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Autore: _BlueLady_    05/10/2015    4 recensioni
[ Dal Prologo]
Tutti lo chiamavano Eclipse, perché proprio come un’eclissi era in grado di nascondersi alla luce del sole, per poi fare la sua ricomparsa di notte, nelle vie buie delle città più conosciute, alla ricerca di non si sa quali preziosi tesori.
Le prime pagine dei giornali erano piene delle sue immagini, i gendarmi di ogni città gli davano la caccia, nella speranza di catturarlo e finalmente infliggergli la punizione che meritava per tutti i furti commessi in passato.
Non c’era traccia di scovarlo, tuttavia.
Così come appariva, altrettanto misteriosamente scompariva, lasciando dietro di sé solo un cumulo di mormorii perplessi ed impauriti.
Attenzione: leggermente OOC, la lettura potrebbe risultare un pò pesante.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ CAPITOLO 20 ~
 
Villa Windsworth.
Immersa nell’oscurità della notte, pareva un enorme gigante addormentato, pronto ad attendere la luce del giorno per ridestarsi dal suo torpore.
Un gigante forte, imponente, fiero.
Un cupo silenzio l’avvolgeva nel suo abbraccio, conferendole un aspetto mistico, dai toni quasi incantati.
Un drago assopito che celava al suo interno tutta la sua furia e sete di distruzione. Era contro quel drago che si stava dirigendo Eclipse, il cuore trepidante in petto e le labbra ancora impregnate del dolce sapore di un bacio proibito; cavaliere senza macchia e senza paura che aveva accidentalmente sconvolto il copione di una missione già scritta, prendendosi il premio ancor prima di sconfiggere il nemico.
Si era concesso una piccola distrazione, una leggera svista causata da una distorsione sentimentale non prevista, ma nulla, nemmeno quel sentimento che sentiva crescere forte dentro di lui per quella donna a cui aveva affidato la sua fiducia, oltre che il più prezioso dei suoi averi, poteva distoglierlo da quello che era il suo obiettivo prefissatosi da anni.
La ragione per cui tutta quella vicenda aveva avuto inizio, seppur con qualche imprevisto che la sua mente matematica non era stata in grado di calcolare.
La sagoma della Villa si faceva sempre più nitida ai suoi occhi, man mano che galoppava in avanti con sempre maggior convinzione.
Il candore della luna pareva guidarlo al suo destino, complice e testimone della vicenda che, di lì a poco, si sarebbe consumata sotto ai suoi occhi.
A pochi metri di distanza dall’entrata della proprietà, Eclipse frenò il cavallo, deciso a proseguire a piedi la sua avanzata verso il nemico.
Annunciare la sua presenza in quel luogo con un feroce tramestio di zoccoli sarebbe stato alquanto sconveniente.
Scivolò cauto fino al portone principale, silenzioso come il nulla, invisibile come un’ombra nella notte.
Una luce fioca proveniva da una delle finestre del piano superiore: un’ospite della villa era ancora in piedi, nonostante l’ora tarda.
Eclipse strinse i denti, conscio del pericolo a cui stava andando incontro: se solo qualcuno avesse scoperto che si trovava lì, nella tana del lupo, probabilmente non gli avrebbe dato vita facile.
Ma ormai il tempo stringeva, i tasselli del puzzle cominciavano ad essere completi, e non poteva permettersi di fermarsi proprio ora, non adesso, non quando il suo obiettivo, ciò per cui aveva lottato per quasi una vita intera, era così vicino tanto da poterlo sfiorare con la punta delle dita.
La fine di tutto…
Con una determinazione feroce, fremente, e il sangue che ribolliva nelle vene, approfittò di un minuscolo spiraglio in una delle vetrate del piano inferiore – probabilmente una svista di qualche cameriera troppo stanca per accorgersi di non averla chiusa bene -  e sgattaiolò dentro la villa silenzioso come un gatto, un’ombra oscura nella notte, capace di vedere ma non di essere vista.
Appena fu dentro, gli occhi bui che ispezionavano la stanza guardinghi e attenti, non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso velato sulle labbra.
Soddisfazione.
Un vero colpo di fortuna aver trovato una via d’accesso così facilmente… questo gli aveva certo risparmiato una fatica e una noia in più.
