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Autore: Jailer    02/10/2015    3 recensioni
Il passato di Manigoldo, dalla prima volta in cui vide un'anima al suo incontro con Sage, da Messina ad Atene, passando per la solitudine, i sogni, il fato, la morte, l'amore.
La giovinezza del discolo destinato a diventare l'uomo che incatenò Thanatos è un valzer tra piccoli e grandi drammi, vissuti sempre con la leggerezza e l'ironia che lo contraddistinguono.
E anche l'incredulità per ciò che il fato scelse di riservargli.
"Ancora non ho capito quale concatenazione di fatti mi abbia portato alle soglie della Quarta Casa, né che cosa ci faccia io qui.
Come per ogni cosa, però, ne prendo atto.
A volte prendo in giro la mia armatura: mi ci siedo davanti a gambe incrociate, e le chiedo: “Ma a te, chi ti ha voluta?”
Penso che lei mi sorrida in qualche modo, ma non so che espressione sia, se di benevolenza o di beffa.
Le sorrido anche io, di gratitudine o imbarazzo. Ma non posso fare a meno di pensare quanto cara mi sia costata."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer Manigoldo, Cancer Sage, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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V

Su come lo scegliere Caron Dimonio sarebbe stato meglio


Una mattina eravamo con Rob, il Gamba e Blanca al porto, scivolavamo tra le bancarelle rubacchiando qualcosa qui e lì.
Dai ponti dei pescherecci vedevo sollevarsi le anime dei pesci, creavano un buffo alone assieme alla puzza. Capitava che mi fermassi a guardarle e O’Neill, spazientito, mi tirava calci sui garretti.

Si può sapere cosa guardi imbambolato? Come se non avessi mai visto il mare, sembri diventato scemo come il Gamba.”
Si beccò un colpo di ammonimento sul petto: “Cerco un buco per buttarti a mare, cerco, per la prossima volta in cui ti uscirà una stronzata del genere.”

Eccezione fatta per Blanca, non avevo parlato agli altri di quanto vedevo, e, se anche lo avessi fatto, O’Neill non era contemplato tra coloro che lo avrebbero saputo.

All’epoca alla morte non pensavo quasi più: avevo da pensare a vivere – e sopravvivere -, e poi, in città, anche la morte assumeva contorni vaghi, come qualcosa di insignificante, su cui non c’era tempo di soffermarsi.
La morte giaceva nei vicoli strapieni di spazzatura, nell’ombra; non più drammatica, ma solo fastidiosa – intralciava le carrozze, rendeva le strade indecorose, doveva restare relegata in vicoli dimenticati anche da Dio.
Gli uomini andavano a morire in luoghi nascosti, divorati dalla fame e dal freddo, ubriachi di vino e solitudine, accoltellati – e dai quei luoghi mi tenevo ben lontano, perché negli occhi avevo ancora le orbite vuote di Bucefalo e il ventre svuotato di un uomo. Mi bastava.
Quando vedevo il bagliore di un’anima distoglievo lo sguardo e cambiavo strada.

Le osservavo solo sul mare, perché il mare era troppo maestoso e superbo per farmi soffermare sulla miseria di tutto quello che vi stava sopra, dentro e attorno.

***

Rob quel giorno aveva voglia di essere bastardo.
Iniziava la bella stagione, molte navi erano pronte a partire. I marinai, in lunghe file come formiche, caricavano le merci nello scafo.
In tale giornata che cosa sarebbe stato meglio – più furbo – di fare a gara a chi riuscisse a salire sulla nave, portare via qualcosa dalla stiva e tornare dagli altri?


Qualsiasi cosa: comincia tu”, mi provocò Rob. “Comincia tu che ci vedi più lontano di tutti. Noi dopo di te.”

Quel giorno ero irrequieto. Cominciavo a voler andare via da lì, stavo meglio di quando ero arrivato ed ero stanco. Ormai sapevo come campare in una città e me la sarei cavata; non c’era più ragione di restare con il Rosso, tanto più dal momento che, ormai era palese, non avrei mai più rivisto il cappotto.
Ero stufo di Rob e di girare come una biglia per vicoli che ormai conoscevo a menadito, stufo di un gruppo di cui avere sempre qualcosa da temere in caso di errore. Avevo voglia di tornare ad essere solo e adesso conoscevo anche il modo per tirare avanti.

