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Autore: mentaverde    07/10/2015    1 recensioni
Dovrei fare una lista di tutte le mie pessime scelte.
Probabilmente mi servirebbero molte pagine e molto inchiostro, perché in vent'anni di esistenza il mio tempismo era sempre stato pessimo.
(cap. 2)
Com’è possibile che ovunque io vada me lo ritrovi davanti? E per di più con quel suo sorrisino da trentenne sfigato che vorrei cancellargli con una sberla. [...] Vorrei dirti grazie, ma non lo faccio perché tu sei uno stronzo da vaffanculo più che da ringraziamenti. (cap. 3)
“E qui la gente la mandi a quel paese?”.
“Se se lo merita sì”.
“Quindi io me lo sono meritato?”.
(cap. 4)
Non lo vedi, signor Cooper?
Sono sbagliata.
Sono sbagliata come la neve ad agosto, come un’insufficienza a ginnastica, come il sole di notte.
Io sono fondamentalmente sbagliata. Sia nel tuo che nel mio mondo.
(cap. 5)
Io mi perdo.
Mi perdo nel tuo respiro.
Mi perdo nella tua voce.
Mi perdo nella tua mano che accarezza la mia schiena.
E poi mi perdo nelle tue labbra.
(cap. 10)
E allora lo faccio: ti bacio. (cap. 16)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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 How to get away with murder.





How to get away with murder.
Sai cosa vuol dire?
Certo che lo sai.
Te l’avranno insegnato i tuoi amici di New York o quelli di Miami? Oh, per non dimenticare quelli di Washington DC.
Sì, lo so che devo dire DC, sennò potrei riferirmi anche allo Stato di Washington.
So che stai pensando che è strano che io abbia questa informazione nella mia testa da ventenne svampita che nella vita ha avuto solo un diploma e qualche esame universitario passato a stento.
Certo, so che non sono Joseph Cooper, o dovrei dire Mr Cooper?!
E adesso mi dici che hai anche degli amici a Tokyo?
Parli sempre di amici e mai di amiche. Sei gay sotto sotto?
No. Non da come mi guardi.
Lo riconosco un gay. Terence, l’amico di Randy e Billy, uno fra i trilioni di giocatori di rugby della mia facoltà, è gay. Ovvio che gli altri non sanno nulla.
Gli uomini credono di vedere più lungo di tutti, ma in realtà le uniche cose che vedono sono culi e tette. Figurati se vedono che un ragazzo è gay e che fa finta di niente.
Poi ho anche conosciuto il ragazzo di Terence, penso abbia diciotto anni appena compiuti, tutto magrolino, con i capelli così scuri che… non so neanche definirli. Un ragazzo carino, a modo e che guardava Terence con un affetto che, beh, mi aveva sconvolta.
Sconvolta tanto che quando tornai a casa iniziai a pormi le solite domande sul senso della vita. Del tipo: troverò mai qualcuno che mi guardi così? Troverò mai un ragazzo che guarderò così?
Fa tanto tredicenne in fase ormonale vero?
Beh, dopo un’attenta valutazione di tutti gli scenari possibili ed immaginabili su un ipotetico colpo di fulmine con uno strafigo dell’Abercrombie, ho capito che tutto questo non fa per me.
Non che io non voglia il modello, che sia ben chiaro, signor Cooper. Dico solo che io non ho mai voluto l’amore dolce.
Sai, non so neanche se sono il tipo che va d’amore e d’accordo.
Mi sento più fulmini e saette. Urla e piatti rotti. Pianti e sorrisi.
Mi sento più una persona instabile, che un momento ti ama e poi ti odia, che si getterebbe sotto ad un autobus ora ma che probabilmente più tardi getterebbe te.
Probabilmente tu e il resto del mondo direste che è perché hai vent’anni e bla bla bla.
Io, che mi permetto, credo di conoscere abbastanza me stessa per dire che: sono un vero e proprio casino.
E dovresti saperlo.
Insomma un attimo prima ti amo e lo urlerei al mondo, un attimo dopo sono alla ricerca della famigerata mazza da baseball.
Per carità, sono come la maggior parte delle donne in questo pianeta che se le dici che è bella ti guarderà storto fingendo brontolando che non è vero.
Non sono nulla di più di altre.