Povera, sfortunata Sophie, quanto le era caduta in basso con quella piccola svista. Non era nelle sue corde lasciarsi sfuggire un dettaglio tanto importante.
Con i nervi tesi come corde di violino e il cuore che pompava feroce in petto, si guardò intorno, cercando di orientarsi all’interno della stanza in cui era capitato: a occhio e croce, doveva trovarsi nel soggiorno della villa, glielo suggeriva la sagoma di un immenso pianoforte che albergava al centro della stanza, dunque, se ben ricordava dall’ultima volta in cui era stato lì, per raggiungere l’atrio principale doveva dirigersi verso sinistra.
Mentre procedeva cauto tra le stanze, una dopo l’altra, accertandosi sempre che non vi fosse nessuno che potesse accorgersi della sua presenza e dare l’allarme, pensava a dove la marchesa potesse tenere nascosto ciò per cui era venuto a farle visita quella notte.
Non gli piaceva pensare alle sue incursioni come a tentativi di furto, sebbene tutti lo considerassero un ladro. Non gli era mai piaciuto sentirsi dare quell’appellativo. Dopotutto lui si appropriava soltanto di ciò che gli era necessario, che gli spettava di diritto.
I veri ladri erano altri… Non lui.
Accompagnato da quelle riflessioni, giunse finalmente nell’atrio principale, dove ad attenderlo c’era un’imponente rampa di scale che sembrava invitarlo ad esplorare il piano superiore.
Non se lo fece ripetere due volte.
Corse, anzi, volò data la leggiadria dei suoi passi felpati, su per i gradini, e una volta terminata la rampa trovò ad attenderlo un corridoio buio e cupo: la gola del drago che pareva condurre ad una via senza uscita.
A malapena riusciva a distinguere i contorni delle porte che si affacciavano su di esso.
Soltanto una stanza, quella che aveva notato ancora illuminata prima di addentrarsi nella villa, ardeva ancora di una fioca luce di lampada ad olio: Eclipse vide quel lieve barlume tremolare due volte, prima di spegnersi del tutto, come se quel debole raggio di luce cercasse di lanciargli un muto segnale prima di cessare di esistere e lasciarsi inghiottire dal buio della notte: è qui, quello che stai cercando è qui.
Percorrendo lentamente il contorno delle pareti del corridoio, appiattito contro di esse quasi a volersi fondere con la fredda pietra di cui erano fatte, cominciò ad avanzare silenzioso in direzione della stanza dapprima illuminata che pareva avergli voluto indicare la via.
Compiva un passo alla volta con estrema delicatezza, come una ballerina che si muove in punta di piedi, il respiro mozzato in gola ed il cuore che gli martellava nel petto e rimbombava nelle tempie.
Se incontrava un ostacolo lo scartava con estrema facilità: anni e anni passati ad intrufolarsi in luoghi non suoi gli erano stati necessari per non lasciarsi tradire dallo zoccolo di un divano o dallo spigolo di un mobile sui quali, inciampando, avrebbe firmato la sua condanna.
Le porte erano tutte serrate: dovevano aver ingigantito parecchio le storie su di lui se i domestici si blindavano dentro le loro stanze pur di sentirsi al sicuro. Peccato che una misera serratura non sarebbe bastata ad impedirgli di entrare: era stato fin troppo facile intrufolarsi in casa Sunrise, nella stanza di Rein, e la sua presenza dentro Villa Windsworth in quel momento aggiungeva ulteriore conferma al suo pensiero. 
Tra tutte, soltanto una porta poco distante dalla sua prediletta lasciava libero ingresso a chiunque: le pesanti ante di legno erano solamente appoggiate tra loro, sfiorandosi, e il piccolo spiraglio che le separava permetteva ad un timido raggio di luna di intrufolarvisi, irradiando quella porzione di corridoio di un fioco bagliore ultraterreno.
Eclipse poggiò l’orecchio contro il legno aspro e rugoso, prima di addentrarsi.
Pensò che un rapido controllo lì dentro fosse utile, oltre che necessario al suo scopo: in tal modo avrebbe regalato tempo sufficiente alla persona che alloggiava nella stanza accanto di assopirsi profondamente per poter agire indisturbato, e si sarebbe al contempo accertato che lì dove si trovava ora non v’era alcuna traccia di ciò per cui era venuto.
