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Autore: Lucy Farinelli    15/02/2009    6 recensioni
Per Alice e Jasper è il primo S. Valentino a casa Cullen, ma Jasper ha ancora qualche problemino di... “integrazione”. La strada, ovviamente, è ancora lunga per lui, però, nel frattempo, a qualcosa si può rimediare.
Prima classificata al contest “S. Valentino story contest on Twilight” indetto da Kikyo90
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BE MY FAMILY OR NOT

Sono nato nell’odio e cresciuto nella rabbia. La mia vita è cominciata solo quando l’ho incontrata.

“Jasper!” trillò Alice entrando in biblioteca.
Seduto in poltrona, alzai la testa dal libro che tenevo tra le mani e la guardai.
“Sì?”
“Vuole che la accompagni… a fare shopping,” borbottò Edward, completamente disteso sul divano. L’immagine stessa del relax.
“Grazie, Edward,” lo rimbeccò Alice, seccata. Le aveva appena rovinato l’effetto sorpresa.
Si avvicinò con un grazioso movimento e io le feci posto sul bracciolo. Alice sedette e mi passò una mano tra i capelli, lasciando sparire la seccatura sotto una ventata di amore e tenerezza. Edward ridacchiò sotto i baffi e si voltò di pancia per guardarci.
“Che succede?” domandai, alternando lo sguardo tra loro due.
Non ero abituato a vederli comunicare così. Nemmeno il resto della famiglia Cullen ci era abituato, a dire il vero.
“Niente.” Alice sventolò una mano. “Usciamo a fare shopping? Mi sto annoiando?”
Guardai fuori dalla finestra: eravamo a febbraio e l’acqua, quel pomeriggio, veniva giù a catinelle.
“Va bene.”
Chiusi il libro e mi alzai, aspettando che Alice mi precedesse fuori come al solito. Ma lei e Edward si stavano fissando come predatori, gli occhi ridotti a fessure e un mezzo ghigno dipinto sulle labbra di entrambi.
“Non parlerò, lo sai,” le stava dicendo Edward.
“Riesco ancora a vedere l’altra opzione,” ribattè Alice.
“Solo per scherzo.” Edward chiuse gli occhi e li riaprì. “Ecco. Soddisfatta, adesso?”
“Più o meno.”
Alice si alzò e lanciò un’ultima occhiata di ammonimento a Edward prima di prendermi per mano e condurmi fuori. Chiuse la porta alle nostre spalle e continuò a camminare lungo il corridoio, ma fu costretta a fermarsi quando io mi bloccai dietro di lei, il braccio teso e le nostre mani ancora intrecciate.
“Jazz…?”
“Che succede, Alice?”
Un’ondata di tenerezza e senso di protezione.
“Perdonami,” mormorò Alice, tornando indietro e abbracciandomi. “Ho la tendenza a dimenticare che non sei ancora abituato a tutto questo come lo sono io.”
Le posai un bacio sulla testa.
“Siamo qui da meno di un anno. Vedrai che mi abituerò presto,” la rassicurai.
“Lo so. L’ho visto.” Alice alzò la testa e mi sorrise. “Comunque, volevo comperare un regalo per l’anniversario di Esme e Carlisle e non volevo che Edward spifferasse tutto, rovinandomi la sorpresa.”
Annuii. “Vai a prendere la giacca. Ti aspetto di sotto.”
Alice schizzò via, rapida e aggraziata come una piccola gazzella, e io scesi al piano terra per rovistare nel guardaroba, alla ricerca del mio cappotto. Mentre ero ancora lì dentro, sentii una pacca sulle spalle.
“Ehi, Whitlock,” mi salutò Emmett. “Stasera c’è la finale in TV. Sei pronto?”
“Certamente.”
Mi tese la mano e ci scambiammo il cinque.
“Senti,” abbassò la voce con fare cospiratorio. “Cinquanta bigliettoni che vinceranno i – “
“Non farlo, Jazz,” ci interruppe Alice. “Vincerà Emmett.”
“Oh, Alice,” chiocciò Esme, uscendo dallo studio con le mani che odoravano di trementina. “Non togliere sempre tutto il divertimento al povero Emmett, non è leale.”
“Ecco, il povero Emmett,” rincarò Emmett. “Non bastava Edward a leggerci nella mente, dovevi arrivare anche tu a fare da veggente.”
Emmett le fece l’occhiolino e Alice rispose con una cordiale linguaccia. Esme ci passò accanto e si fermò a sistemarmi il colletto del cappotto con occhio critico.
“Ecco, Jasper, caro,” mormorò, spolverandomi poi spalle e petto. “Meglio così, no?”
Un’improvvisa ondata di affetto mi invase. “Sì, Esme. Grazie.”
Lei si illuminò, accarezzandomi gentilmente il viso.
“Hai le occhiaie un po’ pronunciate, tesoro,” disse con apprensione. “Se vuoi, dico a Carlisle di aspettarti, stasera quando torna dal lavoro.”
“Ancora non ce n’è bisogno, Esme,” risposi con dolcezza. “Comunque, grazie.”
Alice saltellava sul posto da mezzo minuto, ormai, così, con un sospiro divertito, mi allontanai da Esme.
“Dai, andiamo,” dissi ad Alice, lanciandole le chiavi della macchina.
Lei corse fuori ridacchiando e io la seguii con più calma.
“Divertitevi e state attenti,” mi salutò Esme.

