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Autore: IceQueenJ    06/10/2015    2 recensioni
Bella e Edward si conoscono da quando erano bambini, ma un giorno Bella deve trasferirsi con in genitori in Italia. Passano gli anni e i due continuano a tenersi in contatto, questo grazie alle loro famiglie.
Tutto cambia con una visita inaspettata.
Cosa accadrà quando Edward rivedrà Bella?
Cosa accadrà quando Bella lascerà il suo ragazzo e dopo qualche mese tornerà a Forks a conoscenza di cose che non dovrebbe sapere?
E come reagirá Edward?
Riusciranno a risolvere i loro problemi?
Riusciranno a superare tutte le sfide che gli si presenteranno?
-Questa storia è stata pubblicata anche su Wattpad.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Charlie/Renèe, Emmett/Rosalie
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve a tutti, ecco finalmente l'epilogo di questa storia. Se pensavate che mi fossi dimenticata di voi, beh ... vi sbagliavate di grosso. Nell'epilogo tutto quello che era in sospeso viene svelato. Non ho dimenticato nulla, spero xD.

Innanzi tutto, mi scuso con voi per l'enorme ritardo, ma oltre ai vari impegni che ho avuto, non riuscivo a trovare un finale decente alla storia. Mi spiego meglio, avevo numerose idee per questa storia, ma ogni volta che la scrivevo, il giorno dopo puntualmente la cancellavo. E' curioso, quindi, pensare che siano bastati due giorni, per farmi scrivere più della metà dell'epilogo e che ieri sera l'abbia corretto, dopo aver ritrovato l'ispirazione che avevo cercato per settimane. Questo epilogo è 9500 parole di impegno e tempo speso. Spero, non inutilmente.

Spero che amerete tanto quanto amo io questo capitolo. Ne vado molto fiera. Della storia è senza dubbio il mio capitolo preferito e quello che, seppur con fatica, mi è piaciuto scrivere di più.

Ora vi lascio al capitolo e ci leggiamo alla fine, perchè ho delle cose da dirvi.

Buona lettura, Ally!

 
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Capitolo 30: Forever & Beyond

Pov Bella

Seattle, University District, Casa Cullen-Swan, Lunedì 11 Luglio 2016
Aprii gli occhi e respirai felice. Un altro giorno della mia nuova vita era iniziato.
Non riesco ancora a credere che due anni fa, a quest’ora stavo preparando la mia partenza. E pensare che sarebbe dovuto essere solo un viaggio. Un viaggio con un’andata e un ritorno e invece, si era trasformato in tutt’altro. Era diventato un viaggio di sola andata con un viaggio più grande.
Il viaggio della vita.
Chiusi gli occhi e allungai una mano per toccare Edward, ma con mia sorpresa, il suo posto era vuoto e freddo.
Mi misi a sedere e andai a cercarlo per casa. Sul tavolo della cucina, accanto alla mia colazione, preparata da lui, c’era un biglietto. “Torno presto, sono andato a prendere delle cose al market. A dopo. Ti amo. E”.
Sorrisi e andai in bagno per farmi una doccia. Mentre l’acqua mi bagnava, ripensai a tutto quello che era successo da quando mi ero trasferita a Seattle.
In due anni, molte cose erano rimaste uguali, mentre altre erano cambiate. Per tutti noi, nessuno escluso.
Io e Edward vivevamo ancora insieme. A settembre avrei iniziato il terzo anno di medicina all’University of Washington, mentre Edward il quarto anno al College of Build Environment. E inoltre, lavoravamo part – time, io in una libreria e lui in uno studio di architettura in cui aveva iniziato uno stage organizzato dall’università.
Alice e Jasper avevano seguito il nostro esempio e nel Natale 2015 ci avevano comunicato che sarebbero andati a vivere insieme. E indovinate dove? Nell’appartamento sotto il nostro. ‘Che gioia’. Edward era così felice di avere di nuovo la sorella vicina che aveva pregato il padrone di casa di inventare qualche bugia pur di non farli trasferire. Gli aveva anche offerto dei soldi. Non riesco ancora a crederci. ‘Che scena’.
Rosalie ed Emmett avevano deciso di trasferirsi a New York, visto che Emmett aveva avuto una promozione nell’importante studio di avvocati in cui lavorava. Rosalie, che lavorava per un’agenzia di rappresentanza per modelle, non ebbe difficoltà nell’ottenere un trasferimento. I piccoli Thomas e Scarlett erano cresciuti tanto e ancora tutti sentivamo la loro mancanza, soprattutto a Edward che chiamava Emmett, Rosalie o la baby – sitter almeno due volte al giorno. ‘Sempre esagerato il mio amore’. Thomas adesso ha cinque anni compiuti a fine giugno e Scarlett un anno compiuto a maggio.
Christian e Jo, al momento, sono alle prese con il loro primogenito e con la fine del processo a Mary Swan per la morte dei miei zii. Il piccolo Jason Charlie era nato in una movimentata notte di maggio, qualche ora dopo il primo compleanno della piccola Scarlett, tra le risate di Josephine ai danni di suo marito e il panico di Christian. Dopo quattro ore di travaglio e numerosi svenimenti di suo padre (che dopo due mesi viene ancora preso in giro da Edward e Jasper), il piccolo era venuto alla luce e si era conquistato da subito un posto nel mio cuore. ‘Il primo Swan tra tanti Cullen è finalmente arrivato’, questo fu il mio primo pensiero. Ricordo ancora quando Christian lo mise tra le mie braccia e mi chiese di essere la sua madrina. Non sapete quante lacrime.
I miei genitori, invece, avevano deciso di restare in Italia per qualche altro anno e poi tornare a Forks e vivere con Carlisle ed Esme come quando erano al college.

Chiusi l’acqua e uscii dalla doccia, indossando l’accappatoio. Mentre mi rivestivo, sentii la porta di casa aprirsi e la voce di Edward al cellulare.
Uscii dal bagno e andai in salotto. “Hey”, lo salutai, avvicinandomi.
Alzò lo sguardo e mi sorrise, dicendo a chiunque fosse dall’altro lato che l’avrebbe richiamato.
“Con chi parlavi?”, chiesi curiosa, sedendomi per mangiare la mia colazione. “Ah grazie per la colazione, l’ho vista appena mi sono svegliata, ma ho deciso di fare prima una doccia”.
“Quando vuoi” e poi si avvicinò per baciarmi.
Quando ci staccammo, chiesi di nuovo “Con chi parlavi?”.
“Nessuno di importante. Un ragazzo che è stato appena assunto e mi chiedeva alcune cose, visto che l’ultimo prima di lui ad iniziare lo stage sono stato io”.
Annuii. “D’accordo, io allora vado a vestirmi. Vado da Christian. Ci vediamo dopo”. Gli scoccai un bacio sulla guancia e scappai.

Seattle, Queen Ann Hill, Casa Swan, Lunedì 11 luglio 2016
Ero da un po’ di tempo a casa di Christian e ancora non ero riuscita a sapere cosa doveva comunicarmi, visto che era sempre al telefono. La telefonata che avevo ricevuto ieri sera mi aveva lasciata leggermente stranita e molto in ansia. Il tono di Christian era strano. Come se ci fosse qualcosa che lo turbasse.
Ero seduta in salotto con Jo e lei mi stava raccontando dei sorrisi di Jason per Christian o di quando Christian tornava a casa e sentiva la sua voce, iniziando a cercarlo con lo sguardo, ma non riuscivo comunque a concentrarmi. Quella sensazione che fosse successo qualcosa non mi abbandonava e mi ritrovai a sperare che Christian finisse in fretta le sue chiamate di lavoro per sapere di più.
“Che hai, Bella? Ti senti male? Sei strana da quando sei arrivata”, mi chiese Jo, ad un tratto, probabilmente perché si era resa conto che non la stavo ascoltando.
“No, sto bene … tranquilla. Mi sento solo un po’ in ansia per ciò che Christian deve dirmi. Tu ne sai qualcosa?”, le chiesi, pur sapendo che non mi avrebbe detto nulla.
“No, mi dispiace. Non sapevo nemmeno ti avesse chiamato per dirti qualcosa. Sarà sicuramente qualcosa di poco conto, siccome non mi ha nemmeno avvertita. Se ci fosse stato qualche problema, me l’avrebbe sicuramente detto. Tranquilla”.
“Già … sarà così. Scusami”, le sorrisi e ripresi ad ascoltare le cose di Jason che mi ero persa.