E difatti non trovò nulla: lo accolsero soltanto un letto dalle lenzuola ancora perfettamente intatte, e i vetri spalancati di una finestra dalla quale soffiava dentro una fredda brezza primaverile.
Eclipse socchiuse gli occhi, inquieto e sospettoso: dov’era in quel momento Auler Windsworth?
Un allarmante presentimento cominciò a farsi spazio tra i suoi pensieri, cancellando tutto il resto.
Altezza.
Se così era, non aveva molto tempo da perdere.
Uscì dalla stanza del marchese con uno scatto felino, e in pochi secondi si ritrovò a fronteggiare l’ingresso della stanza che aveva chiamato sua fin dall’inizio.
La gola gli si fece improvvisamente secca.
Una volta dentro, tornare indietro sarebbe stato impossibile. Forse era stato troppo impulsivo a voler accelerare così tanto le cose, avrebbe dovuto attendere ancora prima di compiere quel passo più lungo della gamba, ma era troppo tardi per qualsiasi ripensamento: arrivato a quel punto, non restava che proseguire.
Aveva passato il punto di non ritorno.
Ed ora la sorte di tutto ciò che aveva costruito fino a quel momento dipendeva soltanto da come avrebbe gestito la situazione.
Sarebbe uscito di lì da sconfitto, o da vincitore.
Mandò giù un ultimo boccone di saliva amaro, prima di lasciarsi inghiottire dalle fauci del drago.
 
¤¤¤¤¤¤
 
Nonostante il silenzio che quella placida notte accompagnato dalla freschezza della brezza primaverile predisponesse a sonni tranquilli, Rein proprio non riusciva a chiudere gli occhi, e lasciare che le braccia di Morfeo la accogliessero in quella pace dei sensi che è il riposo.
Continuava a rigirarsi nel letto carica di una gioiosa inquietudine: per una volta, a tormentarla, non erano ansie e preoccupazioni, ma il sapore di un bacio delicato come il petalo di una rosa ancora impresso sulle labbra.
Distesa su un fianco, gli occhi ancora puntati alla luna, non cessava di sfiorarsi le labbra con la punta delle dita, mentre l’ombra di un sorriso si dipingeva sulla bocca, imporporandole le gote.
Con la luna riflessa nelle enormi pupille, ancora ripercorreva nella mente quegli attimi fugaci vissuti poco prima: dai contorni così sfumati e sbiaditi, che parevano soltanto l’illusione di un sogno.
Ma il solco delle labbra di Eclipse premute sulle sue bruciava ancora, e non poteva proprio essere stata tutta un’illusione.
Sospirò, combattuta tra il desiderio di poter assaporare ancora quel bacio, e la consapevolezza che ciò che desiderava fosse assolutamente sbagliato.
Eclipse…
Chissà cosa stava facendo in quel momento, e se anche lui ardeva dello stesso desiderio.
Magari si era pentito di ciò che l’istinto gli aveva suggerito di fare, e da quel momento aveva deciso di riprendere le distanze tra loro, magari rinunciando perfino alla sua abituale visita notturna.
A pensarci bene, non era una cosa tanto sbagliata, dopotutto…
Forse, così facendo, anche la sua ossessione per lui sarebbe andata di lì a poco scemando.
Si, era giusto così, in fondo: Eclipse era uno sporco ladro, e lei la figlia di una rispettabile famiglia aristocratica.
Due mondi così diversi non potevano appartenersi… Con che faccia avrebbe potuto presentarsi a suo padre, dicendogli che era innamorata di un ladro, e per giunta non di uno qualunque, ma del famigerato Eclipse, l’incubo delle notti più buie!
Sbagliati erano i suoi sentimenti. Quel bacio era stata una distrazione, un momento di debolezza e di perdita di lucidità, ma ora il suo obiettivo le era chiaro: mai più doveva lasciarsi soggiogare dal fascino oscuro di quell’uomo di tenebra.
Quella era la cosa giusta da fare.
E allora… perché aveva il terribile presentimento di sbagliare?
 
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Gli occhi bui vagavano per la stanza, scivolando veloci tra le sagome dei mobili e accarezzandone le forme in ogni millimetro.
Riuscì a distinguere la sagoma di uno scrittoio affiancato alla finestra, seguito da una specchiera. Un enorme armadio giaceva imponente alla sua sinistra, mentre la figura squadrata di un letto a baldacchino sul quale si percepivano nettamente le morbide forme di un corpo umano assopito nel sonno prendeva possesso del resto della stanza. 
