso da te, in fondo »
La confessione altrui stupì l'austriaco, che rimase in silenzio a guardarlo congedarsi ed allontanarsi per raggiungere gli altri ospiti della mostra. Gli venne da sorridere, stupidamente forse, sentendosi un po' sognatore, un po' infantile. Era la prima volta che sentiva qualcuno dire una cosa del genere su di lui.

Non seppe quanto tempo rimase all'interno della mostra, eppure qualcosa lo riportava sempre dinanzi a quel quadro e, ogni volta, il suo volto sembrava rivelargli una sensazione diversa. Feliciano aveva ragione. Dovevano solo ricordarlo. Non potevano fare di più e il giovane artista aveva dato il meglio di sé per rappresentarlo in quell'aria un po' fiera e spavalda, eppure umana che pochi avevano avuto la possibilità di vedere. Certo il loro rapporto era sempre stato un po' conflittuale -anche più di un po'-, ma l'albino stava davvero facendo sentire la sua mancanza. Osservò il titolo per un momento, accanto a quella scura cornice: “Me Minus You”. Da quel che gli aveva detto Feliciano, aveva immaginato l'albino a sentire la mancanza, come loro sentivano la sua. Evidentemente, quel titolo significava proprio la visione di Gilbert. Me, senza di Voi, in quel paesaggio onirico e tremendamente vuoto. Non male come idea.
« Signori, annuncio che a momenti dovremo chiudere »
La voce gli giunse lontana, quasi come un eco che rimbalza tra le pareti di roccia. Immagina che, effettivamente, Feliciano non sia riuscito a permettersi quell'ampio spazio per troppo a lungo. Osservò il breve corridoio dove si trovava, notando che, al momento, era da solo. Non ci fece molto caso, immaginando che si stessero già tutti raggruppando verso l'uscita. Peccato però, Eliza poteva anche aspettarlo visto che aveva tanto insistito per andarci assieme e lui aveva le chiavi della macchina. Almeno non sarebbe andata troppo lontano. Osservò ancora il quadretto, ma qualcosa lo trattenne dall'avviarsi a sua volta.
Gilbert piangeva.
Corrugò la fronte, avvicinandosi appena e sistemando anche gli occhiali. Li tolse e li pulì rapidamente per poterli rimettere e controllare. Osservò quel rosso allungarsi lungo il viso, lungo il quadro. Lento, inesorabile, quel colore iniziò a colare, sgorgando fino alla cornice. Roderich sentì un tuffo al cuore, nel momento in cui vide quelle sottilissime strisce di colore, diramarsi oltre il quadro, lungo la parete e gocciolare dalle decorazioni della cornice.
« Feli! »
La voce ed il richiamo andarono a vuoto, riecheggiando nel corridoio senza una reale spiegazione. Come glielo spiegava che il colore era colato lungo il dipinto e fuori da esso? Titubante, osservò il quadro ancora per un momento, prima di avviarsi a passo spedito lungo il corridoio e poi sino all'ingresso. Non ci badò subito, ma fu dinanzi al bancone della reception che si rese conto di esser solo lì dentro. Com'era possibile? Che l'avessero chiuso dentro? Da solo? Non ci volle credere, ma la porta che gli opponeva resistenza e non si apriva iniziò a demolire quella flebile speranza. « Ma che diavolo? »
Estrasse il telefono dalla tasca, con l'intento di contattare Feliciano, Elizabeta o chiunque altro di loro, ma non risultava esserci campo. L'austriaco si trattenne dall'imprecare, provando ancora, inutilmente, ad aprire la porta. Non potè credere realmente al fatto che nessuno si fosse accorto di averlo lasciato lì. Pensò di raggiungere l'uscita d'emergenza, ma dovette abbandonare presto quell'idea. L'asta antipanico per l'apertura dell'uscita si muoveva a vuoto, con un cigolio particolarmente inquietante. Il cuore iniziò ad accelerare, l'agitazione a farsi sentire e la mente dell'austriaco non riusciva a pensare ad altre vie d'uscita. Provò ad avvicinarsi ad una finestra, poco distante dall'uscita d'emergenza, ma fu con rammarico e terrore che, spostando la tenda, non riuscì a vedere niente. Le dita tremarono un momento, dinanzi alla vista dei mattoni che si ergevano al di là del sottile vetro. Era uno scherzo, non poteva essere altrimenti. I quadri erano silenziosi ed anche il corridoio e le statue esposte iniziarono ad assumere una dimensione poco rassicurante. Si sentì come un topo in trappola.
« C'è qualcuno? »
Il richiamo risuonò a vuoto ed il corridoio parve più lungo che mai. L'eco si prolungò con un suono sempre più cupo e distorto, come se avesse parlato attraverso le casse radiofoniche, assieme al metallico e fastidioso suono di un'interferenza. Non capì, convincendosi che era solo un'impressione o un condizionamento psicologico data la situazione in cui si stava trovando. Rinunciò a chiamare e fece per avviarsi lungo i corridoi, osservando tutte le finestre, ciascuna sempre nelle identiche condizioni della prima. Le statue, i quadri e qualsiasi cosa, dentro quell'ambiente, pareva osservarlo e pronto a spezzare qualsiasi filo di speranza nel poter trovare un modo per uscire di lì. Quando tornò verso l'uscita di emergenza, i piedi parvero inchiodarsi al suolo.
Quella statua non era lì.
Si osservò alle spalle e poi tornò a puntare lo sguardo su quella scultura sinuosa, degna di una Dea. Le mani sostenevano quella che pareva essere un'edera ed il candore del materiale si alternava a delle venature scure. Poteva apparire come marmo, ma sapeva che era un effetto voluto. Osservò il punto dove ricordava aver visto quella statua, a dimensioni naturali o poco più, trovandolo vuoto. Lo sguardo ricadde sulla schiena di quella donna dalle curve morbide, che rivolgeva il viso esattamente contro la porta dell'uscita.
« Okay... chiunque tu sia, o dovunque tu sia. Se ti stai divertendo, voglio che sappi che mi divertirò altrettanto, una volta uscito di qui, se non la smetti subito »
Di nuovo le parole andarono a vuoto.
« Ti do un minuto per... » Quando notò le lancette del suo orologio da polso correre all'indietro, il cuore perse un colpo « … smettere. » Alzò nuovamente lo sguardo sulla statua senza sapere neanche cosa pensare. Statue che si muovono, persone che spariscono, le finestre murate, l'eco lungo i corridoi ed ora le lancette. Che cosa stava succedendo? Il cuore iniziò a fare i capricci e Roderich si rese conto di non star pensando in maniera lucida, confondendosi tra i mille pensieri e i punti interrogativi che gli frullavano per la testa. Osservò ancora il corridoio e, nuovamente, provò ad avviarsi verso l'ingresso principale, cercando dietro il bancone una chiave o qualcosa del genere. Tutto quello che trovò, furono fogli. Fogli e pagine colorate apparentemente da un bambino. Fiori, casette colorate coi gessetti, ma nessuna chiave, nessuna risposta. Non sapeva se sentirsi davvero spaventato o se irritarsi e continuare a sostenere l'idea di un gioco o uno scherzo particolarmente pesante. Tutto quel silenzio iniziava a soffocarlo, diventare pesante, eppure lo rimpianse, nel momento in cui sentì dei colpi contro la parete dietro di sé. Sobbalzò lasciando scivolare i fogli ed ebbe il tempo di leggere una scritta col gessetto rosso, prima che la luce annullasse ogni senso, lasciando solo il battito accelerato del suo cuore.

“Ciao, Roderich”
   
 
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