Dico solo che io sono un po’ un terno al lotto, signor Cooper.
Dico che io ho vent’anni.
Tu dieci in più.
Io ho un diploma e qualche cavolo di esame, tu una laurea e un lavoro.
Un bel lavoro.
Io ho un frigo.
“Un frigo?”, mi chiedi ridendo.
“Ho speso tutte le mie mance per comprarmi un frigo”, e tu ridi, ridi di gusto.
Ridi così tanto che chissene frega di Billy, Randy, Abercombie vari.
Tu sei tu. Tu sei vero.
Tu e le tue rughette, quelle scarpe pseudo-sportive che ti danno quell’aria da eterno Peter Pan, quel tuo modo di stringermi il braccio come se volessi coinvolgermi nella tua risata mentre mi vergogno ancora che ho parlato di mance. Da quanto è che tu non ricevi più una mancia?
Vedi?
Tu sei di più.
Più di me.
“Hai finito di ridere di me?”, ti chiedo infastidita e tu mi sorridi colpevole.
Una ragazza dall’altra parte del bancone ti sta fissando da quando hai iniziato a ridere.
O dovrei dire: una ragazza della tua età.
Tu non la vedi.
“Non sto ridendo di te, Alexis”, dici sorridendo ancora.
Abbasso lo sguardo e trattengo un sospiro. Non sono una persona sicura di sé, non sono una persona ricca di conoscenze, esperienze e altre cose da raccontare.
“Dobbiamo finire di parlare”, ti dico e tu annuisci mettendoti dritto.
Vuoi una cintura di sicurezza?
“Cosa vuoi fare con la tua fidanzata?”.
Ecco. L’ho detto.
Un’incredibile standing ovation sta avvenendo nella mia testa. Per una volta ce l’ho fatta. Per una volta ho detto quello che bisognava dire.
“Devo parlarle”.
“Quindi non l’hai ancora fatto”.
Ora il pubblico – i miei sei neuroni – si sono fermati e attendono con ansia una risposta che già sanno.
“No. Ma lo faccio appena torno a casa”.
Rimango tranquilla per la prima volta da quando ti conosco.
Da quant’è che ti conosco?
Bah, non importa.
La cosa incredibile è che io sia calma, di una calma quasi terrificante.
“Le parlerai quando torni a casa?”.
“Sì”.
Ti guardo e lascio che sia la mia impulsività a parlare.
“Ti credo. Ti lascio stasera. Solo stasera. Se non lo farai io non esisterò più per te”.
Improvvisamente mi sento il cuore diviso in due.
Ho paura.
Una paura che non ho mai avuto nella mia vita.
Perché solo in questo preciso momento sono certa che io ti voglio, signor Cooper. Sono certa che tu mi piaci così tanto che pensare che non la lascerai mi spezza il cuore.
Pensare che non ti vedrò più qui al bar, che cerchi di prendermi qualcosa di giusto da bere, che mi rincorri da una parte all’altra con un frappè in mano… beh mi spaventa.
Mi spaventa da impazzire.
Ho paura che sceglierai lei. Perché a parole siamo sempre bravi tutti e sono sicura che partirai convinto, ma quando la vedrai bella e bionda com’è, magari che ti cucina la cena, che ti sorride e ti racconta la sua magnifica giornata da insegnate universitaria, o che ti dirà che è pronta ad avere un figlio, che non si sente né troppo vecchia né troppo giovane… Tu cosa le dirai?
Ti renderai conto che io non sono una sicurezza.
Che io ho vent’anni e che per ora non voglio avere figli, che non ci ho proprio mai pensato. Che al massimo ti dirò che dovrò studiare invece di uscire, che ho la festa del campus e non il dopocena dall’amica in del centro città.
Sono quella che di suo ha un frigo e un diploma, sono quella che nessuno sano di mente sceglierebbe.
Eppure io voglio che tu mi scelga.
Perché… perché ti voglio, signor Cooper.
“Ti ho detto che ho già scelto”.
“Dillo anche stasera a voce alta alla tua fidanzata”.
“Non ti fidi di me?”, mi chiedi mettendola in un piano del tutto errato.
Non mi fido di te?
Certo che no!
Come faccio a fidarmi di te?
Hai ancora una ragazza e io sto facendo solo la sporca amante!