Credo che stessimo semplicemente crescendo, eravamo in quel periodo un po' doloroso in cui si allungano le ossa. Da un giorno all'altro ci era calato uno strano nervosismo addosso.
Chissà dove pensavo di andare, quel giorno. Sicuramente i miei passi si volsero nella direzione opposta – in direzione del sole che sorge, al di sopra del mare, in favore di Maestrale.

Quanto a Blanca, non avevo dubbi sul fatto che, se le avessi chiaramente detto che me ne andavo senza possibilità di ritorno, mi avrebbe seguito (sciocco, lei sarebbe rimasta là con il Rosso tutta un’eternità, perché era lui il vero centro dell’universo).
Ad ogni modo, il problema non si pose mai perché non ci fu data possibilità di scelta – niente di nuovo sotto al sole.

***

Accettai la sfida di Rob perché sentivo il bisogno di uno scossone – e perché ero terribilmente stupido e pecorone.

Ricordo ancora tutto perfettamente: eravamo al molo 6, presso il quale attraccavano le navi che si limitavano ai commerci nel Mediterraneo. Era molto tranquillo, c’erano pochi marinai lì in giro.
Mi incamminai lungo il corridoio di attracchi per scegliere la mia nave.

Ce n’erano molte e sembravano tutte vuote, lessi i nomi per decidere quale mi sembrasse la più interessante.
C’erano tre
Red Saphire, ma non sapevo l'inglese, una Giovanna, ma non suonava bene dire “Ho saccheggiato la Giovanna”, Diana, Alba dell’ovest, Barbaria – non mi convinsero.
Poi il mio sguardo le vide:
Caron Dimonio* e Palinuro**. Portavano il nome di due nocchieri mitici: Caron occhi di bragia, mentre il secondo era il disgraziato timoniere della combriccola di Enea. Quello fregato dal Sonno e finito in acqua.
Il mito sulla lotta di un incapace: giudicai che la
Palinuro fosse la nave adatta – l'epica dei falliti era ancora la mia preferita.

*Non credo servano presentazioni per Caronte... La Divina Commedia, Inferno, III

**Eneide, V
La storia di Palinuro è un po' triste: mentre naviga durante una notte tranquilla, dopo aver affrontato una tempesta,
cade in mare, vittima di Hypnos (Sonno). Il mattino dopo verrà ucciso dagli indigeni dell'isola su cui si era ritrovato.
In realtà, è la vittima richiesta da Nettuno affinché l'equipaggio possa raggiungere indenne il Lazio.

***

L’imbarcazione era una caracca genovese. La croce rossa su sfondo bianco della bandiera ciondolava fieramente in balia del debole vento.
Nel Quattrocento le caracche erano state progettate per solcare l'Oceano: erano ampie e stabili, adatte ad affrontare il mare grosso e la tempesta. Non so che cosa ci facesse nel porto di Messina.
Sicuramente era una nave sciagurata per qualcosa, e per questo l'avevano chiamata
Palinuro.
Dio li fa e poi li accoppia – l'ho sempre vista come la dimensione marinara e triste di Bucefalo.

Essa faceva la spola tra Genova, Messina e Atene per portare granaglie dal Sud Italia ora all’Attica, ora alla Liguria, che ne erano carenti.
Lo scafo era già stato riempito, non sarebbe stato necessario inoltrarsi più di tanto all’interno di quel grosso ventre per portare via qualcosa.

Senza ansia risalii la passerella. Un marinaio che fumava appoggiato al parapetto, mi guardò annoiato, ma non mi chiese nulla, come se la cosa non lo riguardasse.
C’erano un altro paio di uomini intenti a tirare delle corde, nemmeno loro mi prestarono particolare attenzione, probabilmente credendomi un mozzo.