Proprio mentre stavamo ridendo per le reazioni di Christian ai pannolini di suo figlio, mio fratello arrivò in salotto dicendomi che era libero. Per questo, mi alzai e lo seguii nello studio.
“Cosa devi dirmi?”, chiesi appena chiuse la porta dietro di me.
Lui sospirò e “La zia Mary vuole vederti”, mi disse, senza guardarmi.
Mi immobilizzai. “Prego?”.
“Hai sentito bene. Vuole vederti ed io non so perché e questa cosa mi sta facendo uscire di testa”.
“C – cosa? Perché mai vorrebbe vedere me? Io non so nemmeno che faccia abbia. N – non … perché?”.
Ero scioccata, davvero sbalordita. Non riuscivo a pensare ad altro. Non riuscivo nemmeno a dire una frase in modo corretto.
Il mio cervello era andato in tilt e tutto quello che riuscivo a pensare era perché mai lei volesse parlare proprio con me. Non la conoscevo, non sapevo che faccia avesse e non avevo la minima intenzione di incontrarla. Per quanto ne sapevo, aveva ucciso i genitori di Christian e poi era sparita senza lasciare traccia.
“Non lo so, Bella. Non lo so. È tutto così strano”.
Il mio respiro cominciò a farsi sempre più pesante, la vista iniziò ad appannarsi e le mie orecchie iniziarono a fischiare. Il mio corpo non rispondeva più e sentivo le palpebre e le braccia pesanti.“C – cosa faccio? Io … io … tu devi dirmi cosa fare. Io … oddio! Gira tutto … Christian …”, riuscii a dire prima di svenire.

“Sei un idiota patentato. Non avresti dovuto dirglielo. Cosa ti è saltato in mente?”.
“La smetti di parlare? Sono già preoccupato di mio, grazie. Cos’avrei dovuto fare? Tenermelo per me e aspettare che le arrivasse una lettera dal carcere in cui Mary le chiedeva di vederla? Sai che choc”.
Sentivo delle voci intorno a me, ma non riuscivo a capire da dove provenissero. Ero quasi sicura che Christian e Edward stessero parlando. O meglio, stessero discutendo.
“La smettete di litigare come due bambini? Dio … siete così infantili a volte!”, urlò esasperata quella che riconobbi essere Alice. I miei sensi si stavano risvegliando e le orecchie non fischiavano più come prima.
“STA ZITTA!”, le risposero i due in contemporanea.
“Oh ma che carini! Adesso parlate anche in sincrono! Siete così dolci. Adesso spostatevi. Bella non si riprenderà mai se le state così vicini. State invadendo il suo spazio vitale”.
Decisi che mettere fine a quel battibecco sarebbe stata la soluzione migliore per me e per il mio mal di testa. Per questo, mi mossi un po’ per attirare la loro attenzione. Probabilmente, però, la mia non fu la scelta giusta, perché i tre continuarono a litigare, ignorandomi completamente. A quanto pareva, le mie doti di attrice non erano migliorate tanto.
Sospirai e, dopo aver aperto gli occhi, mi misi seduta. Magari qualcuno si sarebbe accorto che la persona per cui stavano litigando si era svegliata.
Incrociai le braccia al petto e aspettai.
Niente, proprio non la volevano smettere. Fu così che urlai un “RAGAZZI!”, con tutto il fiato che avevo in gola e la scena fu davvero … davvero esilarante.
“Non ora Bella”, rispose Christian, liquidandomi con un segno della mano.
Alzai un sopracciglio perché ‘Non posso crederci. Stanno parlando di me e non si sono nemmeno accorti che mi sono svegliata e che li sto guardando furente’.
Dopo quelle parole, Christian spalancò gli occhi e si girò verso di me e di riflesso anche gli altri due che, nel frattempo, avevano continuato a litigare.
“Bella! Oddio … scusami. Come ti senti? Stai bene?”.
A quelle tutti scattarono in avanti e il battibecco si spostò su chi avrebbe dovuto abbracciarmi per primo, perché ‘Ci siamo spaventati tantissimo quando Christian ci ha chiamati per dirci che eri svenuta’.
Potevo sentire chiaramente Edward dire “E’ la mia ragazza, tocca a me abbracciarla per primo”.
Poi, però, c’era Christian che gli rispondeva “Sarà anche la tua ragazza, ma è mia sorella. Ho la precedenza assoluta”.
E alla fine si aggiungeva Alice che “No … le donne hanno sempre la precedenza. Fate largo” urlava.
Fino a quando, scocciata, urlai un “RAGAZZI” degno di un soprano e li scacciai tutti con la mano. “NON RESPIRO … ARIA … ARIA! Ho bisogno di aria!”.
“Oh sì … scusaci, hai ragione”.
Li fulminai con lo sguardo e “Smettetela di urlare altrimenti me ne vado e non mi vedrete tornare per un bel po’ di tempo. Dio! La testa mi fa un male cane!” li minacciai.
A quelle parole stavano di nuovo iniziando a parlare tutti e tre insieme, ma un mio gesto della mano fermò tutto. ‘Uhm … potrei abituarmi a tutto questo’.
“Allora … come ti senti? Vuoi dell’acqua”, mi chiese a quel punto Christian, sedendosi accanto a me.
“No sto bene. Vorrei solo sapere perché quella donna vuole incontrarmi. Cosa vuole da me?”.
Christian sospirò. “Non lo so, tesoro. Sta a te decidere se incontrarla o meno. Hai tutto il tempo del mondo. Con calma, d’accordo?”.
“D’accordo!”, gli sorrisi e lo abbracciai. “Scusa se ti ho fatto preoccupare. Credo sia stato un attacco di panico”.
“Non importa. L’importante è che non sia nulla di grave”.
“Bene … adesso che si è svegliata … possiamo tornare a casa? Io e la mia ragazza abbiamo delle cose da fare”, disse Edward, intervenendo nella nostra conversazione.
“Certo, andate pure”. Christian gli sorrise e mi lasciò un bacio in fronte.
“Che cosa dobbiamo fare?”.
“Sorpresa!”, sorrise Edward.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. “Come non detto. Io ci ho provato! Alice … andiamo!”.

“Allora? Si può sapere dov’è questa sorpresa? Che cosa devo fare per averla? Devo mettermi in ginocchio?”, urlai disperata nel tentativo, vano, di riuscire a far perdere la pazienza al mio ragazzo.
“Non riuscirai a farmi perdere la pazienza. Non oggi, almeno. E adesso sta zitta un po’ che sto pensando. Vai ad infastidire qualcun altro”.
Spalancai la bocca e con fare stizzito, sbattei i piedi sul pavimento e strinsi le mani in pugno. “D’accordo … che palle! Sei una noia! Quando hai finito e hai bisogno di me, sai dove trovarmi, visto che ti infastidisco”, e detto questo me ne andai a passo di carica, non prima di averlo incenerito con lo sguardo. Che poi … a che pro dirmi di avere una sorpresa per me, se deve farmi arrabbiare e trattarmi come una deficiente?
“Zitta che sto pensando”, sussurrai tra me, facendogli il verso. ‘Zitta un corno’.
Mi stesi sul letto e gli lanciai tutte le parolacce che conoscevo. ‘Che nervi. Lo odio quando fa così’.
Arrabbiata, mi alzai dal letto e tornai in cucina, ma la sua voce che parlava al telefono mi bloccò. ‘Con chi cavolo sta parlando?’.
“Sì, Bella non sa nulla. Esatto. Glielo dirò al momento giusto, che non è ora. Non voglio che si senta male di nuovo. Ha già avuto un attacco di panico, oggi. Domani? A che ora? Si ci sarò, perfetto. Grazie a te. A domani”.
Mi accigliai, chiedendomi con chi cavolo stesse parlando e perché avrei dovuto sentirmi male a quello che mi avrebbe detto?
Decisi che, visto che lo infastidivo e dovevo stare zitta, non gli avrei rivolto la parola. Forse era un comportamento infantile, ma non m’importava. Avrebbe dovuto soffrire. Se non mi voleva tra i piedi, avrebbe potuto tranquillamente lasciarmi a casa di Christian, invece di voler tornare a casa con me a tutti i costi.
Tornai in cucina per mettere qualcosa sotto i denti, passandogli davanti e ignorandolo completamente. ‘Che il divertimento abbia inizio’.
Come avevo previsto, si avvicinò a me e iniziò a scusarsi. Ignorai completamente il fiume di parole che stava dicendo e mi concentrai su ciò che stavo cucinando per pranzo. ‘Pasta ai funghi e besciamella. Decisamente la mia preferita’.
Aspettai che finisse di parlare e, senza nemmeno voltarmi, “Funghi e besciamella vanno bene per te? Altrimenti organizzati”, gli dissi.
“Bella … mi ascolti un attimo?”, disse Edward cercando di prendermi il polso e bloccarmi.
Mi voltai verso di lui, sbuffando e fulminandolo con lo sguardo. “Sta zitto … va a infastidire qualcun altro” e detto questo mi voltai subito verso i fornelli.
Potei sentirlo sospirare e sussurrare un “I funghi vanno bene anche per me”.