All’apparenza pareva un’area dalle dimensioni molto ridotte, ma quando i suoi occhi si abituarono al buio, aiutati anche da un debole raggio di luna che filtrava dalla finestra, dovette ricredersi.
Non la ricordava così ampia quella camera da letto, anni fa… ma forse era colpa del troppo tempo trascorso lontano da quella villa a distorcergli i ricordi.
La stanza era piena del respiro pesante del sonno della marchesa: lo udiva distintamente solleticargli le orecchie.
Silenzioso come il nulla cominciò ad avanzare verso di lei, e quando fu a pochi centimetri dal letto poté scorgere la sua altezzosa figura dormiente crogiolarsi beatamente tra i morbidi cuscini del letto.
Storse la bocca in un’espressione di disgusto: a vederla così, placida e inerme, le labbra sottili non contratte dal caratteristico ghigno di perfidia che soleva dipingersi in volto quando la sua mente perfida cominciava a macchinare qualcosa di losco, ma rilassate e distese in un sorriso beato – probabilmente dolci sogni la stavano accompagnando nel sonno quella notte -  poteva quasi trarre in inganno, e non indurre a pensare che fosse l’essere subdolo e meschino che era in realtà.
Pareva, anzi, quasi bella, o per meglio dire, affascinante… ma la conosceva troppo bene per lasciarsi trarre in inganno.
La divorò con uno sguardo carico d’odio, quasi volesse incenerirla con gli occhi.
Dannata serpe, dove lo tieni nascosto?
Stava già puntando in direzione dello scrittoio, quando un bagliore fugace e improvviso catturò istantaneamente la sua attenzione: Sophie si era rivolta supina sul letto, e nel muoversi aveva fatto sì che quel raggio di luna che penetrava dalla finestra sfiorasse, provocando uno scintillio, qualcosa che aveva appeso al collo, e che Eclipse non aveva notato prima.
Catturato da quella singolare circostanza, ripercorse i suoi passi e tornò ad affiancarsi al letto.
Fu allora che lo vide.
Superbo e fiero, giaceva placido sulla pelle candida della marchesa come un fiore in mezzo a un prato innevato, i bordi d’oro rettangolari che imprigionavano lo smeraldo tra le loro fauci con delicatezza, una fusione perfetta.
Il Raggio di Speranza.
Per quanto tempo l’aveva cercato… ed ora eccolo lì, talmente vicino da sentirlo bruciare sulla pelle.
Il sangue prese a ribollirgli nelle vene in preda all’emozione, e subito si impose di tenere a freno l’istinto che già gli ordinava di afferrare il gioiello strappandolo dal collo della marchesa, e di spronare la mente ad usare quel poco di ragione che gli restava per sottrarlo senza che Sophie se ne accorgesse.
Allungò cautamente la mano, lasciando che i polpastrelli sfiorassero i bordi della pietra.
Lasciò scorrere le dita lungo la catena d’oro che adornava il collo della marchesa, fino ad arrivare in prossimità dell’allacciatura.
Allora, con mani di velluto, prese a slacciarle dal collo il monile, gli occhi che saettavano dal ciondolo al volto della marchesa ancora assopito, dalla marchesa al ciondolo.
Quando percepì di essere quasi riuscito nell’impresa, tirò un sospiro di sollievo, pregustando già i contorni rigidi e freddi del gioiello sotto le dita.
Ma aveva gioito troppo presto.
Nel giro di un secondo, sentì il polso dolere sotto la morsa di una presa ferrea, e due occhi neri come la notte gli si piantarono nelle pupille, perfidi e ghignanti di soddisfazione.
- Ti stavo aspettando, Eclipse…-
Il tono suadente e melodioso della voce della marchesa gli penetrò nelle orecchie come un proiettile sparato a tutta velocità da un fucile.
Istintivamente tentò di ritrarsi, ma inutilmente: la marchesa aveva la presa salda su di lui, e non aveva alcuna intenzione di lasciarselo sfuggire.
Sophie rise compiaciuta, poi lo strattonò verso di sé facendolo cadere sul letto.
Eclipse ebbe giusto il tempo di realizzare la perdita di equilibrio, e si ritrovò schiacciato sul corpo della marchesa, gli occhi di tenebra che sputavano veleno.