E non so perché ma oggi la mia bocca va da sé e dice tutto quello che deve dire, senza balbettare o incepparsi.
Strabuzzi gli occhi stupito.
Ti faccio paura?
How to get away with murder.
È un telefilm che guardo e sai di cosa parla?
Di nascondere omicidi ed avere poi le mani pulite come niente fosse stato.
Perché tu farai così.
Se non sceglierai me stasera, poi la tua vita continuerà.
Tu continuerai ad essere il consigliere di fiducia dei miei genitori, continuerai a vivere nella tua stupida casa chissà dove, a baciare la tua pomposa fidanzata… continuerai tutto senza di me come niente fosse.
Mentre io me ne rimarrò lì dentro il mio immaginario sacco dell’immondizia nero.
Mi lascerai lì.
Come si fa con quello che non vuoi e che non ti serve.
Mi lascerai lì a cavarmela da sola.
E ho paura, signor Cooper, ho paura che non mi vorrai.
Ma allo stesso tempo fremo dalla voglia di essere con te per davvero.
“Non sono una sporca amante”, ti dico tranquilla, “So di non essere lei, so che… oh, insomma, il mio ex ha preferito una identica a me solo con un pezzo di gamba in più e meno drammatica…”.
Sto letteralmente impazzendo.
“Io sorrido poco”, ti dico a mio svantaggio, “E sono un vero casino. Lo so anch’io… faccio fatica a capirmi io stessa, figurati se mi puoi capire tu”.
Penso sia stata una delle frasi più sincere che ti abbia mai detto, ma mi guardi come fai sempre, come se ti dicessi dove si trova il Santo Graal, come se ti sussurrassi un segreto di portata mondiale.
Vuoi prendere appunti?
Se te lo proponessi probabilmente mi diresti di sì.
“Sto per lasciare la mia ragazza storica per una ventenne figlia di alcuni miei clienti. Penso di essere un casino anch’io”, detto questo mi illumino e sorrido.
Dio se mi piaci Joseph Cooper.
 
How to get away with murder.
Mi sa che l’omicidio diventerà un suicidio di questo passo.
La storia dei minuti che sembrano ore è vecchia come il male, ma quando il tempo passa incredibilmente veloce? Che facciamo?
Iniziamo con calma e chiudiamo la porta di casa. A chiave magari.
Sì, ecco, brava Alexis.
Sono arrivata a parlare in terza persona… come sono finita così?
Oh, sì. Per un uomo.
Un trentenne con le scarpe laccate e la cravatta.
Però una cosa alla volta: porta?, chiusa. Molto bene. Ora passiamo alla parte che mia madre chiama elegantemente “igiene personale”, nonché togliere quasi fino alla bestemmia il trucco waterproof. Bell’idea il trucco waterproof per una che ha poca, pochissima, pazienza sia nel truccarsi che nello struccarsi.
Beh.
Una cosa alla volta no?
Ma… ma da quando in qua devo pensare ad ogni minima azione? Da quando in qua devo fare un elenco delle cose da fare prima di andare a letto?
Da quando è arrivato lui, il signor Cooper.
Maledetto signor Cooper.
Maledetta me.
Vorrei tanto chiamare Ali ma so che non mi capirebbe, lei ha l’insignificante e non so neanche se le è mai venuto un colpo di testa come sta accadendo a me.
Oliver!
“Lex?!”, urli sopra il frastuono.
È giorno o sera lì da te, fratellone?
“Ti disturbo?”, ti chiedo.
“Che succede?”.
“Ho fatto un casino, Oliver”, sussurro e poi ti dico tutto. Me ne frego quando sento i tuoi amici che ti chiamano spazientiti, o quando sento che ti stai allontanando dalla musica. Me ne frego anche che potrebbe non fregartene niente. Me ne frego di molte cose.
Ma non riesco a fregarmene del signor Cooper e della sua decisione.
Quindi ti racconto tutto. Da quel vaffanculo, all’ultimatum, a stasera: il secondo ultimatum.
Quanti ultimatum deve avere una quasi-storia per iniziare?
Te lo chiedo, Oliver, perché io non lo so.
Con Billy non sono serviti ultimatum, solo qualche drink e due sorrisi a tremila denti per far tutta la magia. Con Randy sarebbe stato lo stesso. E con altre persone pure. Ma perché con lui no?