Seattle, University District, Casa Cullen-Swan, Mercoledì 13 Luglio 2016
Il mio malumore nei confronti di Edward era durato per due giorni. Infatti, erano due giorni che non parlavamo, o meglio che io non gli parlavo. Edward provava sempre a parlarmi per un motivo o per un altro, non ricevendo, però, alcuna risposta.
E mi ero accorta che la situazione iniziava a pesargli, visto che passava quasi tutto il suo tempo a casa di Alice e Jasper. A volte, infatti, Alice mi raggiungeva perché “Non li sopporto più. Cos’avranno di così divertente queste console? Che giochi da idioti … Fifa 2016 o formula 1”.
Non sapevo più che fare. All’inizio ero arrabbiata con lui perché mi ero sentita offesa, poi la rabbia si era trasformata in furia e infine, era andata scemando e non riuscivo ancora a capire perché non riuscissi a rivolgergli la parola. Adesso capisco perché Edward pensi che per capire noi donne ci vuole il vincitore di un premio Nobel e, a volte, nemmeno quello. Già, perché in momenti come questi, nemmeno io riuscivo a comprendermi.
Sbuffai e alzai lo sguardo dal mio iPad, giusto in tempo per vedere Edward rientrare.
“Ciao”, lo salutai. “Com’è andata la giornata?”.
Edward si bloccò vicino alla porta con le mani in aria (probabilmente stava per togliersi la giacca) e mi guardò scioccato. Poi fece uno scatto e corse verso di me, con ancora la giacca di jeans addosso. Si buttò letteralmente in braccio a me, tant’è che persi l’equilibrio e caddi stesa sul divano, trascinandolo con me.
“T – tu … tu mi stai parlando. Finalmente”, sussurrò, stringendomi a se.
Risi e gli baciai una guancia. “Perché ti sorprende tanto?”.
“Beh … non mi hai parlato per due giorni, senza un motivo valido per giunta, e quindi non lo so”, alzò le spalle e mi sorrise.
“Scusa, non so cosa mi sia preso. Hai ragione quando dici che nemmeno un premio Nobel riesce a comprenderci”.
“Davvero?”, mi disse con voce acuta, segno che era davvero … davvero sorpreso.
“Davvero”.
“Bene … quindi, visto che sono perdonato e non so nemmeno per quale motivo, vieni con me e prepara il tuo bagaglio”.
“C – come? Cosa? Perché?”.
Edward mi sorrise con mistero e “No, non posso dirtelo. Sono settimane che organizzo questa cosa e non mi rovinerai il divertimento. Prepara solo la tua valigia. La mia è già pronta, ci ho pensato ieri sera. Tra quattro giorni si parte” mi disse, mettendosi seduto e tirandomi con se.
“D’accordo, vado”, gli dissi una volta che mi fui alzata. “Una curiosità … se non ti avessi parlato, come avresti fatto?”.
“Semplice … avrei chiesto ad Alice di prepararti la valigia e poi con una scusa ti avrei portato con me all’aeroporto”.
Sorrisi e mi avvicinai a lui per baciarlo. “Astuto il mio ragazzo”.
“Bellaaaa”, urlò Edward dopo il bacio. “So cosa stai cercando di fare e non ci riuscirai. Ah dimenticavo, prendi anche qualche giacca e qualche felpa. Dove andremo non è piena estate, cioè è estate ma il clima non è caldissimo”.
Iniziai a ridere e alzando le mani al cielo “D’accordo … d’accordo, vado! Mamma mia”, gli dissi.

Quando avevo quasi finito di preparare la mia valigia, entrò Alice nella stanza, facendomi sobbalzare.
“Alice! Che cavolo!”, sospirai.
“Scusa! Come procede qui? Ieri quando sei uscita ho preparato quella di mio fratello. Certo, c’era lui che faceva il cane da guardia e mi diceva cosa prendere e cosa no, ma almeno quando arriverete in hotel e aprirete i bagagli, la sua valigia non esploderà”, mi disse piccata.
“Molto premuroso da parte tua”, le dissi ironicamente, mentre piegavo una delle mie felpe.
“Beh … che vuoi farci! Sono fatta così. Diciamo che avrei voluto estorcergli qualche informazione, ma niente. Non sono riuscita a corromperlo”, mi disse sconsolata.
“Perché qualcosa mi dice che non saremo gli unici a partire per un luogo sconosciuto?”.
“Perché è così … uffa! Anche io e Jaspy partiremo per le vacanze, ma non so dove e quindi …”, si interruppe per fare un sospiro.
“E quindi volevi sapere la meta da Edward, giusto?”, conclusi per lei.
“Esatto! Non chiedo nulla in fondo. Ho bisogno di sapere dove andremo, non posso nemmeno portare due valigie. Jasper ha detto che possiamo portare un trolley ciascuno, un beauty case e due zaini in spalla. Nulla di più, nulla di meno. E ovviamente il pc andrà in uno dei due zaini”.
Iniziai a ridere perché … beh, perché per Alice non sapere non era una buona cosa. Due trolley per lei sono pochi, figuriamoci uno. “Beh … Jasper non ti ha detto cosa portare? Ad esempio, Edward mi ha detto che dove andremo non farà caldissimo, quindi ho preso qualche maglia a maniche lunghe e qualche felpa, oltre che le mezze maniche”.
“No”, disse triste. “Nemmeno un indizio”, aggiunse sedendosi sul mio letto con le spalle flosce.
Mi sedei accanto a lei e le circondai le spalle con un braccio. “Beh … sono sicura che se gli farai la tua faccia da cucciolo e non gli parlerai per un po’, come tuo solito, riuscirai a farti dire qualcosa e poi lo scopriremo quando arriveremo all’aeroporto. La destinazione è scritta sulla carta d’imbarco”.
“Dici?”.
“Dico. Su … adesso aiutami a piegare questa roba che devo andare da Christian. Ho deciso di incontrare quella tizia”.
“Davvero? Quando l’hai deciso?”, mi chiese sorpresa.
“Stanotte … non riuscivo a dormire, così mi sono messa a pensare”.
“Hahahahah … allora è vero che la notte porta consiglio”.
“Può darsi … spero di aver scelto il consiglio giusto”, sospirai.
“Vedrai … andrà tutto bene e poi la incontrerai in carcere, non potrà farti nulla”, mi disse Alice abbracciandomi.
“Lo spero, perché non so cosa aspettarmi”.