Camminavamo lungo le vie del centro mano nella mano, fingendo di ripararci sotto i cornicioni dato che eravamo usciti senza ombrello. Eravamo fuori da meno di un’ora, ma ero già carico di borse. Ogni volta che Alice compariva con un nuovo pacchetto tra le braccia, mi accigliavo: lei non si sentiva a disagio come me nell’usare il denaro dei Cullen – dopotutto, lei contribuiva all’incremento del budget di famiglia grazie alle sue “visioni di borsa”.
Io, invece, non riuscivo a sentirmi altrettanto a mio agio nello sfruttare quelle persone che avevano già fatto tanto per noi, accogliendoci in casa come se ci conoscessero da sempre. Eravamo lì da nemmeno un anno ed Esme già mi trattava come un figlio.
Però, per quanto mi sforzassi e cercassi di farla ragionare, non riuscivo a tenerle il broncio per più di cinque minuti: Alice sapeva benissimo dell’effetto benefico che le sue emozioni avevano su di me.
Perciò continuavamo ad entrare e ad uscire dai negozi sempre più carichi. Anzi, ero io quello sempre più carico. Alice era quella sempre più su di giri. Ma non aveva importanza: non stava bene che le signore portassero borse così pesanti quando avevano un uomo al fianco.
All’improvviso, Alice inchiodò davanti alla vetrina della gioielleria e rimase a bocca aperta.
“Jazz! Quello! Quello è perfetto!”
Guardai l’oggetto indicato da Alice nella vetrina: un’elegante collana, dall’aspetto antico, con una piccola aquila d’argento come ciondolo. L’occhio dell’animale era formato da uno zaffiro blu intenso.
Mi guardò eccitatissima, come a chiedermi il permesso, e quando annuii si fiondò dentro.
“Buonasera,” la sentii salutare il negoziante con l’aria incantevole che era solita assumere quando voleva ottenere qualcosa.
Alice e il negoziante discussero poi su quali gemelli fossero più adatti per un anniversario, mentre io mi guardavo intorno, colpito da tutto quello sfavillio. Poi i miei occhi caddero sugli anelli custoditi nella teca di vetro del bancone.
“Oh, Jazz,” sospirò Alice, indicandone uno in particolare. “Non è adorabile?”
Il commesso ci lanciò lo sguardo tipico di chi la sa lunga, poi mise da parte i pacchetti per Esme e Carlisle ed estrasse l’anello indicato da Alice, posandolo sul bancone, bene in mostra nella custodia di velluto blu.
“Una treccia di platino e oro bianco,” descrisse l’uomo. “Molto semplice, ma non per questo non di classe.”
Mi chinai ad osservarlo meglio. Alice ha sempre avuto ottimi gusti, ma l’odore improvviso del sangue di quell’uomo mise in secondo piano l’anello. Mi colpì le narici e la gola più di quanto avrebbe dovuto. Alzai gli occhi e vidi la vena pulsare sul collo, proprio sopra il colletto della camicia, a pochi centimetri dalle mie labbra. Mi stavo chiedendo come e quando avrei potuto portarlo via senza farmi scoprire, quando Alice mi tirò un violento calcio negli stinchi.
“È davvero splendido, amore, ma si è fatto tardi e dobbiamo rientrare,” dissi, allontanandomi di scatto, imbarazzatissimo e a occhi bassi.
Alice guardò l’orologio e finse di inorridire.
“Accidenti, hai ragione, Jazz,” esclamò. “Siamo in tremendo ritardo.”
Il commesso rimise a posto l’anello con un sorriso complice e finì di sistemare i pacchetti nel giro di pochi secondi, che a me parvero interminabili. Finalmente, pagammo e uscimmo dal negozio il più in fretta possibile.

