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Autore: Dira_    03/10/2015    8 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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                                                    Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso.
 
 
 
 
Londra, Magazzino Purge&Dowse Ltd. …
… ovvero San Mungo, Sera.
 
Neppure quella sera Albus era tornato a dormire e Tom stava cominciando a perdere la pazienza.
Lo sapeva, stava lavorando alla realizzazione dell’antidoto per il Demiurgo e non era cosa semplice da quello che era riuscito a strappargli le poche volte che l’aveva incrociato a casa, mentre si trascinava verso la prima superficie orizzontale disponibile. Si trattava di sintetizzare una cura da sangue umano e se i Babbani ci avevano messo secoli della loro medicina per inventare le trasfusioni, i maghi, pur con tutta la loro magia, avevano vita altrettanto difficile.
E qui non abbiamo anni. Neppure mesi.
Albus lavorava, assieme agli altri Pozionisti e i Medimaghi di Malattie Magiche, da giorni, senza conoscere riposo se non quello che gli veniva imposto. Era un Serpeverde: finchè non avessero raggiunto l’obbiettivo non si sarebbe risparmiato.
Il che, per lui, si traduceva in un letto gelido e notti di insofferente insonnia.
Se da adolescente gli avessero prospettato l’ipotesi che avrebbe fatto fatica a dormire senza qualcuno accanto avrebbe riso di gusto.
Ora non più.
“Potresti almeno fingere di starmi ad ascoltare, eh!” Lo apostrofò Meike strappandolo dalle sue lugubre riflessioni. “Va bene che ti manca Mutti…”
“Non mi manca.” Ribattè dando un sorso svogliato alla propria tisana. Fece una smorfia quando si accorse che era fredda. “Non è partito per terre sconosciute.”
Non glielo perdonerei mai se lo facesse. Senza di me.
“Se mi innamoro e sviluppo una dipendenza del genere ammazzami.” Sbuffò l’altra con aria disgustata. Stava fingendo: era la prima sostenitrice della loro coppia e andava in ansia quando li vedeva litigare manco fosse figlia loro.
“Si tratta di abitudine.” Scrollò le spalle. “Tutti ne sviluppiamo più di una.”
“Al è un abitudine come lavarsi i denti prima di andare a letto?”
“Quello è un dovere se non vuoi assimigliare ad una Megera.” Le fece notare. “Comunque no. La sua presenza è la cosa a cui sono abituato.” Anche se il compagno non era lì, sentiva la sua occhiataccia perforargli la nuca.
Bella parata, Dursley.
“Ed è bella una cosa del genere?” Chiese sinceramente interessata. “Cioè, aver tanto bisogno di una persona…”
“L’alternativa è rimanere da soli.”
“No, beh, ce ne sono varie di alternative…”
“Non per me.”
Meike fece un mezzo sorriso, allungandogli un calcetto sul ginocchio visto che erano entrambi seduti sul divano a fingere di ascoltare uno dei nuovi strambi gruppi della ragazza. “Stramboide.” Lo apostrofò affetuosa: era la cosa che più gli rinfacciava da che la conosceva e sospettava la cosa per cui gli stesse più simpatico. “Perché non vai a trovarlo?”
“Sta lavorando.” Quello che molti non capivano degli ex-Serpeverde era che l’etica del lavoro era radicata nel loro modo di essere, quanto e più dei Tassorosso. Ma mentre i secondi si limitavano ad esser soddisfatti dell’impegno in medias res, chi era stato scelto da Salazar si sentiva realizzato solo alla fine dei giochi.
Con successo, se posso aggiungere. Il fallimento non è contemplato.
… in questo caso forse ancora meno, visto che sull’altro piatto della bilancia posano vite umane.
Per questo capiva lo stakanovismo ai limiti della follia del compagno; quando un progetto al laboratorio lo prendeva a pieno, non conosceva sonno o stimoli esterni.
Meike, facendo parte della stessa gloriosa Casata, si limitò ad annuire. “Regolare, ma credo che vederti gli farebbe bene. Anche tu manchi a lui.”
“Te l’ha detto?”
Fu guardato con compatimento. “È la carenza di affetto che ti fa avere un insolito momento di insicurezza?” Sogghignò. “Se vuoi posso abbracciarti.”
“No.” Si alzò in piedi per scongiurare la minaccia. “L’idea comunque è buona.”
“Io ho solo buone idee.” Convenne placida stendendosi sul divano come un gatto. “Portagli i biscotti che ho fatto stamattina … Sono i suoi preferiti.”
“Torno presto.”
“Ma prenditi pure tutto il tempo che ti serve!” Lo caldeggiò alzando lo stereo ad un volume che fece scappare Zorba dalla propria cuccia.
Lo abbassò con un colpo di bacchetta. “Se trovo qualche adolescente maschio seminudo in salotto sappi che lo appenderò al balcone per le mutande.”
“E se non ce le avesse?”
“Saprò ingegnarmi.”
Meike non si scompose: c’erano tre persone su cui le sue minacce non avevano il minimo effetto. Una di quelle sfortunatamente ce l’aveva davanti. “E se fosse una donna?” Continuò.
“Sono per la parità dei sessi.” Motteggiò facendola ridere. “Sono serio. Niente festini.”
“Li ho mai fatti?” Domandò offesa. “Di cui tu o Mutti siete a conoscenza almeno?” Aggiunse allegramente.
La ignorò, andando a prepararsi mentre Zorba lo seguiva affranto. “Torno presto.” Ripetè.
E se cominci a parlare con il gatto forse è il caso di andare a trovare Al.
In meno di mezz’ora fu al San Mungo, che ormai conosceva come le sue tasche: tutta la ramificata famiglia Weasley-Potter aveva perlomeno una conoscenza base del posto.
Passiamo più tempo qui che chiunque altro.
Tirò dritto verso i piani bassi, usando le scale perché gli ascensori potevano essere forieri di incontri non desiderati, tra cui Lily l’impicciona o Auror di vario grado e forma di antipatia.
Non che i Pozionisti fossero meglio, rammentò cupo mentre si fermava di fronte alla porta del Laboratorio di pozioni. L’ultima volta era stato un miracolo riuscire a passare oltre un muro di insopportabili rimesta-calderoni.
E ora?
Il corridoio era deserto, eccezion fatta per un tipo delle pulizie che pareva addormentato sulla propria scopa, il cappellino calato fino agli occhi.
Potresti stordirlo e indossare la sua uniforme …
… o forse potrei semplicemente entrare e chiedere del mio compagno.
Che era la cosa più razionale e meno macchiavellica da fare, quindi spinse le porte a molla ed entrò.
L’atmosfera gli ricordò perché Pozioni, per quanto avesse ricevuto sempre ottimi voti, non fosse mai stata la sua materia preferita: l’odore, prima di tutto. Raramente una pozione medicamentosa era gradevole all’olfatto. Al diceva sempre che se eri fortunato si limitava a sapere di uova marce.
Non sono stato fortunato.
E poi il caldo: almeno una cinquantina di calderoni sobbolliva nell’enorme stanzone in pietra e neppure gli incantesimi refrigeranti riuscivano a togliere l’impressione di trovarsi in un gigantesca zuppa gorgogliante.
Si coprì il naso con la manica della giacca, rimpiangendo di non averne scelto una più leggera.
Sto facendo la sauna.