Tentò ancora una volta di divincolarsi, ma Sophie fu di gran lunga più veloce: con un’agilità ed una forza al di fuori del normale, mentre lui continuava ad agitarsi nel tentativo di liberarsi, ribaltò le posizioni. Giacevano petto contro petto, l’addome contratto in uno sforzo estremo, la schiena di Eclipse che sprofondava nel materasso, il gomito di Sophie che premeva sulla gola, gli occhi di fuoco, i capelli arruffati, il fiato sul collo, le gambe di marmo, il ciondolo che pendeva dal collo della marchesa visibile con la coda dell’occhio.
- Davvero credevi di potermi sottrarre il ciondolo con così tanta facilità? Mi credi forse una sprovveduta? –
Gli sputò in faccia quelle parole con la più sadica delle intenzioni, mentre ancora lo soffocava sotto il peso del suo corpo.
Tentò nuovamente di divincolarsi, ma la presa di Sophie era più salda dell’acciaio: non era cambiata dagli ultimi anni in cui l’aveva persa di vista, sotto quelle miti sembianze da aristocratica si nascondeva la ferocia di una leonessa.
- Non dici niente? Ti ho forse tolto le parole di bocca? -
Con il gomito che ancora premeva sulla gola e la testa che girava per lo sforzo, riuscì, mosso da un impeto di lucidità, a levarsi il peso di Sophie di dosso, e ad imprigionarle la vita tra la presa delle sue gambe, mentre le mani le stringevano i polsi sottili nel tentativo di immobilizzarla e renderla innocua.
Ma non s’arrendeva, Sophie, e con un’energia fuori dal normale scalciava, soffiava, graffiava come una gatta in calore, sgusciava dalla sua presa come un pesce, mordeva, sibilava, attanagliava le sue spalle con la forza di un cobra. Eclipse in risposta afferrava, stringeva, parava un colpo e ne subiva un altro, allacciava le braccia attorno a quelle di lei nel tentativo di bloccarla, le afferrava una caviglia e poi l’altra, schivava sinuosamente gli artigli di lei ed affondava i denti sulle sue spalle.
Ed alla fine si ritrovò di nuovo Sophie addosso, il respiro mozzato e la gola secca.
Sophie, gli occhi accesi d’ira e i capelli che le cadevano dalla fronte, il fiato corto e la pelle imperlata di sudore, lanciò una nuova agghiacciante risata.
- Povero, sciocco, ladruncolo! Intrappolato nell’illusione di poter sopraffare la povera e indifesa marchesa di Windsworth! Davvero pensavi che ti avrei permesso di entrare in casa mia così facilmente, per farmi rubare il gioiello nel sonno? Ho passato intere notti ad attendere il tuo arrivo, nella speranza che prima o poi ti facessi vivo! Ed ora eccoti, finalmente, intrappolato tra le mie grinfie! … Cos’è quello sguardo attonito? Per chi credevi che fosse la finestra socchiusa al piano di sotto? La tua presunzione è talmente sfacciata da indurti a credere che fosse tutta opera tua? Se ti trovi qui ora è soltanto per merito mio! Sono io che ti ho lasciato entrare! Tu credi di avermi manipolata, ma in realtà sono io che ho manipolato te! –
Mentre parlava, le sue mani scivolarono sul collo di Eclipse, e presero a stringerlo con forza.
Il ladro si ritrovò immobilizzato, soffocato dalla presa ferrea di lei, il volto cianotico e un’irrefrenabile fame d’aria che andava ad ostruirgli i polmoni.
La vista si fece dapprima sfocata, i contorni del volto della marchesa sempre meno distinguibili, finché, ancora rantolante per la mancanza di ossigeno, stremato, si vide travolto da una coltre di nebbia.
Sapeva di non potersi arrendere così, nonostante sentisse le forze venirgli sempre meno.
Poi di nuovo la voce di Sophie tornò a tormentargli i timpani.