“Va tutto bene, Jazz,” ripetè Alice per l’ennesima volta. “Non sarebbe successo niente. Ti avrei fermato.”
Per tutta risposta, premetti ancora di più il piede sull’acceleratore della Cadillac.
“Jazz,” mi implorò Alice. “Rispondimi.”
“Mi dispiace, Alice,” borbottai con gli occhi fissi sull’asfalto bagnato. “Non sarebbe dovuto succedere. Non dopo tutto quello che i Cullen hanno fatto per noi. Non voglio costringerli a trasferirsi a causa mia.”
“Ma succederà, Jazz,” mormorò Alice con dolcezza.
Io mi girai a guardarla con il terrore negli occhi.
“È già successo loro prima che arrivassimo noi e succederà di nuovo, probabilmente. Ma nessuno te ne farà una colpa. Ti capiscono. E vogliono aiutarti.”
“Stasera andrò a caccia con Carlisle e mi scuserò di persona per il mio imperdonabile comportamento,” replicai, tornando a guardare la strada.
Alice non insistette. Appoggiò il gomito al finestrino e il mento alla mano e guardò il paesaggio per il resto del viaggio.

I regali piacquero molto, ma Carlisle apprezzò particolarmente il fatto che io mi fossi confidato con lui sull’accaduto. Cacciai molto più del necessario, rendendo i miei occhi di un mansueto ambra dorato. Ma la bestia ruggiva ancora dentro di me.
“Andrà tutto bene, Jasper,” mi assicurò Carlisle, mentre tornavamo a casa, un paio di ore prima dell’alba. “E se così non fosse, se dovessimo trasferirci, nessuno ne farà una tragedia. L’abbiamo già fatto con Emmett, una volta. E con Rosalie quando l’ho trasformata.”
Ringhiai basso. “Io non voglio creare problemi.”
“Figliolo,” Carlisle mi prese per le spalle. “Vi abbiamo accolti a braccia aperte, senza riserve. Sapevamo perfettamente a cosa saremmo andati incontro, ma non vi abbiamo allontanato. Sai cosa significa questo?”
“Che vi facevamo pena?”
Carlisle scoppiò a ridere.
“E tu dovresti saper leggere le emozioni?” mi scrollò leggermente. “Significa che vi volevamo nella famiglia. So che c’è del buono in te, Jasper, lo sento anche senza particolari doni. So cosa vuol dire cambiare per migliorarsi, perché altrimenti non si riesce a vivere con se stessi. La vera sfida non è infatti farsi accettare dagli altri – in un modo o nell’altro, qualcuno disposto a sopportarci lo si trova sempre – ma riuscire a perdonare noi stessi e riuscire ad ottenere l’assoluzione dalla nostra coscienza.”
Lo fissai a bocca aperta. “E come si fa?”
“Intanto comincia a comportarti più da umano e meno da vampiro depresso,” suggerì Carlisle, prendendomi bonariamente in giro. “Così sarà un po’ più difficile pensare a loro come semplici prede.”