L’insofferenza era tale che surclassò l’arrivo del pozionista scheletrico che l’aveva accolto la prima volta. “Ti sono mancato?” Lo apostrofò senza neanche tentare di essere amichevole.
Tanto non sarei credibile.
“Le persone non autorizzate…” Iniziò come un disco rotto.
“Ho bisogno di parlare con il mio compagno, la prozia Muriel è morta.” Poteva divertirsi a stuzzicare, ma non era stupido. “Erano molto legati.” Mentì con quella che sua sorella Alicia avrebbe definito una splendida faccia da culo.
L’uomo tentennò, dimostrando perlomeno un grammo di cervello oltre a quelli usati per rimestare ingredienti. “Vado a chiamarlo. Resta qui.” Brontolò sparendo tra fumi, vapori e facce sospettose.
Tornò dopo qualche irritante minuto – lo aveva fatto apposta a farlo aspettare e sudare, ne era sicuro – seguito da un perplesso Al. “Tom, ma la prozia…” Iniziò, ma appena vide la sua faccia cambiò subito tiro. “… oh Morgana, è terribile.” Mormorò mentre gli occhi gli si facevano lucidi con l’abilità dell’infanzia. “Dexter, credo di avere bisogno di un momento.” E senza attendere la risposta del collega lo prese per un gomito e lo spinse fuori.
Il mio Al, Maghi e Streghe della giuria.
Quando furono in corridoio l’altro incrociò le braccia al petto e sospirò. “Puoi per favore evitare di usare la prozia come scusa?”
“Pensavo la detestassi.”
“Certo, è solo che l’ho già usata una volta con Smethwyck! E credo che Lily l’abbia fatta finire in una bara qualcosa come nove volte.” Esclamò preoccupato. “Un giorno o l’altro uno dei due finirà nei guai, e preferirei non essere io.”
Mi sei mancato.
Non lo disse ad alta voce ma Al glielo lesse nello sguardo perché si sciolse in un sorriso. “Cosa mi hai portato?” Chiese indicando il fagotto che aveva sottobraccio.
“Meike ha fatto i biscotti.” Lo osservò scartare e ingollarne due nel giro di qualche attimo. “Non credevo ti avrei fatto io questa domanda … ma stai mangiando?”
“Quando mi ricordo.” Si strinse nelle spalle con aria colpevole. “E so cosa stai per dirmi, ma sto lavorando ad una cosa importante!”
“Non ho aperto bocca.” Scosse la testa. “Stavo solo assaporando il tuo momento di ipocrisia.”
“Idiota.” Bofonchiò con la bocca piena di biscotti. “Non c’è tempo.”
Annuì, perché quello era un dato di fatto. “Come sta andando?”
“Tentativi sempre più vicini al risultato finale atteso.” Non si sbilanciò. “Pensavo che il sangue Magonò fosse più stabile come ingrediente per pozioni e invece…”
“Forse dipende dal Magonò.”
“Sì, infatti.” Convenne sedendosi a terra senza troppe cerimonie. Seguì il suo esempio solo perché ormai il mantello era già un disastro. “E far donare il sangue ai Maghinò è più difficile che catturare uno Snaso una volta rintanato.” Appoggiò la testa al muro, chiudendo gli occhi. “Merlino, sono esausto.”
Quella confessione fu un via libera. Gli passò una mano attorno alle spalle e se lo tirò contro. Al per tutta risposta gli conficcò il naso nella giugulare, inspirando.
Non si lamentò. “Puzzo di sudore.” Disse invdce.
“Un po’, ma meglio del calderone su cui ero chino fino a poco fa.” Bofonchiò. “Sul serio, profumi.”
“Di cosa?”
“Casa.”
Già.
Lo abbracciò più stretto, due idioti presi ad annusarsi a vicenda. Meike aveva ragione, quella era un astinenza bella e buona. Qualcuno avrebbe potuto dire che non era sano – e ricordava come un certo Zabini avesse ribadito quel concetto più e più volte.
Ma se siamo felici cosa diavolo importa?
“Ne avrai per molto?” Domandò ignorando la quantità di briciole che l’altro gli stava riversando addosso visto che non aveva smesso di ingozzarsi di biscotti.
“Non riesci a dormire senza di me, vero?” Sogghignò soddisfatto. “Dormi con Zorba, no?”
“I surrogati non mi interessano, e quel gatto graffia.”
“Assomiglia al suo padrone.”
“Sei tu il padrone.”
“Di chi dei due?”
Gli rifilò un pizzicotto a cui l’altro si sottrasse contorcendosi, cosa che non dispiacque a nessuno dei due. Gli rubò un bacio condito di cioccolato. “Vuoi che me ne vada?”
“No, cinque minuti.” Si lamentò come se lo stesse obbligando ad alzarsi da letto.
Thomas Dursley, il fantastico scendiletto.
Avrebbe dovuto prendersela, ma con le braccia piene di un Al, anche se puzzolente di Merlino sapeva cosa, poteva soprassedere.
Per stavolta.
Specie se l’altro gli lasciava bacetti affettuosi sul collo. “Se non la pianti ti prendo qui.” Lo informò placido rimediando una risatina. “Non scherzo.”
“Ted e James si sposano.” Replicò estemporaneo. O forse no.
Se voleva farmi fare una doccia fredda c’è riuscito.
Ugh.
“James in abito bianco? Delizioso.”
“Dai.” Tom abbassò lo sguardo, e si trattenne dal commentare perché vide l’altro sinceramente contento. “James mi ha mandato un messaggio via Gufo. Non me l’aspettavo!”
“Voleva solo farti notare che l’ha fatto per primo. Avete tutta quella cosa di arrivare uno prima dell’altro…”
Ci fu una lunga pausa.
“Stiamo parlando di sposarci?”
Tom battè le palpebre. “No.” Giusto? “Ti interessa farlo?”
“Non davvero.” Fece spallucce l’altro. “Non ho bisogno di riconoscimenti per sapere che mi appartieni e ti appartengo.”
“Da bambino la pensavi in modo diverso.” Lo prese in giro. “Dicevi che volevi matrimoniarti con me.”
“Hai una memoria da elefante, lo sai?” Sbuffò divertito. “Ero un bambino, non sapevo neanche cosa significasse. Per me voleva dire stare sempre con te, che era tutto quello che mi interessava … e che mi interessa.” Si sporse per un secondo bacio, questa volta più lungo.
Tom acconsentì sentendo che in quel prolungare c’era altro. Infatti poi Al lo guardò in faccia, con quei suoi grandi occhi velati di incertezza.
Appunto.
“Però non mi dispiacerebbe dirlo a tutti, che siamo una coppia intendo.”
“Lo sanno già.”
“No, lo suppongono, è una cosa diversa.” Gli fece notare. “E fin’ora non ho avuto problemi, sul serio, l’idea di esser definiti due scapoli rampanti è esilarante, ma…”
“Vuoi metterti al pari con James.” Concluse per lui ed era buffo vederlo tentennare tra l’impulso di negare e il desiderio di essere onesto. “Per me va bene.”
Al lo guardò sorpreso. “Sul serio?”
Si strinse nelle spalle: le persone di cui aveva stima e amava già lo sapevano. Suo padre non era un idiota, e gli aveva fatto digerire cose in prospettiva molto peggiori.
“Non vedo l’ora di molestarti di fronte a zio Ron e farmi dare dell’incestuoso bastardo dalla Prozia Muriel.”
Al gli sorrise radioso. “Non siamo davvero cugini.”
“Se lo fossimo stati per me non sarebbe cambiato nulla.”
“Tom!” Gli diede una manata sul petto, scostandosi scandalizzato. “Che schifo, sul serio!”
“Perché?” Lo riportò sopra di sé, dove doveva stare. “In qualsiasi universo, sesso, forma o epoca sceglierei te.”
È evidente che ne hai saltata una visti i risultanti, ma hai rimediato.
L’altro scosse la testa. “Romantico … ed incredibilmente disturbato.”
Gli sorrise di rimando. “Sono proprio io.”