- Mi stai deludendo, Eclipse… Possibile che tutto ciò che si dice su di te sia solo una menzogna? È davvero questo il famigerato ladro temuto da tutti, l’incubo delle notti più buie? Sbagliavo a sopravvalutarti tanto: basta un niente per metterti in difficoltà. Shade doveva essere davvero disperato, se per affrontarmi ha scelto un alleato come te! Quando si tratta di nasconderti nel buio sei scaltro… ma appena si accende una luce, sbatti la testa disorientato in ogni angolo come farebbe un pipistrello – le dita premettero con più forza sulla trachea, ostruendola – Devo ringraziarti per essere venuto a farmi visita stasera: mi hai risparmiato la fatica di venirti a cercare – un lampo di perfidia le accese lo sguardo – Una volta eliminato te, resterà soltanto una persona ad ostacolarmi nel mio cammino… una piccola, insignificante pulce, una misera goccia di pioggia dispersa nell’oceano -
Il cuore cominciò a pompargli veloce in petto quando realizzò chi, dopo di lui, sarebbe stata la preda di Sophie.
- Rein Sunrise…- cinguettò la marchesa trionfante – Una saggia idea quella di farle custodire l’Occhio della Notte… peccato che non sia altrettanto preparata nel difenderlo…-
Il cuore di Eclipse perse di un battito, mentre percepì una voragine squarciargli lo stomaco.
Il nome della fanciulla gli attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno, lacerandogli il petto e conficcandosi tra le due metà pulsanti come un pugnale nella carne viva.
Rein.
Come diavolo aveva fatto Sophie a capire che era lei la custode del gioiello?
Chi l’aveva tradita?
Era stato un incosciente a farsi persuadere a coinvolgerla. Ora la sua vita era in pericolo, e per cosa, poi! Per una faccenda che nemmeno la riguardava!
Il sangue prese a ribollirgli nelle vene.
Sophie squarciò con un’agghiacciante risata il silenzio della notte.
La rabbia pulsava, fremeva, scalpitava per uscirgli dal petto, gli accecava gli occhi e la mente, fischiava nelle orecchie, pizzicava ogni parte del corpo.
E quando la sentì raggiungere gli arti improvvisamente rinvigoriti da quell’incendio che gli era scoppiato dentro, con un urlo sovrumano riuscì a scrollarsi le mani della marchesa da dosso, e a scaraventarla con ferocia fuori dal letto.
La schiena della donna colpì con un botto sordo la parete di pietra alle sue spalle, e la vide accasciarsi a terra, raggomitolandosi su se stessa come un riccio, accusando il colpo.
Eclipse, finalmente libero, si diresse verso di lei, e la osservò sprezzante ritorcersi tra le convulsioni che la botta le aveva provocato.
Tra un colpo di tosse e l’altro, Sophie riuscì ad alzare lo sguardo su di lui, gli occhi iniettati di sangue e carichi di una ferocia inumana.
- Maledetto…- sibilò tra i denti – MALEDETTO! - e si scagliò di nuovo su di lui, estraendo un pugnale da uno dei mobili vicini e puntandoglielo alla gola.
- Ti ucciderò, dannato, ma prima voglio vedere il tuo volto tingersi dell’agonia che ti infliggerò non appena avrò affondato il mio pugnale nella tua gola! – esclamò, allungando la mano ibera sul suo volto nel tentativo di togliergli la maschera – Fammi vedere chi si cela sotto la maschera! Voglio guardarti negli occhi mentre ti osservo morire! –
Mentre Eclipse lottava con tutte le sue forze per porre resistenza alla lama del pugnale che già gli stava sfiorando la gola, e Sophie strillava indemoniata accecata dal desiderio di ucciderlo, un grido echeggiò nella stanza, come uno strappo su un cielo di carta.
- Sophie! –
I due alzarono lo sguardo boccheggianti, e videro Auler ansante in piedi poggiato sullo stipite della porta, gli enormi occhi blu sgranati di paura, disorientati ed intimoriti per ciò che stavano vedendo.
Il tempo si fermò solo per un secondo: rimasero tutti e tre immobili a scrutarsi a vicenda, un quadro raffigurante una scena catturata istantaneamente dal pittore al momento della creazione.
Fu Sophie a rompere il precario equilibrio di quell’attimo fatto di fragile cristallo.
- Auler… – soffiò tra i denti, ma non riuscì a finire la frase, poiché Eclipse, approfittando di quell’attimo di distrazione, le afferrò il polso che reggeva il pugnale con forza, e le imprigionò il braccio dietro la schiena, rendendola inoffensiva.