“Sei sicura di volerlo fare? Puoi sempre rifiutare e fare finta di niente”, mi chiese Edward mentre eravamo fermi ad un semaforo.
“Sì, sono sicura. Sono curiosa”, scossi le spalle e mi girai a guardarlo mentre ripartiva.
“D’accordo. Non riesco a capire perché, ma contenta tu, contenti tutti”, sbuffò.
“Oh andiamo …”, mi voltai verso di lui e iniziai a gesticolare energicamente. “Perché non vuoi che ci vada? Sarà pure un’assassina, ma merita una possibilità. Non la incontrerò nemmeno in un bar, ma in una stanza piena di poliziotti. Non potrebbe torcermi nemmeno un capello”.
“D’accordo … sta calma! Se vuoi tanto vederla, va bene. Solo … mi chiedevo perché, tutto qua. Non arrabbiarti!”, mi disse alzando le mani dal volante in segno di resa. “Siamo arrivati, comunque. Fatti aprire il cancello così entriamo”.
“Sei irritante quando fai così”.
“Quando faccio cosa? Sei tu quella irritante!”.
“Ma sta zitto” e detto questo scesi dall’auto e suonai il citofono. Certe volte Edward era davvero esasperante. Non riuscivo proprio a capirlo. Mi trattava come una bambina, come se io non fossi in grado di prendere da sola le mie decisioni. A volte mi viene voglia di prenderlo a schiaffi per le cretinate che dice e andarmene di casa.
Lo odio.
‘Ne sei proprio sicura?’, intervenne sarcastica la vocina nella mia testa.
‘Sta zitta. Non è il momento’.
Fu la voce di Christian a tirarmi fuori dai miei pensieri. “Hey tesoro, come va? Come mai questa decisione? E perché vuoi incontrarla subito?”.
“Non ti ci mettere anche tu, adesso. Voglio farlo subito. D’accordo?” e lo scansai per entrare in casa. Mi accorsi con la coda dell’occhio lo scambio di sguardi tra Edward e Christian.
“Non guardare me. Non ho la più pallida idea di cosa le passi per la testa”, disse Edward alzando le mani.
Una volta dentro, salutai il mio piccolo nipotino e aspettai, con Jo, che Edward e Christian entrassero per poter parlare.
“Perché?”, mi chiese Christian. “Voglio una spiegazione logica alla tua richiesta. Non ti lascerò andare se non mi convincerai”.
“Non puoi impedirmi di fare quello che voglio, Christian. Sono venuta qua solo per chiederti di chiamare l’avvocato e fissare un appuntamento. Sabato io e Edward dobbiamo partire e voglio farlo tranquilla, senza nessuno peso che mi opprime”.
Christian venne a sedersi accanto a me e mi prese la mano, con fare rassicurante. “Ma non c’è alcun bisogno che tu lo faccia”.
“E invece io voglio farlo. Perché non capisci? Voglio guardare negli occhi la persona che ti ha distrutto la vita e voglio sapere perché chiede di me, costantemente. Ne ho tutto il diritto”.
“Va bene … va bene! Chissà perché ma mi aspettavo una cosa del genere quando mi hai chiamato oggi pomeriggio, quindi avevo già parlato con l’avvocato. Domani alle quattro potrai incontrarla. Passo a prenderti alle tre, d’accordo?”.
“Perfetto”.

Seattle, Gig Harbor, Washington Correction Center For Woman, Giovedì 14 Luglio 2016
“Sei sicura di volerlo fare? Nessuno ti obbliga, tesoro”.
Roteai gli occhi e sbuffai sonoramente. Da quando ero entrata in macchina, non aveva fatto altro che farmi quella domanda, un minuto sì e l’altro pure. Ed io, ovviamente, l’avevo sempre e prontamente ignorato. Decisi, però, che visto che eravamo fuori la prigione, avrei dovuta dargli per forza una risposta, altrimenti sarebbe uscito fuori di testa. “Sì certo, sono sicura. Mi sembra che nessuno mi stia obbligando, visto che tu e Edward vi comportate come se stia andando al patibolo. Avete delle facce”.
Christian alzò le mani al cielo in segno di resa e seguì il suo avvocato all’entrata, dove stavamo aspettando scattasse l’orario di visite.
Ovviamente, cosa o meglio chi, non poteva mancare? I giornalisti.
Riuscivo già a immaginare quanto i telegiornali avrebbero parlato della nostra presenza al carcere femminile. Sapevano tutti chi fosse chiuso lì dentro.
Nostra zia. L’incubo di Christian. Colei che gli aveva distrutto la famiglia, ma di cui io non sapevo l’esistenza.
Quando scattò l’ora x, feci un respiro profondo ed entrai al fianco di Christian.
Riuscivo a sentire lo sguardo di tutti gli altri che, come noi, erano in visita a qualcuno. Ovviamente, ci avevano riconosciuti.
I giornalisti avevano parlato del processo per settimane.
“Signor Swan”, salutò un agente, correndo verso di noi. “Prego da questa parte. Incontrerete la detenuta in una delle sale usate per gli incontri con gli avvocati. So che è un incontro molto delicato e riservato. Signorina” e detto questo si voltò e ci disse di seguirlo.
Camminammo per un po’ per i corridoi del carcere, sentendo gli occhi di tutti addosso. C’era chi aspettava il suo turno per far visita alla propria madre, chi alla sorella, chi alla propria figlia. Solo noi eravamo lì per un motivo a noi ancora sconosciuto.
“Ecco, questa è la stanza. La detenuta arriverà tra poco. Se volete accomodarvi … chi parlerà con lei?”, chiese l’agente che ci aveva scortato.
“Io … la donna … Mary ha chiesto di vedermi e … ed io ho accettato”, sospirai evitando lo sguardo di Christian.
“Bene, allora … lei si accomodi qui dentro. Signor Swan, avvocato … venite con me. Staremo dall’altra parte del vetro”.
“E’ sicuro? Non voglio che Isabella sia sola con lei”, disse Christian con tono autoritario.
“No, non si preoccupi. Ci saranno due agenti con loro. E in più noi saremo dietro quel vetro, interverremo in qualunque momento. Non riuscirà a toccarla nemmeno con un dito”, assicurò l’agente, facendosi piccolo sotto il tono usato da mio fratello.
“Voglio ben sperare, altrimenti il mio avvocato vi farà avere presto sue notizie”.
“Le assicuro che non sarà necessario. Ora se vogliamo procedere … signorina Swan, entri qui dentro. Noi saremo dietro quel vetro, lo vede?”, mi disse indicandolo. Io annuii e lui continuò. “Lei non ci vedrà e non ci sentirà, ma noi vedremo e sentiremo tutto, quindi può stare tranquilla”.
Io annuii di nuovo convinta e “Io sono tranquilla. Forse dovreste mettere a lui”, dissi indicando Christian, “un calmante nel caffè”.
Sia l’avvocato che l’agente stavano per ridere, ma ad una brutta occhiata di Christian tornarono subito seri.
“Stai giocando con il fuoco, Isabella Swan”.
“Chiacchiere … chiacchiere! A dopo”, sorrisi condiscendente e mi sedetti sulla sedia, salutandolo con una mano.