Lo lasciò con la promessa che avrebbe cercato di tornare a casa il prima possibile. “Non manca molto.” Si stiracchiò. “Sam dice che siamo vicini, e anche se sono solo muscoli con un mestolo in mano, lo credo anch’io.”
“Non esagerare.” Gli raccomandò inutilmente. Si chinò a prendersi l’ultimo bacio. “Tornerò con altre provviste.”
“E altri abbracci.”
“Se non si può avere altro…”
Gli venne rifilato uno schiaffo sulla spalla. Guardò Al rientrare e per un momento percepì l’ombra di esser tagliato fuori.
Passò subito però: l’odore del laboratorio era davvero rivoltante.
E ho fatto quel che dovevo.  
Si incamminò, passando il tipo delle pulizie che continuava a sonnecchiare.
Avrà la mia età ed è inutile persino per un lavoro come questo.
Scommetto che era di Tassorosso.
Contento di quel pensiero si diresse verso le scale; non si accorse che un paio d’occhi continuarono a seguirlo dietro una cappellino abbassato.
 
 
****
 
 
Mare del Nord, Nurmengard.
 
“Siamo qui per prelevare la prigioniera quarantasei.”
Sören osservava, nient’altro. Il suo ruolo da recitare era infatti fare da ruota di scorta ai tre auror che erano venuti a prelevare Sophia Von Hohenheim in attesa del grande colpo di scena.
Mia madre.
Non si sarebbe mai abituato a vederla muovere, parlare e in generale a vederla viva.
Per fortuna non dovrò farlo. Quando sarà tutto finito, non dovrò più preoccuparmene.
La guardia carceraria prese le bolle di consegna, colme di ceralacca e firme, e le esaminò con attenziona solerte. “Aspettate qui.” Disse prima di chiudere la grata con uno scatto secco.
Dovendo stazionare in corridoio in attesa della strega, osservò le spalle fasciate di rosso di Malfoy tanto per impegnare lo sguardo: Scorpius stava chiacchierando amabilmente di gioie e dolori della vita coniugale.
Ammirava la sua capacità di pensare a tutt’altro persino in una situazione tesa come quella.
“E tu, Prince?” Lo apostrofò. “Hai mai pensato al grande passo?”
Grande passo? … Ah, certo.
“No.” Scosse la testa guardandosi attorno: fuori dalle finestre, feritoie più che altro, il mare si stagliava come una lastra di acciaio increspata da onde sottili come ali di gabbiano.
Guardare il mare lo rilassava sempre.
“Sembra però il pensiero fisso di voi inglesi.” Motteggiò perché intuitiva che l’amico stava tentando di coinvolgerlo nella conversazione.
Scorpius infatti si aprì in un sorriso a trentadue denti. “Ehi, che c’è di male a credere nell’amore?”
“L’amore non si declina solo in un contratto davanti ad un ufficiale.”
“Ma è un coronamento!”
“Per il momento mi accontento di avere al mio fianco una strega straordinaria.” Commentò dismissivo. Anche perché se avesse proposto a quell’anima libera di Lily una catena del genere avrebbe sicuramente rischiato di farla scappare a gambe levate.
Per quel che aveva inteso, la sua piccola inglese supportava il matrimonio in tutte le sue forme e declinazioni, ma non era intenzionata a partecipare come protagonista.
Come darle torto, con la famiglia che si ritrova dovrebbe gestire un circo, non una cerimonia.
“Già, non stai con la figlia del capo?” Si intromise uno dei due auror, un tipo muscoloso e compatto alla James Potter. “Che culo!” Commentò.
“Ti ringrazio.” Recitò compito, per niente contento di quello strambo complimento.
“A scuola era una tipa un po’ allegra, ma poi si è data una calmata. Ma ehi, se l’avesse fatto del tutto sarebbe un peccato, no?” Continuò cercando forse la sua maschia approvazione. “Tipe così sono selvagge.”
Sören osservò l’espressione contrariata di Malfoy, ma fu lesto ad intervenire di persona. Era suo dovere. “Se per allegra intendi di indole, certo. Lo è ancora.”
“Ma no, volevo dire…”
“Immagino benissimo, ma ti consiglio di non continuare.” Perse il poco sorriso che aveva approntato per mostrarsi amichevole. “Trovo profondamente ipocrita, oltre che offensivo, che un mago possa apostrofare una strega come facile di costumi quando tutto ciò che si limita a fare è avere la stessa libertà emotiva concessa ad un uomo.”
L’altro auror battè le palpebre confuso mentre Malfoy, che l’aveva capito perché era abituato ad eloqui peggiori a casa sua, ridacchiò sotto i baffi. “Non volevo mica offenderla!” Si difese. “Solo farti i complimenti per essere riuscito ad acchiappartela!”
“Non ho acchiappato niente, non è stata una caccia. Ci siamo scelti.” E con questo concluse la conversazione, spostandosi dall’altro lato per guardare fuori dalla finestra.  
Ho esagerato?
Scorpius lo raggiunse. “Ehi, non ti facevo un femminista!”
“Non so cosa sia.” Scrollò le spalle. “Ho solo detto ciò che penso.”
“Beh, mi sei piaciuto! E si capisce perché la piccola Potter abbia scelto te.”
Sorrise suo malgrado. “Perché sono un femminista?”
Scorpius gli battè una pacca sulla spalla. “Perché sei un gran essere umano.”
Fece per risponderle, perlomeno ringraziarlo di avergli detto le parole giuste, perché una cosa del genere aveva davvero bisogno di sentirla in quel momento, quando la porta si aprì. “La prigioniera è pronta.” Disse una guardia, diversa da quella alla grata. Era il ragazzo che aveva fatto girare Lily per metà prigione, ricordò. Wallace?
Anche l’altro parve riconoscerlo perché abbassò lo sguardo come se fosse stato colto in flagrante.
Di esserti fatto abbindolare dalla mia ragazza? Non sei il primo.
Avrebbe provato simpatia per lui se non fosse stato tanto concentrato a non prendere a pugni qualcosa. Sua madre gli stava di fronte, nel corridoio, ammanettata e con il mantello drappeggiato addosso: neppure la prigione era riuscita a toglierle quella patina da dama Purosangue.
Si scambiarono uno sguardo, ma Sophia non aprì bocca, neppure per salutarlo. Guardò invece la sua uniforme.
Già. Il simbolo dell’oppressione.
Doveva ricordarsi come si era sentito quando l’avevano portato via dal castello di suo zio, forzandolo a toccare una Passaporta come se non avesse avuto volontà propria. Sarebbe stato più facile entrare nel personaggio del Giuda.
Posso riuscirci.
 