Sophie ruggì di dolore, e la morsa che le attanagliava il polso le fece scivolare il coltello dalle mani, che cadde a terra provocando un sordo tintinnio.
La marchesa voltò di scatto la testa per recuperare con lo sguardo l’arma perduta, ed Eclipse se la levò di dosso, scagliandola a terra.
La donna piombò sul pavimento, ed ignorando il dolore pulsante ai reni cominciò a tastare il terreno nella ricerca disperata del coltello.
Anche Eclipse analizzò attentamente la stanza con lo sguardo in cerca dell’arma, e quando la trovò, conscio che anche Sophie aveva individuato il punto in cui si trovava, si fiondò a recuperarla, la marchesa a pochi passi da lui che già stava allungando la mano.
Fu più veloce: con decisione afferrò l’impugnatura del coltello, e sentendo Sophie avvicinarsi pericolosamente disegnò un ampio arco nell’aria, la lama del coltello che squarciò la pelle della marchesa all’altezza del collo: il pennello che tinge la tela.
Nel sentire quella fitta lancinante, Sophie si portò una mano all’altezza della ferita, e quando la ritirò inorridita nel sentirla umida e calda e vide le dita tinte di un liquido rosso e denso, si fiondò di nuovo su Eclipse accecata dall’ira.
I due rovinarono nuovamente a terra: il ladro avvertì il coltello scivolargli dalle dita, e la marchesa ne approfittò per afferrarlo ed affondare la lama nella sua gola. Ma Eclipse la vide, e prima che lei potesse colpirlo si rigirò su un fianco nel tentativo di schivare il colpo, che andò a colpirlo di striscio sul braccio sinistro.
Nonostante il dolore gli ottenebrasse la mente facendogli perdere lucidità e Sophie, anche lei ormai allo stremo, già si preparava a colpire una seconda volta decisa a non fallire, Eclipse, mosso dall’ istinto di sopravvivenza, raccolse le sue ultime forze e scagliò la donna nuovamente contro il muro, la quale stavolta batté violentemente la testa contro la pietra dura e fredda, e rovinò a terra priva di sensi.
Allora, senza neanche avere il tempo di respirare, Eclipse raccolse i cocci del suo corpo stremato e martoriato, e con il braccio ancora sanguinante e dolorante si diresse verso l’unica via di fuga accessibile in quel momento: la finestra.
Auler, che fino a quel momento era rimasto attonito ad osservare la scena incapace di reagire, quando vide la sorella stramazzare al suolo sanguinante e priva di sensi si fiondò accecato dalla rabbia verso lo scrittoio, ed estrasse da uno dei cassetti una pistola. E mentre Eclipse si trascinava dolorante verso la finestra, con tutta la determinazione di cui era disposto, gli puntò l’arma contro, il dito sul grilletto pronto a far fuoco.
- Fermo! – gridò, le vene che pulsavano forti nelle orecchie e il cuore a mille – Non muovere un solo passo, o sparo! –
Eclipse, un topo in trappola, si voltò lentamente verso di lui reggendosi il braccio ferito.
Si osservarono negli occhi per un tempo che parve interminabile ad entrambi, Sophie immobile ai piedi del letto ancora inerme.
In un primo momento lo sguardo del ladro parve colmo della tipica rassegnazione che tinge gli occhi della preda in trappola, ma cambiò subito colore quando notò il dito tremante di Auler vacillare sulla presa sul grilletto.
Improvvisamente capì che aveva ancora una speranza.
Lo osservò ancora negli occhi più deciso, e li vide colmi di un’angoscia che risultava inspiegabile in un animo malvagio come il suo, quasi si sentisse costretto a far partire il colpo, e non perché lo volesse veramente.
Auler si ostinava a tenerlo sotto tiro, la mano tremante che ancora reggeva la pesante arma, indeciso se premere o no il grilletto.
Alla loro sinistra Sophie emise un debole rantolo, segno che stava pian piano riprendendo conoscenza. Dal collo il sangue non cessava di colare copioso.
Auler rivolse uno sguardo disperato alla sorella, e poi ad Eclipse che ancora si ergeva stremato davanti alla finestra, da Eclipse alla sorella. Teneva ancora il ladro sotto tiro.
Quando però percepì che non poteva lasciare Sophie in quelle condizioni ancora per molto senza soccorrerla, con un ruggito di indignazione gettò sprezzante la pistola contro la specchiera, e si slanciò sul corpo della marchesa accasciato a terra in una pozza di sangue.