Dopo quella che mi sembrò un’eternità, la porta si aprì e rivelò una donna di mezza età seguita da due agenti che, dopo averle tolto le manette, si posizionarono agli angoli della stanza, immobili come statue.
Mi drizzai sul posto e mi persi a squadrarla, mentre lei faceva lo stesso con me. Somigliava in tutto e per tutto a mio padre e allo zio Jason. Mi somigliava. Avevamo gli stessi occhi, gli stessi che avevamo ereditato Christian ed io dai nostri padre e che erano il tratto unico della famiglia Swan. Anche la forma del viso era simile. L’unica differenza era che il suo, era un volto segnato dagli eventi, dalla vita e dall’età.
Finalmente, l’irraggiungibile zia Mary aveva un volto.
Non l’avevo mai vista, almeno non dal vivo. Christian non mi aveva mai permesso di presentarmi al processo e mio padre era stato d’accordo ed io ancora non riuscivo a comprenderne il motivo. Ero sicura mi nascondessero qualcosa e, ora, ero nel posto giusto per scoprire cosa.
Dopo aver passato minuti interminabili a studiarci a vicenda, lei parlò. “Ciao, Isabella”.
“Salve”, risposi educatamente.
“Come stai?”, mi chiese.
“Senta, non voglio essere scortese, ma non sono qui per fare conversazione con lei. Voglio solo sapere cosa vuole da me. Io non so chi è lei”.
Lei sorrise e “Stesso carattere burbero di tuo padre e tuo cugino, a quanto vedo”.
Sapevo cosa stava cercando di fare e non ci sarebbe riuscita, così sospirai e aspettai che la smettesse con quella farsa.
“Posso raccontarti una storia, Isabella? O dovrei chiamarti Bells?”.
Sgranai gli occhi e “C – come fa a sapere c – che …”, chiesi, interrompendomi.
“Come faccio a sapere il tuo soprannome, dici?”, scosse le spalle e riprese a parlare. “Vedi, avevo una figlia, una volta. Il suo nome era Isabella, ma i miei fratelli la chiamavano sempre Bells”, a quella confessione, mi drizzai sulla sedia e aguzzai le orecchie. “Allora … vuoi conoscere la mia storia?”.
Io non potei far altro che annuire circospetta e ascoltare.
“Non so cosa ti abbiano raccontato, ma dalla tua espressione deduco che tu non sapessi della mia esistenza. Tipico dei miei fratelli”, si interruppe per un momento e poi riprese a parlare, facendo un respiro profondo. “Tutto è iniziato quando mio marito e mia figlia morirono in un incidente d’auto. Il mio mondo finì con loro. Caddi in depressione. I miei fratelli erano giovani e inesperti e non potevano far altro che guardarmi crollare. Non sapevano cosa fare. Andavano ancora al liceo e al college e nostra madre era malata. Il loro tempo lo passavano tra la scuola e la casa per prendersi cura dei nostri genitori. Fu per questo che, un giorno, su consiglio del mio psicologo di allora, decisero di mandarmi in una clinica. Era ed è la migliore nello stato di Washington, ma questo non mi guarì. Anzi, mi portò al limite. Mi facevano visita quando avevano del tempo libero o quando la mamma non aveva le sue crisi. Mi mancavano. Mi mancava mia figlia. Gli somigli, sai. Avete gli stessi occhi. Quand’era piccola mi diceva che avrebbe voluto fare il medico. Era così piena di vita. Sempre allegra e sorridente. Era l’anima della casa. Tutti pendevano dalle sue labbra e quando c’era lei mia madre non aveva crisi, forse troppo occupata ad ascoltare i racconti di sua nipote”, mi raccontò con lo sguardo perso nei ricordi.
Possibile che fosse successo tutto questo e che nessuno mi avesse detto niente? Va bene, che non ero ancora nata e che probabilmente papà non conosceva nemmeno mia madre, ma perché non raccontarmi di avere una zia?
“E questo cosa c’entra con gli zii? Perché li hai uccisi?”.
“Se mi fai finire, adesso ci arrivo”, mi fulminò con lo sguardo.
“D’accordo, mi scusi”.
“Come stavo dicendo, mi rinchiusero in quella clinica. Dopo due anni di visite abbastanza frequenti, i miei fratelli iniziarono a venire sempre meno. Se prima mi facevano visita ogni settimana, le visite iniziarono a diventare sempre più sporadiche. Ogni due settimane … ogni mese … una volta all’anno. Avevano una vita fuori da lì, lo sapevo, eppure non riuscivo a capire perché si fossero dimenticati di me. Fu la loro mancanza, oltre il dolore mai superato per la perdita di mia figlia e di mio marito, che mi fecero peggiorare ulteriormente. In uno dei miei rari momenti di lucidità, riuscii a chiedere a un infermiera perché i miei fratelli e mio padre non mi facevano visita da mesi e lì scoprii che mi avevano ripudiata. Mi avevano abbandonata. Il mio mondo crollò in mille pezzi. L’infermiera mi rispose che era perché non riuscivano più a sostenere le spese mediche e che, quindi, mi avevano affidata allo stato. Quella sera stessa, scoppiò un incendio. Le caldaie erano andate in corto circuito e si erano sovraccaricate. Quando le fiamme raggiunsero il piano in cui ero, in stanza con me c’era un’infermiera. Solita visita prima di prendere gli antidepressivi e dormire. Non so come, ma riuscii a salvarmi per un soffio. Scappai e mi nascosi nel giardino adiacente alla clinica. Giorni dopo, la polizia pubblicò la lista dei morti e dei dispersi nell’incendio ed io risultavo tra i morti, mentre la mia infermiera tra gli scomparsi. Fu così che iniziai a pensare alla mia vendetta. Presi un altro nome e niziai a lavorare in un bar nella periferia di Portland e questo mi diede modo di sopravvivere. Nessuno mi conosceva lì, nessuno sapeva del mio passato. Lo stipendio che avevo mi permetteva di vivere onestamente e mi permetteva di continuare a curarmi. Dopo cinque anni, lessi sui giornali che mio fratello Jason aveva aperto un’azienda, la Swan Corporation, quella che poi Christian ha fatto diventare casa discografica. Si era sposato e aveva avuto un bambino. Christian. Ricordavo di aver visto un bambino in una delle ultimi visite che mi avevano fatto, ma era tutto in ricordo sfocato. Fu in quel momento che iniziai a tracciare nella mia mente la mia vendetta personale. Poco dopo, tuo padre diventò lo sceriffo di Forks e tutto quello che riuscivo a pensare era che erano andati avanti, senza di me. Mi avevano abbandonata e poi avevano pianto su un corpo che non era il mio e …”, l’interruppi.
“Mi scusi … perché non si è fatta viva? Avreste potuto fare pace e vivere insieme, com’è giusto che due fratelli facciano. Perché ha architettato tutto questo? Non capisco”.
“Vendetta, bambina mia, vendetta. Loro avevano abbandonato me senza un motivo. Io … gli avrei distrutto la vita. E ci sarei riuscita se tuo padre non si fosse trasferito in Italia. Voi dovevate essere i primi. C’era una sola Isabella e quella doveva essere mia figlia. Non c’era spazio per altre. Vi osservavo sempre giocare. Tu e Christian. Due gocce d’acqua. Identici, in tutto e per tutto. Eravate quello che io non avevo mai avuto e non potevo permetterlo. Dovevano provare anche loro quello che avevo provato io. Dolore”.
Mentre raccontava, aveva abbassato lo sguardo e quando lo rialzò, non lo aveva carico di dolore e rimpianto, come all’inizio, ma solo pieno d’odio e disprezzo.
Mi congelai. Quella confessione mi mozzò il respiro. Non era possibile che una persona potesse covare dentro di se tanto odio verso i propri fratelli. Certo, forse, quei due avevano sbagliato a lasciarla lì, sola, ma cos’avrebbero dovuto fare? Erano troppo giovani per prendersi cura di una persona con quel disturbo. Cos’avrebbero dovuto fare?
Ero arrabbiata, però. Nessuno, per tutti questi anni, mi aveva parlato della sua esistenza. Nonostante questo, non riuscivo ancora a capire cosa volesse da me. Io che c’entravo in tutto questo?
Non so per quanto tempo non parlai, sta di fatto che, a un certo punto, quella donna mi rivolse una domanda. “Allora? Non hai nulla da dire? Scommetto che ti starai chiedendo cosa c’entri con tutto questo, vero?”.
“In effetti … non ho ancora capito cosa vuole da me”.
“Vedi … tu sei quello che avrebbe dovuto essere mia figlia. Volevo vedere per una volta la ragazza che ha preso il suo posto nel cuore della mia famiglia”.
Sgranai gli occhi ancora più di prima, se possibile, “C – cosa? Che significa? Io non sono un esperimento o una sostituzione. Sono io. Non ho preso il posto di sua figlia e non so chi lei sia e cosa voglia da me. Non sapevo neanche dell’esistenza di sua figlia. La pregherei di lasciarmi in pace e non cercarmi più”. Mi alzai e mi diressi verso la porta, aspettai che mi aprissero e poi uscii, senza voltarmi indietro.
Ad aspettarmi, ovviamente, c’era Christian che provò a parlarmi, ma che a una mia freddata rimase in silenzio.
“Possiamo andare, adesso”.
Una volta in macchina, Christian non riuscì più a trattenersi dal parlare. “Hai intenzione di rivolgermi la parola oppure …”, iniziò, ma io non lo feci finire di parlare.
“Oppure nulla, Christian. Sono arrabbiata. Che dico … furiosa. Non c’è nulla di cui discutere. Capisco che non abbiate voluto dirmelo quand’ero piccola, ma ora? È per questo che hai voluto che non venissi al processo, vero? Chi altri lo sapeva? Per quanto tempo pensavate di far durare questa farsa?”, poi un’illuminazione mi colpì a ciel sereno. “Oh aspetta … vi aspettavate che non avrei voluto vederla, vero? Guarda un po’! Bella ha un cervello e sa anche usarlo” e dopo questo mi sporsi verso Dean e gli chiesi di accompagnarmi nell’University District.