 
Scorpius aiutò Sophia Von Hohenheim a salire sulla carrozza-cella che l’avrebbe portata fino al Ministero.
Che dovrebbe.
Il piano era tutto un altro, anche se doveva concentrarsi nel far sembrare quel trasferimento una routine ben oliata. La donna gli rivolse un’occhiata sorpresa quando lo vide porgerle la mano per salire sul predellino. “Sei un Purosangue?” Lo apostrofò con lo stesso accento di Sören.
Uuuh, straniante. Hanno la stessa voce!
“Sissignora.” Convenne perché a domanda si rispondeva sempre, specie se la strega in questione si muoveva e parlava come un incrocio tra sua nonna e l’amico.
“Un Purosangue che fa un lavoro del genere … curioso.”
Scorpius serrò le labbra, punto sul vivo come ogni volta qualcuno gli faceva notare che poteva aspirare a ben altro che essere una testa di bacchetta.
Peccato che mi piaccia, essere una testa di bacchetta.
“Ad alcuni di noi piace rendersi utili.” Tagliò corto salendo dietro di lei e accomodandolesi accanto. La carrozza-cella non differiva da una normale carozza ad eccezione della comodità. Niente cuscini, niente sedili imbottiti, solo pareti rinforzate da Barriere Anti-Evasione e sbarre di ferro ai finestrini.
Sören lo imitò, sedendosi dall’altro lato. Non aveva ancora aperto bocca ed era così infossato in sé stesso che non ebbe il coraggio di rivolgergli la parola.
Come riesce a non impazzire sapendo che potrebbe rischiare la vita e la reputazione in un colpo solo non lo so.
Scorpius non si illudeva di essere coraggioso. La lucidità necessaria a non avere paura era una cosa che tirava fuori solo in momenti disperati, e a volte era solo un atteggiamento.
Sören invece di coraggio ne aveva da vendere. La postura era rilassata, gli occhi attenti, simile a Artiglio quando era a caccia.
Sembra più tranquillo adesso che quando è fuori dall’uniforme.
Prince pareva perennemente sulla punta di una sedia inesistente quando era nel mondo civile.  
È proprio un soldato nell’anima.
Non come lui, che si nascondeva dietro un cumulo di chiacchiere e battute.
Rose quella mattina infatti l’aveva sgamato subito.
 
“I piani di mio zio, per quanto sembrino deliranti, funzionano.” Lo aveva rassicurato mentre lo aiutava a cercare vari pezzi di uniforme pulita: vivere in maniera ordinata senza Calzino era difficile e sperava davvero che Rose convincesse i suoi genitori – Hermione specialmente - a lasciarglielo tenere anche una volta sposati.
“Ehi, ne ho mai dubitato?” Chiese un po’ sterilmente perché sì, l’aveva fatto, eccome. Ad essere onesto, dubitava di tutti i piani che gli Potter-Weasley architettavano.
Sono un branco di pazzi. Ottimi amici, grandiosi compagni di avventure …ma pazzi.
L’altra gli passò la camicia, rassettando la piega con un colpo di bacchetta: per motivi che gli aveva solo vagamente spiegato aveva deciso di rimanere a casa quella mattina. “Qualsiasi mago sano di mente mettere in dubbio le idee di mio zio Harry.”  
“Uhm.”
“Ma andrà tutto bene. La fortuna assiste gli audaci, no?” Gli aveva sorriso, morbida, accogliente e con una strana aura luminosa che ultimamente aveva e che non riusciva bene a piazzare.