Perché per una volta non può essere facile?
Perché ha dieci anni in più?
Perché ha una ragazza identica a Barbie?
“Cristo, Lex! Proprio con Joe Cooper?”, dici probabilmente mettendoti le mani in testa.
Aspetta. Lo conosci?
“Vivevo con lui quando andavo al college, Lex. È lui Joe”.
Oh.
Oh cazzo.
Oh cazzo cazzo.
“Non che non sia un bravo ragazzo… ma cristo, Lex! È più vecchio di me!”.
“Non sapevo che fosse quel Joe”, cerco di giustificarmi.
“Avrebbe cambiato qualcosa?”.
“No”, dico senza neanche accorgermene.
Ora capisco tante cose. Lui è Joe. Ecco perché i miei lo guardano come fosse un figlio e quando torna Oliver si mettono a parlare tranquillamente come fratelli.
È Joe. Joe Cooper, quello che ha fatto mille viaggi per l’Europa con Oliver a bere tra una discoteca e l’altra.
Come avevo fatto a non arrivarci prima?
“Tu conosci Sienna?”, ti chiedo e ti sento sospirare un sì.
Inizi a raccontarmi che stanno insieme dal college, dopo il viaggio di Francia, e che da lì non si sono mai lasciati.
A te Sienna non piace e lo si capisce dal tono con cui pronunci il suo nome.
Non ti piace e neanche a me. Io e te, Oliver, siamo sempre andati d’accordo.
“Lexie… Ma che cazzo ti salta in mente?! Con un trentenne? Mio dio. Dove cazzo hai la testa?”, inizi ad innervosirti e mi chiedo se non era meglio che me ne stessi nella mia camera in perfetta agonia sperando che non arrivi mai mattina.
E invece no, continuo imperterrita a fare una marea di scelte sbagliate.
D’altronde come dovrebbe reagire mio fratello maggiore di fronte ad una situazione del genere?
Darmi ragione? No. Non sarebbe Oliver.
“Gli altri mi stanno chiamando. Devo andare. Mi dispiace, Lex, ma credo che non finirà bene”.
Ciao, Ollie.
How to get away with murder.
Qui finirà in un omicidio.
Da parte di mio fratello. E di cadavere ce ne sarà solo uno: il mio.
How to get away with murder.
Sai cosa vuol dire?
Certo che lo sai.
Te l’avranno insegnato i tuoi amici di New York o quelli di Miami? Oh, per non dimenticare quelli di Washington DC.
Sì, lo so che devo dire DC, sennò potrei riferirmi anche allo Stato di Washington.
So che stai pensando che è strano che io abbia questa informazione nella mia testa da ventenne svampita che nella vita ha avuto solo un diploma e qualche esame universitario passato a stento.
Certo, so che non sono Joseph Cooper, o dovrei dire Mr Cooper?!
E adesso mi dici che hai anche degli amici a Tokyo?
Parli sempre di amici e mai di amiche. Sei gay sotto sotto?
No. Non da come mi guardi.
Lo riconosco un gay. Terence, l’amico di Randy e Billy, uno fra i trilioni di giocatori di rugby della mia facoltà, è gay. Ovvio che gli altri non sanno nulla.
Gli uomini credono di vedere più lungo di tutti, ma in realtà le uniche cose che vedono sono culi e tette. Figurati se vedono che un ragazzo è gay e che fa finta di niente.
Poi ho anche conosciuto il ragazzo di Terence, penso abbia diciotto anni appena compiuti, tutto magrolino, con i capelli così scuri che… non so neanche definirli. Un ragazzo carino, a modo e che guardava Terence con un affetto che, beh, mi aveva sconvolta.
Sconvolta tanto che quando tornai a casa iniziai a pormi le solite domande sul senso della vita. Del tipo: troverò mai qualcuno che mi guardi così? Troverò mai un ragazzo che guarderò così?
Fa tanto tredicenne in fase ormonale vero?
Beh, dopo un’attenta valutazione di tutti gli scenari possibili ed immaginabili su un ipotetico colpo di fulmine con uno strafigo dell’Abercrombie, ho capito che tutto questo non fa per me.
Non che io non voglia il modello, che sia ben chiaro, signor Cooper. Dico solo che io non ho mai voluto l’amore dolce.