Arrivati a casa Christian scese con me dall’auto ed io spazientita mi voltai verso di lui. “Senti … non ho bisogno della balia. So dove andare”.
Lui sbuffò. “Non sto salendo con te perché hai bisogno della balia. Vorrei parlarti, se mi è permesso”.
“Fa come vuoi. Questo non cambia il fatto che io sia ancora arrabbiata con te”.
Mi voltai e ripresi la mia camminata verso casa. Una volta arrivati al piano, suonai il citofono e venne ad aprirmi un Edward super sorridente. “Amo –”, ma subito si interruppe notando il mio sguardo. “Okay … forse è meglio se sto zitto. Non hai una bella cera e non voglio rischiare di morire. Soprattutto non tre giorni prima del nostro viaggio. Non voglio finire come ieri”, sproloquiò.
Alzai gli occhi al cielo. “Edward! Se hai appena detto che faresti meglio a stare zitto, perché stai parlando, allora?”.
“D’accordo, ho …”, ma a una mia occhiataccia fece il segno di cucirsi la bocca e andò a sedersi sul divano.
“Posso parlare ora?”, intervenne Christian, di cui avevo quasi dimenticato la presenza.
“D’accordo, se vuoi”. Sbuffai.
Dopo essere andati a sederci, iniziò a parlare. “Non so da dove iniziare, ma credo che … so che meriti una spiegazione”, precisò. “Mi dispiace. So che mi sono comportato in modo infantile, ma volevo solo proteggerti. Non volevo che … che avessi a che fare con quella donna per … devo spiegarti davvero il motivo? Hai sentito cosa ti ha raccontato. Non volevo rovinasse la visione che hai dei nostri genitori. È vero, loro l’hanno abbandonata in quella clinica, ma cos’avrebbero dovuto fare? La nonna era morta da poco e il nonno si era ammalato e lei non faceva passi avanti. Non riuscivano più a sostenere le spese. Non guariva. Per i medici le cure avrebbero dovuto fare effetto da tempo. Furono anche i medici a consigliare loro di presentarsi di meno in mondo da spingerla a guarire, ma lei restava sempre allo stesso punto. Cosa vuoi che ti dica? Io ricordo poco di quel periodo. Avevo un paio d’anni. Una volta portarono anche me. E’ stata ricoverata per anni in quella clinica, non solamente due. Non è stato per poco. Ha stravolto un po’ il racconto per farti credere di essere stata abbandonata. Ti prego, perdonami … mi dispiace. Non so che dire”.
Sospirai e chiusi gli occhi. Cavoli se era difficile. Non sapevo a cosa credere. Quella donna … il suo sguardo … era così convinta delle sue parole. Poi, però, compresi che, in fondo, Christian era … beh, Christian, c’era sempre stato e che avesse ragione. Non potevano fermare la loro vita solo per lei.
“D’accordo, hai ragione. Non sono più arrabbiata, semplicemente mi dava fastidio che non mi aveste detto niente. Non è giusto. Non potete trattarmi sempre come una bambina. E ho capito che non mi avete detto niente perché non ero ancora nata, ma … che cavolo! Avrei preferito saperlo. Ha detto che i primi saremmo dovuti essere noi”.
Christian mi sorrise e mi abbracciò. “Scusa. Prometto che non lo farò più. Ti voglio bene, sorellina”.
“Ti voglio bene anch’io, idiota”. L’abbraccio durò abbastanza a lungo e Christian mi strinse così forte che quasi mi mancò il fiato. “Okay … adesso può bastare. Sto soffocando. Christian! Molla l’osso!”.
“D’accordo, ti lascio”, rise Christian. “Sono contento che abbiamo risolto. Passo tra tre giorni per accompagnarvi all’aeroporto”.
“Come … sapevi già tutto? Puoi dirmi dove andremo?”.
“No, tesoro. Non ti dirò nulla. E’ una sorpresa. Ti piacerà, vedrai. Ora vi lascio. Mi mancano mia moglie e mio figlio”.
Lo salutammo e poi andai a sedermi accanto a Edward sul divano. Sospirai.
“Posso parlare ora?”, mi chiese Edward ed io non riuscii più a trattenermi dal ridere. “Cioè … tu fammi capire … sei stato zitto tutto questo tempo perché ti avevo detto di farlo?”.
Lui si fece piccolo piccolo e iniziò a ridere. “Beh … può darsi! Non volevo mi picchiassi!”.
“Hahahahah … Edward, per favore. Sei sempre il solito. Ma se questo ti tranquillizza … puoi parlare adesso”, mi voltai e mi accoccolai sulla sua spalla. “Come faccio a picchiarti? Primo, mi farei male. Secondo, sei troppo coccoloso perché io possa pensare di picchiarti”.
“Smettila con questa storia. Io non sono coccoloso”.
“Sì che lo sei”.
“Nooo … smettila. Mi arrabbio!”.
Iniziai a ridere e “Ammettilo, ti prego”, gli dissi.
“No. Adesso … ti andrebbe di parlarmi di questa storia? Mi sono un po’ preoccupato nel sentire ciò che vi siete detti. È davvero così perfida come ha detto Christian? Cosa ti ha raccontato? C’era qualcuno con te, spero”.
“Sta calmo. In quella stanza c’erano due poliziotti e poi … sì, era davvero così perfida. Posso raccontartelo domani? Ora voglio solo non pensarci e stare qui con te”.
Edward si limitò solo ad annuire e mi circondò le spalle con un braccio, attirandomi a se. Non ci vollero altre parole. Le parole non servivano, perché sapevamo entrambi che quella era la nostra forza maggiore e avremmo fatto di tutto per non perderla mai.

Inghilterra, Londra, London Heathrow Airport, Domenica 17 luglio 2016
Non posso crederci. Siamo a Londra. Io e Edward. Edward ed io. Siamo a Londra. Insieme. Non posso crederci. Quel pazzo del mio fidanzato ha fatto tutto questo senza dirmi niente. Oh mamma! Credo che morirò, prima o poi, o che mi verrà una paralisi facciale.
Non che non sia mai stata a Londra, ma andarci con Edward è un’altra storia. Una volta ci sono andata con Christian. Un viaggio cugino – cugina / fratello – sorella. Anche quello fu bellissimo e magico, ma spero che quello con Edward sarà molto più bello.
“Oh dio, Edward! Siamo a Londra. Io e te. Insieme. Ci credi? È fantastico! Non vedo l’ora di visitare tutto. D’accordo che ci sono già venuta, ma … porca miseria, non ci riesco. Sono troppo eccitata”.
Edward rise della mia euforia e “Lo vedo”, disse. “Sì, finalmente sono riuscito a fermare un taxi. Sono peggio di New York questi cosi”.
Eravamo appena usciti dall’aeroporto e stavamo cercando di fermare un taxi per arrivare in hotel, ma non ci riuscivamo.
Dopo che Edward, con l’aiuto del tassista, ebbe caricato i nostri bagagli, entrammo e demmo il nome dell’hotel in cui avremmo alloggiato. Ero così eccitata e felice all’idea di essere a Londra che anche stare seduta, per me, era un vero e proprio problema.
Per tutto il viaggio mi limitai a osservare la città del mio cuore scorrermi accanto. Non riuscivo ancora a crederci. Ricordo quando arrivati a New York avevo scoperto che la nostra destinazione finale era Londra. Ero saltata in braccio a Edward e non l’avevo mollato per un bel po’ di tempo, sotto lo sguardo divertito dei viaggiatori. Ma non mi fregava, ero con Edward e solo quello importava.
Mi voltai a guardare Edward, e mi resi conto che mi stava osservando da un po’ con un sorriso divertito sulle labbra. “Che c’è? Ho qualcosa che non va?”, chiesi.
“No, tutto bene, tranquilla. Ti stavo solo osservando. È fantastico quanto tu sia ancora più bella in questa città. Avevi ragione. Londra è magica”.
Io scossi le spalle e mi voltai di nuovo verso il finestrino.