Non che si lamentasse, il sesso era grandioso.
“Ti vedo stranamente fiduciosa dell’intera operazione.” Aveva osservato abbottonandosi la camicia probabilmente tutta storta, dato che la compagna lo fermò per continuare l’operazione al posto suo.
“Sono preoccupata.” Aveva scosso la testa. “Come sono preoccupata ogni volta che tu, papà o qualsiasi altro membro della mia famiglia decide di salvare il mondo. Devo cominciare ad abituarmi suppongo.”
“Atteggiamento positivo.” Aveva fischiato ammirato. “Okay, che hai fatto della mia pallocchetta?”
Rose aveva ridacchiato andando a prendergli la giacca dove mai avrebbe guardato, cioè tra i suoi cappotti. Come ci riusciva?
Le donne sanno sempre dove sono le cose. Magia.
Magia universale.
“Sono il suo clone malvagio.” Aveva replicato. “Vi stiamo sostituendo tutti, uno per volta. Arrendetevi, o sarete assimilati.”
“No, Rosie, è
voi sarete assimilati, la resistenza è inutile!”
L’altra aveva roteato gli occhi al cielo. “Passi decisamente troppo tempo con Hugo e la sua videoteca.”
“La fantascienza è il fantasy dei maghi!”
“Sto per sposare un nerd.” Gli aveva dato un bacio a stampo, accarezzandogli il tatuaggio sul collo, cosa che lo rendeva più o meno collaborativo come Donnola quando gli si grattava la pancia. Aveva mugolato soddisfatto, prendendola tra le braccia: un’ora ancora, prima di attaccare al lavoro e farsi tirare dentro Il Grande Piano.
Sfruttiamola al meglio.
“Siamo due sgobboni, fiorellino.” Le aveva fatto notare coinvolgendola in un passo di valzer estemporaneo che l’aveva fatta ridere e oh, se amava farla ridere!
Mai piangere. Tutta la mia vita sarà votata a non farti piangere.
L’amava tanto ed era terrorizzato e Rose l’aveva capito, perché lei capiva sempre tutto: infatti gli aveva preso il viso tra le mani guardandolo con quel suo meravigliosi occhi cioccolato. “Malfoy, sai perché sono tranquilla?” L’aveva vista esitare per un attimo, per poi scuotere la testa. “Per una cosa che ti dirò quando sei tornato …” Gli sorrise di nuovo. “E perché so che farai di tutto per tornare indietro intero e rompiscatole.”
“Abbiamo un matrimonio da celebrare!” Convenne.
“Anche.” Confermò passandogli le dita tra i capelli.
“Anche?”
Rose si era bloccata, un’espressione di comico imbarazzo dipinto sul volto. “Soprattutto.” Aveva detto un po’ troppo veloce.
“Rosellina? Sta succedendo qualcosa che non…” Non gli diede il tempo di dire altro perché praticamente lo buttò sul letto e gli salì a cavalcioni.

“Parlare o altro?” Gli aveva chiesto con quell’espressione che l’aveva fatto fesso anni prima, quando pensava di avere a che fare con una palletta di insicurezze.
E invece no. Quando una rosellina sboccia, sboccia sul serio.
“Altro!”
 
 
Insomma, mi sono fatto corrompere con del sesso.
Non che gli dispiacesse, beninteso, ma era evidente che Rose gli stesse tenendo nascosto qualcosa.
Forse non voleva dirmelo oggi. Non è il giorno giusto in effetti.
Guardò fuori dal finestrino. Il cielo era terso, neppure una nuvola: avrebbero potuto avvistare John Doe a qualsiasi distanza.
Anche se il punto, credo, è proprio aiutarlo a farla franca.
Scoccò un’occhiata a Sören che pareva lontano miglia. Non lo era affatto, era tutta una scena. Gli altri due auror sembravano invece in assetto da guerra.
Qualcuno non sa entrare nella parte.
Non aveva molta importanza: Sophia Von Hohenheim sembrava distratta quanto suo figlio.
Certo che non si assomigliano proprio.
Neanche lui assomigliava a sua madre Astoria, tutta colori caldi e pelle ambrata, ma lì era una distanza totale. Erano seduti accanto, il gomito di Sören sfiorava l’avambraccio della donna, eppure …
È come se fossero due estranei in ascensore.
Pesante.
Così avrebbe commentato James e si sentiva di sposare a pieno quel pensiero.
Mi manchi, Potty.
Per un’altra oretta non accadde nulla, tanto che Wilkins cominciò ad appisolarsi contro la spalla del Sergente Stump, salvo venir svegliato da una marziale gomitata. Scorpius, con i nervi a fior di pelle quanto annoiato, diede un’occhiata fuori dal finestrino. Da lontano vide una carrozza e la mano gli andò alla bacchetta, salvo rilassarsi. Notando il cenno interrogativo del Sergente scosse la testa. “È solo un’altra carrozza-cella. Sta andando ad Azkaban.”
Distolse lo sguardo e fece aderire le spalle contro le pareti della cella. Non stava succedendo niente: possibile che i grandi capi avessero sbagliato? Che in realtà John Doe non aveva nessun interesse nel recuperare la propria compagna?
Sbirciò l’espressione della suddetta: pareva rassegnata al suo destino di prigioniera e non mostrava segni di impazienza o attesa.
Se si fossero sbagliati quella sarebbe stata l’ennesima occasione buttata al vento per catturare Doe e ritrovare le persone che aveva rapito.
E poi Sophia Von Hohenheim parlò.
“Attento a cosa desideri.”
… cosa? Mi ha letto…
Mi ha letto nella testa?
Non fece in tempo a formulare quella domanda – che per Merlino, cambiava tutto! – che un urto spaventoso li scagliò tutti da un lato, in un intreccio di gambe, braccia e bacchette.
La strega no. Era rimasta seduta al suo posto come Sören, ma con una sostanziale differenza: mentre il primo era riuscito a non rovinare a terra grazie ai propri riflessi da veterano, la seconda si era aggrappata al sedile di metallo con forza.
Se lo aspettava!
Poi, un esplosione. Scorpius si coprì la testa mentre la parete opposta alla loro veniva aperta come una scatola di sardine. La carozza era abbastanza grande da ospitare cinque persone sedute. E due in piedi, che piombarono con un salto dall’altra carrozza, quella che in teoria sarebbe dovuta andare ad Azkaban e che invece li aveva appena speronati.
Il Sergente fu la prima a reagire, saltando in piedi e brandendo la bacchetta: Sören, come la parte pretendeva, rimase invece al suo posto.
Merda, fa un certo effetto.
Affiancò l’altro auror, ma non riuscì a fare un passo in più. Perché vide chi erano i due scagnozzi di Doe.
O meglio, cosa erano. Occhi bianchi, espressione assente, vene in rilievo sul collo ed espressione da tori incazzati.
Infetti!
Infetti che eseguivano gli ordini, dato che uno dei due tese la mano alla Von Hohenheim come a volerla invitare a seguirlo: la strega ebbe un attimo di incertezza, prima di prenderla come se avesse appena acconsentito ad un giro di valzer.
… hanno trovato la cura?
Perché non sembra, ma … Che cazzo sta succedendo?!