Sai, non so neanche se sono il tipo che va d’amore e d’accordo.
Mi sento più fulmini e saette. Urla e piatti rotti. Pianti e sorrisi.
Mi sento più una persona instabile, che un momento ti ama e poi ti odia, che si getterebbe sotto ad un autobus ora ma che probabilmente più tardi getterebbe te.
Probabilmente tu e il resto del mondo direste che è perché hai vent’anni e bla bla bla.
Io, che mi permetto, credo di conoscere abbastanza me stessa per dire che: sono un vero e proprio casino.
E dovresti saperlo.
Insomma un attimo prima ti amo e lo urlerei al mondo, un attimo dopo sono alla ricerca della famigerata mazza da baseball.
Per carità, sono come la maggior parte delle donne in questo pianeta che se le dici che è bella ti guarderà storto fingendo brontolando che non è vero.
Non sono nulla di più di altre.
Dico solo che io sono un po’ un terno al lotto, signor Cooper.
Dico che io ho vent’anni.
Tu dieci in più.
Io ho un diploma e qualche cavolo di esame, tu una laurea e un lavoro.
Un bel lavoro.
Io ho un frigo.
“Un frigo?”, mi chiedi ridendo.
“Ho speso tutte le mie mance per comprarmi un frigo”, e tu ridi, ridi di gusto.
Ridi così tanto che chissene frega di Billy, Randy, Abercombie vari.
Tu sei tu. Tu sei vero.
Tu e le tue rughette, quelle scarpe pseudo-sportive che ti danno quell’aria da eterno Peter Pan, quel tuo modo di stringermi il braccio come se volessi coinvolgermi nella tua risata mentre mi vergogno ancora che ho parlato di mance. Da quanto è che tu non ricevi più una mancia?
Vedi?
Tu sei di più.
Più di me.
“Hai finito di ridere di me?”, ti chiedo infastidita e tu mi sorridi colpevole.
Una ragazza dall’altra parte del bancone ti sta fissando da quando hai iniziato a ridere.
O dovrei dire: una ragazza della tua età.
Tu non la vedi.
“Non sto ridendo di te, Alexis”, dici sorridendo ancora.
Abbasso lo sguardo e trattengo un sospiro. Non sono una persona sicura di sé, non sono una persona ricca di conoscenze, esperienze e altre cose da raccontare.
“Dobbiamo finire di parlare”, ti dico e tu annuisci mettendoti dritto.
Vuoi una cintura di sicurezza?
“Cosa vuoi fare con la tua fidanzata?”.
Ecco. L’ho detto.
Un’incredibile standing ovation sta avvenendo nella mia testa. Per una volta ce l’ho fatta. Per una volta ho detto quello che bisognava dire.
“Devo parlarle”.
“Quindi non l’hai ancora fatto”.
Ora il pubblico – i miei sei neuroni – si sono fermati e attendono con ansia una risposta che già sanno.
“No. Ma lo faccio appena torno a casa”.
Rimango tranquilla per la prima volta da quando ti conosco.
Da quant’è che ti conosco?
Bah, non importa.
La cosa incredibile è che io sia calma, di una calma quasi terrificante.
“Le parlerai quando torni a casa?”.
“Sì”.
Ti guardo e lascio che sia la mia impulsività a parlare.
“Ti credo. Ti lascio stasera. Solo stasera. Se non lo farai io non esisterò più per te”.
Improvvisamente mi sento il cuore diviso in due.
Ho paura.
Una paura che non ho mai avuto nella mia vita.
Perché solo in questo preciso momento sono certa che io ti voglio, signor Cooper. Sono certa che tu mi piaci così tanto che pensare che non la lascerai mi spezza il cuore.
Pensare che non ti vedrò più qui al bar, che cerchi di prendermi qualcosa di giusto da bere, che mi rincorri da una parte all’altra con un frappè in mano… beh mi spaventa.
Mi spaventa da impazzire.
Ho paura che sceglierai lei. Perché a parole siamo sempre bravi tutti e sono sicura che partirai convinto, ma quando la vedrai bella e bionda com’è, magari che ti cucina la cena, che ti sorride e ti racconta la sua magnifica giornata da insegnate universitaria, o che ti dirà che è pronta ad avere un figlio, che non si sente né troppo vecchia né troppo giovane… Tu cosa le dirai?