Fu quando dovetti scendere nello scafo che provai una strana angoscia. Mi voltai indietro, e, se quell’ansia non fosse stata tutto ciò che avevo disperatamente cercato in quei giorni, avrei girato i tacchi senza vergogna, tanto forte mi prese l’angoscia.
Il marinaio fumatore continuava a fissarmi con le palpebre pesanti, sembrava uno di quei cani con le orecchie lunghe e gli occhi tristi che non fanno male a nessuno.
Cercai di aprire la porta con la massima naturalezza possibile, anche se mi sentivo le articolazioni di un burattino. Bastò spingere un poco l’uscio e continuare a scendere, immergendomi nel buio.

***

La stiva era illuminata da una sola lanterna all’entrata, ed era stracolma di sacchi di grano impilati l’uno sull’altro, formavano delle torri alte poco più di un uomo adulto, incastrate tra il pavimento e il soffitto, come colonne.
Se avessi voluto prendere qualcosa, avrei dovuto rompere un sacco.
Mi guardai alle spalle con sospetto, ma nessuno si era degnato di venire a controllare che cosa stessi facendo. Allora, mi inoltrai più in profondità nel ventre di
Palinuro.
C’era una pila di merce più bassa delle altre, decisi di provare a rompere la canapa di uno dei sacchi a metà per prendere una manciata di chicchi.
Cominciai a cercare di strappare il sacco con le mani, perché quella mattina avevo dimenticato il coltello sotto il letto.

Passarono i minuti e le mani cominciavano ad arrossarsi, continuavo a voltarmi in direzione dell’entrata, per paura che qualcuno arrivasse e mi scoprisse.
Sapevo di dover aver paura dei marinai, avevo visto cosa avevano fatto ad un altro ragazzino scoperto a rovistare nelle stive.
Quel tipo aveva ancora le cicatrici delle bruciatore dovute allo sfregamento delle corde sulle braccia, e gli mancava un occhio – la cosa peggiore era che non riusciva a ricordare come lo avessero accecato.
Mi avrebbero fatto a fette con i loro bicipiti tatuati, e poi si sarebbero tatuati anche l’iniziale del mio nome come trofeo, nello spazio di pelle tra l’iniziale della mamma e quello della fidanzata.

***

Non so che cosa mi avesse impedito di uscire a dichiarare una ragionevole resa – forse l’insofferenza, ormai totale, verso Rob.
Per l’ansia mi misi a tirare verso di me un sacco intero, avrei portato via quello – tanto, se anche mi avessero visto, non sembravano molto devoti al loro lavoro.
Mossa poco furba: mi cadde addosso l’intera pila di sacchi e anche quella immediatamente dietro. Picchiai la testa contro il pavimento e svenni.

***

Fato volle che nel breve intervallo in cui ero privo di sensi, la nave si fosse preparata a partire – cosa che, in effetti, era in procinto di fare anche quando l’avevo scelta.
Rob e gli altri si erano accorti di quel dettaglio troppo tardi per richiamarmi, e nessuno di loro era intenzionato a lasciarci la pelle per me.
Tutti tranne Blanca - lei salì per portarmi giù. Ma si decise troppo tardi per riuscire a scendere.
Nemmeno quel giorno fu capace di negarmi la sua fedeltà - lo avrebbe voluto con tutta la sua forza, ed in futuro ancora di più. Eppure Blanca salì su quella nave e si lasciò chiudere dentro.
Sapeva che non avrebbe potuto salvare nessuno, né me né lei, sapeva che saremmo finiti nei guai insieme.
Come ogni volta, ce la saremmo cavata.
È la regola della giovinezza – è la fede nell'immortalità, e fu davvero questo a tradirci: l'idealismo.
Palinuro
cominciò il suo viaggio con due passeggeri in più e la stiva tutta in disordine.

C'era una città bianca al di là del mare, e ai suoi piedi un porto che era un nodo di rabbia.
Atene, sulla quale il vento della Storia aveva cessato di tirare, non respirava che la polvere di un mito dimenticato e vi scopriva il sapore del sangue – la Guerra Santa già incombeva.
Atene mi attendeva, lì, da secoli.
Ed io le andavo incontro sul fondo di una nave genovese, privo di sensi – lì è il crocevia del mondo.





   
 
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