Londra, King’s Cross & St Pancras Station, Martedì 19 Luglio 2016
“Edward … si può sapere dove mi stai portando?”.
“Non te lo dirò, mi dispiace. Limitati a timbrare il ticket e a salire nella metro”.
“Quale treno devo prendere e che direzione? Come faccio a limitarmi a salire su un treno? Sei impazzito per caso? Vuoi farci perdere?”.
Eravamo appena entrati nella stazione King’s Cross & St Pancras della famosa metropolitana di Londra e non avevo la più pallida idea di dove andare. Ero in completo panico. Ero stata a Londra con Christian, qualche anno fa, ma ci eravamo sempre spostati in auto e non riuscivo ad orientarmi. Se Edward mi avesse detto che avremmo preso la metro avrei portato l’opuscolo che ci avevano dato all’aeroporto con la mappa di Londra e della famosa Tube, ma, evidentemente, al mio ragazzo non importava. Che sapesse già la direzione? Faceva tutto parte del suo piano?
Quando mi voltai verso di lui, dopo aver passato i metal detector, lui stava alzando gli occhi al cielo. “Non essere melodrammatica, piccola. So dove andare. Non ho alcuna intenzione di farci perdere. Ti fidi di me?”, mi chiese e in quel momento avrei voluto prenderlo a schiaffi, perché quello che stava facendo doveva essere dichiarato illegale.
“In teoria. Non vuoi uccidermi e poi trafugare il mio cadavere, vero?”, dissi guardandolo di sottecchi e a quelle parole una donna si voltò verso di noi, forse spaventata dai nostri discorsi.
Lui rise. “Ma ti pare. C’era bisogno di venire a Londra per ucciderti? Avrei potuto farlo tranquillamente a Seattle visto quanto rompi, amore”. E potemmo sentire chiaramente la stessa donna sussurrare qualcosa come “Americani” dopo aver alzato gli occhi al cielo.
Entrambi ridemmo. Avrà davvero creduto che Edward volesse uccidermi. “D’accordo … quindi, dove stiamo andando?”.
“Bella … non attacca. Non te lo dirò. È una sorpresa. Mettiti l’anima in pace. Dobbiamo prendere il treno direzione Paddington”.
“Uffa … Edward! Ti prego! Sai che odio le sorprese!”, sbuffai per l’ennesima volta, cercando di fargli perdere la pazienza.
“Smettila, ti stai comportando come una bambina. Non te lo dirò. Rassegnati. Ti piacerà, fidati”.
Sbuffai e incrociai le braccia al petto, come una bambina. Tanto, una scenata in più, una in meno, cosa cambia?
Dopo essere saliti in treno, iniziai a leggere le fermate che mancavano per Paddington: Liverpool Street, Tower Hill, Cannon Street, Westminster, St James’s Park, Victoria, Gloucester Road, Notting Hill Gate, Bayswater.
‘Aspetta ho appena letto Notting Hill Gate?’. Cosa … cosa … cosa?
Mi voltai verso Edward con un sorriso a trentadue denti e “NON POSSO CREDERCI! STIAMO ANDANDO A NOTTING HILL! TU SEI PAZZO!”, urlai, stringendolo in un abbraccio stritolatore.
Lui fece un sorriso furbo e “Può darsi … non lo so”, mi rispose stringendomi a se. “Adesso smettila di metterti in ridicolo. Ci stanno guardando tutti, piccola”, aggiunse, sussurrandomi queste parole all’orecchio.
Mi staccai da lui e mi voltai, osservando gli inglesi guardarci divertiti. Allora, mi voltai di nuovo verso Edward e ripresi ad abbracciarlo. “Grazie … non riesco a crederci. Ti amo”.
Edward rise e “Ti amo anch’io, amore”.

Londra, Notting Hill, Martedì 19 Luglio 2015
Non posso crederci! Mi ha portata a Notting Hill … per il nostro anniversario! Ora si che posso morire felice e soddisfatta! Quanto posso amarlo? Poi si arrabbia quando dico che è dolce e coccoloso.
Non riesco a smettere di sorridere e la cosa simpatica è che non ho ancora aperto bocca da quando siamo scesi dalla metropolitana. Non faccio altro che guardarmi intorno e sognare ad occhi aperti. Questo quartiere è … bellissimo e … ricchissimo! Sono sicura che se chiedessi a Christian di comprarmi una casa qui, lo farebbe senza se e senza ma.
Non vedo l’ora di arrivare alla famosa libreria del film con Hugh Grant e Julia Roberts.
“Un penny per i tuoi pensieri”, sussurrò Edward, ad un certo punto. “Allora? Piaciuto il regalo?”.
Sorrisi e annuii. Non riuscivo ancora a spiccicare parola.
Passeggiare tra i palazzi in stile vittoriano dai colori variopinti, i caratteristici bistrò e pub, era meraviglioso. Non riuscivo a descrivere la sensazione. Mi sentivo bene e in pace. Per non parlare dei caratteristici mercatini e dei negozi di vario genere. Tutto mi affascinava di quel quartiere. Avrei voluto fare così tante cose contemporaneamente, che non sapevo come e quando farle. Era impossibile credere che Notting Hill fosse diventato così ricco e per bene, visto che storicamente era considerato un ghetto e che iniziò a trasformarsi solo in epoca vittoriana.
Tra un passo e l’altro raggiungemmo anche la famosa Portobello Road, con il suo caratteristico mercato. L’immenso Mercato di Portobello rendeva tutto ancora più magico, con i suoi negozi vintage e di antiquariato affiancati da bancarelle con prodotti culinari.
Edward era silenzioso accanto a me, forse per lasciarmi assaporare la gioia e la vista di un luogo che avevo sempre sognato di visitare.
Mi voltai verso di lui e lo trovai intento a chiacchierare con un commerciante del posto, probabilmente per acquistare qualcosa che lo aveva colpito. Lo raggiunsi e lo abbracciai, lasciandolo continuare a contrattare con l’anziano signore.
Un sogno. Un vero sogno.
Salutammo il signore e riprendemmo a camminare, mano nella mano.
“Sei felice? Ti piace? Non hai smesso un attimo di sorridere”.
“Sì … è fantastico, non ho parole per spiegarlo. Grazie! È il più bel regalo di anniversario che tu potessi farmi. Grazie! Ti amo … tanto!”.
Mi baciò la fronte e “Dai, torniamo indietro. Andiamo al famoso negozio del film. Com’è che si chiama?”, mi chiese, forse solo per testare la mia memoria.
“Travel Bookshop a Blenheim Crescent”, gli risposi, facendogli una linguaccia e riprendendo a camminare.
“Lo sapevo che lo ricordavi. Vieni … andiamo”.
Usciti dalla libreria, dove avevamo comprato qualche libro, era pomeriggio inoltrato. Il tempo era trascorso così velocemente che nemmeno mi ero resa conto del suo scorrere.
“Grazie Eddy … è stata una giornata fantastica”, gli sorrisi e gli lasciai un bacio sulla guancia.
“Sono contento che ti sia piaciuta, ma non è ancora finita qui. Adesso, andremo ad Hyde Park, senza che tu faccia problemi”, ricambiò il mio sorriso, sorridendomi enigmatico.

Londra, Hyde Park, Martedì 19 Luglio 2016
“Perché non siamo venuti in metro? Avevi già organizzato tutto, vero?”, chiesi curiosa a Edward, non riuscendo a stare zitta e a smettere di fare domande, mentre entravamo nel parco dalla Grand Entrance.
“Cos’avevi promesso? Silenzio e niente domande. So che stai facendo violenza a te stessa, in questo momento, ma ti sarei davvero grato se facessi silenzio. Non vuoi che ti bendi, giusto?”, disse condiscendente Edward.
“Perché ho come l’impressione che tu stia dicendo sul serio?”.
“Perché è così?”, mi rispose ironicamente.
Io alzai gli occhi al cielo e mi sigillai le labbra.
Camminammo per un po’ e poi ci fermammo davanti ad una coperta scozzese posta sotto uno dei grandi alberi del famoso parco reale inglese. Era stato preparato uno splendido picnic, con tutte le mie pietanze preferite.
Mi venne da piangere. “Edward”, sussurrai. “Ma è fantastico. C – come hai fatto?”.
“So che non è proprio il massimo. Non è né una cena romantica, né un pranzo romantico, ma quando ci ho pensato l’idea mi è subito piaciuta e ho deciso di metterla in pratica. Volevo regalarti qualcosa di speciale. Christian mi ha dato una mano, devo ammetterlo. È per questo che siamo venuti in macchina”.
“Oh Eddy … è speciale, tranquillo. Nessuno ci avrebbe mai pensato. E’ incredibile quanto quell’uomo influenzi il mio mondo anche quando c’è un oceano a separarci, non credi?”, risi.
“Beh … effettivamente. Questa cosa è molto da Christian. Lo conosci, no?”.
Mi limitai ad annuire e ripresi a camminare, andando poi a sedermi sulla coperta da picnic. “Vieni a sederti qui con me, adesso”.
Dopo aver spazzolato quasi tutto quello che era stato preparato e aver messo a posto il cestino e la coperta nell’auto, ci alzammo e iniziammo a passeggiare. Oltrepassammo la fontana dedicata alla principessa Diana e ci dirigemmo in quello che riconobbi essere il Serpentine Lake, fatto costruire dalla regina Carolina e usato anche alle Olimpiadi di Londra del 2012.
Ricordo quando Christian ed io venimmo a Londra per il nostro viaggio. In realtà, mentre io me ne andavo in giro per Londra, lui aveva del lavoro da fare e solo il pomeriggio e nel weekend riuscivamo a passare del tempo insieme. Quando eravamo insieme, per ogni posto che visitavamo, Christian iniziava a raccontarmi la sua storia. È grazie a lui se so tante cose di Londra che prima non conoscevo e che hanno fatto crescere ancora di più il mio amore per questa splendida e magica città.
Arrivati al Serpentine Lake, Edward si fermò e tirò fuori dalla tasca della sua giacca il cofanetto (con chissà cosa dentro) che aveva comprato stamattina al mercato di Portobello.
“Ti sarai sicuramente chiesta cos’ho comprato mentre tu esploravi, giusto?”, iniziò, interrompendo il silenzio che si era creato.
“In effetti … posso saperlo adesso?”.
Lui mi sorrise e annuì. “Dammi il polso, tesoro”. Io mi accigliai, ma feci come mi aveva chiesto. “E’ un bracciale con un ciondolo. Mi è sembrato perfetto per te … per noi. Mi ha attirato l’incisione e poi è un bracciale vintage e a te piace indossare queste cose, quindi … due piccioni con una fava”.
Alzai il polso verso il viso e lessi la frase che era incisa su uno dei piccoli cuori. “Forever & Beyond”.
“Oh amore … è … è bellissimo. Grazie, ti amo”, mi sporsi verso di lui e gli lasciai un bacio veloce sulle labbra.
“Non è nulla, amore. Volevo solo dimostrarti che ti amo e che farò tutto il possibile per amarti sempre e per sempre. Potrei prometterti case, soldi o addirittura castelli e anche se i soldi non ci mancano, cosa me ne faccio di tutto questo se posso prometterti di amarti per tutta la vita?”.
“Quindi mi prometti che sarà per sempre?”, sussurrai.
“Per sempre … per sempre e anche oltre, amore”, mi disse.
Gli sorrisi e, circondandogli il collo con le braccia, lo coinvolsi in un bacio che sapeva di tutto e di niente … in un bacio che sapeva di amore … di promesse mantenute e di silenzi carichi di parole … un bacio che sapeva di noi e della nostra vita insieme.
“Adesso, però, cosa mi dai in cambio?”, mi prese in giro Edward quando ci separammo dal bacio.
Scoppia a ridere e “Oh Cullen, cosa devo fare con te?”, gli risposi dandogli uno scappellotto.
“Ti amo”, mi disse allora.
“Ti amo anch’io, idiota”.