“Fermatevi!” Gridò il Sergente, ripresosi dallo shock. “In nome del Ministero della Ma…”
Non gli diedero il tempo di finire: uno dei due Infetti scagliò un incantesimo non-verbale che congelò la strega sul posto. Letteralmente.
“Sergente!” Gridò Wilkins pronto a dar battaglia in piena crisi sucidida. Scorpius lo afferrò per le braccia.
“Fermo!”
Sören non può aiutarci. Noi non possiamo farli fuori. Ma gli Infetti faranno fuori noi se proviamo a restituirgli il favore.
Non possiamo combatterli, ma non possiamo neanche stare con le mani in mano.
Sospetto. Troppo sospetto.
Dovevano buttarne almeno giù uno, senza morire nel processo.
Pensa, Malfoy, pensa.

Buttarlo giù. Ma certo!
Everte Statim!” Scagliò l’incantesimo contro il più grosso di due, che si preparò a pararlo. Parò, ma al tempo stesso rinculò indietro, verso lo squarcio e quindi verso il vuoto.
Scorpius frenò un urlo di trionfo quando lo vide precipitare in mare. L’altro non parve turbato dalla scomparsa del compagno. Non parve neanche percepirla.
Un attimo …
Invece si voltò verso la Von Hohenheim, e come una marionetta addestrata le tese nuovamente la mano come prima aveva fatto il compagno.
Imperio. Sono sotto Imperio, ecco perché seguono gli ordini!
Doe non aveva trovato una cura al Demiurgo, non li aveva fatti tornare in sé. Aveva solo messo una pezza.
Instabile per giunta. È una maledizione potente, ma questa gente è tutto fuorchè un mago normale.
Si scambiò un’occhiata con Sören: non c’era tempo per seguire il piano, considerando anche che Doe non pareva della partita. Se era nell’altra carozza, non aveva intenzione di palesarsi.
Improvvisare.
“Vuoi tornare da Johannes?” Sören si rivolse alla madre con espressione neutra. “Passerai da una gabbia ad un'altra.”
“Almeno con lui è gradevole.” Gli venne risposto. “Non costringermi ad ordinargli di fermarti, Sören. Non voglio che ti facciano del male.”
Scorpius non aveva mai conosciuto Sören prima che diventasse Prince. Quando era un Von Hohenheim. Per questo il sorriso che gli vide dipingersi sul volto gli fece venire i brividi.
Era però il segnale convenuto. La recita aveva raggiunto il suo culmine. Si scambiò un cenno di intesa con Wilkins. “Basta così! Sophia, ordini a quella … cosa … di arrendersi o saremo costretti ad usare la forza!” Gridò impersonando piuttosto bene James Potter. Era il genere di tipo che non avrebbe capito un accidente dell’atmosfera.
Con tutto il bene che ti voglio Potty, eh.
“Avete sentito? Non gli importa se diventerete un danno collaterale.” Disse Sören alzandosi in piedi. “Preferirebbero vedervi morta che concedere un’altra vittoria a Doe. A proposito, non lo vedo. Perché non è venuto a prendervi?”
La strega lo contemplò guardinga: era chiaro che si stesse chiedendo perché il figlio non avesse ancora alzato la bacchetta contro di lei.
Forse dopotutto non è una Legimante …
Ma Sören era un Occlumante: e se aveva anche solo metà del cervello che pareva avere, si era chiuso nel momento in cui l’altra aveva fatto quella battuta da veggente.
“Johan mi aspetta, Sören, che tu voglia o meno. Non tornerò ad Azkaban, non rimarrò nelle mani del Ministero Inglese un giorno di più.”
Sören scosse la testa. “Non avete capito, Madre. Non ho intenzione di fermarvi…” Dannazione, se era entrato nella parte. Faceva paura. “Ho intenzione di seguirvi.”
E quando si voltò verso lui e Wilkins aveva lo sguardo vuoto di chi si preparava ad uccidere. Scorpius levò la bacchetta, ma non potè fare a meno di chiudere gli occhi.
“Avada…”
No, un attimo, cosa?!
“Kadavra!”
Lampo verde, sfondo nero. Sipario.
 
 
****
 
 
Londra, Mayfair, Casa di Hermione & Ron Weasley.
Notte.
 