Ti renderai conto che io non sono una sicurezza.
Che io ho vent’anni e che per ora non voglio avere figli, che non ci ho proprio mai pensato. Che al massimo ti dirò che dovrò studiare invece di uscire, che ho la festa del campus e non il dopocena dall’amica in del centro città.
Sono quella che di suo ha un frigo e un diploma, sono quella che nessuno sano di mente sceglierebbe.
Eppure io voglio che tu mi scelga.
Perché… perché ti voglio, signor Cooper.
“Ti ho detto che ho già scelto”.
“Dillo anche stasera a voce alta alla tua fidanzata”.
“Non ti fidi di me?”, mi chiedi mettendola in un piano del tutto errato.
Non mi fido di te?
Certo che no!
Come faccio a fidarmi di te?
Hai ancora una ragazza e io sto facendo solo la sporca amante!
E non so perché ma oggi la mia bocca va da sé e dice tutto quello che deve dire, senza balbettare o incepparsi.
Strabuzzi gli occhi stupito.
Ti faccio paura?
How to get away with murder.
È un telefilm che guardo e sai di cosa parla?
Di nascondere omicidi ed avere poi le mani pulite come niente fosse stato.
Perché tu farai così.
Se non sceglierai me stasera, poi la tua vita continuerà.
Tu continuerai ad essere il consigliere di fiducia dei miei genitori, continuerai a vivere nella tua stupida casa chissà dove, a baciare la tua pomposa fidanzata… continuerai tutto senza di me come niente fosse.
Mentre io me ne rimarrò lì dentro il mio immaginario sacco dell’immondizia nero.
Mi lascerai lì.
Come si fa con quello che non vuoi e che non ti serve.
Mi lascerai lì a cavarmela da sola.
E ho paura, signor Cooper, ho paura che non mi vorrai.
Ma allo stesso tempo fremo dalla voglia di essere con te per davvero.
“Non sono una sporca amante”, ti dico tranquilla, “So di non essere lei, so che… oh, insomma, il mio ex ha preferito una identica a me solo con un pezzo di gamba in più e meno drammatica…”.
Sto letteralmente impazzendo.
“Io sorrido poco”, ti dico a mio svantaggio, “E sono un vero casino. Lo so anch’io… faccio fatica a capirmi io stessa, figurati se mi puoi capire tu”.
Penso sia stata una delle frasi più sincere che ti abbia mai detto, ma mi guardi come fai sempre, come se ti dicessi dove si trova il Santo Graal, come se ti sussurrassi un segreto di portata mondiale.
Vuoi prendere appunti?
Se te lo proponessi probabilmente mi diresti di sì.
“Sto per lasciare la mia ragazza storica per una ventenne figlia di alcuni miei clienti. Penso di essere un casino anch’io”, detto questo mi illumino e sorrido.
Dio se mi piaci Joseph Cooper.
 
How to get away with murder.
Mi sa che l’omicidio diventerà un suicidio di questo passo.
La storia dei minuti che sembrano ore è vecchia come il male, ma quando il tempo passa incredibilmente veloce? Che facciamo?
Iniziamo con calma e chiudiamo la porta di casa. A chiave magari.
Sì, ecco, brava Alexis.
Sono arrivata a parlare in terza persona… come sono finita così?
Oh, sì. Per un uomo.
Un trentenne con le scarpe laccate e la cravatta.
Però una cosa alla volta: porta?, chiusa. Molto bene. Ora passiamo alla parte che mia madre chiama elegantemente “igiene personale”, nonché togliere quasi fino alla bestemmia il trucco waterproof. Bell’idea il trucco waterproof per una che ha poca, pochissima, pazienza sia nel truccarsi che nello struccarsi.
Beh.
Una cosa alla volta no?
Ma… ma da quando in qua devo pensare ad ogni minima azione? Da quando in qua devo fare un elenco delle cose da fare prima di andare a letto?
Da quando è arrivato lui, il signor Cooper.
Maledetto signor Cooper.
Maledetta me.
Vorrei tanto chiamare Ali ma so che non mi capirebbe, lei ha l’insignificante e non so neanche se le è mai venuto un colpo di testa come sta accadendo a me.