Los Angeles, Casa Cullen, 19 Luglio 2080
“Non ci credo nonno. Hai davvero rovinato quella bellissima dichiarazione d’amore con quella frase? Ma che problemi avevi quando eri più giovane?”, chiese la piccola Marie che adesso tanto piccola non era. Aveva tredici anni e amava ancora passare del tempo con i suoi amati nonni, che a suo dire erano i suoi eroi.
La piccola amava ancora ascoltare gli aneddoti che nonno Edward gli raccontava e soprattutto, ogni volta che ne aveva la possibilità, chiedeva ai nonni di raccontargli la loro storia d’amore. Quella era l’unica favola che Marie non avrebbe mai smesso di ascoltare.
Anche agli occhi di Marie, era visibile l’amore che i suoi nonni provavano l’uno nei confronti dell’altra, ancora adesso, dopo tanti anni passati insieme. Sembrava che per loro il tempo non fosse mai passato. Sembravano ancora gli stessi Edward e Bella del college. Ancora oggi, dopo tanti anni, il loro amore era sempre lo stesso. Si amavano con la stessa intensità di un tempo, anzi, forse anche più di prima.
“Che vuoi farci, Marie? Tuo nonno è sempre stato un burlone. Non riusciva mai a essere serio per troppo tempo”, rispose nonna Isabella.
“Hey voi due … non prendetevi gioco di me, ci sento ancora”, intervenne prontamente Edward.
“Nonno … posso chiederti una cosa?”, chiede Marie, ad un tratto.
“Tutto quello che vuoi, tesoro mio”.
“Ma tu la nonna la ami come quando eravate giovani o più di prima?”, chiese seria.
La domanda lasciò Edward e Bella spiazzati. Tutto si aspettavano tranne che quella domanda.
Poi, però, Edward si voltò verso la sua Bella e guardò negli occhi l’amore della sua vita. La sua compagna di avventure. La sua ragione di vita. “La amo tanto quanto eravamo giovani, ma anche più di ieri e meno di domani, perché non c’è amore più grande che amare per tutta la vita la stessa persona”.
Bella sorrise commossa e strinse la mano a suo marito, sporgendosi per dargli un casto bacio sulle labbra. Era così orgogliosa della sua nipotina. Era bellissima. Ricordava ancora quando era nata, tredici anni prima.
Marie sorrise e guardò i suoi nonni con sguardo luminoso, fiera di avere due nonni come loro e, poi, come da copione, tradizione tipica della famiglia Cullen, fece una battuta. “Bene, adesso … visto che sono diventata grande, mi racconteresti del vostro matrimonio e di come sono nati la mamma e lo zio Robert?”.
Isabella alzò gli occhi al cielo e pensò che sua nipote poteva anche non avere Cullen per cognome, ma era proprio figlia di sua figlia e nipote di suo marito. DNA non mente.
Edward rise e “No tesoro, non posso adesso”.
“Perché?”, chiese innocentemente Marie. Quando era piccola suo nonno si fermava sempre al loro viaggio a Londra, forse per renderla una vera favola e regalando alla piccola il suo felici e contenti.
Perché, dopotutto, la vita non è perfetta e anche se, in quel momento, dopo tanti anni, erano ancora insieme, ne avevano passate davvero tante. Alcune belle, altre brutte e, forse, a Edward non sembrava il caso di raccontarle a una bambina che voleva solo la sua favola della buona notte.
“Perché quella è tutta un’altra storia”.
E Edward aveva ragione. Era tutta un’altra storia. Una storia con gli stessi protagonisti, ma in altri luoghi, con altre persone, in altre circostanze. Una storia diversa, ma pur sempre una storia, e, che, come tale, meritava di essere raccontata al momento giusto e di ricevere la gloria meritata.
Perché tutti i racconti hanno un inizio e una fine e questo era giunto alla sua fine. Per il resto, c’era tempo. E soprattutto perché in questa storia, il principe Edward e la principessa Isabella vissero per sempre felici e contenti, proprio come nelle favole.


Fine.

NOTE DELL'AUTRICE: Eccoci qui, alla fine dell'epilogo e alla fine della storia. Volevo fare delle precisazioni tecniche. Il carcere femminili in cui Christian e Bella vanno, esiste davvero. L'ho cercato su google. Le regole e i permessi che i due hanno sono tutti frutto della mia immaginazione, non so se le cose vadano così nella realtà. Gli aneddoti su Londra sono tutti verissimi. Sono stata a Londra per un mese nel 2012 e amo quella città più di quella in cui sono nata e spero di viverci un giorno. Londra, per me, è magica davvero. L'unico posto in cui non sono stata, ahimè, è Notting Hill. Per quella descrizione ho chiuso gli occhi e ho immaginato la mia reazione a quel quartiere. Spero di andarci in un giorno non troppo lontano.

RINGRAZIAMENTI: Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto la storia dall'inizio alla fine. Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, tutti i lettori silenziosi e quelli che hanno aggiunto la storia ai preferiti o alle ricordate. Grazie di vero cuore. Probabilmente senza di voi questa storia non sarebbe arrivata alla fine, o magari l'avrei scritta e completata ma sarebbe rimasta in una cartella dimenticata del mio computer. Quindi ... grazie, grazie, grazie. Questi Edward e Bella mi mancheranno tantissimo.
Ringrazio le mie amiche che hanno sopportata  e supportata i miei scleri. Questa storia è un pò anche loro. E se sono riuscita a spuntare "Completa" oggi è tutto merito loro, perchè hanno saputo aiutarmi in un momento in cui non sapevo cosa fare per rimettermi in piedi e mi hanno dato l'input per scrivere questa storia.

NOVITA': Più volte nella storia ho accennato al fatto che avrei voluto scrivere un sequel e non escludo questa possibilità, solo non al momento, quindi ho preferito terminare questa storia con un epilogo a se stante e raccontare il cambiamento che i personaggi hanno avuto dall'inizio fino alla fine del racconto. Ho altri progetti per la testa. Spero che se deciderò di scrivere il sequel o un'altra storia, voi siate ancora qui. Non so se nella categoria fanfiction o una storia originale. In più, ho iniziato a pubblicare la storia su WATTPAD, quindi se qualcuno dei vostri amici avrebbe voluto leggere la storia, ma non ha potuto perchè non iscritto su efp, ora può farlo anche su Wattpad. Questo è il link --->
https://www.wattpad.com/myworks/44457737-per-sempre-noi-twilight-fandom-au
Di seguito vi lascio anche la copertina che ho creato proprio per wattpad, così potrete riconoscere la storia.

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