Eclipse lo vide accoccolarsi al suo fianco, prenderla tra le braccia, e volgergli un’ultima sprezzante occhiata, prima di dedicare nuovamente la sua attenzione a lei.
Allora il ladro comprese che aveva avuto pietà di lui, e che quello era il segnale che acconsentiva alla sua fuga.
Fece volteggiare il suo mantello un’ultima volta nella brezza notturna, prima di sparire tra le tenebre.
Il marchese lo osservò gettarsi dalla finestra impotente, mentre tra le sue braccia il corpo della marchesa cominciò a contorcersi, segno che aveva finalmente riacquistato conoscenza.
- Auler…- mugugnò osservandolo attonita, e nel dirlo fece scivolare lentamente la mano all’altezza del collo, dove ancora la ferita non cessava di sanguinare.
Improvvisamente impallidì, quasi avesse appena scorto l’ombra di un fantasma aggirarsi per la stanza.
- NO! – esclamò col panico negli occhi, ed ignorando il dolore che albergava in ogni centimetro del suo corpo si diresse di slancio verso la specchiera, dove l’accolse l’agghiacciante ombra del suo riflesso superbo.
Sophie volse lo sguardo in basso, ed emise un gemito di disperazione quando constatò che, là dove spaziava la ferita, il ciondolo era sparito.
Soltanto una profonda cicatrice regnava sulla pelle candida del collo.
Con occhi di fuoco fulminò il fratello, ed affacciandosi alla finestra lanciò un ultimo grido di rabbia e di odio al silenzio della notte.
Avrebbe avuto la sua vendetta.


Angolo Autrice:

Eccoloooooo, finalmente!
Dopo due anni di attesa, riesco finalmente a postare il seguito di questa fiction! Non ci credo nemmeno io!
Sono quasi commossa... davvero ormai avevo perso le speranze di riuscire a trovare tempo e ispirazione per continuarla, e invece eccolo qui! Il ventesimo capitolo! Tutto per voi!
...Ok, adesso mi ricompongo...

Sono davvero stra euforica per essere riuscita a vincere il mio "blocco dello scrittore"... e se da una parte c'è la soddisfazione di aver finalmente ripreso in mano questa storia, dall'altra c'è la paura di tornare, dopo questo capitolo, a bloccarmi. 
Spero con tutta me stessa di non avere ricadute, ma è anche vero che con il poco tempo a disposizione, il tirocinio e una tesi da scrivere, le mie energie per le fiction si riducono notevolmente.
Ma, come ho già detto, dovessi metterci dieci anni, IO. PORTERO'. A. TERMINE. QUESTA. STORIA.
Lo devo a voi, care lettrici, che ancora oggi, nonostante la storia sia ferma da un pò, mi scrivete entusiaste in attesa di poter leggere il seguito. L'energia che mi trasmettete è immensa, e non so come ringraziarvi, perchè senza di voi questa storia semplicemente non esisterebbe.
Il capitolo è un pò lunghino, ma dopo avervi fatto attendere così a lungo dovevo farmi perdonare, almeno in parte. Spero che, oltre alla lunghezza, vi soddisfi anche il contenuto. Siamo a un punto cruciale del racconto, pian piano i nodi cominciano a districarsi, e se fino ad adesso sono riuscita a proiettarvi in mezzo ad inganni e sotterfugi, nei prossimi capitoli vorrò stupirvi ancora di più.
La verità si avvicina, e non vedo l'ora che arrivi il momento di svelarvi le sorprese che ho voluto tenere in serbo per voi.
Dedico questo capitolo a chi, fino ad oggi, mi ha sostenuta col cuore e le parole: le mie lettrici fedeli che non mancano mai di darmi il loro parere sincero (quanto mi fa crescere il vostro pensiero!), e coloro che anche solo leggendo la storia, seguendola, inserendola tra le ricordate o le preferite, rendono questa fiction speciale. Grazie di cuore a tutti, davvero.
Ora vi lascio, con la speranza che un prossimo aggiornamento non sia poi tanto lontano.
Come vedete, in un modo o nell'altro ritorno sempre a finire quello che ho lasciato incompleto!
Un bacio a tutti

_BlueLady_ (Vale)

 
  
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