Oliver!
“Lex?!”, urli sopra il frastuono.
È giorno o sera lì da te, fratellone?
“Ti disturbo?”, ti chiedo.
“Che succede?”.
“Ho fatto un casino, Oliver”, sussurro e poi ti dico tutto. Me ne frego quando sento i tuoi amici che ti chiamano spazientiti, o quando sento che ti stai allontanando dalla musica. Me ne frego anche che potrebbe non fregartene niente. Me ne frego di molte cose.
Ma non riesco a fregarmene del signor Cooper e della sua decisione.
Quindi ti racconto tutto. Da quel vaffanculo, all’ultimatum, a stasera: il secondo ultimatum.
Quanti ultimatum deve avere una quasi-storia per iniziare?
Te lo chiedo, Oliver, perché io non lo so.
Con Billy non sono serviti ultimatum, solo qualche drink e due sorrisi a tremila denti per far tutta la magia. Con Randy sarebbe stato lo stesso. E con altre persone pure. Ma perché con lui no?
Perché per una volta non può essere facile?
Perché ha dieci anni in più?
Perché ha una ragazza identica a Barbie?
“Cristo, Lex! Proprio con Joe Cooper?”, dici probabilmente mettendoti le mani in testa.
Aspetta. Lo conosci?
“Vivevo con lui quando andavo al college, Lex. È lui Joe”.
Oh.
Oh cazzo.
Oh cazzo cazzo.
“Non che non sia un bravo ragazzo… ma cristo, Lex! È più vecchio di me!”.
“Non sapevo che fosse quel Joe”, cerco di giustificarmi.
“Avrebbe cambiato qualcosa?”.
“No”, dico senza neanche accorgermene.
Ora capisco tante cose. Lui è Joe. Ecco perché i miei lo guardano come fosse un figlio e quando torna Oliver si mettono a parlare tranquillamente come fratelli.
È Joe. Joe Cooper, quello che ha fatto mille viaggi per l’Europa con Oliver a bere tra una discoteca e l’altra.
Come avevo fatto a non arrivarci prima?
“Tu conosci Sienna?”, ti chiedo e ti sento sospirare un sì.
Inizi a raccontarmi che stanno insieme dal college, dopo il viaggio di Francia, e che da lì non si sono mai lasciati.
A te Sienna non piace e lo si capisce dal tono con cui pronunci il suo nome.
Non ti piace e neanche a me. Io e te, Oliver, siamo sempre andati d’accordo.
“Lexie… Ma che cazzo ti salta in mente?! Con un trentenne? Mio dio. Dove cazzo hai la testa?”, inizi ad innervosirti e mi chiedo se non era meglio che me ne stessi nella mia camera in perfetta agonia sperando che non arrivi mai mattina.
E invece no, continuo imperterrita a fare una marea di scelte sbagliate.
D’altronde come dovrebbe reagire mio fratello maggiore di fronte ad una situazione del genere?
Darmi ragione? No. Non sarebbe Oliver.
“Gli altri mi stanno chiamando. Devo andare. Mi dispiace, Lex, ma credo che non finirà bene”.
Ciao, Ollie.
How to get away with murder.
Qui finirà in un omicidio.
Da parte di mio fratello. E di cadavere ce ne sarà solo uno: il mio.


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Con un ritardo stratosferico eccomi qui. 
Un ritardo di un anno non è cosa da poco vero?
Beh, non ho scuse e non penso neanche vi interessi la storia della mia vita, ma più quella di Lex e il signor Cooper. Per cercare di farmi perdonare ho scritto un capitolo molto più lungo del solito, probabilmente mostrando una Lex molto meno logorroica mentalmente e un po' più adulta. Volevo dare l'impressione che nei grandi momenti di ansia e paura il nostro cervello raggiunge una tranquillità tale da diventare incredibilmente razionale, facendoci prendere le giuste decisioni.
Lex è tornata e insieme a lei mille altri dubbi. Probabilmente poteva vivere la storia come un amante, intanto sarebbe stato suo comunque, oppure trovarsi un ragazzo più della sua età, senza troppi problemi, senza troppe differenze... più semplice, ecco. E allora perchè avventurarsi in questa storia?
Io l'idea di Lex la so.
Qual è la vostra?


Blue
  
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