Dissi ad Alice di portarmi fuori il più possibile e lei colse la palla al balzo. Girammo la città in lungo e in largo, poi andammo anche nelle cittadine dei dintorni. Quasi ogni sera andavamo a teatro o al cinema e, se restavamo a casa, trascorrevamo la serata con i Cullen, a guardare la TV o a fare giochi di società. Io e Emmett ci appassionammo così tanto agli scacchi che Esme ci costruì una specie di porta-scacchiere lungo tutto una parete della sala, in modo che potessimo sistemarcene sopra almeno una decina. Edward, però, non era stato invitato a giocare: Emmett l’aveva bandito perché toglieva tutto il divertimento. Alice era l’unica disposta a sfidarlo, ma ben presto il gioco li annoiò. Le partite si concludevano nel giro di qualche minuto e, solo se andava bene, Edward o Alice riuscivano a muovere due o tre pezzi. Il resto della partita era tutto giocato a livello mentale.
Uno dei tanti pomeriggi di “umanizzazione”, mi resi conto che era la decima volta che sostavamo davanti alla gioielleria dove avevamo acquistato i regali per Esme e Carlisle e che Alice metteva continuamente a confronto l’anello di platino e oro bianco con quelli esposti in vetrina.
Mi stava dicendo qualcosa, ma non riuscivo a capire bene cosa: Alice si comperava tutto ciò che le piaceva e non eravamo soliti scambiarci regali così spesso come Rosalie ed Emmett. A casa, era piena di anelli, ma se si era fissata su quello in particolare, perché non entrava e lo comprava? Le sue emozioni, poi, non mi dicevano nulla di nuovo: amore, come sempre, divertimento, eccitazione e un senso di aspettativa. Il resto era molto confuso.
Confidai le mie perplessità a Edward, quella sera in biblioteca, descrivendogli lo strano comportamento di Alice. Quando terminai, Edward mi guardò cercando di trattenere una risata.
“Non potrei dirti niente,” disse, “ma l’ultima cosa che Alice ha visto prima di chiudere la propria mente alle visioni che vi riguardavano è stata proprio questa scena, perciò…”
“Chiudere la mente?” ripetei, perplesso. “E perché mai?”
“Non vuole rovinarsi la sorpresa.”
“Edward, per favore…”
“D’accordo, d’accordo,” cedette lui, abbandonandosi contro lo schienale del divano. “Ti darò qualche indizio. Dunque, il primo è: il calendario.”
“Il calendario.”
“Sì. Che giorno è sabato?”
“Il 14 febbraio,” risposi automaticamente. “Oh.”
Che sciocco! Alice voleva che le regalassi quell’anello per S. Valentino. Anche questo doveva far parte della missione “Umanizzare Jasper”: ricordarsi una data umana – che per me non avevano mai avuto troppa importanza – come facevano gli umani. Bastava dirlo subito, no?
“No, Jasper,” scosse la testa Edward, seguendo il filo dei miei pensieri. “Cioè, è vero almeno in parte. L’altro indizio è: famiglia. Alice vuole che tu ti senta parte integrante della famiglia. Ma dice anche di non considerare me mentre fai questo.”
Corrugai le sopracciglia. “Te?”
Edward annuì.
“Ok,” dissi esitando. “Perciò… Dovrei sfrattarti di nuovo dalla tua stanza e trasferirmici?”
Edward ridacchiò. “No comment.”
“Il prossimo indizio?” chiesi.
“Alice. Sai che le piacciono le cose fatte con stile.”
“Sì,” annuii.
“È questo l’indizio.” Edward sorrise e si alzò. “Ti posso solo dire che Alice ha promesso di non sbirciare perché ha fiducia in te.”
Edward uscì dalla biblioteca e si chiuse la porta alle spalle, lasciandomi lì a sedere sulla poltrona, perplesso.

Ogni dubbio si sciolse appena andai a comperare quell’anello senza combinare disastri. Il commesso rimase solo un gentile commesso che mi aiutò ad aprire gli occhi. Allora sì che capii tutto. Alice era inimitabile.
Sono nato nell’odio e cresciuto nella rabbia. La mia vita è cominciata solo quando l’ho incontrata. Ma la cosa più importante è che, se anche dovessi commettere qualche passo falso, Alice non mi abbandonerà mai.