Rose era immersa in un sonno profondo quando si sentì scuotere per una spalla. Aprì gli occhi di scatto: sonno leggero.
Cos’altro potrebbe essere se Scorpius è fuori in missione?
Era sua madre, in vestaglia e capelli selvaggi – non passava giorni che non ringraziava Merlino di non averli ereditati. “Rosie, alzati tesoro.”
“… Che succede?” Niente, giusto? Sua madre la faceva alzare nel cuore della notte perché voleva che le scaldasse del latte o la aiutasse con della roba di lavoro, no?
Certo. La mamma. Che persino con quaranta di febbre si mette a fare le pulizie.
“Scorpius…”  
“Cos’è successo a Scorpius?” Fu sveglia di colpo, le coperte attorcigliate alla gambe e il cuore a mille.
Sua madre scosse la testa. “Papà mi ha chiamato dall’Ufficio Auror, e sai com’è nello spiegare le cose quand’è occupato a far altro. Mi ha detto che l’hanno portato al San Mungo.”
“Sta bene?”
“Tesoro…”
Non le diede il tempo di ribattere, uscendo fuori dal letto con il rischio di rompersi l’osso del collo. Rallentò solo perché infortunarsi con un fagiolino in arrivo era una pessima idea.
Sua madre ebbe il buonsenso di lasciarla ai preparativi, ritirandosi in camera propria, dove la sentì fare lo stesso. Era una fortuna che Hugo vivesse da solo o con quel trambusto l’avrebbero certamente svegliato.
Mezz’ora dopo erano davanti al vecchio magazzino-aka-ospedale.  
Calmati. Scorpius sta bene o papà te l’avrebbe detto.
Dannazione papà, perché dici sempre le cose a metà?!
All’accetazione trovarono la solita maginfermiera che non aveva una particolare vocazione al rapporto umano.
Ce ne sono altre poi?
Fu sua madre a prendere la parola. “Cerchiamo Scorpius Malfoy, ci hanno detto che è stato ricoverato.”
La donna non alzò gli occhi dal lavoro a maglia su cui stava alacremente lavorando. “Siete familiari?”
“Sono la sua fidanzata!” Si intromise.
“Quindi no.” Tagliò corto la strega. “Le visite ai pazienti iniziano dalle undici di domattina.”
Sua madre la fermò prima che potesse Affatturare la stronza. “Grazie per l’informazione.” Disse gelida prima di tirarla via.  
“Voglio vederlo!” Si rendeva conto di comportarsi come una pazza, ma non le importava.
Non gliel’ho detto! L’ho lasciato partire e non gliel’ho detto!
Avevano un fagiolino in comune, un figlio e lei aveva avuto la brillante idea di far partire il suo uomo per una missione ad alto rischio senza informarlo della cosa.
Aveva fatto un orribile errore di valutazione.
Se gli succede qualcosa, se è stato Infettato, se…
Rose.” Stavolta il tono di sua madre le ricordò perché da bambina non aveva mai conosciuto al parola ‘disobbedienza’. Le mise le mani sulle spalle, e nonostante l’aria severa tentò un sorriso. “Me ne occupo io.”
“Ma le regole…”
“Al diavolo le regole.” Ribattè pacata lasciandola con un palmo di naso.
Al diavolo le…
Mamma?
Era troppo stravolta per aver la forza di ribattere, quindi rimase ferma a guardare la genitrice che parlava a bassa voce con la maginfermiera, la cui espressione mutò da irritata a preoccupata nel giro di una manciata di attimi.
Che le sta dicendo? La sta ... minacciando?
Probabilmente da come la strega si affrettò a rispondere all’ultima domanda; sua madre tornò indietro con l’espressione di chi aveva appena vinto una causa. “Quando le persone esercitano il poco di autorità che hanno per gratificare il loro ego e a discapito altrui, è buona norma rimetterle al loro posto. Ricordatelo sempre Rosie.”
“Uh… okay. Me lo segno. Grazie mamma.” Non sarebbe mai arrivata a sondare l’abisso di epicità che Hermione Granger in Weasley poteva raggiungere quando si sentiva toccata nei suoi personali valori morali. “Scorpius?”
“A Lesioni, ma non è in Terapia D’Urgenza.” Si affrettò ad aggiungere. “Possiamo andare da lui.”
Presero l’ascesore senza scambiarsi un’altra parola. Sua madre però continuava ad osservarla perché aveva capito.
“Se fossimo stati sposati non avresti avuto bisogno di bullizzare quella scema.” Si sfogò infine.
“Vero.” Confermò con un cenno della testa. “Bisognerebbe fare qualcosa per questa politica idiota delle visite urgenti ristrette ai soli consanguinei. Potremo…”
Smise di ascoltarla, perché non era dell’umore per assecondare un’ennesima crociata materna – per quanto giusta.
Perché non gliel’ho detto?
Non avrebbe fatto più l’errore di aspettare.
In corridoio contò suo padre, altri due auror che conosceva di vista – e Lord Malfoy. Se ne stavano ai lati opposti e se avessero potuto ergere un muro l’avrebbero fatto. “Scorpius!” Sbraitò in direzione di entrambi. Non le importava di sembrare una sciroccata vestita solo del proprio mantello, di una maglietta delle Stravagarie e i pantaloni del pigiama.
“Rosie, piccola, guarda che sta bene…” Iniziò suo padre e l’avrebbe strangolato.
Ora me lo dici?!
“Ha bisogno di riposo.” Argomentò Lord Malfoy squadrandola da capo a piedi come se si fosse appena rotolata in un cassonetto dell’immondizia. “Domani mattina…”
“Sono incinta.” Lo seccò senza mezzi termini mentre spingeva la porta della stanza.
E vaffanculo.
Scorpius era in compagnia di sua madre. Ed era seduto sul letto, e parlava, sorrideva. Stava bene.
Promemoria: uccidere papà o insegnargli a dare le informazioni giuste al telefono.
“Rosie!” La salutò e a guardarlo bene non aveva una bella cera: aveva una coperta sulle spalle, l’aria di un topo affogato e miserabile.
Non l’aveva mai amato così tanto.
Gli si gettò tra le braccia in un turbinio di mantello, pigiama e … non ricordava se ai piedi avesse le ciabatte o un paio di scarpe da ginnastica.
Chissenefrega.
Scorpius ricambiò l’abbraccio con una mezza risata. “Ti sono mancato così tanto?”
“Mio padre si è scordato di dirmi come stavi.” Bofonchiò contro la stoffa rigida e salata della sua uniforme.
Si è fatto il bagno in mare?
“… tuo padre è un cretino.” Lo sentì sospirare mentre le accarezzava i capelli. “Mamma, per cortesia, puoi andare a riferirgli che è un cretino e che non si spaventa così la mia dolce caramellina piena d’ansia?”
“Vado a prendere una tazza di the per entrambi, certo.” Convenne Lady Astoria, perché era una delle poche che riusciva a decifrare il linguaggio di quell’assurda testa bionda senza sforzo.
Quando furono soli, Scorpius continuò a cullarla ed ignorare il moccio che gli stava di certo imbrattando la spalla. “È tutto okay.” La rassicurò. “Il piano è andato un po’ fuori controllo e sono finito a fare il bagno nell’oceano, tra le varie … ma è tutto okay. Cioè, lo sarà.” La voce si fece incerta. “Sono sicuro che lo sarà.”
Avrebbe dovuto chiedere di Sören, e se il piano era andato in porto, ma francamente non gliene importava nulla. Non in quel momento, non avvolta nell’abbraccio del suo raggio di sole personale.
Provate a vivere con la prospettiva di stare senza sole.
La mezz’ora più schifosa della mia vita.
Intanto Scorpius ritenne doveroso spiegarle la situazione. “Prince si è fatto portare via in qualche modo, anche se forse sua madre è una Legimante, quindi potrebbe essere potenzialmente nella merda. Ora dobbiamo solo aspettare, cioè, gli altri devono aspettare, tuo padre mi ha esonerato fino a…”
“Sono incinta.”  
Era l’unica cosa che aveva in mente, l’unica che riusciva a dire.
Ci fu un momento di lunghissimo silenzio, e Rose si arrischiò ad alzare lo sguardo.
Scorpius la stava guardando con la bocca aperta e gli occhi sgranati.
L’ho rotto?
“Sei…” La voce che gli uscì era un ottava più alta ma, da sciocco maschio qual’era, fu lesto a bloccarla. “Sei?” Domandò sbattendo le palpebre con un Gufo.
Sorrise. Finalmente si permise un sorriso. “Sono.” Confermò.
“Sei.” La sciolse dall’abbraccio e scese dal letto prendendo a passeggiare. Non se ne preoccupò, Scorpius era iperattivo: una notizia del genere non avrebbe mai potuta processarla da fermo. “Sei.” Ripetè come un disco rotto passandosi una mano tra i capelli. E di colpo un larghissimo sorriso gli si allargò sulla faccia. “Incinta!”
“Sì!” Confermò lasciandosi andare ad una risata. Perché il suo Malfoy le stava di fronte eccitato come un bambino di fronte ad uno stuolo di regali e non era morto senza sapere di essere padre.
Grazie Merlino, Morgana, Faust e anche Dio, per sicurezza.
“Posso…” Esitò e stava letteralmente trattenendosi dal saltellare, perché era un grosso scemo che tramutava la gioia in energia. “Credi che faccia male al bambino se ti prendo in braccio e do di matto?”
“Se non mi fai cadere non dovrebbero esserci problemi, Malfoy.”
Venne così conseguentemente presa tra le braccia e fatta girare come una trottola con un urlo di trionfo da parte del matto. Lo fece smettere solo baciandolo. “Sveglierai tutto il reparto!”
“Chissenefrega, è il giorno più felice della mia vita!” Esclamò guardandola … beh, come la guardava sempre, facendola sentire amata e speciale, ma c’era anche altro.
Sono la madre di suo figlio, stronze. Ormai non c’è più speranza per nessuna.
“Guarda che sei appena stato ripescato dall’Oceano…” Gli fece notare. “Difficilmente questo si classifica come giorno migliore della tua vita.
“E quindi? Quello è lavoro, questi siamo noi due.” La mise giù con cura: probabilmente avrebbe dovuto passare nove mesi a convincerlo che non era fatta di vetro. Le guardò lo stomaco, e ci appoggiò un dito con un ghignetto. “Tre, scusa fagiolino.”
“… come sai che lo chiamo fagiolino?”
Scorpius si strinse nelle spalle. “Non lo sapevo, ma che nomignolo vuoi dare a nostro figlio, scusa?” Le strizzò l’occhio. “Le grandi menti pensano allo stesso modo.”
“O forse mi hai attaccato il tuo cattivo gusto in fatto di soprannomi.” Sospirò divertita. “A proposito, temo di essermelo fatto sfuggire davanti a tuo padre…”
“Oh.” Non parve molto turbato, anzi. Per lo strano rapporto che lo legava al genitore pareva addirittura deliziato dalla cosa. “Papà, hai sentito?!” Sbottò. “Sarai nonno!”
Un silenzio tetro accolse quell’esclamazione. Seguito poi da una robustissima imprecazione di suo padre.
“È al settimo cielo.” Le assicurò. “Piuttosto, tu l’avevi detto al tuo?”
“No, l’hai fatto tu.” Si strinse nelle spalle, perché erano due figli orribili.
Speriamo di cavarcela meglio come genitori.
“Tra poco ce li troveremo tra i piedi ad urlare.” Osservò grattandosi sconsolato la nuca.
Ovviamente.
“Ho una proposta.” Disse quindi.
“Smaterializzarci via di qui e andare a letto?” La guardò speranzoso. “Potremo barricarci nella casa nuova. Se arieggiamo non dovremmo essere uccisi dai fumi tossici della pittura fresca.”
“No, sposiamoci.”
Scorpius la guardò perplesso. “Credo che quella parte sia già stata coperta. Ti ricordi? La mia proposta, l’addio al celibato… Gli inviti, il matrimonio alla Tana programmato a Settembre?”
“Intendo adesso. Stanotte.” E non era mai stata tanto convinta di qualcosa come in quel momento. Era stanca di aspettare: l’approvazione dei suoi genitori, che gli inviti fossero recapitati, la scelta del buffet, gli stramaledetti step che la società imponeva.
Non voglio più che qualcuno mi dica di aspettare l’orario di visita.
“… Adesso?” Scorpius aggrottò le sopracciglia. “Ma pensavo volessi…”
“Aspettare che tutti siano pronti, d’accordo o presenti? Non me ne importa più. Non voglio più aspettare che sia opportuno o di buon gusto. Si tratta di noi tre. Dopotutto, mi hai già messa incinta, no? Stiamo già sguazzando nella disapprovazione generale.”
Scorpius la contemplò esilarato: un altro mago gli avrebbe dato della folle, ma lei se l’era scelto bene. “Te lo devo proprio dire, Weasley … passeranno cent’anni e saremo vecchi e grigi, e sarai ancora in grado di lasciarmi di stucco.”
Gli diede una spintarella giocosa. “All’ultimo piano c’è una cappella e mamma può tirare giù dal letto il Ministro in persona se ci si mette. Che ne dici Malfoy, ci stai?”
“Al cento per cento.” Ghignò allegro. “Per Merlino, sono mesi che ti dico che dovremmo scappare a Las Vegas e metterci un anello al dito una volta per tutte! Ero serio!”
Prese il braccio che l’altro le offriva. “Allora andiamo a dare la lieta notizia ai nostri genitori.” Ci pensò su. “La doppia lieta notizia.”
“Spero che tuo padre abbia un infarto.”
“Scorpius!”
“Piccolino, non mortale…” Si corresse. “Sei sicura?” Le chiese di nuovo. “So che vorresti ci fossero i tuoi cugini, Al … e Violet probabilmente mi ucciderà quando scoprirà che sono convolato a giuste nozze senza di lei.” Sbuffò. “È peggio di una sorella gelosa.”
“Faremo una cerimonia anche per il resto del clan, non pensare di poter scappare.” Lo rassicurò. “Ma stasera voglio che sia solo per noi. Dobbiamo festeggiare.”
“Di essere vivi?”
“Tra le varie, sì.”
“Che c’è di meglio di un matrimonio?” Convenne aprendo la porta. “Ehi gente, buone notizie!”
 
****
 



Note:

Azione e fluff finale. La mia ricetta preferita!
Forse per Natale riesco a finire (ahahahahah). No, dai, ci provo.
Questa la canzone del capitolo.
  
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