“Non sbirciare, d’accordo?”
“No, Jazz, te l’ho promesso! Non guarderò nel futuro!”
Era sabato sera e avevo portato Alice nel parco fuori città, al riparo dalla luce e da occhi indiscreti. Avevamo steso una coperta per terra e ci eravamo sdraiati a guardare le stelle.
Mi tolsi il regalo dalla tasca della giacca e glielo diedi. Una graziosa scatolina incartata. Alice saltò su a sedere e lo aprì tutta contenta. Rimase sconcertata solo quando lo estrasse dal pacchetto.
“Una palla di vetro?”
“È una sfera di cristallo,” la corressi, girandomi su un fianco e appoggiandomi sul gomito. “Serve a predire il futuro.”
“Una sfera di cristallo?”
“Sì.”
“Mi stai prendendo in giro?”
“Sì.”
Ci scambiammo una lunga occhiata, poi scoppiammo a ridere. Percepii una sensazione anomala provenire da Alice. Sollievo.
“Perché?” le chiesi.
“Perché, finalmente, stai cambiando. Stai imparando a divertirti come noi, tanto per cominciare. Te l’ho detto che ce l’avresti fatta.”
Sorrise, ed era semplicemente splendida. La mia piccola Alice.
“Ora guarda nella sfera e dimmi cosa vedi,” le suggerii.
“Oh, dai, Jazz, non crederai mica che – “
“Zitta,” le dissi, posandole due dita sulle labbra. “Guarda bene e dimmi cosa vedi.”
Alice obbedì e si concentrò sulla sfera, scrutando nelle profondità del vetro. “Vedo te. Distorto. Hai gli occhi grandi.”
“Continua a guardare.”
Rapido, cercando di non farmi notare, mentre lei era ancora tutta presa da quel pezzo di vetro, estrassi una scatolina di velluto blu e la misi dalla mia parte della sfera.
“E ora cosa vedi?”
Alice abbassò la palla e cacciò un urletto.
“Ho capito tutto quando il gioielliere mi ha detto che era un anello di fidanzamento.”
Alice mi saltò addosso e mi baciò, mandandoci a rotolare sull’erba.
“Mi devo integrare in famiglia e tutti gli altri Cullen, a parte Edward, sono sposati,” continuai, accarezzandole il viso con un dito. “E a te piacciono le cose fatte con stile. Ho interpretato bene gli indizi?”
“Sì,” si illuminò Alice. “Te l’ho detto che ho fiducia in te.”
“Allora,” presi un profondo respiro. “Alice, mi vuoi sposare?”
“Sì!” gridò Alice. “Sì!”
Le infilai l’anello al dito e rimanemmo a baciarci a lungo sotto le stelle.

Quando tornammo a casa, ci accolse un boato: Edward aveva letto le mie intenzioni prima di uscire e le aveva rivelate al resto della famiglia. Esme ci abbracciò entrambi appena varcammo la soglia di casa, mentre Emmett rideva come un pazzo e Rosalie porgeva un mazzo di fiori ad Alice. Edward e Carlisle erano appoggiati, spalla a spalla, contro il muro e si scambiavano sguardi complici. Chinai la testa in cenno di ringraziamento, ma venni interrotto da Emmett che finse di piazzarci un microfono sotto il naso, strillando: “Qualche dichiarazione per la stampa?”
“Sì,” rise Alice. “Sarò io ad organizzare il matrimonio. Ma una volta soltanto, vi avverto!”
Emmett e Rosalie scoppiarono a ridere. Passai un braccio attorno alle spalle di Alice.
“Una è più che sufficiente.”  



NOTE DELL’AUTRICE
Fic prima classificata al contest indetto da Kikyo90 “San Valentino Story Contest on Twilight”.

Un enorme grazie a Kikyo90 (di nuovo XD) e a tutte le altre partecipanti: Lady_Marmalade, butterfly.91, Schnusschen, Florence (grazie mille per la tua recensione su “I felt hope... and then I was saved”!!!), princess of vegeta6.
Mi sono divertita molto anche questa volta e mi complimento con tutte voi, in attesa di leggere le vostre storie!

Ah, solo una piccola precisazione: il titolo fa riferimento ad un capitolo del manga Bleach. Non ha a che fare con la storia, ma mi sembrava azzeccato per la fic.

Detto questo, come la volta precedente, inserisco il giudizio di Kikyo90:

"PRIMO POSTO: LUCY FARINELLI
STILE: 20/20
Come sempre, ti faccio i complimenti e ti ripeto che il tuo stile mi piace. Ancora una volta la fic che mi hai mandato mi é piaciuta tantissimo e la lettura é stata scorrevole se fluida.

GRAMMATICA: 10/10
Beh, cosa dire? Anche qui meriti il massimo del punteggio, non ho notato nessun errore di grammatica e nemmeno sintattico, inoltre sei riuscita a mantenere i personaggi perfettamente IC e non era cosa facile.

ORIGINALITÁ: 10/10
Che altro dire? Rischierò di ripetermi, ma la storia mi é piaciuta davvero. Molto originale e Emmett é davvero molto divertente. Ancora complimenti ^^ *palloncini che simboleggiano la vittoria*

TOTALE: 40/40"

Un bacione e arrivederci alla prossima fic! ^_^
Lucy Farinelli


 

     
  
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